Lo Psicopatico - capitolo 3

Scritto da , il 2018-04-23, genere dominazione

Marina stava soffrendo, ma stava anche godendo e stava godendo più di quanto stesse soffrendo.
Il suo Padrone l’aveva imbracata e la teneva sospesa all’altezza che gli veniva più comoda per infilzarla.
Una catena pendeva da un robusto gancio fissato sul soffitto, la catena terminava su un’intelaiatura di ferro fatta di due lunghe barre disposte a X e alla quale erano fissate due larghe cinture di cuoio, due cavigliere e due polsiere che avvolgevano e tenevano sospeso il voluttuoso e splendido corpo di Marina. Una rossa di una bellezza sconvolgente. Un corpo bianco latte, cremoso, sinuoso, morbido, formoso, tutto curve. Un viso incorniciato da una splendida chioma rossa, occhi celesti che a volte tendevano al viola, labbra carnose, quando sorrideva sulle guance venivano fuori stupende fossette che la rendevano irresistibile. Una splendida quarantenne.
Le fasce di cuoio passavano sotto il seno e sopra il bacino della schiava, polsiere e cavigliere racchiudevano polsi e caviglie della schiava, che rimaneva sospesa ad un metro circa di altezza con il viso rivolto al pavimento. Non era la prima volta che la schiava veniva messa in quella posizione. Il Padrone la faceva distendere a faccia in giù sul pavimento, la imbracava in quella o in altre posizioni e poi con l’argano la tirava su fino all’altezza desiderata.
Questa volta l’aveva imbracata nel modo descritto e poi l’aveva portata ad un metro circa di altezza. Una posizione comoda. Per lui o per quello che intendeva farle.
Il suo Master si chiamava Marco. Anche lui un quarantenne. Ma più vicino ai quarantacinque, qualche anno più di lei. Alto e prestante, con i capelli cortissimi leggermente spruzzati di grigio, ma con ancora molto nero, occhi grigi ed implacabili che la trattava come un giocattolo messo al mondo per il suo divertimento. Ma bisogna ammettere che, del suo giocattolo, Marco aveva molta cura.

Un’ora prima Marco era sceso nel seminterrato dove aveva lasciato Marina per oltre mezz’ora legata, in piedi, a quel gancio, con le braccia tese in alto. La schiava era rimasta in tensione, sulla punta dei piedi, per tutto il tempo. Quando lui era ritornato giù lei era stremata. Lui si era avvicinato come un gatto fa con un topolino e le aveva sollevato il viso. L’aveva baciata sulle labbra e l’aveva accarezzata lungo tutto il corpo strizzandole i capezzoli. Lei nonostante la sofferenza lo desiderava tantissimo e tremante si era protesa verso di lui per farsi baciare ancora, ma Marco si era negato al suo ardore e l’aveva schiaffeggiata in faccia. Piccoli schiaffetti che l’avevano umiliata, lei si offriva e lui la respingeva, lei lo voleva e lui si negava. La topolina non si era fatta scoraggiare, con il corpo tremolante e bellissimo si era protesa ancora verso il Padrone, agognava i suoi baci e le sue ruvide carezze. Allora lui aveva allentato la corda che scendeva dal gancio e finalmente Marina aveva potuto appoggiare i piedi per terra, era alta sui tacchi vertiginosi, ma ora stava meglio che sulle punte dei piedi. Neanche il tempo di rilassare la schiena che lui, implacabile, l’aveva fatta piegare a 90 gradi e l’aveva sculacciata. Ora la schiava cercava di sfuggire, il suo corpo guizzava come poteva per cercare di evitare le pacche sulle natiche di burro, ma per lui era facile trattenerla, bastava tirare la corda ed era di nuovo alla sua portata. La puniva severamente, schiaffi o sculacciate, strizzate al seno o ai capezzoli o alla fica. Bollente. Avrebbe fatto di tutto per godere ed avrebbe fatto di tutto per lui. Però ancora non capiva che prima veniva lui e poi lei. Glielo avrebbe insegnato. Poi l’aveva imbracata e l’aveva frustata. Utilizzava un frustino corto e flessibile con cui aveva raggiunto tutti i punti sensibili della sua schiava. Lui non si spostava, faceva ruotare l’intelaiatura e portava la parte del corpo della schiava che voleva colpire dove gli veniva più comodo. Voleva le chiappe, un piccolo spostamento ed eccole a sua disposizione, un’altra piccola rotazione e la poteva colpire sulla vulva aperta o tra le cosce, la faceva tornare indietro ed il seno di Marina, o la schiena della schiava, era a sua disposizione.

Non c’era una ragione precisa per quella punizione, anzi ultimamente Marina era stata brava, si era comportata davvero bene, ma a volte Marco la puniva per il suo semplice piacere. Non era violento, ma le piaceva farle sentire che lui poteva fare di lei quello che voleva. All’inizio l’aveva punita per domarla, poi quando sbagliava, ormai ciò accadeva raramente, ma lui ogni tanto la puniva lo stesso, per il suo piacere. Marina non era contenta di quelle punizioni, ma sapeva che lui poteva usarla come voleva, questo le era stato inculcato in mente quattro mesi prima, quando era diventata sua, e ormai non lo metteva più minimamente in discussione, quindi se le prendeva, digrignando i denti, gemendo ed emettendo urletti che davano gioia al suo Padrone.
La sua pelle era delicatissima e si arrossava facilmente, ma lui raramente le lasciava dei segni. Era uno dei limiti che lei aveva posto. Lui, quei limiti, li aveva accettati senza discuterli, come detto non era violento e detestava quelle pratiche schifose che erano gli altri limiti posti da Marina. Ma la sua schiava non immaginava neanche lontanamente, quando aveva posto quei limiti, quanto altro le sarebbe stato richiesto. Molte cose le aveva già scoperte in quei mesi e bisogna dire che anche nei momenti più difficili era riuscita a esaudire i suoi desideri. Però c’erano molte altre prove da superare.

In quel momento Marco, alloggiato, in piedi, tra le sue cosce, la stava fottendo e lei finalmente gemeva, non di dolore, ma di piacere. Si agitava e si muoveva freneticamente, nonostante fosse sospesa in aria, come un’indemoniata. Godeva e veniva, ma non si stancava mai. Lo voleva, dentro di lei. Il suo corpo vibrava impaziente di accoglierlo, lo voleva fino in fondo. Lui affondava dentro di lei, la baciava e la mordeva, l’accarezzava e la pizzicava su quel corpo morbido e sinuoso e lei si scioglieva sotto quelle aspre e ruvide carezze, ma che in quel momento desiderava che fossero ancora meno delicate.

Lui smise di fotterla, la fece ruotare, ora al posto della fica si trovò alla giusta altezza della bocca. L’afferrò brutalmente per i capelli trascinandole la bocca sul suo cazzo, ritto, duro e lubrificato dagli umori della schiava. Marina leccò, leccò il cazzo, leccò le palle e leccò ancora. Poi lui le tirò i capelli in alto e lei aprì la bocca. La penetrò e la fece ondeggiare facendola andare avanti ed indietro fottendola tra le labbra. Poi venne e l’inondò di sborra, un lungo fiotto si riversò fino alla gola, il resto le inondò il viso e le colò tra le generose tette.

Tirò lentamente giù la corda e la fece adagiare delicatamente sul pavimento. La sciolse, la prese in braccio e la portò nella vasca da bagno dove la depositò amorevolmente. La vasca si stava riempiendo di acqua calda e lui ci entrò. Marina era languida e soddisfatta, ma non si stancava mai. Il suo desiderio per quell’uomo era inesauribile. Si distese timidamente tra le sue braccia, non sapeva come il suo Padrone avrebbe reagito, ma lui stavolta le permise di fare quello che voleva, a lei bastava essere lì. Lui la coccolò, l’insaponò e se la scopò ancora una volta.

Poi decisero che era ora di andare a fare compere al supermercato. Marina era sposata, ma non aveva limiti di tempo per il suo Padrone. I rapporti tra il marito e Marina prevedevano che lei fosse sempre disponibile per gli impegni mondani e sociali, ma per il resto era libera di fare quello che voleva. Era a casa sua dalla sera prima e contava di rimanerci fino a lunedì mattina quando sarebbe andata a lavorare. Marina a casa del suo Padrone aveva un piccolo guardaroba in cui teneva di tutto: vestiti, scarpe, soprabiti, calze, camicie e biancheria intima. Dirigeva un prestigioso negozio di moda di una grande firma, era ben pagata, aveva un marito che guadagnava un sacco di soldi, si poteva permettere tutti i guardaroba che voleva.

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