La collega americana (Alison)

Scritto da , il 2020-01-03, genere etero

Questa storia accadde nel giugno 2019.
Erano ormai 3 settimane di fila che me ne stavo in USA, e stavo trascorrendo le ultime due nello stesso posto, presso la nostra sede centrale.
L’azienda si trova in un classico business park, il che significa che ci sono solo uffici, parcheggi, quattro hotel, una palestra e alcuni ristoranti.
Tutto qui.
Per me è comodo, in quanto mi faccio portare lì in taxi dall’aeroporto, vado in ufficio e a mangiare a piedi, e poi dritto in camera.
Certo, questo è perfetto se ti fermi due giorni, ma due settimane così….

Avevo deciso di affittare un’auto e di girare un po’ i dintorni, e anche di godermi il fine settimana facendo un piccolo viaggio da qualche parte. Come hotel, avevo scelto l’Hilton Suites, così da avere anche la cucina disponibile e non dovere sempre andare al ristorante, per di più spesso da solo.
Quel pomeriggio avevo in programma alcune lunghe riunioni per programmare delle attività di estrema importanza, che sarebbero state coordinate dall’ America e che erano destinate ad una diffusione globale.

Mi era stata assegnata una project manager che conoscevo piuttosto bere: Alison. Quarantacinque anni, bella donna, sempre gentilissima… ma io la detestavo.
Arrivava da un settore molto lontano da quello high tech in cui lavoro, e faceva una fatica incredibile a capire molti concetti.
La sua indubbia esperienza in realtà la rallentava ulteriormente, perché cercava di applicarla anche dove invece serviva un approccio completamente diverso.
Così, in quei giorni in cui ero sotterrato letteralmente di lavoro, mi toccava pure perdere tempo per spiegarle e rispiegarle cose che davo praticamente per scontate.
Di fatto, la consideravo un intralcio.
In più, era solita partire per la tangente. Ovvero, non appena rallentavamo un minimo i ritmi di lavoro, iniziava a farmi un sacco di domande sui miei viaggi, i clienti che incontravo, le ricerche che facevo.
Le dicevo un paio di cose, per poi cercare di riportarla sul pezzo.
E lei era tutta un wow, per ogni cosa che io ritenevo normale.
Si, mi faceva davvero innervosire.
Però la trovavo a tratti anche molto interessante.
Era davvero una bella donna, questo è fuori di dubbio, e vestiva in un modo che attraeva la mia attenzione.
Semplice, con una nota maliziosa che poteva essere uno spacco della gonna inaspettato o un bottone della camicetta in più slacciato.
Chissà se lo faceva apposta.

Quel pomeriggio, mentre lavoravamo affiancati e lei era chinata in avanti, mi scappò l’occhio dentro la scollatura e notai che indossava uno di quei reggiseni che sono in pratica solo un laccio e che lasciano tutto il seno libero.
Cercai di non farmi notare, ma lo sguardo ricadde lì diverse volte.
Inoltre, tra le chiacchiere inutili, scoprii che era anche amante della buona cucina. Almeno così diceva: non mi fido troppo dei gusti americani.

Si era fatto tardi, e lì alle 17 spariscono tutti immediatamente.
Anche lei mi fece presente che era arrivato l’orario di uscita e non fu molto contenta della mia richiesta di fermarsi oltre per terminare il lavoro.
Fui in qualche modo fortunato perché mi disse che il marito era via tutta settimana con la figlia, quindi non aveva impegni familiari irrevocabili.
Controvoglia, mi concedeva un po’ del suo tempo.
In cambio, le dissi che se voleva poi le avrei offerto la cena nell’unico ristorante decente del parco.
Accettò, ma a patto che saremmo andati in un posto scelto da lei.
Ne fui solo che felice.

Non abitava lontano, così mi disse che sarebbe passata prima da casa a cambiarsi e farsi una doccia, e poi sarebbe venuta a prendermi al mio hotel.
Arrivò puntualissima, e insistette per portarmi con la sua auto.
Il posto non era lontano, ed era molto carino.
Purtroppo, come mi aspettavo, il cibo non era granché.
Però fuori dal contesto lavorativo Alison era molto più simpatica e fui felice di avere quell’opportunità per conoscerla meglio.
Ci facemmo portare anche del vino, e nonostante in USA siano di solito molto attenti nel bere e poi mettersi alla guida, lei non si fece problemi nel farsi qualche bicchiere di uno chardonnay al limite della sufficienza e che lei continuava a definire eccellente.

Le spiegai che i vini buoni erano altri, promettendole di fargliene assaggiare qualcuno.
- Quando? E dove? Lo dici perché sai che non ci sarà mai una buona occasione.

Mi parlava tenendo una mano sul mio braccio, e standomi molto vicino.
Pensavo che se non fosse stata una collega ci avrei provato, ma avevo già infranto un paio di volte la regola d’oro di evitare clienti e colleghi e avevo poi passato settimane a preoccuparmene.
In più, le policy americane sul sexual arrasment sono davvero molto severe ed è un attimo perdere il lavoro, chiunque tu sia.
Così feci finta di nulla, ma senza pensarci buttai lì che, come spesso faccio, avevo in valigia del vino italiano. Lo condivido spesso con i colleghi che hanno la sfortuna di passare con me qualche giorno all’ Hilton, in mezzo al nulla.
- Allora me lo farai assaggiare subito subito! Andiamo!

Vedevo già dei guai all’orizzonte… e ci stavo scivolando dentro come al solito, come se nulla fosse.

Arrivammo in hotel che eravamo entrambi leggermente brilli.
Lei direi anche qualcosa in più.
Le dissi che andavo a prendere la bottiglia in camera, e di aspettarmi nella zona colazioni… e invece mi seguì dicendo che non si fidava a lasciarmi andare da solo perché non sarei tornato.

Visto che era arrivata fino alla stanza, ci accomodammo nel salottino e le feci scegliere il vino.
Avevo un Gran Masetto, un gran buon Teroldego in purezza, e un riesling renano.
Optò per il bianco, ma credo solo perché era fresco e non aveva capito che l’altro era decisamente un fuoriclasse.
Aprii la bottiglia, mettendo sul tavolo anche del formaggio che mi ero comprato al supermercato locale, dal dubbio colore arancione.
Iniziammo a bere e a parlare.
Lei continuava a ridere.
Notavo che iniziava a biascicare un po’ e che si era decisamente avvicinata mentre mi raccontava di come la sua vita fosse noiosa.

Poi se ne uscì fuori con la storia che aveva avuto con un collega.
Mi colse di sorpresa.
Si era invaghita di uno dei venditori californiani, e qualche settimana prima si erano imboscati in archivio dove si era fatta scopare.
Mi raccontò la scena nei dettagli.
Lui che le manda un messaggio per farsi raggiungere, lei che si sente eccitatissima ed impaurita per questa novità e che cerca di non farsi notare mentre entra nello stanzone. Poi le mani di lui che la trascinano in un angolo, alcuni baci violenti, lui che la gira e le scosta le mutande per penetrarla immediatamente.
Lei che si sente un po’ puttana, un po’ felice, un po’ spaventata dall’idea che possano beccarli sul fatto mentre cerca di trattenere i gemiti di piacere.
Lui che le viene dentro e poi si ricompone velocemente.
Lei che non sa bene come pulirsi dallo sperma.
Lui che la molla lì, da sola, per evitare che vengano visti uscire insieme.
E i pensieri che le passano per la mente. Stranamente si sente eccitata per quello che è successo.

Dice che è stato terribile ma che le è piaciuto.
Si sta vistosamente toccando il seno, con un dito che scivola dentro alla camicetta.
- Pensi che io sia una puttana?
- No… perché dovrei. Il sesso è una bellissima cosa, e se ti è piaciuto vuol dire che va bene.
- Avevo tanta voglia, sai? Il solo pensiero mi fa ancora eccitare…

Lo sussurrava, a pochi centimetri dalla mia bocca.
Aveva una mano sulla mia gamba, e il suo pollice si muoveva facendomi un massaggio delicato che non mi lasciava indifferente.
Mi avvicinai un po’.

Fu lei a baciarmi.
Prima un bacio veloce, poi uno più violento mentre la sua lingua penetrava nella mia bocca.
La mano si era spostata sul mio sesso, con il pollice che continuava a muoversi.
- Sono tutta bagnata…
Lo disse in un modo così intrigante che non riuscii a resistere e la mia mano si insinuò sotto la sua gonna.
Aveva le gambe molto lisce, e le mutande inzuppate.
Quando gliele sfiorai ebbe un piccolo scatto, e poi emise un gemito.
Pochi secondi dopo stava cercando di aprirmi i pantaloni mentre continuava a baciarmi.

Nella mia testa si affollavano diversi pensieri. La cazzata che stavo ovviamente facendo con una collega, il fatto che eravamo entrambi ubriachi, la voglia di averla...
Non ebbi comunque il tempo di elaborarli troppo.
Mentre le nostre lingue si intrecciavano la sua mano era riuscita nell’intento di liberarmi il cazzo ed aveva iniziato a segarmelo.

- Adesso mi scopi, vero?
Se ne uscì con questa frase inaspettata, buttata lì quasi sottovoce e nel mezzo di un gemito.
Le misi due dita direttamente in figa.
Era un lago.
Entrarono come una lama calda nel burro.
Sobbalzò, sospirando e subito dopo sorridendomi ed allargando un po’ di più le gambe per lasciarmi un accesso ancora più comodo.
La mano si muoveva velocemente, facendo un rumore osceno.
Mi girai in modo da esserle sopra.
Le sollevai bene la gonna e, scostando le gli slip, la penetrai.
Il suo bacino iniziò a muoversi, costringendomi ad adattarmi al suo ritmo.
Era lento, mi piaceva.
Intanto mi teneva per un braccio, quasi piantandomi dentro le unghie.
Godeva emettendo dei gemiti quasi soffocati, intervallati da poche parole, sempre sussurrate.

Mi alzai in piedi, lasciandola un po’ spaesata perché non aveva ben capito le mie intenzioni.
Mi sfilai del tutto i pantaloni, poi la presi per un braccio per fare alzare anche lei, e spostarci sul letto.
Anche in una singola in America ti danno spesso un king size, ed era davvero un peccato rimanere scomodi sul divano con questo letto enorme a due metri contati.
Non ci arrivammo.
Ci mise sopra le mani e si piegò in avanti.
Poi girò la testa verso di me, con quel suo sguardo da bimba ingenua, ma anche maliziosa.
Fece ondeggiare vistosamente i fianchi mentre mi diceva tutta suadente
-dai, vieni a prenderlo….

Le sollevai la gonna e feci scivolare le mutande fradice fino alle caviglie, per poi toglierle.
Inginocchiato davanti ad un fondoschiena decisamente bello, lasciai scivolare la mia lingua tra le sue gambe, giocando un po’ con il clitoride già gonfio.
La sentivo respirare affannosamente, mentre la sua figa pulsava e i glutei di tanto in tanto si contraevano.
Mi rialzai, strofinando il cazzo in mezzo alla sua fessura, ma senza entrarci.

- Scopami… ne ho bisogno… ti voglio sentire dentro…
La penetrai nuovamente.
Era così bagnata che le scivolavo dentro senza quasi sentire le pareti della sua intimità, facendo un forte rumore ogni volta che affondavo nel suo ventre.
Le afferrai i seni, stringendoli da sopra il reggipetto che ancora portava.
- Vengo… vengo… vengo… aaaaaaaaaaaaaahhhhhhhhh
Collassò in avanti, finendo sul letto, trascinandomi con lei mentre il mio cazzo era ancora impiantato in quella figa pulsante.
La sentivo ora irrigidirsi, avere degli spasmi violenti mentre le mani stringevano le lenzuola.
Digrignava i denti, emettendo un suono primordiale.
Attesi qualche secondo, poi ricominciai a muovermi.
Ora emetteva dei versi strani, quasi dei grugniti, mentre la scopavo con un ritmo sempre più veloce.
Avevo voglia di venire anche io, e lo feci riempiendo il suo ventre con il mio seme caldo.
Poi mi abbandonai su di lei.
La mia testa era sulla sua schiena, e sentivo il battito veloce del suo cuore mescolarsi con il suo ed il mio respiro, ancora affannati.
Rimanemmo così per alcuni attimi. Poi mi alzai.
Lo fece anche lei, barcollando leggermente e quasi cadendomi addosso.
Mi abbracciò e mi baciò con forza e passione.

La convinsi a metterci sul letto, dove continuammo a baciarci e toccarci come due sedicenni finchè non ci addormentammo.

la mattina dopo fu alquanto traumatica.
Io mi alzo molto presto, così mi svegliai per primo, con una collega mezza nuda nel letto e con mille pensieri su come gestire la situazione.
Aspettai che si svegliasse anche lei, per vedere la sua prima reazione. Aprì gli occhi, e rimase fissa a guardarmi per un periodo che mi sembrò davvero eterno.
- Oddio… abbiamo fatto davvero sesso…
Ecco, quella non era la peggiore delle uscite che avevo ipotizzato, ma nemmeno la migliore
- Sì… credo che ci siamo lasciati trascinare un po’…
- Oddio….

Non sapevo cosa fare.
Aspettai.
- Non lo dirai a nessuno, vero?
- No, non è mia intenzione far perdere il lavoro ad entrambi
- Si… credo anche io che dimenticarci di questa cosa sia l’opzione migliore che abbiamo.
- Se vuoi puoi farti una doccia…
- Si… mi sembra una buona idea…. Sai… non sto dicendo che non mi sia piaciuto quello che è successo… anche se il vino… ecco…
- Si, tranquilla. Sei una bellissima donna. E avrò un bellissimo ricordo di te e di ieri notte

Mi sorrise.
Rimase un po’ a guardarmi e poi mi accarezzò i capelli
- Sei dolce… non lo immaginavo…
- Anche tu lo sei. Dolce e sexy.
- Allora è vero quello che si dice degli italiani…

Ci stavamo sfiorando a vicenda.
Eravamo ora più vicini.
E ci baciammo.

Arrivammo in ufficio molto in ritardo.


m.amorini@libero.it

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