Un cuscino di piacere - parte 3

Scritto da , il 2017-08-11, genere dominazione

Di Giulia vi ho già parlato. È la mia conturbante vicina, nonché padrona. Essere il suo schiavo era diventato il senso stesso della mia vita e avrei fatto qualunque cosa pur di compiacerla. Il mio cazzo aveva goduto già due volte di lei, una volta tra le sue morbide tette e una volta tra i suoi fantastici piedi. Non sapevo se fossi mai stato in grado di conquistarne la figa o l’ano, luoghi che, da schiavo, avevo fino ad allora potuto soltanto leccare vogliosamente.
Tuttavia, quello che sarebbe successo stavolta arrivò totalmente in maniera totalmente inaspettata.
Trovai sotto la porta un biglietto che mi diceva di recarmi da lei il prima possibile. Era un ordine.
Mi fiondai verso la porta di casa sua, bussando sommessamente ed ottenendo subito il permesso di entrare. Mi trovai davanti uno spettacolo imprevisto.
La mia padrona, seduta sul divano con uno dei suoi meravigliosi tailleur addosso e due scarpe con un tacco vertiginoso, teneva una bellissima ragazza al guinzaglio. Ma la catena non le avvolgeva la gola: era agganciata ad un anello che aveva al naso.
"Ti piace la mia nuova schiava?", mi chiese Giulia.
Annuii.
“Rispondimi”.
“Sì, padrona”.
Lei tirò un po' la catena.
"Forza vacca, fai quello per cui ti ho addestrato".
La moretta assecondò i movimenti del suo guinzaglio metallico, tirando fuori la lingua e cominciando a passarlo sulle gambe di lei, ricoperte da un paio di calze di nylon sotto le quali non portava biancheria.
La sua lingua si posò sul collo del piede, salendo piano fino alla coscia.
La padrona tirò un altro po' la catenella, sollevando il viso della schiava fino all’altezza suo. Lei tirò fuori la lingua, sfiorando le labbra di Giulia, che si scostò dicendole: "occupati dei miei piedini".
La mora obbedì. Le sollevò il piede sinistro, prendendo in bocca il tacco della scarpa e succhiandolo come se fosse un sottilissimo cazzo, mentre nel frattempo le accarezzava i polpacci con l'altra mano. Le tolse quindi la scarpa e cominciò a prendere in bocca tutte le dita, gustandone il sapore ad una ad una prima di fare lo stesso all'altro piede.
Giulia le spinse via il volto con un piede, girandosi alla pecorina e ordinandole: "Il culo, forza".
La cagnetta le sollevò quindi la gonna, cominciando a passare la sua lingua sulle natiche della mia dea. Le passava le dita tra i glutei, velati dal sottile strato formato dalle calze.
Giulia mi chiesi se ce l'avessi duro. Annuii ancora.
“Rispondimi”.
“Sì, padrona”.
Il mio cazzo stava per esplodere ma non avevo osato tirarlo fuori senza il suo permesso. Mi guardò compiaciuta.
“Bravo, aspetta ancora”.
La cagna continuava a massaggiarle il culo, con lenti movimenti di lingua e dita, mentre Giulia continuava a guardarmi soddisfatta del mio essere un bravo schiavo.
"Brava", le disse ad un certo punto, alzandosi in piedi e sganciandole la catena dal naso. La ragazza rimaneva in ginocchio ai suoi piedi. Giulia cominciò allora ad accarezzarle la faccia con le sue deliziose estremità, mentre la schiavetta provava ancora a raggiungerle con la sua lingua.
Poi cominciò a passarle il piede sul seno e li notai quando anche il suo fosse grosso e polposo.
"Tu", mi disse, "toglile la camicia".
Mi avvicinai alle due, slacciando i bottoni di quella camicetta succinta. Sotto non portava il reggiseno e potevo ben vedere i capezzoli duri della cagnetta. Dopo averle tolto la camicetta, la mia padrona mi intimò di tornare al mio posto, mentre lei continuava ad accarezzare quelle grosse mammelle con il suo piedino.
La cagna gemeva, compiaciuta dalle attenzioni della sua padrona, alla quale stava ora stringendo il piede tra i due seni, baciandone e leccandone la punta.
La padrona mi chiamò ancora, chiedendomi di sfilare la gonna alla schiavetta e, poi, di tornare nuovamente al mio posto.
La cagna era ora stesa supina, a terra, con addosso le sole mutandine. Il piedino di Giulia tornò ad occuparsi minuziosamente delle sue belle tette, accarezzandone accortamente i capezzoli, per poi scendere delicatamente lungo la pancia della schiavetta. Poi, piano piano, le infilò le dita dei piedi negli slip, senza tuttavia scendere fino alla fighetta della cagna, che stava già grondando di umori. Le ditina della dea si erano infatti soffermate sul monte di Venere della moretta, sul quale premevano con forza.
Mi fece cenno di avvicinarmi per la terza volta, sussurandomi poche parole all’orecchio. Fui lieto di tirarle giù i collant. Godevo nel vederglieli scivolare lungo le natiche, le cosce, i piedi. Avrei voluto afferrarla e fotterla lì, senza ritegno. Ma non potevo… ero il suo schiavo e dovevo stare alle sue regole.
“Dammeli”, disse lei quando mi rialzai, riprendendo a giocare con un piede nelle mutandine della sua cagnetta e afferandomi il pacco da sopra i pantaloni. Le porsi le calze e me le strofinò in faccia, mentre mi stringeva sempre più forte i genitali, con mano sapiente. Dopo avermi inebriato ancora del suo odore e del suo sapore, appallottolò i collant e me li infilò nei pantaloni, allontanandomi ancora.
Si sedette allora sulla faccia della schiava, che cominciò a leccarle la figa con forza. Guardavo con invidia quella lingua insinuarsi tra le grandi labbra di Giulia, quella bocca succhiarne il clitoride, facendo godere la mia dea fino a farla venire.
Rialzatasi soddisfatta, mi chiamò accanto a se per l’ultima volta. Mi prese di nuovo per le palle e mi disse: “ora fotti la mia nuova schiava”.

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