Sobol. Capitolo 3. L'alloggio
di
Ben Bertolucci
genere
fantascienza
“Curriculum notevole, guardiamarina” disse il comandante Lafayette, primo ufficiale della Sobol, scorrendo il file dell’aliena sul terminale.
“Grazie” rispose Li Qing distrattamente, mentre i suoi occhi indugiavano sul volto del comandante.
Constatava con fascinazione che gli umani, pur avendo solo due sessi come molte specie della galassia, potevano esprimere una varietà di generi pressoché illimitata.
La società terrestre si era evoluta fino a concedere libertà assoluta nelle scelte personali, e nessuno si soffermava più a notare se un uomo dai tratti maschili, con una folta barba come quella di Lafayette, preferisse ornarsi di segni femminili, pur scegliendo il pronome maschile.
Su Syran non esisteva alcuna distinzione di genere: si era semplicemente uomo o donna, in eguaglianza di doveri e responsabilità. In cuor suo, Li Qing ammirava quella libertà umana, qualla capacità di vivere i propri istinti, senza vincoli, senza remore, che non reprimeva ma portava alla luce la natura personale, trasformando i conflitti interiori in possibilità di espressione. Anche in questo, i terrestri avevano mostrato un’evoluzione che a molte altre razze era mancata.
“perchè il sistema Sol?” le chiese il comandante
“mi perdoni?”
“Molti di voi Syranniti, preferiscono Thal’Zor o Nymari sembra che le vostre razze si assomiglino di più, inoltre i due sistemi in questione, sono molto più vicini a casa, e comunque lei, ha deciso di avere a che fare con gli umani” le chiese con sguardo interrogativo
“sono stata selezionata dal mio ministero”
“ma so per certo che la scelta è su base volontaria, non dietro prescrizione forzata” le fece notare e poi chinandosi verso di lei aggiunse
“Perché il sistema Sol, quindi?”
Li Qing inspirò lentamente. “Perché gli umani rappresentano una peculiarità unica. Non cercano somiglianze, ma differenze. Studiare Thal’Zor o Nymari avrebbe significato osservare specchi culturali deformanti della mia stessa specie. Qui, invece, ogni gesto umano è un campo di ricerca, ogni scelta un dato che arricchisce la mia comprensione della diversità.”
“mmm…” Il comandante non sembrò convinto. Si alzò dalla sua scrivania. “Mi segua” le disse, precedendola nel lungo e stretto corridoio all’esterno della sua cabina.
Il passaggio era ridotto, illuminato da luci lineari che correvano lungo il soffitto basso. Le paratie lisce riflettevano la luce, ma ogni rientranza era occupata da brande a castello, con coperte arrotolate e oggetti personali incastrati negli spazi minimi. Li Qing avanzava con cautela, ma il corridoio era affollato: marinai che si incrociavano in fretta, altri che si arrampicavano sulle brande per raggiungere i livelli superiori, voci e passi che si sovrapponevano. Ogni movimento riduceva ulteriormente lo spazio, e le spalle di Li Qing sfioravano quelle degli altri mentre cercava di seguire il comandante. La sensazione era quella di un ventre stretto, saturo di vita, dove non c’era posto per restare fermi.
“Non si preoccupi, lei è comunque un ufficiale. Condividerà uno degli alloggi con altri ufficiali di pari grado” la rassicurò il comandante, percependo un certo disagio sul volto della sua sottoposta.
Arrivarono a quella che era la sala mensa: pochi metri quadri in cui l’equipaggio, a turno, si incontrava per consumare i pasti e scambiare due chiacchiere. Appena il comandante fece il suo ingresso, tutti i presenti si misero sull’attenti.
“Comodi, comodi” disse lui con tono sereno. “Sto facendo fare un piccolo tour alla nostra nuova amica.”
Poi proseguì. Li Qing sentì gli sguardi dei presenti su di sé: la loro attenzione non era solo perché era un’aliena, ma perché era nuova. Nei loro occhi percepiva una costante valutazione, come se stessero decidendo se la strana ragazza dalla pelle blu e dalle orecchie a punta sarebbe stata un valido elemento o un problema.
“Sa leggere il latino?” le chiese il comandante, fermandosi davanti a una trave di sostegno al centro della sala e indicando una placca in ottone ai piedi di essa.
“Sì, signore” rispose lei. Li Qing osservò la struttura: la trave sembrava fusa in parte, come se fosse stata esposta a un calore enorme, deformata e annerita. Ai suoi piedi c’era una lapide metallica su cui era inciso:
“Hic ceciderunt triginta sex fortissimi; eorum sacrificium necessarium fuit ut alii miliones sperare possent.”
“Qui caddero 36 tra i più valorosi; il loro sacrificio fu necessario affinché altri milioni potessero sperare.”
Conosceva la storia: il riferimento era la battaglia di Giove. Dodici navi umane vennero distrutte prima che un’unica nave alveare aliena fosse così danneggiata da doversi ritirare. Quasi 3000 vite spezzate, Fu un atto di valore: senza quel coraggio la Terra sarebbe caduta e l’umanità si sarebbe aggiunta all’elenco di razze scomparse dalla galassia.
“Perdemmo 36 tra uomini e donne, altri 19 rimasero gravemente feriti, in uno scontro che non durò che pochi minuti” disse il comandante, sfiorando la colonna. “Per molti tra qui caduti, non potemmo nemmeno restituire i resti alle famiglie, vaporizzati o perduti nel vuoto cosmico”
“Sì, signore. Conosco il valore di questa nave e dei suoi marinai”
“Bene. Spero che lei non sia qui solo per… studiarci”
“no, signore, sono qui per far parte di questo equipaggio” rispose lei, sentendo l’onore che il destino le aveva concesso. Il comandante la guardò con sguardo intenso, poi sorrise, certo della sincerità di intenti della giovane aliena.
“Ora vada a cercare il tenente Pascoli. Le farà vedere il suo alloggio, poi si presenti in centrale operativa: prenderà servizio tra un’ora” le disse congedandosi.
Il tenente Pascoli non passava inosservato. Era un uomo massiccio, con le spalle larghe e la barba sempre un po’ incolta, che gli dava un’aria trasandata e minacciosa. I capelli corti, già brizzolati, incorniciavano un volto segnato da rughe premature, più dovute alla tensione e alle responsabilità che all’età. La sua voce roca rimbombava nei corridoi della Sobol, e ogni parola sembrava un ordine, anche quando non lo era. Burbero e sarcastico, metteva alla prova chiunque gli capitasse davanti, soprattutto i nuovi arrivati, come se fosse un rito di passaggio necessario per guadagnarsi un posto a bordo.
“Una xenobiologa? Un’antropologa? E che dovremmo farci con lei, trovare nuovi modi per insultare quegli zingari ladri dei Korr-Vael?” sbraitò quando lei, dopo averlo trovato — compito che si rivelò più complicato del previsto — gli mostrò il suo file di assegnazione. “Sono esperta in informatica e sistemi di bordo.”
“Pff, a quelle cose ci pensa Orphan.”
“Astronomia e astrofisica.”
“Abbiamo il capo Ramsi e il suo staff, il miglior navigatore di tutta la fottuta flotta.” “Matematica avanzata e fisica teorica.”
“Bene, così potrai farti bene il calcolo di quanti giorni resisterai sulla Sobol”
“Sai cucinare almeno?”
“cucinare signore?”
“si ragazzina, i replicatori fanno i capricci e mi serve qualcuno alle padelle”
“be conosco le abitudini alimentari di 72 mondi e molte ricette comprese quelle umane, ma non mi sono mai cimentata ai fornelli” ammise lei
“Allora sei veramente inutile" le disse lui, ma rimase sorpreso nel vedere che la ragazza non pareva intimidita: anzi, un leggero sorriso si allargò sul suo viso, e questo lo confuse. Li Qing, grazie alle sue capacità empatiche, leggeva l’animo dell’uomo: sapeva che dietro l’aria burbera e aggressiva c’era una persona premurosa, che aveva a cuore ogni singolo membro dell’equipaggio. Ora che lei ne era entrata a far parte, anche di lei.
“Perché sorridi, ragazzina?” le chiese. “Mi trovi buffo?”
“No, signore, la trovo… interessante.”
“Dannazione, figliola, non ho tempo da perdere con i tuoi giochetti alieni. Seguimi” le disse.
Scesero di alcuni livelli nella pancia della nave, fino ad arrivare in un’area meno trafficata, dove c’erano gli alloggi degli ufficiali.
“Ecco, signorina. livello C stanza 9” disse aprendo la porta dinanzi a sé. “Questa è la tua nuova casa.”
L’alloggio era minuscolo: incredibile che dovesse ospitare quattro persone. C’era lo spazio per le brande, due per lato, e una scrivania con uno sgabello retrattile, occupato da una donna umana di colore dall’aria atletica, che appena la vide corse dietro al tenente. “Ehi capo, aspetta! Non puoi mollarla qui” urlò, prima di sparire.
Li Qing si guardò intorno: l’alloggio era spoglio, ridotto all’essenziale, con solo qualche oggetto personale sparso delle altre occupanti. Un visore incassato nella parete trasmetteva in loop il notiziario galattico, la voce metallica che scandiva notizie di guerre e trattati come un mantra. Non sembrava un luogo accogliente, eppure lei si sentì attraversata da un entusiasmo febbrile: anche quella scomodità faceva parte dell’esperienza.
«Non prendertela» disse una voce alle sue spalle. Una donna emerse da dietro la tendina che separava le brande: un corpo massiccio, un po’ in sovrappeso, la chioma riccia rossa come fiamme disordinate.
«Cindy è stronza all’inizio, ma se le vai a genio ti resta fedele» aggiunse con tono stanco, quasi rassegnato.
«Piacere di conoscerti. Tu chi sei?» chiese Li Qing, avvicinandosi pronta, come da usanza umana, a tendere la mano. Ma la sua mano rimase sospesa nel vuoto.
Solo quando fu abbastanza vicina si accorse che la nuova compagna di stanza era completamente nuda, distesa supina sul letto, priva di tutto tranne un paio di scarpe. Il corpo pesante si abbandonava sul materasso, i seni enormi schiacciati ai lait, sormontati da due areole scure e rotonde, sul ventre, sotto l’addome rotondo una massa di peli folti che la colpirono con violenza visiva il pube. Li Qing aveva già visto altre donne umane nude negli alloggi dell’accademia, mai un corpo che sembrasse così deciso a esibire la propria gravità e quello l’affascinò.
«Dora Dolson, sottotenente. Ingegneria, armamenti e scudi.. e altre minchiate» disse lei senza aprire gli occhi.
«Io sono Li Qing. Guardiamarina, ufficiale scientifico» rispose, cercando di distogliere lo sguardo in un gesto di rispetto che le sembrava doveroso, ma non ci riuscii.
«Lo so… lo sanno tutti. Sei la notizia del giorno da quando abbiamo saputo che un’aliena entrava a far parte della nostra famiglia.» le disse Dora, accortasi di quanto gli occhi dell’aliena indagassero su di lei , sentendo ,un piacevole senso di approvazione nel suo sguardo, lasciò che guardasse.
Famiglia. La parola vibrò nelle orecchie di Li Qing, e le piacque.
«Ah… bene» sorrise schiarendosi la voce forzando lo sguardo altrove, resosi conto di essere stata scoperta nella sua curiosa impudenza.
«Oh, scusa… forse ‘aliena’ è offensivo?» chiese Dora, con un lampo di sincera preoccupazione.
«No… è quello che sono. Un’aliena. E ai miei occhi anche voi lo siete» disse infine, con voce ferma ma, incontrando lo sguardo della donna ci lesse un invito taciuto che la lusingò, sarebbe stata un esperienza sicuramente nuova quella, proposta dalla umana, ma voleva attendere, aveva il dovere a richiamarla all’ordine.
“ti chiedi che sapore ha?” le chiese Dora spalancando le gambe e offrendole il proprio sesso
“io…non credo sia il caso” tentenno la Syrannita
“be, sai dove trovarmi se cambi idea” le disse voltandosi dall’altra parte e nel farlo offrendole la visione del suo enorme rotondo e dominante sedere.
Li Qing, ripreso il controllo di se, lasciò l’alloggio, mentre procedeva lungo il corridoio verso le scale, incrociò Cindy
“Ciao, non abbiamo avuto modo di presentarci io sono Li Qing” le disse lei porgendo la mano, che anche questa volta rimase vuota a mezz’aria, e ottenendo in cambio solo occhi alzati al cielo e un lungo sbuffo simile ad un soffio di un gatto arrabbiato.
Ci avrebbe riprovato pià tardi ,decisa riprese la sua strada cercando di ricordare il percorso di ritorno verso i ponti superiori fino a raggiungere la Centrale Operativa di Comando dove l’attendevano.
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