Macchia

Scritto da , il 2018-05-07, genere masturbazione

Entro nell’ambulatorio, sudata e stanca. questo tempo lunatico mi farà impazzire, i collant prudono così tanto che devo sfilarmeli per non morire di caldo.
Indosso il camice bianco, una maschera di sobrietà, sopra il vestito floreale e le converse da ragazzina, intreccio i capelli e finalmente mi siedo.
Con le belle giornate ho sempre meno pazienti, ma oggi non si vede nessuno.
Involontariamente ritorna in mente il ricordo di quel pomeriggio invernale in cui passasti a trovarmi per mostrarmi l’esito dei tuoi esami.
Accavallo le gambe nervosamente, il mio odore permea le mutandine e già lo percepisco diffondersi nella stanza.
Bussa il mio primo paziente, non ha nulla di che, ma il suo profumo ricorda così tanto il tuo che eseguo la medicazione senza respirare, prima di rispedirlo fuori dall’ambulatorio.
Devo calmarmi e in fretta. Mi risiedo, accavallo le gambe e contraggo il pavimento pelvico ritmicamente: te l’ ho confessato. È il mio modo di masturbarmi in pubblico, quando per esempio mi invii le foto del tuo pene, o quando mi mandi i video dei miei pompini.
Ho bisogno di sfregarmi contro qualcosa: prendo il cappotto, lo posiziono tra le gambe e mi muovo su e giù. Immagino che tu possa vedermi sfacciatamente eccitata sul posto di lavoro.
Sposto di lato la mutandina rosa, la meno porca che ho, che a te non piace molto perché nasconde troppo.
Infilo un dito dentro la mia figa alla ricerca di quel punto che solo tu conosci, quello che così tante volte mi ha fatto squirtare sul tavolo di casa tua.
Mi piace il potere che hai su di me, mi piace che tu conosca zone recondite che io stessa ignoro.
Nel silenzio dell’ambulatorio mi eccita gemere senza pudore, saresti soddisfatto: sussurro il tuo nome anche quando non ci sei.
Sento la scarica arrivare e liquefarsi tra le mie dita, impregno la poltrona con il mio umore e lo dedico a te, spettatore immaginario di questo erotismo privato.
Bussano alla porta, appena riprendo fiato, ritorno professionale in un batter d'occhio.
Mi guardo allo specchio: la solita bambolina col visino troppo giovane per essere un medico.
Una macchia spudorata nascosta sotto il cappotto è l’unica prova lasciata dalla vera me quella che tu hai saputo scovare e far rinascere.

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