Mi chiamo Renata. Finalmente godo con il culo

di
genere
prime esperienze

Non c’era più ritorno. Riccardo mi stava sfondando il culo e io urlavo come una indemoniata, la faccia schiacciata sul tavolo appiccicoso di vino, le mani sudate che scivolavano sul legno. Ogni colpo mi risuonava dentro lo stomaco, mi faceva vibrare le ossa, mi spaccava i polmoni. Eppure non volevo che finisse.

«Più forte!» gridai. «Fammi male, Riccardo! Non avere pietà!»

E lui, come se fosse nato per questo, obbedì. Il ritmo diventò animalesco, senza misura. Il tavolo sbatteva contro il muro, io tremavo tutta, le cosce in fiamme, il culo aperto dal suo cazzo che sembrava un’arma. Ogni spinta mi toglieva il fiato, ogni uscita mi faceva ansimare come una cagna in calore.

Le sue mani non lasciavano tregua. Una sul mio collo, a stringere, a farmi mancare l’aria. L’altra che scivolava sotto, ad afferrarmi le tette, a torcermi i capezzoli duri, a farmi gridare di più.
«Sei nata per questo, puttana», sibilò contro la mia nuca.

Quelle parole mi accesero come benzina sul fuoco. Non ero più Renata, la vedova sola e composta del quarto piano. Non ero più quella che salutava i vicini con un mezzo sorriso. No. Ero solo una troia sfondabile, un buco da riempire, una bocca da tappare, un culo da devastare.

Mi chinai ancora di più, aprendomi da sola. «Dio, sì, continua! Spaccami tutto! Voglio sentire il cazzo fino in gola dal culo!»

Lui rise, una risata breve, roca, e accelerò. Colpi secchi, martellanti. Il rumore era osceno: lo schiocco della sua pelle sulla mia, il suono bagnato del mio buco che cedeva, il respiro spezzato che ci mischiava.

E poi la sentii: quella pressione in basso, quell’onda che saliva incontrollabile. Stavo per venire di nuovo. Nel culo. Io, che non avevo mai goduto davvero in ventiquattro anni di matrimonio, ora stavo per squagliarmi con il cazzo di un ragazzo che mi prendeva come una bestia.

«Sto venendo!» urlai, senza vergogna. «Sto venendo dal culo, cazzo!»

E venni. Forte. Un orgasmo che mi squarciò tutta, che mi fece piegare la schiena all’indietro come un arco. Mi tremavano le gambe, mi colava la figa, mi sentivo esplodere in mille pezzi. Urlai come una pazza, le vene che mi scoppiavano in gola.

Riccardo non smise. Non si fermò nemmeno mentre mi contorcevo sotto di lui. Continuava a sbattermi, più duro, più sporco. Mi stava portando oltre ogni limite, oltre ogni immaginazione.

«Vuoi che ti sfondo anche la bocca?» mi ringhiò.
«Sì! Sì, cazzo! Fammi ingoiare tutto!»

Mi sollevò di peso, mi girò, e mi buttò in ginocchio davanti a lui. Il cazzo uscì dal mio culo con uno schiocco viscido, sporco dei miei umori e dei suoi. Ancora duro, gonfio, mostruoso. Me lo piazzò in faccia. L’odore era bestiale, la cappella lucida, lurida.

Io aprii la bocca senza pensarci, come una troia nata per quello. Lo presi tutto, sentii il sapore amaro, sporco, il misto di me e di lui. Mi colava sul mento, mi imbrattava la lingua. E io succhiavo, leccavo, ingoiavo, piangendo di piacere.

«Brava puttana», disse. «Così. Ingoia tutto.»

Mi teneva la testa e spingeva, forte, fino a farmi soffocare. Io sbattevo gli occhi, tossivo, ma non mollavo. Lo volevo ancora più dentro, ancora più violento. Non c’era più Renata, non c’era più la donna che ero stata. Solo una bocca, un buco, una schiava del suo cazzo.

Sentivo le sue spinte diventare più corte, più rapide. Il respiro che si faceva grosso, la mano che stringeva di più i miei capelli. Stava per venire. Dentro la mia gola. Dentro la mia bocca che aspettava solo quello.

E io lo volevo. Lo volevo fino all’ultima goccia.
scritto il
2025-09-26
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