Fuori servizio

Scritto da , il 2016-03-29, genere gay

Sono lì che belo come una pecora, mentre lui mi schianta le crespe del culo con il suo enorme cazzone nodoso…
Il colmo era che inizialmente sto bestione non mi piaceva, troppo macho, omofobo e scurrile. Intendiamoci è un tipo figo, un vero uomo, ma alquanto bastardo.
Ma andiamo per gradi: la questione è quella che Eraldo (questo è il suo nome) mi ha sempre preso un po’ velatamente in giro, nonostante io cercassi di non mostrare in pubblico il mio amore per il cazzo, cosa risaputa però nel giro di chi ama i culetti lisci e glabri.
Ma lui è sveglio e nonostante non facesse ancora parte di quei tipi sornioni che da tempo si sono accorti della femmina che si nasconde dentro di me, ha capito, forse a causa delle occhiate che tiro al suo paccone rigonfio, evidentissimo nei pantaloni anche se sta seduto alla guida.
Eraldo guida l’autobus che passa dal paese, diretto alla più vicina città. Ovviamente i conducenti cambiano a seconda del turno, ma lui è il più assiduo su quella tratta, anche perché abita nella zona. Quando salgo e gli passo davanti, fermandomi a vidimare il biglietto, fa sempre qualche battuta sul culo, il caldo nido e sugli “uccelli” che gli svolazzano attorno prima di entrare, mettendomi in imbarazzo, so benissimo a chi si riferisce, il culo è il mio.
Tra l’altro in quei posti la gente chiacchiera, soprattutto con gli autisti durante i viaggi, spesso i mezzi sono quasi vuoti e vengono toccati anche argomenti particolari e qualcuno doveva avergli spifferato delle cose sul mio conto.
La cosa mi frustra, perché pensavo che nonostante le punzecchiature Eraldo, peraltro sposato da anni e padre di due figli, non fosse assolutamente interessato a me, infatti, generalmente chi mi fa battute finisce, come minimo, col cercarmi il culo, lui non si è ancora fatto avanti.
Mi sto sbagliando.
Il giorno in cui tutto ha avuto inizio è un freddo mattino d’inverno…
E’ stato indetto è uno sciopero improvviso al quale ho dovuto partecipare. Io, viste le avverse condizioni atmosferiche, sarei voluto tornare a casa, il problema è che per qualche ora non ci sono corriere. Mi reco, comunque, al capolinea, deciso ad aspettare.
Trovo Eraldo, osservandomi con sguardo sornione se ne esce con una delle solite battute: “Ehi, trombino, che ci fai qui? Non vedo volatili in giro”. Io rispondo che non c’è lezione e che sto cercando di tornare a casa.
“Beh, ora non ci sono corse ma io devo portare una corriera al parcheggio di S., sono fuori servizio ma un passaggio lì te lo posso dare”.
S. è il paese vicino al mio, non più di un paio di chilometri, una breve scarpinata, c’è un piccolo deposito della società degli autobus.
Decido di salire, anche perché visto il freddo, è un’occasione da non perdere!
Partiamo, ovviamente siamo soli, lui continua a punzecchiarmi, però diventa più esplicito: “Sai, M. mi ha raccontato cosa fa con te, con il tuo culetto, mi ha detto che ce l’hai caldo caldo. Ed anche che oltre che metterti a pecorina ti piace anche inginocchiarti davanti al cazzo”.
M. è uno che mi incula piuttosto spesso, davanti al quale effettivamente mi piego volentieri, un vicino di casa che ha la fama di chiacchierone vanesio ed ora ne ho la conferma.
Eraldo continua a parlare, dimostrandomi che in effetti sa parecchie cose sul mio conto, soprattutto sull’utilizzo che viene fatto del mio avvenente deretano e della mia boccuccia carnosa. Ho l’impressione che si stia eccitando.
In effetti dopo alcuni chilometri, quando arresta l’autobus nello spiazzo a lato di un curva, sulla strada secondaria che ha imbucato, capisco benissimo a cosa sto andando incontro.
Mi ha appena chiesto, a bruciapelo, se mi sarebbe piaciuto vedere il suo cazzo, io ho implicitamente annuito, non dicendo nulla.
Silenzio assenso.
Sono seduto alcuni sedili dietro a lui, si alza e mi si posiziona davanti, la patta precisamente all’altezza della mia faccia.
“Ora devi pagare la corsa, in natura, tiramelo fuori” mi ordina. Io, ammaestrato come un cagnolino, obbedisco. Gli slaccio i pantaloni che scivolano giù, mi aggrappo alle mutande. Le sposto appena ed esce fuori un enorme biscione scuro.
“Ora fallo venire duro”.
Ce l’ha balzotto, mi accosto con un certo rispetto, è il più grosso che mi sia mai capitato fino a quel momento. Le dimensioni di quelli degli amici che mi inculano regolarmente non vi si avvicinano neppure lontanamente.
Lo accarezzo e prendo a leccarlo, in punta e poi giù, fino alle palle.
E’ una delle prime cose che ho dovuto imparare, come fare crescere un cazzo con la bocca, prima quella sensazione di molliccio, una “lumaca” che diventa un pezzo di ferro fra le mie labbra.
Mentre gli lavoro l’uccello mi rendo conto di che puttanella dovessi apparire ai suoi occhi, dopo che gliel’ho preso in bocca senza battere ciglio, neppure la minima rimostranza, come per confermare che quello che gli hanno raccontato corrisponde alla realtà.
Glielo lappo come un cagnolino, mi tiene la mano appoggiata sulla testa, afferra i lunghi riccioli, mentre lo faccio scendere in gola, la bocca spasmodicamente aperta per farlo passare. Mi cresce in bocca, ad un certo punto quasi non ci sta più.
Mentre muovo la testa su e giù penso a quando me lo avrebbe messo dentro, uno così grosso non l’ho neppure mai visto, figuriamoci preso nel culo. Praticamente sarei stato nuovamente sverginato.
Un po’ spaventato penso di farlo venire con la bocca, ma lui è di diverso avviso.
“Girati, levati i pantaloni ed inginocchiati sui sedili”.
Tremante, mi sottometto, e lui: “Che bel culetto che hai, non c’è un pelo, sembri una ragazza. Adesso ti faccio assaggiare un vero cazzo, ti apro in due come una cozza. Allargalo”.
Mi spinge appena in avanti, con il culo nudo per aria, la testa appoggiata al trapuntino.
Tengo le chiappe aperte con le mani, l’aria fresca che mi accarezza l’orifizio.
Lo sento armeggiare dietro di me, mi sputa sul buco, istintivamente lo stringo ma poi cerco di rilassarlo il più possibile, sforzo appena, come per cagare, ho imparato che così si agevola la penetrazione.
Me lo ha spiegato, quando mi ha sverginato, il compagno quarantenne della signora ad ore che aiuta mia madre nelle faccende domestiche, ero molto giovane ma lui ama quel tipo di culetti e sa come trattarli. Mentre la moglie lavorava mi portava con lui con una scusa, a fare una passeggiata, poi andavamo in una casa vuota che era appartenuta a sua madre, da tempo deceduta. E lì ci mettevamo tutti nudi e mi diceva: “Fai contento il tuo maestrino” e mi insegnava come farlo, con il culo e con la bocca. Io non potevo certo dirgli di no e facevo tutto quello che desiderava.
Il mio primo maestro e padrone, con lui compresi che ero femmina ed imparai l’omertà, l’obbedienza e la sottomissione: “Su da brava ragazzina obbediente baciami il cazzo, ma mi raccomando non lo dire a nessuno”.
Poi bevevo la sua sborra.
Ci vediamo ancora di frequente, ma come gli altri che nel frattempo si sono aggiunti ha un pisello misura standard, nulla a che fare con il pilone di Eraldo.
Questo mi passa il cazzo fra le natiche, un paio di volte, si aprono come se un palla da tennis vi venisse fatta scorrere in mezzo.
“Ora te lo metto dentro… dai, preparati”.
Si ferma sul buco e poi via, entra con fatica, sono dilatato come non mai, mi fa male. Non mi avevano mai fatto così male. Mi irrigidisco, mi sembra di strapparmi.
Mi lamento, belo che sembro un agnello, come ho scritto sopra o meglio guaisco come un cagnolino, questa cosa lo eccita ancora di più, gli piace.
“Non l’avevi mai preso uno così, eh… frocetto?”.
E’ vero. Sono veramente pieno.
Lo fa penetrare interamente, raddrizza tutto quello che trova, respinge indietro la merda che faceva capolino. Quando le sue palle sbattono sulle mie inizia a pompare… avanti e indietro, per tutta la lunghezza. Ha l'irruenza e la potenza di un trattore e ce l’ha grosso come un bicchiere.
Lo tira fuori e lo risbatte dentro, dei colpi micidiali, io sono incastrato fra i sedili, totalmente in sua balia.
“Accidenti è bello stretto, non mi ero mai fatto un culetto così… solo femmine, ma questo è quasi meglio”.
Mi domanda se mi piace, poi vuole sapere in quanti mi inculano, se sono bravi come lui.
Fra un gemito e l’altro gli confermo che è il più grosso che ho mai preso, gli dico che mi inculano in cinque o sei ma nessuno è così potente…
Le mie parole lo caricano ancora di più, aumenta il ritmo e la forza delle spinte.
Ad ogni colpo picchio la testa sulla parete, verso il finestrino, allora si ferma un attimo e mi fa spostare un po’ indietro, tra l'altro così entra ancora meglio.
Vengo arato come un campo di grano, veramente ed inesorabilmente deflorato, mentre prima farmi scopare era stato quasi un gioco, ora questo ariete che mi spacca in due, che mi sbrindella le crespe del culo, che mi sfilaccia i muscoli anali, modifica completamente la mia concezione relativa alla penetrazione. E’ un cambiamento fisico e mentale. Io, già femmina sottomessa e vogliosa, ora so cosa vuol dire essere presa da un “Uomo”, come una sposina in viaggio di nozze. E mi piace.
Sborra emettendo un ringhio rabbioso, copiosamente e profondamente nelle mie viscere.
Sta fermo un attimo, per riprendersi.
Quando lo tira fuori rimango aperto, il buco non si richiude, è una galleria gocciolante.
Mi sollevo, mi tira per i capelli, mi sfrega il cazzo sulle guance poi glielo devo prendere di nuovo in bocca.
Puzza di merda, ha un sapore terribile ma è lo stesso.
Ora mi scopa la bocca, io butto giù tutta la schifezza che c’è attaccata e succhio.
Viene di nuovo ed io deglutisco, ingoio tutto fino all’ultima goccia.
Ora appare soddisfatto, ha un sorrisetto sornione sulla faccia.
“Ti è piaciuto, eh?”
Annuisco con un cenno mentre mi rivesto e lui: “Fighetta, sei piena di merda, pulisciti la faccia” e mi porge un fazzoletto di carta, mi guardo nello specchietto, ho delle strisce marroni sulle guance e sulle labbra, le tiro via col fazzoletto e la saliva.
Mancano pochi chilometri, allunga la corsa e mi porta a poche centinaia di metri da casa e poi: “Dimmi se lo vuoi rifare, devi chiedermelo”, fa lui.
“Si, lo voglio rifare, ogni volta che ti va”.
“Chiedimelo meglio”
“Ne voglio ancora, mi devi inculare, voglio il tuo cazzo”
“E chi comanda?”
“Comandi tu, fammi tutto quello che vuoi”.
“Bene, quando ne avrò voglia te lo dirò”.
Arrivo a casa che sono un fuoco, mi devo fare una sega per sfogarmi, non vorrei ammetterlo ma ho goduto come un maiale. La sega non risolve nulla, sono sempre carico.
Il pomeriggio viene a cercarmi uno dei miei “amici”, anche se sono un po’ indolenzito e mi fa male il culo, non mi tiro indietro, ho la smania dentro. Quando entra dentro di me lo avverto appena, brucia solo un po’, lui nota che sono più largo del solito, mi chiede cosa ho fatto ed io: “Nulla, dai pompa, fammelo sentire”.
Mentre mi scopa mi masturba e veniamo insieme, solo adesso trovo un po’ di pace.
Eraldo mi ha incastrato, sono diventato il suo zerbino, mi incula ogni volta che gli va. Devo fare effettivamente tutto quello che vuole e mi piace.
Sono il suo giocattolo, quando mi chiama devo andare con lui, per esaudire i suoi desideri.
Mi usa per ore, mi fa bere il piscio e la sborra, ogni volta devo leccare via la merda dai suo cazzo dopo che mi ha inculato a bestia e sfondato come un secchio.
Tra l’altro i “vecchi” si sono accorti di qualcosa, dei miei frequenti spostamenti in autobus e del mio buco sfondato. M., un giorno che ce l’avevo spanato, bruciante e rosso come il fuoco dopo una sbattuta micidiale è riuscito a farmi ammettere che Eraldo mi scopa.
Parlerà con Eraldo perché vuole partecipare anche lui, magari organizzano una gang bang, trova anche qualcun altro e mi spaccano il culo. Ha detto che sarebbe divertente.
Provo a protestare e lui mi rimprovera, io devo obbedire e basta, sa lui cosa fare con il mio culo.
Sono felice.

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