Karma negativo

Scritto da , il 2010-05-18, genere etero

Ritornavo a casa sempre tardi, sempre sbronzo e sempre incazzato nero. Non so dire perché. 
A volte sono vittima del karma negativo. Altre volte mi sento nel posto sbagliato al momento sbagliato. Allora mi ricordo che ci davo dentro, col bere. 
Mi avevano assunto da poco in un posto dove il mio compito si traduceva nello "spostare"carte da una scrivania ad un altra, cosa che avrei potuto fare in breve tempo. 
Mi pagavano per protrarre quello spostamento in otto ore. 
è che per scrivere c'avevo bisogno di essere incazzato con qualcosa. 
è sempre stato così. Le cose migliori mi vengono quando c'ho la schiuma alla bocca. 
Ero incazzato perché non c'era niente che mi facesse incazzare. 
Stavo con una infermiera alle prese con i turni di notte e il mio uccello pigro. 
Lei arrivava alle undici, mi faceva un pompino senza nemmeno togliersi le scarpe e se ne andava dicendo che avrebbe fatto tardi. L'ho scopata solo dopo due mesi e sedici pompini. 
E non fu una gran scopata. 

Il bere, quello sì che è sempre stato il mio forte. 
Era il periodo degli "shuttle". Gin bianco puro. 
Uscivo, vedevo gli altri, salutavo e partivo con le mie bombe al ginepro. Dodici, tredici.. poi tornavo a casa nella mia automobile rossa. Stavo al primo piano di un condominio gonfio di merda, in uno di quei monolocali con bagno. Avevo un bel bagno giallo, un frigorifero anni settanta e un divano letto che non usavo mai come divano. 
Rientravo barcollante alle due o alle tre di mattina, salutavo i soliti spacciatori extracomunitari e sul pianerottolo mi aspettavano le mie amiche giapponesi, strafatte di marijuana. Se ne stavano sdraiate e seminude, con le loro piccole passere al vento. 
è che io c'avevo l'infermiera dalla lingua svelta. Quelle passere mi facevano un baffo. Le guardavo mentre davo un paio di tiri alla canna che girava, come un bentornato a casa.. il più delle volte mi serviva per vomitare. Entravo in casa e mi piazzavo carponi vicino alla tazza del cesso, senza nemmeno chiudere la porta. Vomitavo, mi sciaquavo la faccia. 
Alle tre rientrava anche Martha, la puttana spagnola del monolocale accanto. 
Spesso era lei che mi metteva a letto. Io baciavo le sue mammelle e mi addormentavo felice. 
Non c'era niente che mi facesse incazzare. E non riuscivo a scrivere. 
La cosa però, non è che mi impedisse di tirare avanti.

Va bhè.. c'erano anche le serate in cui bere mi veniva a noia. Non c'avevo voglia di bere, non c'avevo voglia di scopare, non c'avevo voglia di scrivere. 
Arrivava l'infermiera, ma non riusciva a farmelo diventare duro alla svelta. 
Così se ne andava via triste e io mi facevo una frittata. 

E poi  la matta dell'appartamento di fronte se ne usciva in piena notte e urlava qualcosa in ungherese, posseduta da non so quale demonio. 
Ogni tanto spostava gli zerbini di tutti i condomini. 
A volte mi pulivo i piedi in tappetini verdi con la faccia di Paperino. 
Altre volte in fibra di cocco. Altre ancora trovavo sotto le suole una di quelle scritte tipo"casa dolce casa"o"welcome". Io e Martha ci nascondevamo per coglierla sul fatto. 
Mai riusciti. Spesso, ubriachi duri, ci si addormentava testa contro testa. 
Secondo Martha, quella strega matta aveva poteri soprannaturali; io sostenevo che se avesse avuto dei poteri non li avrebbe certamente usati per spostare i tappetini. Ma vai a convincere una puttana spagnola con una cicatrice di otto centimetri sotto l'ascella.. 

Gran donna, Martha la puttana. Diceva che ero l'unico a non approfittare di lei. 
Io, in realtà, me la tenevo buona per quando anche l'infermiera si sarebbe stancata. 
Lei ogni tanto piombava nel mio appartamento seminuda, dicendo che mi avrebbe cucinato una specialità della sua terra. Guardavo quel culo sodo che si muoveva dietro ai fornelli del cucinino, vedevo i peli della sua passera in controluce e mi masturbavo sotto le lenzuola. 
Non so dirvi se lei se ne fosse mai accorta, ma non me ne fregava un cazzo. 
Tanto io c'avevo il mio bel lavoro di merda e da lì a poco avrei assaggiato una specialità andalusa. 
Non c'era niente che mi facesse incazzare. 
E non scrivevo niente. Anche di questo, tutto sommato, non me ne fregava un cazzo. 

- sei proprio uno stronzo rincoglionito, lo sai?
Io guardavo Martha con le labbra sporche di vomito. 
- prima o poi ti sveglierai in un letto d'ospedale.. 
Mi ripuliva con l'affetto di una madre, una madre con venti centimetri di tacco. 
- se un giorno ti scopo - le dicevo - mi sa che ti faccio tenere su quegli stivali..

E poi ero tornato a scrivere e a bere. Ma bevevo meno. Mi fermavo a cinque, sei "shuttle". E non è che scrivessi capolavori. Piccole stronzate senza senso, ma era la voglia di farlo, a sorprendermi. L'infermiera se ne sarebbe partita da lì a poco. In una di quelle isole.. 
Martha invece non si era fatta vedere per qualche giorno. Quando l'infermiera girava nella mia stanza lei spariva. Sentii il rumore dei suoi tacchi sul pianerottolo. 
Aprii la porta. - ehi! - le dissi - questa notte ti aspetto.. 
- cico, non credo sia una buona idea. - guardai oltre le sue spalle, un uomo sulla settantina stava chiudendo a chiave la porta d'ingresso dell'appartamento. 
- mio padre. - disse abbassando gli occhi - è venuto per riportarmi a casa.. 
Il vecchio disse due o tre parole incomprensibili, poi mi urtò e scese le scale. 
- ciao - disse accarezzandomi una guancia - cerca di non morire ubriaco su un marciapiede.. 
Scrissi una delle mie storie migliori, quella notte. Ritornai a bere gintonic. Mi ubriacai. Mi addormentai. Sperai di non svegliarmi mai più. 

Il bello di avere qualcosa da fare per forza, è che ti impedisce di pensare e di toglierti la vita. Io devo la mia sopravvivenza a quel cazzo di lavoro che mi obbligava a svegliarmi alle sette. Quando tornavo a casa mi sforzavo di non andare a letto, pulivo, cucinavo, guardavo la televisione e mi addormentavo alle dieci e mezza, sfinito. Non pensare, non pensare, non pensare. Fai. Disfa. Rifai. Due belle settimane intere senza toccare alcool. Scrivevo senza verve. Liste della spesa sul lavoro che facevo, una specie di diario. Tanto per non perdere l'abitudine. L'infermiera si ripresentò abbronzata e fu la volta che me la scopai forte. Avevo energia e spirito. 
Al posto di Martha venne un tizio con gli occhialetti senza stivali. 

- che cazzo ti è successo? Il tuo appartamento non è mai stato così pulito. 
- mi è apparsa la madonna. Mi ha detto che dovevo pulire l'appartamento e sposarti.. 
- va bene, sposiamoci. Io però non ti amo. 
- io nemmeno. Forse  staremo insieme per sempre.. 
Mi insegnò a fare la respirazione bocca a bocca e a curare una gamba fratturata usando due stecche di legno. Mi impedì di bere e di impazzire. 
Fosse andata così, immagino che adesso non starei certo in questo ospedale con le pareti giallognole. Non pensare, non pensare, non pensare. Fai. Disfa. Rifai.

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