Dormiveglia

Scritto da , il 2018-04-01, genere sentimentali

I pallidi raggi del sole filtravano dalla piccola finestra dell'appartamento, illuminando la stanza buia e spoglia in cui dormivo.
La città sembrava essersi già svegliata da un po’, con i suoi ritmi dinamici che non la portano mai a prendere fiato, e i suoi rumori entravano ovattati dalla finestra spessa, facendomi sentire estranea a tutto quel trambusto.
Le pareti bianche e i pochi mobili venivano irradiati lentamente, come se il sole non volesse disturbare il mio sonno e nonostante fosse già mattina inoltrata, io non accennavo ancora a voler dare segni di vita.

Con gli occhi ancora socchiusi e la bocca impastata dal sonno, mi trovavo in uno stato di dormiveglia che non volevo scacciare via, conscia del fatto che una volta in piedi, la vita avrebbe dovuto riprendere quel ritmo frenetico al quale non ero mai riuscita ad abituarmi.
Quante volte me l'aveva ripetuto lui!
“Sei tu che devi adattarti al mondo, non il contrario”
Salvo poi assecondare ogni mia richiesta ed ogni mia stranezza con la gioia di un bambino.
Eravamo due mondi opposti io e lui, ognuno perso nella sua dimensione, eppure riuscivamo perfettamente ad adattarci l'uno all'altro, come due semicerchi di una sfera a contatto, due universi che collidono creandone uno perfettamente adoperabile da entrambi, equilibrato dalla mia calma e la sua spensieratezza, le mie paure e la sua sicurezza.
Un luogo caldo e rassicurante dove trovare la pace, una piccola casetta sperduta sulle montagne che solo noi saremmo riusciti a trovare, al quale però, da un lungo periodo ormai, non avevo più accesso.

Eppure quel giorno mi ero svegliata come in uno stato di trance, convinta di essere tra le braccia di qualcuno, nonostante viva da sola in quel piccolo appartamento ormai da due anni.
“Non ha senso” mi dissi, ancora intontita dal sonno.
Avete presente quella sensazione che si prova dopo essersi svegliati da un bel sogno per poi ritrovarsi sbattuta in faccia la cruda realtà?
La tristezza mi pervase in un istante mentre tutti i ricordi mi ritornavano alla mente, pugni allo stomaco che continuavano a susseguirsi senza che potessi fare nulla per fermarli, se non chiudendo nuovamente gli occhi sperando che il sonno mi portasse via velocemente, in un'altra dimensione nel quale la realtà non poteva raggiungermi, azzerando le sensazioni e i sentimenti, per riuscire poi a risvegliarmi senza quel peso opprimente sul cuore, ma constatai con rammarico, che malgrado i miei sforzi, non ero riuscita a sfuggire: mi ero svegliata con la stessa identica sensazione, le lacrime agli occhi e il cuore che batteva all'impazzata.
La mia ossessione era tornata a prendermi e non voleva più lasciarmi in pace.
É sempre così, quando si pensa finalmente di essersi liberati di una sensazione fastidiosa, ecco che questa riappare sul nostro cammino e ci accorgiamo che quel veleno mortale iniettato nel nostro corpo, continua a farsi strada nel sangue, nella carne, nel cuore.
Nonostante la mia stanza fosse completamente bianca, dalle pareti ai mobili, mi accorgevo di aver riempito, con il corso delle settimane, ogni suo angolo con cumuli di tristezza che rendevano l'aria cupa e grigia.
La sua presenza era ovunque, su ogni mattone, ogni piastrella, ma non avevo ancora trovato il coraggio di andarmene
e adesso, quell'uomo che non potevo più avere in nessun modo, nonostante i tentativi disperati e i giorni passati a cercarlo in ogni dove, era lì, sul lenzuolo, steso vicino a me.
I suoi occhi verdi mi scrutavano con quello sguardo calmo e rassicurante, aveva il suo solito maledetto sorriso leggermente storto disegnato sulle labbra, la mano che tendeva verso di me, come se volesse darmi un aiuto per uscire da quello stato di assoluta tristezza in cui mi ero catapultata a capofitto, come un malato in attesa della morte, rassegnata e sola.
In quel dormiveglia senza fine la mia mano si mosse come un automa, andando alla ricerca della sua.
“Sembra così reale…” pensavo, mentre le nostre dita si intrecciavano e i nostri corpi si avvicinavano piano piano, fino a quando le nostre labbra non si incrociarono a metà strada, unendosi, staccandosi, sfiorandosi e poi, dopo un rapido sguardo, divorandosi di passione .
Le mie mani percorrevano la sua grande schiena lasciando segni vividi al loro passaggio, mentre le sue scostavano la leggera vestaglia che portavo, scoprendo il seno e scendendo lentamente verso esso.
Le sue labbra che ancora non mi avevano dato tregua, si staccarono lentamente dalle mie prima di scendere a baciare il collo, dirigendosi sempre più giù, fino ad incontrare le curve morbide del seno, facendo scivolare dalle mie labbra i primi gemiti, l'unico suono che riempiva quella stanza triste e silenziosa.
Era sempre stato così con lui, si dedicava appieno a me ma in silenzio, quasi come se la scena non lo coinvolgesse, tant'è che durante i primi rapporti avevo persino avuto il dubbio che non gli piacesse fare l'amore con me, scoprendo solo tempo dopo che quello fosse il suo modo unico e particolare di vivere il sesso.
La passione che metteva non aveva eguali, era come una tigre a caccia, silenziosa e decisa, forte nei movimenti ma elegante, con uno sguardo capace di cambiare in un millisecondo passando da divertito e ingenuo a quello di chi vorrebbe fotterti per tutta la notte, lasciandoti stremata e senza forze.
Premuroso e quasi infantile nella vita di tutti i giorni, profondamente erotico a letto.
E lo adoravo per questo.
Mi guardava con gli occhi pieni di voglia, il membro visibilmente eretto sotto i boxer, il respiro leggermente accelerato.
Dio, quanto mi eccitava questa visione e lui lo sapeva, aspettava solo il momento nel quale avrei perso qualsiasi inibizione per cominciare a giocare con me, con la sua preda, facendola prima supplicare di farla finita in fretta per poi sferrare il colpo di grazia.
Si divertiva a captare le risposte del mio corpo alle sue provocazioni, adorava sentire ogni declinazione della mia voce mentre facevamo l'amore.
La sua bocca vorace assaporava ogni centimetro del mio corpo, le sue mani andavano a toccare i miei punti più sensibili con premura e violenza allo stesso tempo, facendomi sussultare, fremere, facendomelo desiderare sempre più.
Non avevamo nessun limite a letto, le nostre fantasie si scatenavano senza controllo, esplodendo come fuochi d'artificio, facendoci scoprire i nostri lati più reconditi, le nostre voglie più indicibili.
Diventavamo animali in cerca di sensazioni sempre più forti, di rapporti sempre più coinvolgenti, curiosi di scoprire sempre più segreti l'una dell'altro.
Eppure quando tutto era finito, quando entrambi eravamo stremati e stesi sul materasso a riprendere fiato, lui finiva sempre con un bacio sulla fronte che stonava a dir poco con i momenti precedenti.
Il suo continuo passare da amante focoso a compagno premuroso mi lasciavano sempre spiazzata, nonostante tutto il tempo che avevamo passato assieme.
Un ultimo bacio prima di richiudere gli occhi ed addormentarci teneramente l’uno nelle braccia dell'altro.
Quanto mi erano mancati il suo tocco ed il suo profumo…
Ma una volta dissoltasi quella nebbia che ci aveva avvolti, in quel momento magico dove sogno e realtà si fondono, mentre ancora ero intenta a riprendere fiato, quella sensazione di stretta allo stomaco e il nodo in gola che avevo al risveglio tornarono a tormentarmi e il motivo per il quale da settimane ormai mi svegliavo in lacrime mi tornò prepotentemente in mente.
“Devo dirti una cosa” esordii in fretta, cercando di fermare il tempo, prima di ritrovarmi ancora una volta ad affrontare la realtà.
I suoi occhi erano ancora chiusi, il suo corpo inerme.
Alzai la voce.
“DEVO dirti una cosa”
Si mosse, lentamente. Il verde dei suoi occhi mi invase, quello sguardo calmo che mi aveva sempre accompagnata per gran parte della mia vita era fisso su di me, quasi severo, mi mise soggezione.
“Io…” iniziai.
Si alzò, poggiandosi con una spalla allo schienale del letto e alzando una mano, portando l'indice sulle mie labbra, per zittirmi.
“Va bene così” sussurrò, sorridendo.

Aprii gli occhi.
L'altra metà del letto era vuota, come ogni giorno, eppure qualcosa era cambiato, in quella stanza bianca fuori dal mondo dove i rumori della città non potevano raggiungermi, mi sentivo quasi cullata dalla leggera brezza di un caldo pomeriggio primaverile.
“Devi dirti una cosa” sussurrai.
“Addio.”



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