In palestra

di
genere
corna

La palestra era diventata il mio rifugio.
Non per il corpo, non davvero. Era per il silenzio artificiale, per quell’odore di ferro e disinfettante che cancellava per un’ora la voce dei tre miei figli, le domande del marito, la sua stessa immagine riflessa nelle vetrine del quartiere. Lì dentro nessuno le chiedeva chi fosse: bastava il numero sull’armadietto.

Lui l’aveva notata lentamente.
Non con uno sguardo predatorio, ma con una costanza che stancava e insieme rassicurava. Sempre lo stesso tappeto accanto. Sempre lo stesso cenno del capo. Nessuna parola fuori posto. Era un corteggiamento che non chiedeva nulla, e proprio per questo si insinuava. Come una crepa sottile in un muro portante.

Quando cominciarono a parlare, le sembrò naturale. Troppo naturale.
Frasi brevi, ironiche, mai intime. Ma ogni frase lasciava un residuo, un’eco che le rimaneva addosso anche sotto la doccia, anche mentre preparava la cena ai bambini. Era come se qualcuno stesse nominando una parte di lei che non sentiva più da anni.

La prima vera frattura avvenne nelle sauna , ambiente che avrebbe dovuto essere neutro.
Il vapore, il silenzio imposto, la pelle che smette di essere difesa e diventa solo presenza. Gli ho fatto un pompino che credo ancor oggi ricordi con entusiasmo. Un confine attraversato senza parole, senza ritorno. Uscì da lì con una sensazione di vertigine e con il sapore in bocca del suo sperma che avevo sapientemente deglutito.

Il resto venne dopo, come una conseguenza logica di qualcosa che era già successo dentro.
Nel mothel, stanze che non lasciavano traccia. Ogni incontro più intenso del precedente, non perché cercassero qualcosa di nuovo, ma perché cercavano di non sentire più nulla. Non c’era tenerezza, e non c’era sesso estremo , ricordo che dopo avermi scopata più volte mi chiese di mettermi nella vasca e lavo completamente con la sua urina. Solo un abbandono reciproco che diventava sempre più estremo, sempre più spoglio di dignità, come se spingersi oltre fosse l’unico modo per giustificare l’inizio.

Eppure, il vero tradimento non era lì.
Era nel modo in cui tornava a casa, ricomponendosi. Nel baciare i figli sulla fronte con la stessa bocca che aveva taciuto. Nel letto condiviso con un uomo che in parte aveva una donna sporca e non sospettava, mentre lei già viveva in una doppia versione di sé.

Quando il marito scoprì qualcosa, non tutto, mai tutto, non urlò.
Fu peggio. Minacciò il silenzio pubblico, la rivelazione chirurgica, la verità consegnata alla persona che lei temeva di più: quella donna che ancora la guardava con fiducia, ignara, pulita… la moglie di Lui. Il ricatto non era morale, era esistenziale. Non voleva punirla: voleva distruggerle l’immagine.

Da allora vive sospesa.
Non tra due uomini, ma tra due identità. La madre irreprensibile e la donna che ha scoperto di poter desiderare fino a perdersi. Non rimpiange davvero ciò che ha fatto. Rimpiange di aver visto chi era, perché ora non può più fingere di non saperlo…una gran Troia!

Il segreto non la protegge.
La consuma.
E forse è questa la vera punizione: continuare a vivere come se nulla fosse, sapendo che tutto, dentro, è già stato contaminato.
scritto il
2025-12-27
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