Giorgia

di
genere
etero

Si era ritrovata in quella situazione senza nemmeno accorgersene, seguendo semplicemente gli eventi, assecondando ciò che sentiva in quel momento.
E ora, purtroppo, non poteva più tirarsi indietro.
Ormai era troppo tardi.
Sola, in quel locale, davanti al suo gin tonic preferito, cercava con rammarico di capire come e dove avesse sbagliato — se davvero si poteva parlare di un errore — e se esistesse, in un modo o nell’altro, una via d’uscita.
Così, inevitabilmente, il pensiero tornò a qualche mese prima. A quando tutto era cominciato.
A quando, in fondo, per lei era iniziata la fine.
Era estate. Faceva caldo. Come sempre, si parlava dell’anno più afoso di sempre.
Uscire dall’ufficio la sera non era affatto allettante: meglio attardarsi a lavorare, godendo del fresco dell’aria condizionata, piuttosto che tornare a casa a soffrire il caldo.
Così, in quel periodo, fece parecchi straordinari. Non le venivano pagati, ma li faceva comunque: un po’ per dedizione, un po’ per necessità, un po’ perché sperava che lui se ne accorgesse.
Sperava di essere notata dal direttore.
E come avrebbe potuto non notarla?
Poco meno di trent’anni, un corpo giovane, non ancora segnato dal tempo, ma già carico di quella sensualità matura che sapeva gestire con naturale maestria.
Aveva buon gusto, questo sì. La sua “preda”, se così si poteva definire, aveva da poco superato i quarantacinque, fisico tonico, scolpito da ore di palestra e una disciplina ferrea.
Un corpo che sprigionava virilità sicura, piena.
I suoi piccoli artifici per farsi notare non tardarono a dare frutto.
Quella sera, con gli uffici ormai deserti, lui entrò nell’open space dove si trovava la sua postazione.
Lei era sola, apparentemente immersa nel lavoro. Splendida.
E quando fingeva di essere seria, concentrata, risultava ancora più irresistibile.
Si voltò, lo guardò e lo salutò con il suo miglior sorriso:
«Anche tu ancora qui? Io ho appena finito… ora me ne vado a casina», disse con un’espressione da gatta soddisfatta.
Lui non esitò:
«In realtà Giorgia… vorrei parlarti di una cosa. Mi dedichi cinque minuti, appena hai finito?»
Eccola, la scusa. Lei la colse al volo.
«Ma certo Gianni! Posso forse dire di no al mio capo?» rispose, con un tono malizioso appena accennato.
Ormai era fatta. Entrambi sapevano perfettamente come sarebbe andata a finire.
Consapevole, si recò al piano di sotto, nell’ufficio di lui, con la borsa in spalla, pronta per tornare a casa.
«Mi volevi dire qualcosa?» chiese, sfoggiando lo sguardo più ammaliante che aveva.
«Sì, volevo un tuo parere su un problema che si ripete spesso», rispose lui, alzandosi lentamente dalla sedia e avvicinandosi con passo calmo.
Lei abbassò lo sguardo, istintivamente, verso la sua patta.
Un gesto rapido, involontario — ma eloquente.
Lui colse subito il segnale. Non poteva sperare di meglio.
«Dai, siediti un secondo…» disse, prendendole la borsa con naturalezza e posandola sulla scrivania, «…sono solo cinque minuti. Ma almeno, mettiamoci comodi.»
Giorgia si accomodò lentamente, con una lentezza studiata, mentre Gianni si appoggiava al bordo della scrivania, proprio davanti a lei.
La posizione era invitante, e l’evidenza sotto i suoi pantaloni non lasciava spazio all’immaginazione.
Lei faceva fatica a seguire il filo delle sue parole. Le frasi le arrivavano ovattate, come da lontano. Un rumore di fondo nel vortice dei suoi pensieri.
«Mi stai ascoltando?» chiese lui, interrompandosi.
«Accidenti…» pensò lei. «E ora che gli dico?»
«Sì, certo… anzi, è un tema importante quello che stai toccando», rispose, abbozzando un sorriso. «È solo che… sono davvero molto stanca, e adesso faccio fatica a concentrarmi sul lavoro.»
Gianni la fissò con un mezzo sorriso.
«Capisco. Forse, in questo momento, preferiresti concentrarti su… qualcos’altro.»
Mentre pronunciava quelle parole, si slacciò i pantaloni con naturalezza.
Il suo sesso emerse, già teso, vibrante, pronto a liberare tutta la tensione repressa.
Lei non distolse lo sguardo.
Sorrise, senza fretta.
«Beh… come argomento, è sicuramente interessante», sussurrò.
Le sue mani si mossero lente, precise, raggiungendolo.
Lo sfiorò prima con delicatezza, poi con una presa più ferma, carica di desiderio.
Iniziò a muoversi con ritmo controllato, quasi studiato.
Lui chiuse gli occhi, lasciandosi andare a un’espressione di puro piacere.
Muoveva le mani come se stessero adorando il suo sesso, con una devozione quasi sacra, mentre gli occhi restavano fissi sul volto di lui, che esprimeva tutto il piacere che quelle carezze gli stavano provocando.
Un lieve sussurro sfuggì dalle sue labbra.
«Bravissima…»
Fu come un segnale. Lei si avvicinò al glande con le labbra, lo sfiorò con un timido bacio, poi fece scivolare la lingua lungo tutta l’asta, dalla punta fino alla base.
Arrivata lì, cominciò a leccargli dolcemente lo scroto, prendendo uno dei testicoli tra le labbra e succhiandolo piano, con una tenerezza sorprendentemente erotica.
Pochi istanti dopo tornò a risalire, leccandolo tutto, fino alla punta.
Poi, con le labbra ben aperte, lo fece scivolare in profondità nella gola, con un movimento lento ma deciso.
I suoi mugolii erano per lei una ricompensa. Le davano soddisfazione e insieme accendevano il suo desiderio.
Era bagnatissima.
Avrebbe voluto sbattergli in faccia il suo sesso grondante, mostrargli quanto fosse eccitata… ma sapeva che non era ancora il momento.
Continuò, con movimenti fluidi di testa, di corpo, di anima, donandogli tutto il piacere possibile.
Sentì le mani di lui posarsi sulla sua testa. Prima si erano limitate a seguirne i movimenti, ora sembravano volerli guidare, con dolcezza.
I gemiti si facevano più insistenti, e anche lei provava un brivido profondo nell’ascoltarli.
Sentiva il membro pulsare tra le labbra… e poi, all’improvviso, un getto caldo le riempì la bocca.
Rimase ferma, con il sesso di lui affondato fino in fondo nella gola, e inghiottì ogni goccia di quel piacere che lui le stava offrendo.
«Fantastica…» sussurrò lui.
«Mi fa piacere ti sia piaciuto» rispose lei, rialzandosi e afferrando la borsa.
«Ora direi che posso andare a casa. Il mio dovere qui è terminato», aggiunse con un sorriso ironico.
Si avviò verso la porta.
«Ci vediamo domani.»
La chiuse dietro di sé, non prima di aver lanciato un bacio con la mano verso di lui, che era rimasto lì, con i pantaloni ancora sbottonati, il sesso rilassato e la bocca spalancata, travolto dalla spavalderia con cui lei aveva concluso quel momento.
Quella notte, nel suo letto, i pensieri non le diedero tregua.
Il ricordo era vivido, la sensazione ancora pulsante.
Si sentiva eccitata, viva, ancora immersa nella carica erotica di quelle ore.
Il calore nel basso ventre diventava sempre più insistente, i suoi umori si facevano presenti, reclamavano attenzione.
Le dita raggiunsero il clitoride e iniziarono a sfiorarlo con delicatezza, accendendo il desiderio.
Non riuscì a resistere.
Prese il cuscino da dietro la testa e lo infilò tra le cosce, facendolo aderire perfettamente al suo sesso.
Iniziò un movimento lento, sensuale, continuo.
Nella sua testa, l’immagine di lui sopra di lei, che la penetrava a fondo, la travolse.
L’orgasmo, tanto agognato, non tardò ad arrivare.
Si addormentò così, con il cuscino stretto tra le gambe, la mente svuotata, il corpo rilassato, il cuore sereno.
Per lui le cose non andarono tanto diversamente.
Anche lui, quella sera, si ritrovò a rivivere ogni istante.
Si masturbò, ovviamente, ripensando alla bocca di lei, a come si era dedicata a dargli piacere con passione, naturalezza, devozione.
Ma dovette farlo di nascosto.
Aspettò che la moglie si addormentasse.
Aspettò che il figlio smettesse di muoversi nella stanza accanto.
Poi si chiuse in bagno, in silenzio.
Lo fece in fretta, trattenendo ogni suono.
Venendo in pochi minuti, col fiato spezzato.
Si lavò, tornò a letto, accanto alla moglie.
Chiuse gli occhi, ma il sonno non arrivò.
Il senso di colpa, invece, sì.

Dopo una notte insonne passata a pensare a lei, il senso di colpa svanì alle prime luci dell’alba. Durante la corsa mattutina aveva già escogitato tutto ciò che doveva accadere.
In ufficio, tutto scorreva come sempre. Forse qualche sorriso in più rivolto a lei, ma nulla di così evidente agli occhi degli altri.
La sera sembrò arrivare in fretta. Lui guardò nel parcheggio e vide solo le loro due macchine. Salì nell’open space dove si trovava la postazione di lei.
«Anche questa sera ti attardi? Posso sapere a quale progetto stai lavorando che richiede così tanto impegno?» disse, con un tono che lasciava intuire altro.
«Buonasera! Sto lavorando a un progetto molto importante… direi anche molto interessante, se andrà in porto» rispose lei, guardandolo con occhi da gatta.
Lui intuì che quel progetto portava il suo nome. Si avvicinò deciso. «Permetti?» disse, sollevandola delicatamente dalla sedia e conducendola al lungo bancone accanto alla postazione. Si trovarono uno di fronte all’altra, il respiro carico di intensità, il cuore accelerato. Si guardarono negli occhi e si baciarono. Prima solo le labbra, poi le lingue si intrecciarono in un bacio appassionato, che non fece altro che aumentare l’eccitazione che già c’era fra loro.
La prese e la fece sedere sul bancone. Con delicatezza slacciò i bottoni della camicetta di seta decorata che lei indossava con una disinvoltura disarmante. Il seno, ancora stretto nel reggiseno, si offriva a lui. Non resistette: lo sfiorò con le labbra, dolcemente. Poi le tolse camicetta e reggiseno, lasciandola a torso nudo. Si scostò un attimo, solo per ammirarla. «Sei stupenda» sussurrò, prima di abbassarsi e prendere tra le labbra i suoi capezzoli.
Sentiva la mano di lei stringere dolcemente la sua nuca, mentre i mugolii si facevano sempre più intensi. Si dedicò a quel seno con passione, facendo salire in lei un desiderio che sembrava farsi materia nell’aria.
Continuando a succhiarle i capezzoli, sfiorò con le dita la cintura dei pantaloni di lei. In pochi secondi riuscì ad aprirla e sfilarglieli via. Con la lingua percorse il ventre, mentre la aiutava a sdraiarsi leggermente, spingendola delicatamente oltre il bordo del bancone.
Scostò le mutandine e affondò le labbra nel suo sesso. La stava mangiando come se non ci fosse un domani. I gemiti di lei erano musica, e lui li seguiva con crescente foga. Finché lei non ebbe un orgasmo intenso, vibrante, che gli esplose in bocca. «Ora tocca a te bere» disse lei, mentre i suoi umori colavano copiosi.
Dopo quell’attimo sospeso, in cui entrambi rimasero senza fiato, lui si alzò, si ricompose e sorrise: «Ottimo. Per oggi il mio dovere l’ho fatto. Posso tornare a casa!»
Rientrò nel suo ufficio e ne uscì solo dopo aver visto la macchina di lei lasciare il parcheggio.
Nei giorni seguenti, il lavoro fece in modo che non riuscissero a trovarsi, ma indubbiamente si pensavano. Si chiamavano dal telefono dell’ufficio con ogni scusa possibile, stando però attenti a non destare sospetti, anche se forse qualcuno aveva già intuito qualcosa.
Finalmente arrivò la fine della settimana lavorativa e, come al solito, entrambi si attardarono. Nel parcheggio lei vide l’auto di lui e, fingendo di aver sbagliato stampante, scese al piano di sotto. Mentre recuperava la stampa, lo vide. Era palese che non stesse facendo praticamente nulla. La guardava. L’aspettava.
Entrò nel suo ufficio. Non ci fu neanche il tempo di salutarsi: lui la prese e la baciò, un bacio passionale, di quelli che ti lasciano senza fiato. Si lasciò sfuggire un “Finalmente!”
Stupita, lei rispose con tono sarcastico:
— Non vorrai mica dirmi che ti sono mancata?
— Beh… dire che mi sei mancata è poco. Diciamo che avevo una voglia tremenda di te…
Così dicendo, la sollevò e la fece sedere sulla scrivania. Si baciarono ancora. Lei non ci pensò due volte: colta dall’enfasi di lui, gli slacciò la cintura, aprì i pantaloni e glieli abbassò, liberando il sesso, già quasi completamente eretto. Si inginocchiò e, senza tanti preamboli, lo prese in bocca, succhiandolo come se fosse l’unica cosa che desiderasse in quel momento.
— Mio Dio… che bocca… — sussurrò lui in un mugolio di piacere.
Poi le prese la testa e, non senza fatica, la fece staccare dal suo membro. La osservò con la bocca ancora aperta, la lingua lucida di saliva che colava lenta… una scena eccitante al limite dell’immaginabile. La fece sdraiare sulla scrivania, le alzò la gonna e le scostò l’intimo, tirandolo dietro il sedere.
La guardò negli occhi.
— Ho voglia di scoparti.
Senza attendere risposta, la penetrò in un colpo solo, fino in fondo. Lei gemette, quasi roteando gli occhi.
— Mio Dio… Sììì!
— Muoviti… ti prego… scopami… — lo incitava, ansimando. E lui non se lo fece ripetere. Cominciò a pomparla con un ritmo crescente, sentendo gli schizzi del piacere umido ad ogni colpo, sempre più forti, sempre più frequenti. Quanto gli piaceva vedere lo sguardo di lei, mentre godeva, mentre si lasciava scopare da lui.
— Non ti fermare! Spingiti… più forte!
Lo incitò fino a esplodere in un orgasmo che le fece sprizzare il piacere fino al viso di lui. Ancora in preda agli spasmi, la fece inginocchiare, le ficcò di nuovo il membro in bocca e le scopò la bocca fino a venire, riempiendole la bocca calda, che non poté far altro che inghiottire fino all’ultima goccia.
Avevano rotto il ghiaccio, se così si può dire.
Entrambi avevano la netta sensazione di non poter più tornare indietro.
Il giorno seguente non riuscirono a vedersi: lui doveva andare in visita da un fornitore insieme al capo.
Lei, rimasta sola in ufficio, non poté fare a meno di chiedersi se, durante il viaggio, lui stesse parlando con il capo di quello che facevano quando l’azienda era vuota.
Il pensiero la travolse: se anche il capo fosse coinvolto, cosa sarebbe successo? Dopotutto, non era nemmeno così male.
Un brivido le percorse la schiena e non resistette a lungo. Si alzò, si chiuse in bagno e si lasciò andare. Le bastarono pochi istanti: l’eccitazione era già alle stelle e raggiunse un orgasmo rapido, intenso, liberatorio.
Nel frattempo, in macchina, Gianni stava effettivamente parlando di lei.
«Beh… mettiamola così: secondo me domani potrebbe essere pronta per affrontare il discorso in modo più serio!» disse, con un mezzo sorriso.
«Davvero?!» rispose Luca, sorpreso. «Non pensavo ci mettesse così poco… Allora è vero quello che si dice in paese su di lei: ha sempre voglia di divertirsi! Ottimo! Magari domani accertati che sia pronta; poi avvisami, così organizziamo.»

Gianni sospirò e disse a Luca:
«Beh… sarà un duro lavoro. Ci vuole un po’ di preparazione, se non vogliamo rischiare incidenti. Magari trovo qualche scusa… vediamo se mi invento qualcosa.»
«Sono sicuro che qualcosa ti verrà in mente Gianni!» rispose Luca ridendo.
La mattina seguente Giorgia fece in modo di incontrare Gianni alla macchinetta del caffè, solo per poterlo guardare negli occhi.
Lui la fissò e quello sguardo la fece sentire nuda.
«Senti,» disse lui, «avrei bisogno che mi accompagnassi a una fiera a Roma. Che ne dici?»
«Roma? Wow! Non c’era qualcosa di più vicino?» replicò lei con sarcasmo. Poi aggiunse: «Certo che ti seguo.»
«Ci sarà da dormire fuori almeno una notte,» precisò lui. «L’evento è tra due settimane. Hai impegni?»
«Controllo l’agenda e ti faccio sapere, ma penso di riuscire a liberarmi.»
La giornata proseguì tra riunioni, mail e telefonate. Ma nella mente di entrambi c’era solo un pensiero: quella notte a Roma.
La sera, a uffici ormai chiusi, Giorgia era già in macchina quando compose il numero di Gianni.
«Pronto?» rispose lui, sorpreso.
«Posso stare fuori a dormire fra due settimane.» Riagganciò subito dopo.
Partì dal parcheggio e si diresse verso casa del fidanzato. Aveva bisogno di qualcosa di più stabile, più vero.
Raggiunto il fidanzato, si scambiarono racconti sui giorni appena trascorsi, finché lui propose:
«Fra due settimane potrei prendere qualche giorno di permesso. Che ne dici se andiamo in Grecia un paio di giorni?»
Lei si sentì crollare. Avrebbe voluto dire di sì, ma l’impegno era già preso. Sapeva cosa sarebbe successo a Roma e non voleva tirarsi indietro: in fondo, lo faceva anche per la carriera.
«Mi dispiace… ma proprio oggi al lavoro mi hanno chiesto di essere a Roma fra due settimane. Ci sarà da stare fuori una notte. Non sapevo di questa tua idea e… insomma…»
Lui la interruppe:
«Tranquilla, non importa. Era solo una prova. Non volevo davvero andare in Grecia. Volevo solo capire quanto contavo per te. Me lo hai dimostrato. Puoi anche tornare a casa tua e cancellare il mio numero.»
Lei lo fissò incredula.
«Ma… non stai parlando sul serio… non è possibile.»
«Certo che sono serio! È finita! Non ti voglio più vedere.»
La spinse fuori di casa.
Ora era sola. Nessuno sembrava poterla consolare.
O forse qualcuno c’era, Federico. Ma chiamarlo a quell’ora era fuori luogo: era sposato, con figli. Sarebbe stato inopportuno. Decise di mandargli un messaggio, chiedendo di sentirsi: almeno così avrebbe evitato problemi.
Lui rispose con una telefonata. Dopo poche parole, lei si sentì più calma.
Sapeva che Federico avrebbe saputo farla stare meglio in fretta.
Le due settimane trascorsero in fretta. Così, quella mattina, Giorgia si ritrovò in treno con Gianni, diretta a Roma. Diretta verso quella notte che aveva atteso con desiderio e curiosità.
Appena arrivati in città si recarono subito al quartiere fieristico. La giornata fu intensa: trattative, strette di mano, sorrisi di circostanza, discussioni con clienti e fornitori. Il tempo passò veloce, e quando finalmente rientrarono in albergo per la cena, lei scoprì che la stanza prenotata era una matrimoniale. Non ne fu sorpresa: se lo aspettava.
Dopo cena salirono in camera. Lei si preparò a quello che pensava sarebbe stato un approccio immediato: immaginava che lui non avrebbe perso tempo, che l’avrebbe desiderata come lei desiderava lui. Dopo tutto, erano due settimane che fantasticava su quel momento.
Ma lui non si gettò subito su di lei. Con calma, le porse un bicchiere d’acqua.
«Hai sete?» chiese con voce bassa.
Lei prese il bicchiere e bevve. Avvertì una strana sensazione di oleoso in bocca, ma non ci fece caso. Il suo sguardo era già catturato da lui, che apriva una bottiglia di Champagne ordinata in camera. Sul tavolo, un piatto di fragole sembrava invitarla.
In pochi secondi lui le porse un flûte colmo e una fragola.
Lei addentò il frutto direttamente dalle sue dita, facendo scivolare lentamente la lingua sulla pelle, indugiando con malizia. Poi prese il calice e bevve tutto d’un fiato.
«Wow… sei un portento!» disse lui, divertito e intrigato.
Non sapeva come, ma all’improvviso fu colta da un bisogno urgente di andare in bagno.
«Scusami! Ma devo proprio andare in bagno, subito!» disse trafelata.
«Tranquilla, non ti trattengo!» rispose lui con un sorriso divertito.
Appena Giorgia entrò in bagno, Gianni prese il cellulare, aprì la chat con Luca e scrisse:
“Iniziata la prova. Ad esito certo comunico.”
Poi chiuse il telefono, aprì la valigia e prese un plug, che nascose sotto il cuscino insieme a una bottiglietta di lubrificante.
Quando Giorgia uscì dal bagno, aveva ancora un’aria sorpresa.
«Scusami, non so perché… ho avuto quella necessità impellente.»
«Tranquilla,» disse lui, afferrandola per i fianchi, «posso aspettare ancora, se vuoi… o, se preferisci, posso non farti attendere oltre.»
«Non ti azzardare a tergiversare,» rispose lei, afferrandolo per il collo e baciandolo con avidità.
In un attimo erano nudi, avvinghiati in baci appassionati, i corpi che si sfioravano e si strusciavano sul letto, mentre il desiderio di possedersi cresceva di attimo in attimo. Non capì come si ritrovò sdraiata sulle cosce di lui, con il sedere rivolto all’insù, mentre lui sedeva sul bordo del letto. Lei cercò di voltarsi per cambiare posizione, ma sentendo le sue braccia irrigidirsi si fermò.
«Vuoi sculacciarmi come una bimba? Sono stata così cattiva?» chiese con voce fanciullesca e ironica, ma carica di voglia.
Lui non se lo fece ripetere due volte: le assestò uno schiaffo deciso sulle natiche, colpendo di striscio anche la sua intimità. Lei gemette, sorpresa da un misto di piacere, dolore e paura, ma il suo corpo chiedeva che continuasse.
Invece lui cominciò a massaggiarle l’ano con la punta del pollice, esplorandola con calma; i gemiti di lei gli fecero capire che poteva osare di più. Dopo poco prese un po’ di lubrificante, lo stese delicatamente attorno e dentro quell’orifizio sensibile. Lei si sentiva bagnata, ma non ci fece caso, credendo fosse saliva: d’altronde era sdraiata e non aveva modo né di vedere, né di difendersi.
Dopo poco, lei sentì qualcosa tentare di penetrarle l’ano. Era freddo, metallico… non riusciva a capire cosa fosse. Cercò di voltarsi, ma lui la bloccò con un sussurro deciso:
«Fermati. Ora rilassati… e accoglilo.»
Le sue parole, accompagnate da baci leggeri lungo la schiena, la convinsero a lasciarsi andare. Così, seguendo il volere di lui, accolse quel plug dentro di sé. Una nuova sensazione la attraversò, intensa e sconosciuta, e un gemito di piacere le sfuggì dalle labbra.
Percepiva quell’oggetto saldo e ben inserito: le pareti del suo corpo ne avvertivano la forma e intuiva che non sarebbe uscito facilmente, non con una semplice spinta. Avvertiva anche una sorta di piccolo ciondolo tra le natiche, che sembrava fatto apposta per afferrare l’arnese.
Quando lui la lasciò, lei si alzò in piedi e, curiosa, si avvicinò allo specchio. Si mise di spalle, provò ad allargarsi le chiappe e vide riflesso un piccolo dischetto rosa, tempestato di brillantini, che brillava tra le sue forme.
«Vuoi vederlo meglio?» le chiese lui.
«Sì…» rispose lei, ansimante.
Lui si avvicinò, le afferrò i fianchi e la piegò in avanti, aprendole delicatamente le natiche. Scattò una foto con il cellulare, gliela mostrò sorridendo:
«Ecco… vedi? Ora brilli anche lì dietro.»
Le sue parole furono seguite da un bacio audace, quasi irriverente, che la fece tremare di desiderio.
La spinse sul letto e, afferrandole le gambe, gliele sollevò e divaricò con decisione. Si gettò sulla sua intimità, baciandola e succhiando il clitoride con ardore, passione e tutta la fame di desiderio che provava in quel momento. Lei, travolta da quella carica, godeva come non aveva mai goduto prima: sentiva il calore della sua lingua insistente e il piacere che si diffondeva ovunque.
Il suo corpo reagiva, stringendosi spasmodicamente nel tentativo di amplificare il piacere, mentre i primi umori iniziavano a colare, accolti da lui con avidità. Quando sentì l’orgasmo avvicinarsi, lei lo prese per i capelli e gli sollevò la testa: i loro sguardi si incontrarono per un istante, il suo pieno di fuoco e desiderio, quello di lui sorpreso e rapito.
«Fattelo prendere in bocca. Ora!» sussurrò lei, con una voce quasi animalesca.
Si sollevò a sedere, afferrò il suo membro teso con una mano e cominciò a masturbarlo lentamente, mentre lo guardava con occhi ardenti. Poi, senza esitazione, se lo infilò in bocca tutto d’un colpo, fino in fondo, iniziando a muovere le labbra e la lingua con decisione.
Sentiva l’eccitazione di lui crescere a ogni istante. I movimenti del suo bacino e quelli della sua bocca sembravano fondersi in un ritmo naturale, armonioso, finché lui non le afferrò il capo con entrambe le mani, iniziando a spingersi con più decisione. La stava letteralmente scopando in bocca.
L’eccitazione di lei era così forte che, mentre lui la dominava con quei movimenti, si sfiorava il sesso con due dita, premendo con più decisione sul clitoride. I loro gemiti si intrecciavano in una sinfonia animalesca, passionale, priva di freni. Non riuscì a resistere: cedette al desiderio di penetrarsi con le dita, mentre lui continuava a spingerle il membro sempre più a fondo, fino a sfiorarle l’ugola e a toglierle quasi il respiro.
Non poteva gemere come avrebbe voluto: la bocca era occupata, ma gli ansimi che le sfuggivano erano udibili, eccitanti, e come lui aveva previsto, quei colpi profondi le provocarono dei conati, facendola tossire e arrossire, le guance accese e gli occhi lucidi di desiderio. Ogni colpo di tosse portava fiotti di saliva che colavano sul seno, sulle cosce, scivolavano sul membro di lui, rendendolo ancor più scivoloso e teso.
Ormai era vicino al culmine. Si fermò un attimo, poi affondò ancora di più nella sua gola. Lei sentì di soffocare. Con uno scatto improvviso, lui si ritrasse: un colpo di tosse più violento fece colare a terra abbondante saliva.
Lei, ansimante, gli occhi lucidi e il respiro affannato, si riprese a fatica da quello spasmo e, ancora tremante di eccitazione, sussurrò con decisione:
«Prendimi. Ora.»
Non ci fu bisogno di altre parole: era scontata la sua reazione, soprattutto quando la vide sdraiarsi con le gambe spalancate, il sesso pulsante, già quasi dischiuso dall’eccitazione.
Spinse il membro teso, lucido di saliva, dentro la sua intimità. All’inizio lo fece lentamente, quasi con cautela, come se entrambi dovessero adattarsi a quell’unione. Lui percepiva chiaramente la presenza del plug, e quella sensazione proibita lo eccitava ancora di più… così come eccitava lei.
A poco a poco accelerò i movimenti, sempre più profondi, godendo di ogni millimetro della sua carne che lo stringeva, lo avvolgeva, lo tratteneva. Lei, a sua volta, sentiva le pareti della propria intimità spalancarsi e accoglierlo, tese e colme di piacere, mentre il plug le regalava un senso di pienezza travolgente.
Gemiti sempre più intensi si intrecciavano nell’aria: erano persi l’uno nell’altra, rapiti da una passione incontrollabile, finalmente liberi di lasciarsi andare come forse avevano sempre desiderato.
Lei percepiva il piacere crescere a ondate, sentiva il suo ventre pulsare, il suo sesso più turgido e sensibile che mai. Ma c’era qualcosa che la tratteneva dal lasciarsi andare completamente: il plug, se da un lato amplificava le sensazioni, dall’altro sembrava trattenere il suo orgasmo, renderlo più urgente, più feroce… e ogni secondo di attesa lo rendeva quasi insopportabile.
Un gemito roco gli sfuggì dalle labbra, quasi un grugnito animale, mentre si fermava spingendo il suo membro ancora più a fondo e lasciando esplodere l’orgasmo dentro di lei. La vibrazione del suo corpo, il calore del seme che la riempiva, non fecero che accendere ancor di più il desiderio feroce che pulsava tra le cosce di lei, spingendola sull’orlo del piacere.
Ripreso a fatica dal proprio orgasmo, lui si sfilò lentamente, assaporando ogni istante di quel contatto che si interrompeva. Lei lo fissò negli occhi, gli occhi lucidi di desiderio e disperazione, e con voce rotta implorò:
«Togli quel coso dal mio culo… ti prego! Voglio venire anch’io!»
Non avrebbe potuto offrirgli supplica più dolce. Un ghigno sadico gli incurvò le labbra mentre rispondeva con tono basso e deciso:
«Non è ancora il momento.»
La afferrò con fermezza, la fece sedere sul bordo del letto e, senza pietà, le spinse di nuovo il membro tra le labbra. Lei comprese all’istante di non avere scelta: se avesse voluto raggiungere il tanto agognato orgasmo, avrebbe dovuto arrendersi ai suoi desideri, qualsiasi essi fossero.
Si impegnò con tutte le sue forze a gustare quel membro che le riempiva la gola: doveva portarlo all’orgasmo il prima possibile, perché il desiderio che la divorava diventava insostenibile. Al culmine dei suoi sforzi, lui le bloccò la testa e sfilò il membro dalla sua bocca. Lei lo vide, lucido di saliva, ancora più turgido e possente di prima, quasi più grande.
Con un gesto deciso, lui la fece girare, ritrovandola a pancia in giù, il bacino alto e offerto. Lei sentì che afferrava il pomolo del plug e un fremito di soddisfazione la attraversò: finalmente, pensava, avrebbe potuto essere penetrata e trovare il proprio orgasmo tanto atteso.
Quando lui tolse il plug, iniziò a massaggiarle l’ano con il pollice, che ormai scivolava facilmente dentro di lei. Ogni sua incursione la faceva gemere piano, un piacere nuovo che si mescolava a una dolce tensione. In pochi istanti lui si posizionò sopra di lei, il petto che premeva contro la sua schiena, e il sesso puntato esattamente contro il suo ingresso più segreto.
«Come prima,» le sussurrò all’orecchio, «non resistergli… ti farai solo male.»
Le stampò due, tre baci caldi sulla schiena e poi si raddrizzò. Dal suo punto di vista vedeva le curve perfette di lei, il suo corpo offerto, l’ano leggermente dischiuso che lo invitava. Con decisione, ma senza brutalità, puntò il membro e spinse lentamente. Lei lo sentì allargarla sempre di più: il primo affondo le strappò un urlo di dolore, subito seguito da un piacere crescente che, in pochi secondi, cancellò ogni resistenza.
Si fermarono un attimo per adattarsi, poi lui cominciò a muovere il bacino, dapprima lentamente, aumentando via via ritmo e profondità. Più lei gemeva, più lui sentiva la necessità di spingerla oltre, più forte, più veloce. Lei aveva il volto schiacciato contro le lenzuola, la bocca aperta per il piacere, il corpo completamente abbandonato: godeva di quella sensazione come mai prima d’ora.
Un suo movimento, impercettibile ma deciso, fece sì che il piacere che le montava dentro esplodesse. L’orgasmo la travolse, sconquassandole il corpo da cima a fondo: ogni fibra tremava, ogni respiro era un gemito spezzato. Quella reazione fu la scintilla che portò anche lui a cedere, venendo dentro di lei, esattamente in fondo al suo ano.
Si lasciarono cadere a terra, sfiniti, esausti, appagati. Lui riuscì a sollevarla, ad adagiarla sul letto e sdraiarsi al suo fianco. Lei cercò il suo petto con la testa, tuffandosi tra le sue braccia. Lui non poté negarle le coccole: la strinse e la tenne così finché lei, spossata, si addormentò sul suo torace. Con delicatezza la accompagnò sul cuscino, trovandole una posizione comoda che lei approvò inconsciamente, muovendosi nel sonno.
Allora Gianni si alzò, prese il telefono e aprì una foto scattata poco prima: Giorgia, nuda, con il plug ancora inserito. Con un sorriso compiaciuto, premette “condividi”, selezionò la chat con Luca e scrisse in descrizione:
«Missione compiuta.»
Pochi secondi dopo arrivò la risposta:
«Non avevo dubbi! Al vostro rientro, organizziamo.»
Nei giorni seguenti, tornata in azienda, lei notò che anche Luca, di tanto in tanto, si attardava oltre l’orario di chiusura, il più delle volte per discutere con Gianni a porte chiuse nell’ufficio direzionale. Era curiosa di sapere cosa si dicessero e, la sera, sola nel suo letto, si lasciava andare alle fantasie, immaginando che parlassero di lei e di come l’avrebbero presa entrambi.
Un giorno Luca la chiamò in ufficio. Chiuse la porta alle sue spalle, e un brivido le percorse la schiena: per un attimo pensò che anche lui volesse, diciamo così, approfittare della situazione. Invece la invitò a sedersi sulla poltrona di fronte a lui.
«Ti ho chiamata Giorgia, perché ho bisogno che tu segua un progetto. Sarai con me e con il CEO, Gianni, con il quale so che già collabori, giusto?»
«Sì, sì» rispose lei, cercando di sembrare disinvolta.
Luca continuò: «Si tratta di una trattativa piuttosto delicata e serve una persona che conosca bene le strategie di marketing estere. E so che tu sei molto preparata in questo, giusto?»
«Sì, sì… sono solo un po’ arrugginita, magari mi confronterò spesso con lei!»
«Dammi pure del tu.»
Lei sorrise con malizia. «Perfetto… credo che dovrò confrontarmi spesso con… te!» disse, fissandolo con uno sguardo da gatta.
«Ottimo! Ti mando immediatamente le mail scambiate con il cliente, così potrai leggerle e farti un’idea della situazione.»
«Le leggerò subito, appena le ricevo.»
Uscì dall’ufficio di Luca sentendosi appagata e riconosciuta per la sua professionalità. Era fiera di sé e non vedeva l’ora di raccontarlo a Gianni; magari avrebbero festeggiato alla loro maniera, anche in macchina… Non le importava: aveva così tanta voglia di lui che le andava bene farlo ovunque, purché fosse con lui.
Si recò dritta nel suo ufficio e gli raccontò tutto quello che le aveva detto Luca, aspettandosi da lui un segno di approvazione. Invece, quasi freddo come un blocco di ghiaccio, Gianni disse:
«Lo sapevo già! Il capo mi aveva informato di tutto. Tranquilla, non è cambiato nulla! Ripeto: nulla è cambiato! Solo… ne ero già a conoscenza.»
Lei rimase sorpresa dalla sua reazione, ma quella ripetizione la fece intuire che forse, in quel momento, non poteva parlare liberamente. Così sorrise appena ed uscì, tornando alla sua postazione per leggere le mail del cliente estero.

In un momento di pausa, davanti alla macchinetta del caffè, Giorgia si ritrovò con Federico,. Non poté fare a meno di raccontargli quello che le era appena successo e le nuove sfide lavorative che la stavano assorbendo in quel periodo.
Quando finì di parlare, Federico commentò:
— Ah! Sei stata alla fiera di Roma con Gianni?
— Sì! Ed è stato bellissimo! Lavorativamente parlando, ovviamente!
— Certo, certo, ovviamente. E ora Luca, il capo, ti chiede di seguire una pratica di un cliente estero?
— Sì, beh… e allora? Che c’è di male? Sei geloso del mio momento di successo?
— Ma dai, Giorgia! Non mi conosci ancora? Sono felice per te! Solo che… mi sembra tutto un po’ strano, così di colpo. Senti, ti prego: tienimi aggiornato. Se dovessi aver bisogno, di qualunque aiuto, sai che puoi contare su di me. Però devi tenermi al corrente… e non dire nulla a Gianni e a Luca, ok?
— Davvero pensi che potrei avere bisogno d’aiuto? Se lo dici tu, significa che potrei correre dei rischi. Va bene, ti terrò aggiornato… anche se spero vivamente che tu ti stia sbagliando.
— Idem.
Dopo qualche giorno, arrivò la call con il cliente estero.
Nella sala riunioni direzionale, davanti allo schermo, c’erano Giorgia, Luca e Gianni. La discussione con il cliente fu intensa: si confrontarono, valutarono le proposte, misero a punto i dettagli. Giorgia traduceva, teneva il filo delle argomentazioni, interveniva con prontezza quando serviva chiarire o smussare le divergenze.
Il suo impegno e la sua astuzia non passarono inosservati: a un certo punto, il cliente si complimentò con Luca per avere al suo fianco risorse tanto valide. Quelle parole fecero volare Giorgia. Sentì dentro di sé un entusiasmo difficile da contenere: era la prima volta che riceveva un riconoscimento così netto, e per di più da un cliente internazionale.
La trattativa si chiuse nel migliore dei modi e la soddisfazione fu generale. Stavolta, però, il cliente volle essere ancora più esplicito: rivolgendosi direttamente a lei, si congratulò per la conduzione ammirevole della trattativa.
Non c’era quindi da sorprendersi se, a fine giornata, Gianni la chiamò nell’ufficio di Luca.
L’ufficio era ampio e curato nei dettagli. La scrivania direzionale, perfettamente ordinata, dominava la stanza. Poco distante, un tavolo con alcune sedie era il luogo in cui Luca preferiva accogliere gli ospiti per conversazioni più riservate. In un angolo, invece, si apriva uno spazio arredato a salotto: un divano in pelle bianca e due poltrone abbinate, eleganti nella loro sobrietà.
Sul tavolino basso, davanti al divano, troneggiava un cestello di ghiaccio con una bottiglia di Crémant e tre calici scintillanti. Giorgia comprese subito l’intento: volevano renderla partecipe di quel momento di celebrazione. Ne fu lusingata.
— Dobbiamo festeggiare qualcosa? — chiese, con un filo di emozione nella voce.
— Certamente! — rispose Luca, già intento ad aprire la bottiglia, mentre Gianni si avvicinava a chiudere la porta dell’ufficio.
Una delle pareti era interamente vetrata e dava sulla strada sottostante. Con le luci dell’ufficio accese, sembrava che i tre fossero quasi in bella mostra per chiunque passasse di lì.
Con i calici in mano fecero un brindisi alla conclusione della trattativa. Dopo il primo bicchiere, tra una chiacchiera e l’altra, ne seguì un secondo: il tutto in un clima conviviale, amichevole, fatto di interessi comuni ma anche di qualche divergenza.
A un certo punto Giorgia tentò di congedarsi:
«Bene, signori! Sono stata felice di festeggiare con voi il traguardo raggiunto, ma ora credo sia il caso che io vada a casa.»
«Ma come?» esclamò Luca, mentre Gianni, da dietro, le posò le mani sui fianchi. Stringendola a sé, inevitabilmente le fece percepire attraverso i vestiti la propria intenzione.
«Davvero vorresti andartene… così? Senza festeggiare degnamente?»
«Gianni, ti prego…» sussurrò Giorgia, con un lieve rossore sul viso per la piccola eccitazione provocata dal contatto fra le sue natiche e l’erezione di lui.
Gianni si avvicinò al suo collo; dopo averlo annusato con voluta lentezza, lo sfiorò con un bacio.
Un sussurro le raggiunse l’orecchio:
«Davvero credi che non sappia che avevi già previsto questa situazione? Davvero pensi che ti conosca così poco?»
“Ma come può sapere delle mie fantasie?” pensò Giorgia, cercando di divincolarsi.
«Ti stai sbagliando! Non c’è nessun pensiero del genere nella mia testa!» protestò a voce alta.
Gianni sorrise, stringendola con più decisione:
«Ah… non hai detto che ci pensavi, piccola. Quindi vuol dire che hai davvero immaginato questa situazione.»
Nel frattempo, Luca si avvicinò e, afferrandola frontalmente, la strinse a sé. I seni di Giorgia sfiorarono il suo petto, e lei avvertì il calore e la pressione di quel contatto.
Era presa fra i due: dietro, l’erezione di Gianni che pulsava contro le sue natiche e le riportava alla mente ricordi ancora vivi; davanti, il petto di Luca che comprimeva i suoi seni e lasciava intuire la sua eccitazione.
Giorgia si sentiva intrappolata, ma anche travolta. Sull’orlo di cedere, provava un senso di peccaminosa attrazione che non l’aveva mai scossa con tanta forza fino a quel momento.
Presa da quell’istinto irrefrenabile, Giorgia si voltò verso Gianni, cercando con avidità la sua bocca. Le labbra si incontrarono in un bacio febbrile, e quel contatto fu come premere un interruttore: dentro di lei esplose una voglia animalesca, un desiderio che non riusciva più a contenere. Subito dopo si girò verso Luca, e le sue labbra, ancora umide del primo bacio, si posarono sulle sue.
Si lasciarono cadere sul divano, lei stretta tra i due corpi. Le mani maschili non le davano tregua: percorrevano il suo corpo con frenesia, sfiorando, stringendo, accarezzando. Il tempo sembrava sospeso, e quando si accorse dei vestiti ormai spariti quasi del tutto, le rimanevano solo il reggiseno e le mutandine. Quattro mani la esploravano come se volessero scolpirla, darle nuova forma. Il calore delle loro dita scivolava sulla pelle, dal collo ai fianchi, dai seni alle cosce. Giorgia si sentiva preda e regina allo stesso tempo: a occhi chiusi, la testa che girava, si lasciava andare a gemiti brevi, incapace di trattenere il piacere.
All’improvviso Luca si staccò leggermente. Con un gesto rapido sbottonò i pantaloni, e il membro già gonfio scattò libero, pulsante di desiderio. Le sfiorò il viso con la punta, guidandole lo sguardo. Giorgia lo fissò: era bello, duro, vivo. Sapere che quell’erezione era tutta per lei le accese dentro un brivido di potere e di complicità.
Con un sorriso quasi malizioso si abbassò, inclinando il corpo sul divano. Le sue labbra si aprirono accogliendo lentamente il membro di Luca, che entrò nella sua bocca caldo e teso. Lei lo strinse con le labbra, lo accarezzò con la lingua, immergendosi in quell’atto con voluttà totale. Ogni suo movimento era un dono, un gioco di desiderio e piacere.
I gemiti soffocati di Luca le arrivavano come un premio: il respiro spezzato, le dita che si aggrappavano ai cuscini, il tremito delle cosce. Giorgia lo sentiva vibrare contro di sé, e questo la eccitava ancora di più. Allo stesso tempo, Gianni non si era fermato: da dietro continuava ad accarezzarla, infilando le mani sotto il tessuto sottile delle mutandine, sfiorandola dove il suo corpo ardeva di più.
Stretta tra le due fonti di piacere, Giorgia si sentiva trasportata oltre ogni freno, in un vortice in cui non esisteva più il pensiero, ma solo la carne, il desiderio e il ritmo dei loro respiri intrecciati.
La bocca di Giorgia continuava a scivolare sul membro di Luca, bagnandolo di calore e desiderio. Lui gemeva, accarezzandole i capelli e guidando appena i suoi movimenti, mentre il respiro si faceva sempre più corto.
Ma dietro di lei Gianni non era rimasto fermo: con mani esperte le aveva abbassato le mutandine fino alle ginocchia, liberandola finalmente. Le carezze si trasformarono in esplorazioni più intime, dita che aprivano varchi tra le sue pieghe calde e già umide, provocandole fremiti che la fecero quasi gemere con la bocca piena.
Poi Gianni si abbassò, scivolando tra le sue cosce. Con una naturalezza dominata solo dall’urgenza, si chinò sul suo sesso e lo baciò, come se fosse il centro stesso della sua sete. La lingua cominciò a muoversi rapida, decisa, disegnando cerchi e colpi improvvisi che la fecero sussultare.
Giorgia si ritrovò stretta in un doppio vortice: davanti la carne pulsante di Luca che continuava a succhiare con dedizione crescente, dietro la bocca di Gianni che la divorava senza tregua, come se non ci fosse un domani.
Ogni gemito di Luca, ogni affondo di Gianni, ogni suo respiro spezzato si intrecciavano in un’armonia animalesca. Giorgia non sapeva più distinguere dove finisse il piacere che dava e dove iniziasse quello che riceveva: era un tutt’uno, un fluire continuo che la stava portando sull’orlo di un abisso dolcissimo.
Luca si lasciò andare sul divano, allargando le gambe e accogliendo Giorgia tra le sue braccia. Lei lo guardò con gli occhi lucidi di desiderio, si sollevò appena e, guidando il suo membro teso, si calò lentamente su di lui. Il calore la invase tutta d’un colpo: un gemito profondo le sfuggì dalle labbra mentre sentiva Luca riempirla dentro, pulsante, vivo.
Con un ritmo naturale cominciò a muovere i fianchi, cavalcandolo con crescente intensità. Il piacere la faceva ansimare, la schiena arcuata, i seni che si sollevavano davanti agli occhi bramosi di Luca, le mani di lui che la stringevano ai fianchi per accompagnarne i movimenti.
In quel momento Gianni salì sul divano, in piedi accanto a loro, con il sesso già duro e gonfio che le offrì al viso. Giorgia sollevò lo sguardo, lo prese tra le mani e poi tra le labbra, iniziando a succhiarlo con la stessa foga con cui cavalcava Luca.
Era un intreccio perfetto: il corpo che si apriva a Luca, la bocca impegnata ad assaporare Gianni. Ogni spinta, ogni succhiata, ogni gemito la trascinava più giù, in una spirale di piacere che non lasciava spazio a nient’altro se non al desiderio.
Il divano scricchiolava sotto il ritmo, i respiri si confondevano, e Giorgia si sentiva ormai persa: regina e schiava allo stesso tempo, in balia di due uomini che la desideravano come se fosse l’unica donna al mondo.
Giorgia continuava a muoversi a cavalcioni su Luca, ogni affondo più profondo del precedente, i gemiti che si fondevano con i suoi. Il piacere la faceva tremare, ma non bastava: voleva di più, sentiva che il suo corpo chiedeva ancora.
Alle sue spalle, Gianni la osservava, eccitato dal movimento sinuoso dei suoi fianchi, dal modo in cui accoglieva Luca dentro di sé. Si inginocchiò dietro di lei, passò una mano lungo la sua schiena curva, poi lasciò che le sue dita scivolassero più in basso, tra le natiche. Con un tocco deciso ma attento, iniziò a prepararla, a farle sentire la sua intenzione.
Un brivido le corse lungo la spina dorsale. Si voltò leggermente, con gli occhi socchiusi e le labbra già arrossate dal piacere, e in quel gesto silenzioso c’era più consenso di mille parole.
Gianni si posizionò, puntando il proprio sesso alla sua entrata più stretta. Spinse lentamente, mentre Luca la teneva ben ferma sul suo membro già immerso a fondo. Giorgia gemette forte, un suono spezzato che mescolava sorpresa e godimento. Sentiva i due corpi dentro di lei, in perfetta sincronia, che la possedevano completamente.
Il ritmo si fece più serrato: davanti le spinte di Luca che la riempivano di calore, dietro le spinte di Gianni che la invadevano con forza crescente. Giorgia era colma in ogni parte, travolta da sensazioni che sfumavano nel proibito e nell’estasi.
I suoi gemiti erano ormai urla soffocate di piacere, il corpo scosso da brividi incontrollabili. Ogni movimento era un’onda che la portava sempre più vicina a un abisso irresistibile.
Insieme i due uomini mostravano una costanza quasi selvaggia, come se stessero gareggiando a chi sapesse farla godere di più. Il corpo di Giorgia era il campo di quella sfida, e lei non poteva fare altro che abbandonarsi, travolta da un piacere sempre più forte.
All’improvviso Gianni si staccò dalla sua posizione con un movimento brusco, provocandole un istante di vuoto e un lieve dolore sollevato subito da un brivido di mancanza. Si sedette accanto a loro, sul divano, il sesso ancora gonfio e pulsante, mentre Giorgia continuava a muoversi su Luca.
Quasi d’istinto, lei si piegò verso Gianni, cercando il suo membro con la bocca per donargli piacere. Ma in quel movimento perse la presa su Luca: il corpo scivolò in avanti, e in un attimo si ritrovò a cavalcioni su Gianni.
Il suo sesso, ancora caldo e aperto, accolse il membro duro quasi senza resistenza. Non ebbe il tempo di rendersene conto: Gianni era già dentro di lei, profondo, come se non aspettasse altro.
Giorgia lo guardò negli occhi, sorpresa e al tempo stesso eccitata, poi iniziò a muovere i fianchi con la stessa maestria con cui poco prima aveva cavalcato Luca. Ogni affondo era un atto di dominio e abbandono insieme, e Gianni gemette forte, afferrandola ai fianchi come se volesse fondersi con lei.
Luca si posizionò dietro di lei, chinandosi lentamente sulla sua schiena. Le sue labbra scivolarono lungo la curva della colonna vertebrale, lasciando dietro di sé una scia di brividi e promesse. Intanto il suo sesso turgido cercava l’entrata più stretta, già preparata dal lavoro di Gianni.
Giorgia rabbrividì. Sentiva la punta del membro di Luca premere contro di lei, insistente, pronta a possederla. Il contrasto tra la dolcezza dei baci sulla schiena e la tensione quasi minacciosa di quella penetrazione imminente la fece fremere tutta.
Poi Luca spinse. Un gemito profondo le sfuggì dalle labbra mentre il suo corpo veniva riempito ancora una volta. Il calore la invase, e la sensazione di essere posseduta così a fondo la fece tremare dalle fondamenta.
Ora i ruoli si erano invertiti: davanti c’era Gianni, immerso nella sua vagina calda e accogliente, che la stringeva con sguardo bramoso affondando con vigore; dietro, Luca la penetrava analmente con spinte sempre più decise, accompagnando ogni affondo con baci e morsi lungo la sua schiena arcuata.
Giorgia si ritrovò colma in ogni parte, compressa tra i due corpi che la possedevano in perfetta alternanza. Ogni movimento combinato la faceva sobbalzare, gemere, tremare. Sembrava che i loro ritmi si fossero accordati apposta per trascinarla verso un piacere totale, assoluto, che ormai la faceva fremere a un passo dal limite.
La sua voce esplose in un grido strozzato, piegata dall’intensità di quella doppia invasione. Davanti Gianni la penetrava con foga, dietro Luca la invadeva con forza crescente, alternando baci e spinte. Ogni affondo le scuoteva il corpo di scosse incontrollabili, come se il piacere fosse troppo per poterlo contenere.
Il ritmo dei due uomini si fece naturale, quasi sincronizzato: Gianni la stringeva al petto, affondando con potenza, mentre Luca la teneva curva sotto di sé, dominandola con colpi sempre più profondi. Giorgia gemeva senza più riuscire a trattenersi, il corpo travolto da onde continue, sospinta inesorabilmente verso l’orgasmo più intenso della sua vita.
Pochi istanti furono sufficienti a far esplodere l’orgasmo di Giorgia. Un’ondata travolgente la scosse da dentro, e il suo grido di piacere si riversò nelle orecchie di Gianni, che la stringeva a sé con foga. Lui cercò di mordicchiarle il collo, come a volerle donare ancora più piacere, ma Giorgia era ormai oltre ogni controllo: il suo corpo tremava convulsamente, le sensazioni l’avevano sopraffatta, e le sue reazioni erano guidate solo dall’istinto e dall’abbandono totale.
Quelle convulsioni furono troppo per entrambi: i due uomini non riuscirono più a trattenersi nella loro gara silenziosa. Gianni, stretto davanti a lei, gemette forte e affondò ancora, riversando dentro Giorgia il suo seme caldo e pulsante. Luca lo seguì a pochi istanti di distanza, spingendo a fondo mentre un’ondata altrettanto ardente la riempiva da dietro.
Giorgia si sentì invasa completamente, colma fino all’estremo. Il calore dei loro orgasmi mescolati dentro di lei amplificò le sue scosse, facendola urlare ancora mentre il piacere la travolgeva oltre ogni limite. I tre corpi rimasero uniti, avvinghiati, tremanti, sospesi in un abbandono totale che sembrava non voler finire.
Si abbandonarono così com’erano, sfiniti e appagati, i corpi ancora intrecciati dal piacere condiviso. Pochi istanti, giusto il tempo di riprendere fiato, e si ritrovarono seduti tutti e tre sul divano, come se fossero semplici spettatori di un film. Ma i due uomini non smisero di prendersi cura di Giorgia: la coccolarono, la baciarono delicatamente, carezzandole la pelle con gesti dolci e pieni di gratitudine.
Fu proprio quella tenerezza, inattesa e avvolgente, a risvegliare in lei un nuovo desiderio. Decise allora di restituire qualcosa ai suoi due compagni. Con un sorriso malizioso si inginocchiò davanti a loro, prese tra le mani i loro membri ancora flaccidi, provati dall’orgasmo appena vissuto, e iniziò a massaggiarli con delicatezza. Le sue carezze lente e adoranti, quasi un rito di devozione, fecero presto riaffiorare la risposta dei loro corpi.
In pochi istanti, Gianni e Luca si ritrovarono seduti fianco a fianco, gli occhi fissi su di lei, mentre i loro membri si ridestavano sotto quelle attenzioni. Giorgia alternava le mani alle labbra, passando da uno all’altro con la stessa dedizione, avvolgendoli con la bocca, la lingua, e donando a entrambi lo stesso tempo, la stessa intensità. La sua bocca era il centro di quel nuovo gioco, e i due uomini, sempre più eccitati, gemevano in perfetta armonia sotto il ritmo delle sue attenzioni.
Giorgia si muoveva con calma, senza fretta, come se ogni gesto fosse un dono. Le sue mani accarezzavano i loro membri con dolcezza, non per spingerli subito all’erezione, ma per cullare i loro corpi ancora sensibili. A tratti si chinava, sfiorandoli con le labbra, la lingua che disegnava piccoli cerchi sulla pelle calda, assaporandoli con devozione.
Gianni e Luca si scambiarono uno sguardo, entrambi rapiti da quella scena: più che un gioco erotico, sembrava un rito intimo, un atto di gratitudine e complicità. Seduti accanto, lasciavano che lei decidesse il ritmo, che orchestrasse il piacere secondo la propria volontà.
I gemiti che le sfuggivano non erano quelli del piacere estremo, ma note basse e morbide, piene di complicità. La stanza si riempì di respiri lenti, carezze discrete, baci delicati. Il desiderio era ancora lì, vivo, ma ora si era trasformato: non più una fiamma divorante, bensì un calore costante, avvolgente, che li teneva uniti e sospesi in una sensualità infinita.
Le mani e la bocca di Giorgia si muovevano in un’alternanza lenta, quasi ipnotica. Non cercava la fretta, ma la pienezza del gesto: carezzava, succhiava, assaporava, passando da Gianni a Luca con la stessa dedizione, come se volesse imprimere in loro la certezza di essere entrambi ugualmente desiderati.
I due uomini gemettero piano, lasciandosi andare a quel trattamento che cresceva d’intensità con naturalezza. Ogni volta che le sue labbra si stringevano attorno a un membro, l’altro veniva accarezzato dalla sua mano, senza che nessuno dei due fosse mai trascurato.
Giorgia sentiva il loro respiro farsi più pesante, il corpo irrigidirsi sotto la sua lingua. Decise allora di spingersi oltre: succhiò con più voracità, giocando con la lingua, alternando ritmo e pressione finché le spinte dei loro fianchi le fecero capire che erano ormai al limite.
Il piacere li travolse quasi insieme. Gianni gemette per primo, seguito da Luca: due getti caldi e abbondanti le colmarono la bocca, e lei li accolse con ingordigia, assaporando fino all’ultima goccia. Leccò, succhiò e ripulì entrambi con cura, come se quello fosse il suo modo di suggellare l’intimità appena vissuta.
Infine, si lasciò andare tra di loro, le labbra ancora umide, lo sguardo colmo di soddisfazione e complicità. Gianni e Luca la strinsero in un abbraccio, esausti e appagati, mentre la stanza si riempiva solo del suono dei loro respiri caldi e profondi.
Una volta ripresi, andarono in bagno a lavarsi e a rivestirsi. I primi a tornare in ufficio furono Luca e Gianni; poco dopo arrivò anche Giorgia, con la borsa già in mano.
«Direi che adesso posso davvero andare a casa!» disse con un sorriso appena accennato.
I due non aggiunsero altro: la salutarono con uno sguardo complice e la lasciarono scivolare via. Giorgia raggiunse il parcheggio, salì in macchina e partì. Ormai era buio, e dal riflesso dei vetri poté notare Luca e Gianni che, dall’ufficio, la osservavano uscire.
«Speriamo che nessuno che conosco sia passato di qui nell’ultima mezz’ora…» pensò tra sé, stringendo le mani sul volante, con un sorriso misto a soddisfazione e lieve inquietudine.
«Dai… andiamo a vedere cosa hanno ripreso le telecamere!» esclamò Luca con un lampo malizioso negli occhi. «Sono curioso di rivedere anche le immagini del drone, quello che avevamo piazzato fuori dalla finestra.»
Gianni, complice ma più teso, rispose: «Speriamo bene! Non riesco più a trattenere la mia compagna, sta diventando sempre più sospettosa…»
«Se le riprese sono buone come penso,» ribatté Luca con un ghigno, «non dovrai più fare straordinari qui in ufficio. Potrai dedicarti a lei senza pensieri. Non dirmi però che ti ha fatto schifo, eh!»
Gianni abbassò lo sguardo, esitò un istante e poi scrollò le spalle. «Schifo? Ma certo che no… anzi. Però, Luca, io non voglio rimetterci il privato per il lavoro.»
I due si sedettero davanti al computer, aprendo le cartelle delle registrazioni: le telecamere nascoste in ufficio e il drone che aveva sorvolato la finestra avevano catturato ogni dettaglio.
«Diamine,» sussurrò Luca sorseggiando la birra che Gianni aveva recuperato dal frigo-bar, «qui c’è abbastanza materiale di qualità da fare un montaggio perfetto. Una volta sistemato… sarà spettacolare.»
Nei giorni seguenti, Giorgia notò un atteggiamento diverso da parte di Gianni e Luca: meno caloroso, più distaccato del solito. Dentro di sé sperava che, dopo quella serata di “festeggiamenti”, almeno un po’ più di attenzione se la sarebbe meritata.
Così, con una scusa, si presentò nell’ufficio di Gianni. Dopo aver espletato le formalità lavorative, lo fissò negli occhi e gli disse, diretta:
«Che c’è?»
Lui la guardò con aria interrogativa, senza capire subito. Giorgia incalzò:
«Ti sto chiedendo cos’hai. Dopo quella sera, sia tu che Luca mi trattate quasi con sufficienza. Quindi voglio sapere: cosa c’è?»
«Nulla,» rispose Gianni, mantenendo un tono calmo. Poi aggiunse: «Non possiamo far nascere sospetti in azienda. La tua crescita professionale deve apparire legata solo ai tuoi meriti, non a simpatie personali. Tra noi sappiamo come stanno le cose, sappiamo che gli accordi sono… più favorevoli, ma all’esterno nessuno deve dubitare.»
Giorgia annuì, ma con una punta di ironia nella voce replicò:
«Ah, capisco. Molto bene. E quindi… quando la prossima “trattativa”?»
Un sorriso complice piegò le labbra di Gianni. «Presto, tranquilla. Dobbiamo chiudere un contratto importante con un cliente italiano. Quando sarà il momento, sarai avvisata per prepararti come si deve.»
«Ottimo. Ti ringrazio per le spiegazioni!» disse lei, con una scintilla negli occhi. Poi, avvicinandosi appena, mormorò con malizia:
«Magari, più tardi, potrò ringraziarti io… meglio.»
Uscita dall’ufficio di Gianni, Giorgia incontrò Federico alla macchinetta del caffè.
«E tu? Che ci fai qui? Non dovresti essere in visita dai clienti?» chiese lei con un sorriso, felice di vederlo.
«Sì… avrei dovuto. Ma ci sono pratiche più urgenti da gestire qui. Caffè?» rispose lui, invitandola a sedersi al tavolino.
«Ma sì, dai! Ci sono delle cose che devo dirti, devo aggiornarti, no?»
Federico rise piano: «Ah, vedi che ci sono cose più importanti dei clienti! Certo, sono tutto tuo. Dimmi pure.» E le porse il caffè.
Quando Giorgia ebbe terminato il suo racconto, Federico rimase in silenzio per un attimo, con lo sguardo perso. Poi, quasi di colpo, chiese:
«Sai il nome del cliente con cui stanno chiudendo il contratto?»
«No… Gianni non mi ha detto niente. Ma… perché? Che succede?» domandò lei, turbata dalla sua reazione.
Federico scosse la testa, rispondendo in fretta: «Niente… niente. Stavo solo cercando di prevedere… di capire. Tutto qui. Tranquilla! Ma mi raccomando: fai come se io non sapessi nulla. Tu non mi hai detto niente di questa storia.»
«Ok… perfetto. Ma… perché?» insistette lei.
Lui non rispose. Si alzò, le accarezzò il viso con un sorriso amaro e si diresse verso il suo ufficio. Giorgia lo seguì con lo sguardo, confusa, senza capire nulla.
Decise allora di tornare alla sua postazione, ma il turbamento non le dava tregua. Le colleghe notarono la sua aria preoccupata e le chiesero cosa avesse. Lei si strinse nelle spalle e tagliò corto:
«Nulla… nulla, tranquille! Sono solo più concentrata del solito.»
Nel frattempo, Gianni chiamò al telefono Luca.
«Pronto! Ciao! Il video è pronto per essere visionato? Dobbiamo chiudere con la casa farmaceutica, siamo già in ritardo.»
«Certo! Anche perché loro hanno già pubblicato il loro video e noi dobbiamo formulare la nostra offerta!» rispose Luca.
«Davvero hanno già pubblicato il video? Cavolo, siamo in ritardissimo allora!»
«Vieni su che discutiamo i termini, mentre impostiamo la nostra proposta.»
«Arrivo!»
Pochi minuti dopo, Gianni entrò nell’ufficio di Luca. Lui chiuse la porta a chiave, poi abbassò le tende elettriche con un tocco sul telecomando, in modo che dalla strada nessuno potesse vedere.
«Condivido lo schermo con la TV. Così vediamo il video un po’ più comodi» disse Luca, sedendosi al tavolo con il portatile.
Collegato al sito riservato, cliccò sul link. Sul grande schermo apparve la scena: una ragazza giovane, elegante, intenta a mostrare dei documenti a un signore piuttosto anziano.
«Cavoli! Se a quell’età è ancora in grado di gestire trattative simili… è molto più capace di me!» esclamò Gianni.
Luca rise. «Ti ci vedo a quell’età, però sai!» Poi aggiunse con tono malizioso: «Però… lei è davvero una bella ragazza.»
Indicando il video Luca specificò “lui è Augusto, il titolare; lei è Elena, la sua segretaria. Saranno circa due anni che gestiscono questo tipo di trattative.”
Il video proseguì: la ragazza si inginocchiava davanti all’uomo e iniziava a prendergli in bocca il membro con passione, per poi passare a posizioni sempre più spinte. L’anziano la prendeva con forza, quasi a punirla, ma nonostante la durezza lei sembrava gradire, partecipe, coinvolta anche negli atti più violenti.
Gianni si agitò sulla sedia. «Non le farà davvero così male, vero?»
Luca lo guardò fisso negli occhi e disse, senza esitazione: «I patti sono patti. Noi ci divertiamo a nostro modo con la sua ragazza… e lui si diverte a modo suo con la nostra.»
Un attimo di silenzio pesante riempì la stanza.
Poi Luca concluse, con tono secco: «Gianni, questi contratti si firmano così. Se vogliamo entrare in fornitura con loro, questo è il sistema.»
Finita la visione del video del cliente, ora toccava preparare la loro controproposta.
Luca si spostò sul sito ed entrò nel loro profilo riservato. In bozza c’era il loro video: quello girato nell’ufficio con Giorgia.
Lo avviarono, controllando ogni dettaglio con un’attenzione quasi maniacale. I loro volti, oscurati e pixelati in tutte le inquadrature; quello di Giorgia, invece, perfettamente riconoscibile. Erano quelle le regole non scritte per pubblicare i contenuti su quel sistema.
Il filmato scorreva. Gemiti, inquadrature ravvicinate, il corpo di Giorgia esposto senza difese. I due uomini rimasero in silenzio, quasi ipnotizzati dalle immagini, fino all’ultima scena.
«È pronto» dichiarò Luca, spegnendo lo schermo e fissando Gianni. «Convinto? Perché, se clicco invio, non si torna più indietro. Come stai, Gianni?»
Gianni si passò una mano tra i capelli, nervoso, lo sguardo perso. «Di merda, cazzo! Come vuoi che stia? Pubblica sto video e finiamola qui! Portiamoci a casa il contratto!»
Un secondo di esitazione. Poi Luca premette il tasto.
Sul monitor comparve la conferma: link inviato con successo.
«È fatta» sospirò Luca.
I due rimasero immobili, il battito accelerato. Dopo pochi secondi, arrivò la notifica: il cliente ha aperto il link. Visione in corso.
Era fatta. Troppo tardi per tornare indietro.


Nei giorni seguenti, Augusto e Elena si fecero vivi per definire gli accordi sul contratto. Non essendo lontani dalla loro sede, ci fu un primo incontro ufficiale. A quella riunione preserò parte ovviamente Augusto, Elena, Gianni, Luca e Giorgia stessa.
La discussione si protrasse a lungo, tanto che una sola riunione non bastò. Ce ne furono altre, ravvicinate, per limare ogni dettaglio. Giorgia partecipava sempre, attenta e professionale, ma non poté fare a meno di notare un dettaglio curioso: ad ogni incontro, Federico era presente in azienda.
Una volta, cogliendo l’occasione davanti alla macchinetta del caffè, Giorgia gli chiese:
«Ma come mai sei sempre qui quando ci sono queste riunioni? Non dovresti essere in giro per i clienti?»
Federico le restituì uno sguardo indecifrabile, poi sorrise.
«Sto solo monitorando la situazione…» fece una breve pausa, lasciando la frase sospesa, e aggiunse con tono più leggero: «…della mia zona. Da qui riesco meglio. E se mi serve qualche dato, le tue colleghe sono sempre molto disponibili.»
Giorgia rise, ma quella sospensione le rimase in testa come un’eco.
«Sai che potrei anche essere gelosa?» disse cercando di alleggerire l’atmosfera.
«Non ne hai motivo» replicò Federico con un sorriso appena accennato, troppo enigmatico per sembrare solo amichevole.
Circa una settimana dopo l’ultima riunione con il cliente, Luca convocò Giorgia nel suo ufficio. Quando lei arrivò, trovò Gianni già presente. Appena entrò, Gianni chiuse la porta dietro di sé.
Per Giorgia fu inevitabile un brivido: quella porta chiusa evocava l’ultima volta che erano rimasti tutti e tre lì dentro, in circostanze ben diverse.
Luca prese la parola con un tono formale ma carico di sottintesi.
«Giorgia, volevamo comunicarti che il cliente ha accettato la nostra proposta di contratto.»
«Ottimo!» rispose lei, aspettandosi un commento anche da Gianni, che invece rimase stranamente silenzioso.
Luca continuò:
«Adesso dobbiamo andare da loro per la firma ufficiale.»
«Va bene… mi devo confrontare con Elena per fissare un incontro in sede?» chiese Giorgia, facendo riferimento alla ragazza che compariva nel video del cliente.
«No, Giorgia» replicò Luca con un sorriso. «Abbiamo già organizzato tutto noi. In realtà volevamo chiederti se saresti disponibile per una cena, questo venerdì, in un hotel vicino alla loro sede.»
«Con così poco preavviso…» esitò lei, poi annuì. «Beh, sì, direi che sono disponibile.»
«Perfetto» concluse Luca, lanciando un’occhiata d’intesa a Gianni. «Allora venerdì, a cena, firmeremo il contratto.»
Quel venerdì mattina Giorgia arrivò in ufficio con un trolley al seguito: dentro, un cambio elegante per la cena e l’occorrente per il giorno dopo.
Nel primo pomeriggio era già seduta sul sedile posteriore dell’auto di Luca. Lui guidava, Gianni era al suo fianco. Durante il viaggio, discussero degli ultimissimi dettagli del contratto, dei margini, delle clausole più delicate.
Giorgia partecipava attivamente, con lucidità e autorevolezza, quasi da futura leader. Negli ultimi mesi aveva conquistato credibilità: le colleghe la trattavano ormai alla pari della loro responsabile, e questo le dava un senso di fiducia crescente. Sentiva di poter dire la sua, senza timore.
Mentre parlava e prendeva appunti, non poté però evitare di notare alcuni sguardi scambiati fra Luca e Gianni, brevi ma intensi. Nulla che potesse definire chiaramente, eppure… la lasciavano con una sottile sensazione di mistero, come se dietro le parole di lavoro si nascondesse altro.
Arrivarono nella sede del cliente verso metà pomeriggio. Ad accoglierli fu direttamente Elena, impeccabile nel suo tailleur e con un sorriso smagliante. Il suo modo di stringere la mano a Luca e Gianni, un po’ troppo caloroso, fece vibrare nell’aria una confidenza che a Giorgia non sfuggì, anche se non riuscì a interpretarla del tutto.
Dopo un caffè bevuto nella caffetteria dell’azienda, il gruppo fu accompagnato in sala riunioni. Lì li attendeva Augusto, si alzò con lentezza calcolata e tese la mano a Giorgia, «Benvenuti!» disse e strinse con decisione la mano di Giorgia, trattenendola un istante più del dovuto e fissandola dritta negli occhi. Giorgia si sentì quasi in imbarazzo, ma rispose con un sorriso cordiale.
La riunione iniziò in modo informale, con discorsi che toccavano ogni argomento tranne il contratto. Ogni volta che Giorgia provava a riportare l’attenzione sugli aspetti tecnici, Augusto e Elena sorridevano, come se quei dettagli fossero già superati.
«Sono solo formalità, signorina» disse Augusto a un certo punto, rivolgendole uno sguardo che pareva contenere qualcosa di più di una semplice affermazione. Elena annuì, senza aggiungere parola, ma con un sorriso carico di sottintesi.
Giorgia non capiva. A tratti si sentiva quasi presa in giro, ma poi Luca riportava il discorso sui binari giusti con la sua consueta professionalità. Anche Gianni, seppur più taciturno del solito, contribuiva a far sembrare l’incontro solido e concreto.
Giorgia li osservava entrambi con ammirazione: erano in grado di tenere testa a un cliente difficile, e questo le dava la possibilità di mostrare a sua volta le proprie competenze. Si sentiva parte di qualcosa di grande, di un progetto che poteva valorizzarla.
Quello che sembrò strano a Giorgia fu che, dopo la discussione definitiva, né Luca né Augusto firmarono il contratto. Si giustificarono dicendo che c’era tempo, che lo si sarebbe potuto firmare anche durante la cena.
Il tempo trascorse così, tra una chiacchiera e l’altra: ognuno raccontava aneddoti, soprattutto legati al lavoro ma anche a momenti personali. L’impressione era quella di un gruppo che iniziava a conoscersi un po’ più a fondo.
Quando arrivò l’ora di andare al ristorante, Giorgia scoprì che il tavolo era stato riservato proprio nel ristorante dell’hotel in cui erano state prenotate le loro camere.
«Così, se siete stanchi, non avete molta strada da fare» spiegò Elena, quasi a giustificare la scelta.
A Giorgia questa soluzione non dispiacque affatto: non conosceva la zona e, dovendo ripartire l’indomani, non aveva grande interesse a scoprire altri locali.
Arrivarono al ristorante e si accomodarono al tavolo che, come tutti quelli della sala, era rotondo. Elena prese posto tra Luca e Gianni; accanto a Gianni si sedette Giorgia, e al fianco di quest’ultima si sistemò Augusto. Il sesto posto rimase vuoto, a segnare quasi un’assenza silenziosa.
I camerieri iniziarono a servire gli antipasti: come aveva preannunciato Elena, la cena era a base di pesce. Crudo per cominciare, seguito da un primo e da un secondo, il tutto accompagnato da calici di crémant d’Alsace che punteggiavano di bollicine dorate la conversazione.
La conversazione al tavolo stava diventando una nenia noiosa per Giorgia. Tutti quei discorsi sulla provenienza delle merci, sui fornitori e sulle condizioni di consegna le sembravano girare in tondo. A tratti aveva quasi la sensazione che stessero parlando di qualcos’altro, come se sotto quei termini tecnici ci fosse un secondo significato che lei non riusciva ad afferrare.
Decise di alzarsi.
«Scusate un attimo» disse con un sorriso cortese.
Si diresse verso il bagno: aveva bisogno di prendersi una pausa, di respirare e di riordinare i pensieri.
Elena la seguì.
«Ti accompagno!» disse con voce frizzante, quasi complice.
Giorgia la guardò di sfuggita, chiedendosi cosa volesse da lei quella ragazza che, per tutta la riunione, non aveva fatto altro che lanciare sguardi maliziosi a Gianni e Luca.
Appena entrarono in bagno, Elena si appoggiò allo specchio e, senza giri di parole, esordì:
«Beh… dopo tutto potresti anche essere un po’ più socievole, non credi?»
Giorgia aggrottò le sopracciglia.
«Ma come diamine si fa? Stanno parlando di cose senza senso… e tu che civetti con loro due! Ma che noia!» sospirò, lasciandosi sfuggire il pensiero che la tormentava da un po’. «Vorrei essere già a letto!»
Elena la fissò con un’espressione enigmatica, poi le chiese, quasi sottovoce:
«Ne sei sicura?»
Il tono era ambiguo, quasi un avvertimento.
Poi, con un sorriso appena accennato, aggiunse:
«Cerca di assecondare… è il consiglio che ti do. Potrebbe arrabbiarsi seriamente.»
E senza aggiungere altro, uscì dal bagno, lasciando Giorgia sola, con quell’eco nella testa e un brivido che non riusciva a scrollarsi di dosso.
Giorgia tornò al tavolo: la cena stava ormai volgendo al termine. Arrivarono i dolci, che lei decise di non prendere. Dopo alcuni convenevoli – tutto sommato piacevoli, vista l’occasione – si congedò e si diresse verso la reception per ritirare le chiavi della sua stanza.
Scoprì con una punta di fastidio che la camera riservata per lei era una doppia, proprio come quelle di Luca e Gianni. Salì in camera e, come si aspettava, trovò un letto matrimoniale. Era stanca e un po’ annoiata: desiderava soltanto dormire.
Nel corridoio notò che la stanza di Gianni e Luca era proprio di fronte alla sua. Entrò, si fece una doccia veloce e poi si lasciò cadere sul letto, ancora avvolta nell’accappatoio, scorrendo distrattamente il cellulare. Si stava finalmente rilassando, quando qualcuno bussò alla porta.
Non voleva aprire. Sapeva già chi potesse essere, e non aveva alcuna voglia di assecondare qualunque cosa avessero in mente.
Il bussare si fece più insistente. Giorgia trattenne il respiro e ascoltò: nel corridoio si udivano delle voci, e tra quelle risate riconobbe quella di Elena. Con un sospiro si decise ad aprire.
Davanti a lei c’era Augusto. Dietro di lui, vide Elena entrare ridendo nella stanza di Luca e Gianni, in loro compagnia.
«Permesso?» disse Augusto con un sorriso untuoso, già accennando a un passo avanti.
Giorgia gli sbarrò l’ingresso e quasi urlò: «Ma come si permette?»
«Non vorrai lasciarmi qui fuori da solo! Dai, parliamo un po’!» rispose lui, con un tono mellifluo che la irritò ancora di più.
Dopo tutto, cosa mai avrebbe potuto farle? Lei, trentenne, in piena forza. Lui, sessantenne, già sulla via del declino. Così, seppure controvoglia, lo lasciò entrare, stringendosi meglio la cintura dell’accappatoio.
Augusto si sedette sul bordo del letto, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Giorgia, infastidita, preferì accomodarsi su una delle poltroncine, mettendo tra loro una certa distanza.
Lui iniziò a parlare, con quel tono di chi finge di essere confidenziale:
«Un certo tipo di affari si chiude sempre meglio quando ci sono belle donne come te...»
Giorgia lo fissò, cercando di decifrare se fosse un complimento sincero o un tentativo maldestro di seduzione. Un “grazie” le sfiorò le labbra, ma si fermò prima che potesse uscire davvero.
Augusto si tolse la giacca e la posò con calma sull’altra poltroncina.
«Fa leggermente caldo, non trovi?»
«In realtà io sto benissimo così» replicò Giorgia, cercando di mantenere la voce ferma.
«Certo, sei in accappatoio…» sorrise lui, inclinando la testa. «Sei nuda sotto?»
«Mah… Augusto! Cosa sta pensando?»
«Beh, dai… sono in una stanza con una bella donna come te… cosa pensi che possa volere?»
Giorgia inspirò a fondo, cercando di spegnere sul nascere quella piega inquietante:
«La ringrazio, Augusto, per la sua dimostrazione di interesse, ma sono molto stanca. Il viaggio, le riunioni…»
Non riuscì a finire la frase. Con un gesto improvviso e brutale, Augusto le assestò uno schiaffo che la fece rovinare a terra dalla poltroncina.
«Non hai capito, vero?» ringhiò, la voce improvvisamente carica di disprezzo. «Questi contratti si firmano scambiandosi le segretarie compiacenti!»
Giorgia, tenendosi la guancia in fiamme, era scioccata da quelle parole e dall’improvvisa violenza.
«Cosa pensi che stiano facendo, laggiù, Luca e Gianni, con quella troia di Elena?» continuò lui, la rabbia ormai fuori controllo.
Mentre parlava, Augusto iniziò a slacciarsi la camicia, con un gesto lento e minaccioso. Giorgia sentì il panico salire, un nodo gelido in gola. Tutto in lei urlava di scappare, ma le gambe sembravano bloccate.
In un attimo Augusto si spogliò completamente. Giorgia sentì il sangue gelarsi.
Le afferrò il braccio e la costrinse a sedersi sulla poltroncina. Poi, con un gesto brutale, le prese la nuca e le spinse la testa in avanti.
«Dai… divertiti un po’. Ti piacerà, vedrai… decidi di collaborare,» mormorava con voce roca, sempre più vicina al suo orecchio.
Giorgia serrò le labbra con tutta la forza che aveva, tremando, mentre cercava di sottrarsi a quella pressione, a quell’odore, a quell’umiliazione. Le mani di Augusto la tenevano ferma, e ogni secondo era una lotta per non crollare.
Il panico le rimbombava nelle tempie: la stanza si stava chiudendo su di lei, il respiro si spezzava, le lacrime le bruciavano gli occhi.
Giorgia tratteneva il fiato, i polmoni che bruciavano. Sapeva che, nel momento stesso in cui avesse ceduto, avrebbe perso l’ultimo frammento di controllo che le restava.
Ma il corpo la tradiva: l’aria le mancava, la testa le girava. Un singhiozzo le sfuggì dalle labbra, e in quell’istante sentì la violenza di Augusto imporsi su di lei.
«Ecco… brava. Vedi che hai capito!» mormorò lui, con un tono trionfante che le fece venire la nausea.
Giorgia serrò gli occhi, cercando di dissociarsi da quello che stava accadendo. Doveva farlo finire in fretta. Doveva sopravvivere. Tutto il suo corpo si mosse in automatico, spinto da un unico pensiero: farlo crollare, farlo smettere.
Ogni secondo sembrava interminabile. Ogni respiro, una condanna.
Giorgia sentiva il respiro di Augusto diventare sempre più affannoso. Sperava che fosse quasi finita, che quell’incubo avesse una fine.
All’improvviso lui le afferrò i capelli e la sollevò di forza dalla poltroncina. Giorgia gemette, sorpresa dalla violenza del gesto, mentre lui la trascinava verso il letto.
La piegò in avanti, costringendola a restare con il volto rivolto al materasso. Il colpo secco della sua mano risuonò nella stanza. Uno, due, tre… ogni sculacciata era un misto di dolore e di umiliazione che le bruciava sulla pelle.
Le guance le si riempirono di lacrime, un nodo di rabbia e vergogna le chiudeva la gola. Ogni colpo sembrava volerla annientare, ridurla a un oggetto.
Dentro di sé Giorgia urlava, e in quell’urlo c’era tutto: la paura, l’odio, la promessa che non sarebbe finita così.
A un certo punto Giorgia sentì le forze abbandonarla. Era come se il suo corpo non le appartenesse più. Le braccia ciondolavano lungo i fianchi, lo sguardo perso nel vuoto.
Augusto percepì quella resa e divenne ancora più violento, spingendola e scuotendola come una cosa sua. Ogni colpo era una fitta che le attraversava la schiena, un dolore che le spezzava il respiro.
Giorgia non urlava più. Solo qualche gemito, soffocato, scappava dalle sue labbra. Dentro di sé urlava ancora, ma la voce non le usciva.
Fu allora che si rese conto, con orrore, che il suo corpo stava reagendo. Una reazione meccanica, incontrollabile, che non aveva nulla a che vedere con il desiderio. Era come se il corpo fosse un traditore, una macchina che funzionava indipendentemente da lei.
Ogni istante diventava insopportabile, un misto di dolore e di vergogna che la frantumava dentro.
Augusto terminò il suo sfogo. Giorgia si sentiva vuota, vulnerabile. Rabbrividì quando lui, con un ghigno, disse:
«Bene! Contratto firmato! Spero che i tuoi capi abbiano fatto altrettanto con Elena!»
Lei rimase immobile, stesa sul letto. I rumori ovattati della stanza le fecero capire che Augusto era in bagno a lavarsi.
Quando tornò, si vestì in silenzio e se ne andò, lasciandola lì, sola, inerme.
Non seppe quanto tempo passò. Alla fine, però, riuscì a raccogliere le forze. Si alzò, barcollando, e raggiunse il bagno. Aprì l’acqua della doccia e ci si infilò sotto di colpo.
Si sentiva sporca. Sporco non era solo il corpo, ma l’anima. E per quanto si lavasse, per quanto l’acqua scivolasse su di lei, quella sensazione non se ne andava.
Si asciugò e si sedette sul letto. Cercò di raccogliere le idee, che tornavano a galla una dopo l’altra.
Il sospetto si fece strada dentro di lei: Gianni doveva sapere tutto. E con ogni probabilità era in accordo con Luca. In qualche modo l’avevano spinta, passo dopo passo, fino a farla cadere nella trappola.
Voleva affrontarli subito, chiedere spiegazioni. Ma sapeva che, probabilmente, erano ancora impegnati a firmare la loro parte di contratto.
Si vestì in fretta e scese al bar dell’hotel. Ordinò un gin tonic. Poi un altro.
Più pensava a ciò che era successo e a come avrebbe potuto uscirne, più la rabbia cresceva.
Un altro gin tonic. E poi ancora uno.
Smise di bere solo quando il cameriere, con un mezzo sorriso, le disse che stavano per chiudere.
Non ricordò bene come riuscì a tornare in camera: barcollava appena, ma la testa le girava.
Crollò sul letto così com’era, senza neppure togliersi le scarpe, e sprofondò in un sonno inquieto.
Le immagini di Augusto sopra di lei la inseguirono per tutta la notte, come un film proiettato in loop nella sua mente.
Si svegliò di soprassalto per i colpi insistenti alla porta.
Con la testa pesante e gli occhi ancora appannati, si alzò dal letto.
Camminò a passo incerto verso l’ingresso della stanza.
Allungò la mano verso la maniglia… ma si fermò.
Un brivido le percorse la schiena. E se fosse Augusto?
«Chi è?!» urlò, la voce incrinata.
«Sono Gianni» rispose una voce familiare dall’altra parte.
Gianni.
Proprio lui, quello che — ne era ormai certa — sapeva tutto fin dall’inizio.
Una rabbia feroce le montò dentro, più forte di ogni paura.
Spalancò la porta con uno scatto e si scagliò contro di lui.
Schiaffi, pugni, graffi: tutto ciò che aveva a disposizione per fargli del male.
La sua furia era cieca, liberatoria, alimentata da ogni frammento di dolore che aveva tenuto dentro fino a quel momento.
Ma in quell’istante si rese conto della forza di Gianni.
Lui la afferrò con una presa ferma e decisa, la bloccò e, con un gesto secco, la sollevò da terra trascinandola dentro la stanza.
Quando finalmente la lasciò, Giorgia si divincolò dalle sue braccia e fuggì verso l’altro lato della stanza.
Si voltò di scatto, urlando con tutta la voce che aveva in corpo:
«Sei uno stronzo!»
La voce le tremava, ma la rabbia era più forte.
«Tu sapevi tutto! Mi hai portata a questo! Sai cosa mi ha fatto quel pezzo di merda?! Lo vuoi sapere?! O lo sai già, perché era nei patti!
Pezzo di merda! Ti odio!»
Le parole le uscivano come pugni, una dopo l’altra, mentre le lacrime finalmente cominciavano a scenderle lungo le guance.
Vedendo l’espressione imperturbabile di Gianni, la rabbia di Giorgia crebbe ancora di più.
«Vi denuncio tutti e due, brutti figli di puttana!» urlò, la voce spezzata dalla furia.
Gianni non si scompose.
«Calmati. Non puoi denunciare nessuno.»
La sua voce era glaciale, quasi annoiata.
«Visto che hai capito che era tutto quasi organizzato, pensi davvero che non ci siamo messi con le spalle coperte? Non hai ancora capito con chi hai a che fare?»
«Cosa potete fare?!» gridò Giorgia, avanzando verso di lui.
«Mi ha violentata, Cristo! E tu vuoi che non vi denunci?
Mi avete fatto violentare per un contratto!
Siete dei pezzi di merda e ve la farò pagare!»
A quel punto Gianni infilò la mano nella tasca, tirò fuori il cellulare e fece partire un video.
Giorgia sbiancò: era lei, insieme a Gianni e Luca, nell’ufficio di quest’ultimo.
«Se ci denunci,» disse Gianni, freddo come il marmo, «questo finirà in rete.»
Giorgia sentì le gambe cedere.
Era disarmata.
Sopraffatta.
Battuta.
Dopo qualche istante, con un filo di voce, riuscì a dire:
«Quanti contratti dovranno essere firmati in questo modo?»
Gianni accennò un sorriso.
«Speriamo tanti.»
Poi uscì dalla stanza, lasciandola sola.
Giorgia rimase immobile, lo sguardo perso nel vuoto.
Aveva capito che quella, ormai, era la sua gabbia.
Qualche giorno dopo, mentre era alla sua postazione, Giorgia ricevette un messaggio: «Passa in ufficio da me.»
Quando entrò, Luca chiuse la porta alle sue spalle.
Si sedette sul divano, rilassato, come se niente fosse.
Il suo gesto successivo fu volgare, diretto: si slacciò i pantaloni e si espose, invitandola con un cenno a sedersi accanto a lui.
Giorgia sentì il cuore accelerare, ma non si mosse per andarsene.
Non fece resistenza.
Si sedette e, con un automatismo che le fece male dentro, obbedì.
«Tra qualche giorno ci sarà un nuovo contratto da firmare,» disse Luca, con la voce calma, come se stessero parlando di un dettaglio amministrativo.
Giorgia si fermò di colpo.
«Che fai?» disse lui, con tono secco. «Non ti ho detto di fermarti.»
Trattenne le lacrime e continuò, meccanica, svuotata.
«Si tratta di un contratto importante,» continuò Luca, «con un’azienda nigeriana.
Tra qualche giorno definiremo l’incontro.
Vedi di non prendere impegni.»
Tacque, come se avesse appena dato una normale istruzione di lavoro, e la lasciò terminare.
Quando tutto fu finito, Giorgia si alzò in silenzio, senza guardarlo negli occhi, e uscì dall’ufficio con il vuoto che le scavava dentro.
La cena concordata con il cliente nigeriano si teneva in un hotel vicino alla loro azienda. Giorgia era ancora più in imbarazzo: temeva che qualcuno potesse riconoscerla.
Rimase sorpresa nel vedere che il cliente era rappresentato da tre uomini, tutti sulla trentina, dalla pelle scura e dal fisico imponente. La loro presenza la intimoriva; l’idea di ciò che potevano pretendere da lei le dava un brivido lungo la schiena. Sapeva che quella notte sarebbe stata lunga, e soprattutto dolorosa.
A cena terminata, prima di salire in camera, si fermò al bar. Ordinò un gin tonic. Mentre fissava il bicchiere, cercava di trattenere il terrore che la stava pervadendo.
Fu allora che sentì una voce alle sue spalle:
«Giorgia.»
Si voltò di scatto. Federico.
«Che ci fai qui?!» esclamò, sospettando che anche lui fosse coinvolto in quell’incubo.
Lui alzò le mani, come a volerla tranquillizzare:
«Vieni via da qui!»
«Ma tu non sai… lasciami in pace!»
«So tutto, Giorgia!» insistette. «Non devi preoccuparti di nulla. Ho già sistemato tutto. Non hanno più nulla con cui ricattarti. Sono… siamo riusciti a cancellare tutto.»
Lei si immobilizzò.
«Siamo?»
«Io e Saverio, quello dell’IT. Siamo stati noi.»
In quell’istante Giorgia capì: Federico era lì per salvarla.
Si alzò, il cuore che le martellava nel petto.
Man mano che procedeva verso l’uscita, il passo si fece sempre più deciso. Federico la seguiva, silenzioso, come una scorta discreta.
Finalmente, era libera.
scritto il
2025-09-17
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