La notte di Halloween

di
genere
tradimenti

C’era tensione nell’aria, prima di questa serata.
O almeno, qualcuno dei ragazzi di sicuro era in tensione.
Simone, per esempio, era quello più teso di tutti, avrebbe visto Luna per la prima volta dopo averle praticamente confessato che lei è una sorta di maledizione, di ossessione per lui. Probabilmente un minimo di tensione l’avrebbe avvertita anche Luna, ma di sicuro in forma minore, del resto non è lei quella che va in difficoltà alla vista dell’altro.
La serata di Halloween iniziava con un profumo di ravioli cinesi e involtini primavera. A casa di Simone e Sara, il tavolo era un campo di battaglia di scatole e cibo: tra un racconto e un altro, i quattro consumarono la cena, per poi iniziare a prepararsi e truccarsi. In un clima fino a quel momento goliardico, si prepararono e si aiutarono a vicenda a truccarsi; avevano optato tutti per dei travestimenti classici, Simone e Matteo due scheletri, Sara e Luna con il tipico trucco che hanno le ragazze messicane durante il Dia de los muertos.
Per la notte di Halloween infatti avevano optato per una serata a tema messicano, a tema appunto Dia de Los Muertos.
Una volta che i trucchi erano tutti completati rimaneva solo da vestirsi, e mentre i ragazzi erano in sala, Luna che era l’ultima ad aver finito, andò in camera da letto a cambiarsi, ancora indecisa su cosa mettere. Uscì dopo un paio di minuti con addosso solamente una tuta da scheletro, attillata, troppo attillata.
Per la prima volta durante la sera lo sguardo di Simone e Luna si incrociò mentre erano soli, lui usciva dal bagno e vedendola vestita così fece uno sguardo a metà tra il rassegnato e lo sconsolato, a Luna scappò un sorriso mentre si richiudeva in camera per coprire quel costume troppo attillato. Il problema é che decise di coprirlo con un body e un paio di pantaloni di pelle che, abbinati agli stivaletti con il tacco, fecero rimpiangere a Simone il costume attillato di prima. La situazione era addirittura peggiorata.

Arrivati a Bologna, il locale era un capannone, trasformato in tempio del Día de los Muertos. Posarono le giacche e si diressero verso il bar. Dal primo momento in cui Luna entrò, il mondo si fermò: i pantaloni di pelle riflettevano le luci stroboscopiche, attirando ogni sguardo maschile. Un ragazzo con costume da charro commentò ad alta voce, un altro da diavolo le sfiorò il braccio passando, il ragazzo al bar affianco a lei non le staccava gli occhi di dosso un secondo, lei sorrideva, consapevole. Sara e Matteo sembravano non accorgersi di nulla, l’unico che faceva caso a tutte queste attenzioni era Simone, che nel frattempo bolliva. La musica che li accolse aveva dei ritmi vagamente sensuali, a tratti erotici. Forse fu questo a peggiorare il tutto, forse fu la settimana passata di confessioni ma tra i due iniziò una sorta di gioco, un gioco fatto di sguardi e provocazioni. Ma era un gioco decisamente impari, un gioco sbilanciato. Entrambi sapevano che in questo gioco già in partenza c’era un vincitore e uno sconfitto, e non c’era possibilità di ribaltare il risultato. La folla era un mare di calaveras, corpi sudati che si muovevano al ritmo di trombe e tamburi.


Lei ballava, a tratti con Matteo, a tratti da sola, a tratti avvicinandosi apposta ai ragazzi che
ballavano affianco a lei. E in tutto questo non perdeva occasione per guardare negli occhi Simone e rimarcare chi è che in questo gioc aveva il controllo. Lui era in difficoltà, quando se la trovava affianco a ballare o a parlare cercava di stare più immobile possibile, voleva usare la scusa del movimento per sfiorarla, per toccarla, ma sapeva che le regole non erano quelle. Si limitava a rispondere alle sue provocazioni dicendole solamente “Stronza” o “ti odio”.


Alcune coincidenze fecero sì che il gioco divenne ancora più pericoloso, una ragazza affianco a loro si chiamava Luna, il nome che Simone aveva affibbiato a Luna nelle sue fantasie e nei suoi racconti, e da quel momento surreale i due iniziarono a parlare facendo riferimento a cose che conoscevano solo loro due, usando quel nome in terza persona, ma riferendosi a quella che era l’unica e sola Luna. Simone ad esempio aveva vinto una scommessa, era stato il primo a trovare qualcuno tra tutti i partecipanti alla festa che conoscevano. Il premio della scommessa non era stato deciso, così Luna dal nulla disse “Luna! Hai vinto Luna.”
La frase sembrava una frase scherzosa, una frase riferita alla ragazza che ballava affianco a loro e che era anche una gran bella ragazza. Loro due però sapevano che quel nome in realtà poteva significare anche molto altro. Simone stava impazzendo.

A un tratto, con un ghigno, Luna batté le mani. “Giochiamo a nascondino! Qui, in mezzo a tutti.” Sara protestò: “Ma no dai, ma qua in mezzo?” E a contare toccò proprio a lei, come punizione per essere l’unica a essere stata in disaccordo. Dopo un primo momento nel quale provò a convincere gli amici a desistere da questa idea, costretta si diresse verso il muro e iniziò a contare fino a cinquanta, come scelto dai ragazzi.
I tre partirono, Luna stava andando dietro a Matteo quando si sentì afferrare per il braccio e venne tirata via, in mezzo alla folla. Si rese conto in fretta che era Simone che la stava tirando e la stava portando con sé.
Si diresse verso una porta che dava su delle scale e appena entrati dentro la tiro a sé, guardandola dritta negli occhi e riprendendole per l’ennesima volta quanto la odiasse.
Erano in una zona buia, a pochi metri da loro un’altra coppia si stava baciando non prestando attenzione a loro, Simone era sicuro che stava per vivere il momento che aspettava da una vita, lei infatti si avvicinò con la bocca a quella del ragazzo, praticamente a sfiorargli le labbra, senza mai staccare gli occhi dai suoi, e quando lui provò a baciarla lei si spostò. “Siamo truccati, ricordi? Non vorrai mica farti scoprire?” Disse mentre con la mano iniziava ad accarezzare il suo basso ventre, arrivando in fretta al suo cazzo, che era già duro.
Glielo toccò, lo massaggiò per qualche secondo mentre si avvicinava al collo del migliore amico della sua ragazza, sfiorandolo con la lingua; “tutto questo è per me?” chiese, ma lui non riuscì neanche a rispondere.
Di colpo però, si staccò e se ne andò. Girandosi un’ultima volta indietro verso di lui e dicendo “peccato” con un sorriso che faceva solo innervosire.
Rimase imbambolato qualche secondo, poi si decise. Non poteva lasciarsela scappare così stavolta, si buttò a inseguirla ma appena uscito dalla porta il suo sangue si gelò, lei era già attaccata ad un ragazzo. Ci mise poco a riconoscerlo, era il ragazzo del bar, quello con cui lei aveva leggermente flirtato qualche ora prima, mentre era in fila dietro a Matteo.

Provò a trovare il coraggio di andare lì a interrompere qualsiasi cosa stesse per succedere, ma in quel momento lei prese il ragazzo per mano e lo trascinò con se, portò nello stesso identico posto in cui era con Simone qualche secondo prima. Simone non sapeva cosa fare, era combattuto, geloso, arrabbiato e eccitato. La curiosità vinse.
Girò l’angolo nel momento in cui lei smise di baciare il ragazzo, la vide inginocchiarsi davanti a lui, slacciargli i pantaloni estrarre il pene e ingoiarlo in un attimo. Simone era completamente immobilizzato, non riuscì a muovere un muscolo per una quantità di tempo che lui non riesce neanche a definire.
Tempo sufficiente di sicuro affinché il ragazzo venisse. In bocca a Luna.
Si alzò, si diresse verso l’uscita passando affianco a Simone e gli diede un bacio leggero sulla guancia, per poi uscire.
Girando l’angolo Luna si trovò davanti immediatamente Sara, che la beccò così.
Dopo pochi minuti vennero presi anche Matteo, che come nascondiglio aveva scelto di mimetizzarsi affianco alla coda del bar e Simone, che ancora visibilmente destabilizzato si muoveva in giro con una espressione persa.
Espressione che peggiorò ulteriormente, quando vide Luna baciare appassionatamente Matteo appena il gruppo si ricongiunse.
Quel contrasto tra questa scena e quella vista pochi minuti prima uccise un’altra piccola parte di lui. Lei aveva la capacità di rivoltarlo ogni minuto, con ogni gesto, con ogni parola. Era magnetica, e lo sapeva.

Comandava lei il gioco, e lo sapeva. Lui non poteva vincere quel gioco, non poteva neanche partecipare in realtà, era lei a decidere tutto. Dava sempre la sensazione di sicurezza, di avere tutto lei in pugno.
Però ne valeva la pena, valeva la pena stare al suo gioco e valeva la pena avere anche quella piccola speranza, quel 0,7% di possibilità che un giorno le regole di quel gioco potrebbero essere riscritte.
Prima o poi, si disse.
scritto il
2025-12-03
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