Come sono diventata la schiava della mia direttrice

Scritto da , il 2020-05-29, genere dominazione

Come si intuisce facilmente dal titolo, voglio raccontare anche io la mia esperienza. Inizialmente non sapevo nemmeno io il perché ma mentre scrivo, tutti i miei pensieri sembrano essere sempre più nitidi e mi sento di condividere anonimamente quello che sto passando. Chiedo scusa per la mia scrittura ma non ho mai scritto nulla del genere in vita mia e si noterà il mio approccio amatoriale a queste cose. Perdonate anche gli eventuali sfoghi che trovate dentro, voglio descrivere al massimo il mio stato d'animo.

Sono una giovane ragazza di 25 anni, mi chiamo S. e sono una ragazza qualsiasi. Non mi definirei bella, non ho mai avuto grandi successi in amore e questo mi ha portato sempre ad essere un po' introversa e riservata. Sono alta 1 metro e 65, fisico normale, capelli biondi-castani a caschetto e porto gli occhiali. L'unica cosa che risalta del mio fisico è il mio seno, una 3a misura. Nonostante la mia poca iniziativa, sono fidanzata con un ragazzo di 23 anni, con alti e bassi.

Per dare un idea temporale, parto ovviamente dall'inizio, il 24 gennaio 2020.

Lavoro in una grande azienda , che resterà ignota in questo racconto. Non voglio rischiare di rendermi riconoscibile o di far scattare un campanello d'allarme. Sono qui ormai da 2 anni ma mi sono sempre sentita leggermente alienata da questo lavoro: siamo in centinaia, eppure ancora adesso non ho legami solidi con i miei colleghi, né ho mai provato ad avvicinarmi troppo a loro. La mia direttrice è una donna austera nei modi tanto quanto bella di fisico, di 39 anni, sposata e con una vita che io definirei soddisfacente, ma per qualche ragione in tutto questo tempo non l'ho mai vista sorridere spontaneamente.

Mi chiama nel suo ufficio un giorno. Mi balza il cuore in gola siccome quando qualcuno viene chiamato, non è mai per buone notizie. Paradossalmente mi viene data una promozione ma è solo perché rimpiazzerò qualcuno che è stato licenziato, non per meriti personali. Lei non ha molto tatto per questo tipo di cose ed è molto schietta, quindi se non farò bene il mio lavoro so già cosa mi spetterà. Il mio nuovo incarico sarà viaggiare nelle filiali in tutta Italia, controllare e riferire. Non mi sarà permesso fare un errore.

Salto avanti, fino al 21 febbraio, 16 giorni prima del Lockdown. Nonostante tutti i miei sforzi, le notti insonni e le fatiche per essere sempre presente, a quanto pare non ho superato la sufficienza. Mi chiama nuovamente nel suo ufficio, mi lascia in piedi davanti alla sua scrivania per un tempo interminabile, mentre mi fa un discorso esageratamente lungo su quanto io sia stata inadeguata e di come avrei dovuto fare il mio lavoro per bene. Trattengo le lacrime duramente, so di aver dato il meglio di me ma so anche che lei mi ha affidato questa posizione apposta, perché non sarei riuscita a farcela data la mia giovane età e la mia relativa inesperienza. Conclude il tutto degradandomi alla mia vecchia posizione, ora pesantemente precaria. A fine giornata torno a casa distrutta e abbattuta, senza voglia di fare niente. Alle 22 in punto mi squilla il telefono, è Lei. Mi dice di presentarmi a casa sua domani, alle 7, perché si è accorta di essere stata dura nei miei confronti e vuole rivedere il mio lavoro insieme. Una conversazione breve ma che non mi convince per nulla, non ha mai usato queste parole nei confronti di nessun suo subalterno.

Una volta a casa sua, mi fa accomodare nel suo salotto e insieme guardiamo tutta la mia documentazione passo per passo. Noto che il suo sguardo mi esplora, inizialmente piano poi sempre più voracemente, complice anche la mia camicia bianca con una generosa scollatura. Il culmine lo raggiunge quando mi appoggia la mano sul polso, e la lascia per quasi mezz’ora. Non ho il coraggio di dirle di toglierla, complice anche il fatto che potrei venire licenziata in qualche secondo. Alla fine rimane del suo parere che ero troppo giovane e che non ho potuto gestire la situazione come lo desiderava lei. A questo punto mi sembra solo un enorme capriccio da parte sua.
Rimetto via la mia documentazione mentre Lei si veste. La aspetto in piedi, nella sua anticamera. Mi sento imbarazzata ma ancora una volta decido di tacere. Potevo aspettarla in macchina, ma mi ha ordinato espressamente di non uscire di casa. La sento armeggiare nei vari cassetti e armadi per quasi 20 minuti, poi esce vestita di un comodo Tailleur nero che costerà quanto 2 dei miei stipendi mensili.

Oltre ad essermi presentata a casa sua presto, ho anche “l’onore” di accompagnarla al lavoro, e persino in anticipo di mezz’ora. Il viaggio mi sembra durare un eternità, senza musica, sempre in silenzio e con la costante paura di parlare. Una volta arrivate nel parcheggio sotterraneo pretende che io le apra la portiera e la aiuti a scendere. Mi sottometto anche a questa richiesta e andiamo insieme verso l’ascensore che porta al nostro ufficio, in uno degli ultimi piani. Mentre camminiamo vedo che l’ascensore si apre, escono 2 uomini del piano di sotto che ho già visto e conosco, lei improvvisamente mi passa un braccio sulla spalla afferrandomela e sussurrandomi di continuare a camminare, come se nulla fosse.

Ora sono sinceramente spaventata: anche dentro l’ascensore non mi molla e anzi, stringe la presa. La guardo con sguardo interrogativo, cerco di comprendere le sue intenzioni ma vedo solo delinearsi un sottile sorriso malizioso sul suo viso. Lei è una donna alta, le arrivo a malapena al mento. I suoi capelli neri raccolti in un elaborata coda mettono in evidenza ancora di più i suoi occhi, di un azzurro profondissimo. Arrivati al nostro piano finalmente molla la presa ma solo per dirmi di seguirla. Mi porta in una stanza senza finestre che conosco troppo bene: è la stanza delle fotocopie. Chiude la porta a chiave e abbassa le tendine. Io rimango in piedi immobile, sono spaventata a morte e non so cosa voglia farmi. Si avvicina lentamente per poi prendermi improvvisamente e sbattermi contro una scaffalatura piena di faldoni. Mi copre la bocca con una mano e con l’altra armeggia per aprirmi i pantaloni. Realizzo in un mezzo secondo cosa cerca e inizio a piangere. Lei dice solamente “Fai silenzio.”

Sono troppo terrorizzata anche solo per parlare, la mia direttrice mi abbassa a metà i pantaloni e inizia a toccarmi rapidamente e con maestria, devo ammettere. Non è la prima volta che lo fa a giudicare da come ha fatto tutto così rapidamente. La sento schiudermi la figa con due dita e metterle dentro, per poi muoverle per un minuto buono. Le tira fuori, appiccicose e piene dei miei succhi, se le porta alla bocca per assaggiarli e poi riprende. Io resto lì, impotente, a farmi violentare da lei, continuando a singhiozzare stando attenta a non farmi sentire. Non so cosa potrebbe farmi se provassi a ribellarmi. E comincio anche a bagnarmi, il suo movimento è troppo esperto e sa che punti del mio corpo toccare. Con la coda dell’occhio riesco a vederla in volto: la vedo concentrata, il suo volto non lascia trasparire nessuna emozione.

Restiamo così per un tempo infinito, almeno sembra a me: Lei continua a sditalinarmi alternando varie tecniche e cambiando periodicamente le dita. Io mi lascio violentare, ormai spezzata nella volontà per fare qualsiasi cosa. E incredibilmente mi piace: sento un piacere mai provato prima, qualcosa che mi fa godere come mai prima d’ora. Sarà forse l’essere sotto il suo totale controllo o venire forzata, il punto e che non resisto più: ho gli occhi umidi ma i miei versi non sono singhiozzi, sono gemiti. Mi abbandono ad un gemito più forte, stringo le gambe e ho un orgasmo che non ho mai avuto prima, che mi lascia quasi senza forze e mi fa aggrappare alla scaffalatura per non cadere. In qualche secondo realizzo che forse chi me l’ha procurato potrebbe non esserne felice. Invece questa volta, sul suo viso vedo apprezzamento per un secondo. Mi lascia andare.

Riprendo fiato accasciata a terra per qualche secondo. Sono in debito di ossigeno e l’orgasmo non mi ha aiutata da questo punto di vista. La mia direttrice prende una sedia e si siede davanti a me, si slaccia i pantaloni del Tailleur e rimuove la sua cintura. Mi apre la camicia mostrando il mio seno, il punto forte del mio corpo. Mi ordina di rimanere così davanti a Lei e di non distogliere mai lo sguardo dalla sua mano, impegnata in una frenetica attività. Ancora una volta sono troppo terrorizzata per fare qualsiasi cosa se non obbedirle. La guardo toccarsi, si da piacere davanti al mio corpo: mi sento imbarazzata a scriverlo, ma una profonda e piccola parte di me prova soddisfazione nel vedere che qualcuno apprezza in questo modo il mio corpo. La me stessa 16enne probabilmente ne sarebbe stata pazza di gioia.

Continuo a guardala, questa volta alternando lo sguardo tra la sua mano che tocca la sua figa rasata e il suo viso, dove cerco una qualche forma di spiegazione per tutto questo. Tiene gli occhi chiusi, si morde il labbro mentre si tocca, l’altra mano che mi ha violentato pochi minuti fa è costantemente nella sua bocca. La vedo come nessuno l’ha mai vista, forse nemmeno suo marito. Lei si calma e apre gli occhi, mi vede ai suoi piedi con uno sguardo di chi cerca di capire. D’istinto abbasso lo sguardo, ma Lei mi prende per i capelli e mi porta più vicina a sé. Ho la faccia a pochi centimetri dal suo sesso, grondante di umori e con un profumo che mi fa girare la testa. Non capisco nemmeno questo lato di me stessa, sono sempre stata eterosessuale e non ho mai mostrato interesse verso un’altra donna.

Lei prende la sua cintura, una cintura sottile di cuoio nero: mi fa mettere le mani dietro alla schiena e me le lega molto stretta, lasciandosi dietro una parte della cintura, per tenermi al guinzaglio. Poi mi guarda, sorridente. Dopo anni che la conosco, la vedo sorridere genuinamente per la prima volta. Mi afferra i capelli e mi affonda la faccia sulla sua figa, ordinando di farla godere.
Non ho mai leccato una figa in vita mia, la sensazione l’ho trovata inizialmente strana. Cercavo di fare quel che potevo ma a vedere dal suo volto non era molto contenta così mi sforzai di provare ad imparare. Forse se l’avessi fatto, la violenza sarebbe finita. Una parte di me, inspiegabilmente, non voleva finisse. Leccai per vari minuti, prima in modo statico da inesperta, poi lasciandomi andare: leccavo le labbra con cura, sputavo sul clitoride e lo baciavo. Tutto questo piaceva alla mia direttrice, che si era tolta la giacca e si toccava il seno con una mano, mentre con l’altra strattonava la cintura che mi legava. Tutto questo mi faceva bagnare moltissimo, molto più di quanto il mio ragazzo avesse mai fatto. In circa 15 minuti, la sento agitarsi, inarca la schiena e mi ordina di continuare, con la voce spezzata dal piacere. Io continuo, anche per mia volontà, e mi sento arrivare addosso un fiotto di liquido che mi sporca il viso. Avverto di esserle legata in maniera troppo intima, dopo che abbiamo condiviso questo atto.

Cerco qualcosa con cui pulirmi il viso, ma Lei intercetta le mie intenzioni e inizia a leccarmi, afferrandomi il collo pur di non farmi muovere. Dopo ciò, si alza e raggiunge la sua borsa, dove prende un pacchetto di fazzoletti che mi lancia. Comodamente si riveste davanti a me. La paura ha ripreso il sopravvento e non riesco a muovermi, perlomeno non prima che lei mi ordini di alzarmi e rimettermi a posto. Quando finalmente mi rimetto in piedi, si avvicina e mi sussurra nel’orecchio una frase che ancora adesso mi tormenta:

“Ti voglio come mia amante, volente o nolente. Se ne fai parola con qualcuno sei finita.”

Mi ordina poi di uscire dopo di lei, in modo da non destare sospetti sugli impiegati che stanno progressivamente arrivando in ufficio. Come Lei mi ha ordinato, esco dopo qualche minuto e mi sento stranissima: sento tutti gli occhi puntati su di me sebbene non sia davvero così, mi sento alienata rispetto al mio corpo. Corro in bagno a guardarmi allo specchio: sui polsi ho i segni rossi della sua cintura, ho gli occhi lucidi e il respiro corto. Mi sento sul punto di svenire, sono appena stata violentata e mi è piaciuto, per di più da una donna, che ha saputo cosa voleva il mio corpo e mi ha istruita sul mio probabile futuro ruolo. Si, so che è una cosa da pazzi, ma non ho la forza di oppormi a quello che mi ha detto, Lei è una persona potente e io non sono nessuno. Il resto della giornata la passo alla mia scrivania, cercando di essere il più piccola possibile e di non farmi notare. A fine giornata ricevo un messaggio fin troppo chiaro da Lei: “Fatti trovare a casa mia tra 40 minuti.”

Non ho nemmeno il tempo di tornare a casa, prendo la macchina e torno a casa sua, aspettandomi il peggio. Mi apre con una calma innaturale, persino per una donna in vestaglia. Mi tratta bene, facendomi accomodare, e io so che è tutta una recita per ciò che verrà. Poco dopo la sua maschera di gentilezza cade, mi porta delle calze a rete nere dicendomi di indossarle e di togliere tutto il resto. Obbedisco come un automa, mi spoglio davanti a lei senza tentare di nascondermi, ormai non ha più senso dopo quello che è successo oggi. Mi esamina attentamente, prima guardandomi da vicino, poi toccandomi con le mani, passando le sue dita lentamente su tutto il mio corpo, mi mette in varie posizioni e mi esplora senza venire ostacolata. Una volta finito, si siede sul divano e si apre la vestaglia: anche lei è completamente nuda, con un corpo che farebbe gola a moltissimi uomini.

Mi fa inginocchiare e mi elenca una serie di regole da seguire alla lettera per il mio nuovo ruolo. Erano veramente moltissime quindi non le riporterò tutte: in poche parole non avrò più il libero arbitrio di me stessa, dovrò indossare quello che lei desidera, fare quello che lei desidera, essere sempre disponibile per lei, mettere sempre il mio corpo a disposizione etc. tutte atte a limitare la mia persona. Mi rivela che ormai già da tempo aveva messo gli occhi su di me. Io sono immune a qualsiasi stimolo, mi sento triste, ma anche in un certo senso “felice” che per qualcuno io conti così tanto. Quando mi chiede se sono pronta ad accettare tutto ciò che il mio ruolo comporta, mi sorprendo io stessa di rispondere “Si.” Questa volta lo voglio.

Molti pensano che essere l’amante del capo possa comportare dei vantaggi di vario genere, ma nel mio caso non è stato così. Quella sera è stata la mia prima esperienza in assoluto da schiava, dove ho guardato decine di video hard insieme a lei, aiutandola ad eccitarsi, leccandola e toccandola. In quei momenti non mi sentivo triste, mi sentivo onorata di poter essere la sua amante. Ogni video conteneva una lezione, su una pratica che avrei dovuto imparare a svolgere in modo perfetto, per plasmarmi come una schiava perfetta.

Ho passato 16 giorni di fuoco, tra incontri notturni e fugaci sveltine in ufficio. Ho imparato ed eseguito pratiche che non avrei mai pensato prima d’ora: pissing, fisting, bondage, roleplay, sextoys e passando anche spesso per il sesso vanilla. E a questo punto si arriva all’8 marzo, il giorno del totale Lockdown. Da quel momento il nostro ufficio ha chiuso e siamo stati relegati in casa con lo smartworking. Mi tenevo impegnata ma continuavo a pensare a lei, che non ha più dato segno di voler riprendere la nostra attività, nemmeno virtualmente durante la quarantena. Mi rendo conto da sola ormai di essere completamente assoggettata a lei, ho tradito il mio ragazzo decine di volte e questo non mi provoca il minimo traballamento, sono felice di averlo fatto. Mi rendo anche conto che potrei sembrare un mostro agli occhi di molti, ma ho bisogno di Lei.

La situazione si è protratta così fino a l’altro ieri, quando ho ricevuto un suo messaggio “presto riprenderemo il nostro lavoro”. Innocuo per un osservatore esterno ma fin troppo chiaro per me.
Questo è il mio racconto. So che sono stata fin troppo prolissa ma non volevo correre il rischio di tagliare qualcosa. Spero possa piacere e invitarvi a commentare, magari con la vostra opinione.

Non so se ci sarà un continuo ma non voglio escludere nulla.

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