Ad un pelo così (Seconda parte)

Scritto da , il 2019-01-01, genere etero

Quando entro in casa, trovo i miei che conversano amenamente sul divano in pelle bianca, seduti entrambi obliquamente (per la cronaca: mia madre non ha le calze, le gambe sono ripiegate in avanti, con i piedi nudi che dondolano oltre il cuscino della seduta e l'orlo della gonna risalito a sufficienza da scoprire le cosce tornite, offerte alle carezze dello sguardo sornione di papà, che indossa una t-shirt dei Nirvana - quella dello smiley giallo con le X al posto degli occhi e la lingua fuori il sorriso sgangherato - sui soliti jeans sdruciti. È scalzo anche lui), con gli omeri premuti contro lo schienale così da potersi guardare mentre parlano e sorseggiano dai calici di boemia di mia nonna quello che mi sembra vino bianco, fumando sigarette di trinciato in barba al divieto assoluto di fumo che vige in questo appartamento. Papà appena mi vede scatta in piedi, lascia cadere la cicca che sfrigola in un bicchiere di plastica poggiato sul tavolino da caffè, e mi viene ad abbracciare, stringendomi forte e battendomi il palmo della destra sulle scapole, baciandomi sulla guancia con sonori schiocchi. È in gran forma, come sempre, solo che da questa estate è più basso di me. I capelli, ancora folti e sempre lunghi sulle spalle, sono ancora umidi e profumati di shampoo alla malva, lo stesso che abbiamo qui nel vano della doccia, noto con acume sherlockiano. È più forte di me, mi basta un particolare, un odore o un qualsiasi altro dettaglio, per immaginarmi mio padre e mia madre a letto insieme, a fare quelle cose che ho visto in dozzine e dozzine di video trovati per puro caso in un hard-disk sul fondo di un cassetto della scrivania nello studio di mamma e nelle quali si saranno plausibilmente esibiti in mia assenza questo pomeriggio, da qui l'urgenza di una doccia per lo scafato stallone, che altrimenti non si spiegherebbe. Sorvolo qui, in questa rapida digressione, sulle circostanze fortuite che mi hanno portato inconsapevolmente al ritrovamento di quei filmati, conta piuttosto il loro contenuto e il successivo lavoro che ho dovuto compiere per gestire la moltitudine di sensazioni da essi prodotti e rintuzzare quanto stavano demolendo nella mia coscienza da adolescente. Chiaro che tutti prima o poi apprendono il processo che porta alla procreazione, così come tutti prima o poi si interessano al sesso con annessi e connessi, tutti prima o poi ricercano sesso su internet e si masturbano alla grande davanti a scene di accoppiamento per lo più tra maschi e femmine, ma non a tutti capita di vedere quelle scene con i propri genitori nei panni - metaforicamente parlando - dei protagonisti. A me è capitato e sulle prime è stato devastante vedere i miei nudi, bellissimi, poco più che ventenni aggrovigliati l'uno all'altro come l'edera su un portico. Ma ancora più devastante è stato arraparsi davanti alle nudità di mia madre, scartavetrarmelo - eh sì, perché dopo lo choc iniziale proprio questo è avvenuto - fissando il suo sesso peloso leccato prima dalla lingua di mio padre e poi penetrato dal suo cazzo duro in tutte le posizioni di un vasto e ben eseguito repertorio, con una particolare predilezione per la pecorina. E come indugia, in quei video, l'obiettivo sulle natiche michelangiolesche di mamma, sul culo perfetto nelle sue rotondità simmetriche, col solco profondo, umido di umori, appena increspato da una morbida ombra di pelo! Scopano come i ricci, i miei, ansimano forte, godono tanto, si dicono cose durante, nel mezzo e dopo l'amplesso, sempre rimanendo avvitati l'una all'altro, saldati come se fossero un pezzo unico di carne. Spesso il video finisce che stanno ancora parlando di cose loro, fatti avvenuti, ma anche preoccupazioni dell'uno e dell'altra, rassicurazioni dell'uno all'altra, discussioni, tante discussioni post-coitali, di presunti tradimenti dell'uno e dell'altra, ma anche progetti per il futuro, compreso il desiderio di un figlio (da parte di mamma, più che altro) e delle reticenze di farlo in quel frangente, senza ancora una stabilità eccetera (perplessità di mio padre, queste, additate come svicolanti da mamma, che le riteneva scuse per non impegnarsi seriamente e, quindi, secondo il suo ragionamento deduttivo, indicative di uno scarso grado di amore e considerazione a lei riservati). I video coprono un arco piuttosto lungo, quasi due decenni, e nel frattempo io sono stato concepito, sono nato e cresciuto abbondantemente, perché hanno continuato a girarli, e quindi a scopare, anche molto tempo dopo la loro separazione, quando mio padre si è trasferito altrove ed ha cominciato a viaggiare per mezzo mondo, trovando anche il tempo per darmi una sorella concepita con un'altra donna, senza però - questo va detto e glielo riconosco - farmi mai mancare la sua presenza costante al mio fianco. Comunque, a parte l'amore sconfinato che provo per mio padre, vederlo alle prese con mamma mi ha fatto effetto. Dapprima è stato dolore, una fitta forte al costato che si allarga come olio cocente alla pancia, mordendomi l'addome come cagna affamata. Poi è stata rabbia, furore, ira, forse odio - o almeno qualcosa di molto vicino all'odio, se solo ne conoscessi la forma. Infine, invidia. Già, invidia. Invidia di quel cazzo, che pur parte aveva avuto nel mio concepimento, che si fotte mia madre, meglio il suo corpo abbronzato, flessuoso, naturalmente elegante, con i seni gonfi e il culo prepotente, arrogante nella sua regalità, assiso su cosce tornite come colonne, invidia della lingua che esplora i segreti di un sesso grande come un fiore carnivoro dalle labbra vellutate e rosse, che titilla e succhia il clitoride, proteso come un chiodino attratto da un magnete, invidia per la potenza virile che si sprigiona dai muscoli e dai tendini e dai nervi di papà, perfettamente in grado di padroneggiare l'esuberanza sessuale di mia madre, che si agita e dimena sotto e sopra di lui, piegata a portafoglio, con i piedi oltre la testa ricoperta di scomposti ricci biondi, mentre la verga la penetra fino in fondo, come una lancia, oppure di spalle, saltellante sull'erezione robusta, martellandola forte col culo mentre si tiene alle ginocchia o alle caviglie del maschio, e ancora in piedi, con le gambe allacciate alle reni del suo uomo, schiacciata contro la libreria dalla quale precipitano libri a pioggia ad ogni affondo del cazzo, che calibra i colpi dal basso verso l'alto, per essere alla fine avvinta da un piacere orgasmico che le sferza ogni fibra della carne tremula per abbandonarla, infine, sfinita e felice, appagata e ammansita, nelle braccia del suo domatore. E, ancora, invidia per le cure che mia madre presta al corpo atletico di mio padre, invidia per le sue carezze, invidia per i suoi baci a bocca aperta e lingua da fuori, invidia per quel cazzo grosso, dritto, duro come un fuso sul quale scorre la lingua di mamma in lungo e in largo, gustandone ogni centimetro, per poi mangiare e succhiare la cappella turgida e gonfia, a volte fino a farlo godere così, quel totem di carne, suggendone con avidità i fiotti poderosi e abbondanti, gravidi di quel patrimonio genetico che adesso pulsa dentro di me, invidia per le parole d'amore che riserva a mio padre, ma anche per quelle d'astio, sofferenti, rancorose, piene, tuttavia, di una passione e di un ardore che non avrebbero mai potuto essere per me - certo, mia madre mi ama di un amore che riempie ogni parte di me, ma è un amore necessariamente diverso, un amore materno, appunto, carnale anche, sì, ma di una carnalità anch'essa diversa, uterina verrebbe da scrivere, pertanto più intima e profonda, probabilmente, ma pur sempre qualcosa di diverso, mentre io volevo quell'amore, quella passione, quello stropicciarsi di carni e mescolarsi di umori, e il solo pensiero mi terrificava per il portato animalesco e peccaminoso che aveva in sé (non in senso religioso, quanto piuttosto in quello più generale della desacralizzazione di un tabù comunque inoculato nel mio essere un prodotto inevitabilmente culturale, di una cultura che demonizza anche solo il desiderio teoretico di un incesto), ma ciononostante non fermava la mano che mi martorizzava l'uccello fino a farlo dolorosamente schizzare, dando immediatamente la stura a sensi di colpa struggenti che mi toglievano il sonno e mi tormentavano di continuo, animando voci interiori che mi davano del malato, del depravato, del fallito, dello sfigato e che si manifestavano all'esterno in atteggiamenti di stupide e puerili ripicche verso entrambi i miei genitori, posizioni di ostilità, talvolta sfacciata e volutamente provocatoria, che tuttavia veniva gestita e controllata dai miei con la sicurezza propria di chi conoscesse le cause che la scatenavano. È stato il convincimento di essere come trasparente per quei due, essere trapassato dai raggi della loro intelligenza e rivoltato come un calzino dalle intuizioni probabilmente fondate dei due capoccioni, a procurarmi un forte senso di vergogna che sfogava, per reazione uguale e contraria, negli atteggiamenti suddetti. Insomma, il classico cane che si morde la coda. Comprendere questo, ha costituito una chiave di volta e mi ha permesso se non altro di affrontare il problema con me stesso, o meglio con una parte di me. Mi sono informato su internet, ho bazzicato forum in cui giovani madri scrivevano preoccupate a psicologi delle avances subite da figli in età adolescenziale, ho letto di Freud e del complesso di Edipo, capendoci il giusto, ma quanto basta - e questo è stato il secondo momento di svolta - per provare un moto di indignazione nello scoprire che l'unicità della mia attrazione per mia madre, e il conseguente puerile rancore verso mio padre, tutto fosse fuorché unica, anzi ero un caso normale, uno dei tanti che attraversa lo stesso percorso di crescita, rivolgendo alla madre le prime attenzioni sessuali che, tempo poco, si rivolgeranno alle coetanee, sancendo l'uscita dall'alcova chiusa e protetta della famiglia. In parole semplici, è tutto qui. È stata la "normalità" psicanalizzata dell'impulso incestuoso, pertanto, aggravata dal fatto che mia madre stessa fosse una psicologa, e quindi in possesso delle stesse "verità" freudiane atte a fare di me, di suo figlio, un "normale" caso edipico, a cambiare il mio punto di vista, ad allontanarlo dal torbido che ristagna dentro di me, nella cloaca dell'inconscio, e ad orientarlo all'esterno, alla luce, verso i miei genitori che si amano, che frequentano feste (i video non riguardano solo il sesso, sebbene questi siano la grande maggioranza), che visitano città, montagne, spiagge, e che scopano, a lungo e con desiderio, e che parlano dopo il coito, sussurrandosi qualcosa dolcemente o litigando con acrimonia, e che mi concepiscono, in un giorno di fine estate, in un bungalow del Camping "Le saline" di Palinuro, e che continuano a scopare come la prima volta anche quando si saranno separati. In sostanza, ho spostato il mio interesse da ciò che mi turbava profondamente alla vita sentimentale dei miei, studiandoli come personaggi e deciso a scriverne la storia mettendo insieme i vari pezzi che coglievo qua e là, comparando date, scritti, ricordi miei e loro - non sono, infatti, mai stati né sono avari nel raccontarmi storie e aneddoti, piacevolmente stimolati dalle mie domande. Insomma, ci ho messo un po' di tempo, due anni buoni direi, ma alla fine è ritornata l'armonia che da sempre ha regolato i nostri rapporti, nonostante non viviamo tutt'e tre insieme da quando avevo cinque anni.

A cena papà mi dice che non parteciperà alla Grande Adunata promossa da nonno Filippo, il che non mi stupisce affatto, anzi, per dirla tutta, sia io che mamma la sua assenza l'avevamo data per scontata fin da subito. Del resto, non è venuto nemmeno al matrimonio, mandando su tutte le furie lo sposo che si è messo ad inveire contro la spocchia di mio padre, contro le sue arie da grande intellettuale di stocazzo e via discorrendo, in una escalation di improperi che quasi gli procura un infarto. Non si sono mai presi, nonno e papà, fin dal primo incontro, avvenuto all'alba del suo fidanzamento con mamma, nella stessa villa che ci ospiterà durante le feste e che mio padre disprezza, come disprezza, con snobismo a sua volta sprezzantemente aristocratico, ogni ostentazione del lusso e della ricchezza, feticci e proiezioni, a suo vedere le cose, di eghi tronfi, narcisisti e sopraffattori (sebbene, ad onor del vero, stesso papà ammetteva che l'ex suocero aveva almeno il merito di "essersi fatto da sé", anche se subito ironizzava sull'abusata espressione ponendo l'accento sulla scarsa onorabilità dei modelli seguiti dal suo interlocutore). Dal canto suo, nonno disprezza gli uomini di pensiero, che nella sua ottica fanno solo chiacchiere, e per giunta sinestrorsi come mio padre (che è sempre stato a sinistra della Sinistra, almeno fin quando Essa c'è stata in Italia - una piccola parentesi anche qui per rispetto della verità delle cose), che a loro volta non solo disprezzano i suoi soldi ma soprattutto il sistema che li ha prodotti, ma, in particolare, disprezza mio padre, il suo successo come enfant prodige della filosofia (quando ha saputo che papà era stato selezionato nientepopodimeno che dal College de France per 26 ore di insegnamento, ha avuto un vero e proprio attacco di bile e per due giorni non è uscito di casa), il fatto che non si senta in soggezione al suo cospetto, anzi è vero il contrario, che non lo veneri, che lo guardi con aria di sufficienza e dall'alto in basso, come si guarderebbe uno stronzo di cane sulla neve. Troppo diversi, entrambi paladini di mondi in conflitto tra loro, che vorrebbero l'uno l'estinzione dell'altro. In questo conflitto sempre aperto e che coglie ogni occasione per rinfocolarsi, io e mia madre non abbiamo preso posizione, ovvero abbiamo mantenuto negli anni - lei anche in quelli più difficili dell'inizio della separazione - un atteggiamento neutralista, attaccati come siamo non alle loro idee, ma alle loro persone. Insomma, se la vedessero tra loro, noi vogliamo bene ad entrambi e il resto non ci interessa. A conti fatti, mi sembra il solo punto che possiamo ribadire.

Finita la cena, vado in bagno per una doccia. Quando esco, i miei non sono più in salotto. Mi inoltro nel corridoio in penombra e a metà tragitto sento l'ansimare forte di mamma e il cigolio del letto di mia nonna provenire da dietro la porta in fondo. Fino a poco tempo fa, una situazione del genere mi avrebbe mandato su tutte le furie, ce l'avrei avuta con mio padre, per la sua immoralità di fedifrago, visto che è legato ad un'altra donna, nella stessa misura con cui avrei biasimato mia madre, così debole verso quell'uomo e sciocca nel pensare che potrebbe tornare in virtù della sua accondiscendenza ad andare a letto con lui. Invece adesso, come ho cercato di spiegare prima, la loro relazione mi appare con connotazioni non definibili dalle categorie con la quale una posticcia morale sociale ci obbliga ad interpretare fatti del genere, stabilendo ruoli e confini secondo quanto si reputi giusto nell'ottica ipocrita della sacralità di vincoli famigliari. Per me loro due continuano a viversi nella forma che hanno scelto per non dover fare a meno l'uno dell'altra. E ciò non solo mi basta, ma mi rende felice. Ad ogni modo, mi trattengo dal restare ad origliare, prendo una bottiglia d'acqua nel frigo e mi chiudo in camera, spalmandomi in mutande sul letto.
Non ho sonno, prendo dal comodino il libro che mi ha appena regalato papà, "Zuckerman scatenato", del mio scrittore preferito, ma la lettura è continuamente interrotta dai pensieri relarivi a quanto successo nel pomeriggio, non per ultimo alle tettine appena abbozzate di Barbara, dalle aureole però gonfie e scure e con i capezzoli dritti dritti, come pulsanti da schiacciare. Infilo una mano nelle mutande e mi tocco, pensando un po' a Barbara, un po' a Rosita, un po' al gran culo di quella vacca di Annamaria, immaginandomi di fottermele a turno, una dietro l'altra, schierate a pecora davanti alla mia erezione, fin quando non riverso tutto il seme in una manciata di kleenex. Poi spengo l'abat-jour e annego in un sonno limaccioso e profondo.

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