La Katana

di
genere
pulp

Disteso sulla chaise longue osservo la Katana appoggiata sul mobile cinese, mi era stata regalata pochi mesi prima, l’avevo vista in un negozio di antichità orientali mentre ero con amici ed avevo espresso ammirazione per l’oggetto.
Osservo la sua linea essenziale che si concede, nelle rifiniture, al superfluo.
Quell’oggetto è portatore di valori e di princìpi a me una volta sconosciuti, mi sono stati rivelati da alcuni documentari ambientati lontano nel tempo e nello spazio.
Erano esistite veramente quelle genti incorruttibili disposte a dare la vita per i loro prìncipi?
Il mondo odierno,il mio mondo, ha colori meno fulgidi e il contrasto è ben illuminato.
Chiudo gli occhi, mi passano nella mente spezzoni della mia vita, uno più sgradevole e drammatico dell’altro. Continuo a cancellare i ricordi spiacevoli per lasciare posto ad altri meno dolorosi ma questo non avviene, il bilancio della mia vita è un disastro, non c’è nulla di piacevole o sereno e sono stanco.
Vedo il giorno in cui i carabinieri e l’assistente sociale portano via mio fratello e me, fradici nella nostra cacca, avevo cinque anni, tutto intorno a noi è sporco, mia madre urla, ubriaca, frasi incomprensibili; avevo fame, avevo sempre fame.
E’ un ricordo in bianco e nero, non riesco a colorarlo e non riesco a cancellarlo.
A questo flash se ne sostituisce un altro: i lunghi corridoi freddi delle suore; la loro rigidità e il loro disprezzo erano come una sferza sulla pelle nuda.
Mi vedo accovacciato e poi a ginocchioni, lentamente passare sotto la guardiola, uscire da quella prigione verso la libertà.
Quale libertà? La libertà di prendere botte e insulti da una prostituta alcolizzata, isterica e paranoica, quale era mia madre. A diciassette anni in un impeto d’ira cerco di strangolarla dopo le solite botte,urla e liti; la vedo con la bocca spalancata per urlare o per respirare, dilata gli occhi, la mollo, cade a terra. Mentre me ne vado per sempre, la sento tossire. Ho solo i vestiti che indosso, è primavera, la notte è ancora fredda, trovo rifugio in uno scatolone di cartone e mi addormento con lo stomaco che brontola per la fame.
Fui svegliato da voci e rumori di motori, uscito dal rifugio camminai in mezzo a donne poco vestite che mi sorridevano, mi chiamavano, mi dileggiavano, una macchina si fermò, l’uomo chiese: “Quanto vuoi “ salii e risposi: “Quello che vuoi” mi interessava solo andare via da lì e mangiare.
Non posso sdraiarmi, non posso rilassarmi perché il mio film si presenta inevitabilmente richiamato da pagliuzze di ricordi che diventano immediatamente travi, a qualsiasi punto cominci inizia a scorrere inarrestabile, non posso evitare la tortura di rivederlo.
Spesso tornavo nella baracca dove vivevo sanguinante e senza soldi, frequentemente stavo male, avevo bisogno di una compagnia, di un sostegno,di un affetto solido, quello che mia madre non mi aveva mai dato.
Incominciai a desiderare di essere donna, le donne sono belle, sono forti, hanno un parco clienti molto più vasto, è più facile la vita di una prostituta di quella di un transessuale.
La devastazione della mia vita, la solitudine e il bisogno di sostituire il vuoto che la mancanza di mia madre aveva generato contribuirono alla mia decisione di cambiare sesso.
Impiegai otto anni a decidere tra tormenti e sicurezze subito cancellate da nuovi tormenti. Sono in un ospedale di Londra mi sembra di essere solo invece mi accorgo di essere in compagnia di una folla di problemi, li rifiuto ma loro sgomitano nella mia testa.
In aereo al ritorno ho un foulard in testa, il mio aspetto femminio non si addice al taglio dei miei capelli, ho già delle offerte di lavoro in discoteca e qualche chiamata per la televisione, nel giro la voce si è già sparsa.
I primi soldi guadagnati andarono in ristrutturazione del mio corpo.
Ora guardandomi allo specchio vedo una donna alta, slanciata con una massa di capelli biondi, lunghi, un seno perfetto; ho cinquantacinque anni e ne dimostro trentacinque, sono diventata famosa e ho cominciato a guadagnare, ho comperato questa bella casa ma sento sempre dentro l’amaro per una vita passata a lottare con me stessa e con gli altri per lo spazio vitale.
Non riesco ancora a farmi accettare, forse perché non mi accetto io stessa.
Quello che volevo non è più quello che voglio, ora vorrei essere un uomo, l’uomo che non sono stata, da un po’ che mi assale l’angoscia per la mia età, la vita pubblica delle donne è più corta, temo di cadere nel ridicolo a rifarmi nuovamente, sono stanca di lottare, vorrei che tutto fosse finito.
Apro gli occhi, mi alzo, prendo la Katana, la sfodero, ammiro la lama incisa, appoggio la punta sotto lo sterno e con forza la infilo nel mio torace.
di
scritto il
2015-07-03
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