Il bagno padronale

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genere
dominazione

OLEANDRO
Il bagno padronale
Da tempo coltivavo fantasie di sottomissione. Dopo alcune esperienze fallimentari, incontrai finalmente un Padrone capace di impossessarsi della mia mente. Per me era un privilegio poterlo servire, adorarlo come merita. Non avanzavo pretese: desideravo soltanto renderlo fiero di me.
Dopo una mia grave mancanza — che ancora oggi mi vergogno a raccontare — mi annunciò che sarei stato punito con dieci colpi. Mi misi subito in posizione, appoggiandomi al bracciolo del divano, le mani ben ferme sulla seduta, il sedere esposto. Era una delle posizioni previste per la sculacciata. Ma quella volta non usò la mano: prese una sottile verga, il celebre "cane", e cominciò a colpirmi. Il dolore fu acuto, più intenso di quanto immaginassi. Alla terza frustata, istintivamente, usai la safeword. Era la prima volta. Il Padrone fu comprensivo. Si limitò a dire: «Imparerai». E io, mortificato, gli fui grato per quella comprensione. Ma un certo imbarazzo rimase palpabile nell’aria.
Poco dopo, mi offrì l'occasione di dimostrare di superare l’empasse la mia dedizione. Con tono canzonatorio, mi ordinò: «Vai a pulire il bagno. Se non vuoi, puoi sempre usare la safeword. Vediamo se almeno questo lo sai fare». Quelle parole colpirono il mio orgoglio di sottomesso. Anche noi, dopotutto, abbiamo un orgoglio.
Mi aveva già chiesto altre volte di pulire il suo bagno: era un compito che svolgevo con piacere. Ma quella volta volevo davvero sorprenderlo. Viveva da solo e il suo bagno era quello tipico di un uomo: trascurato, residui marroni nel water, aloni giallastri attorno nel water e nel lavandino, macchie sul pavimento, incrostazioni nella doccia, un leggero odore di muffa dal cesto della biancheria. Ma soprattutto, un denso, inconfondibile sentore maschile. Guardando quell'ambiente, per altro eccitante, provai vuna certa ergogna: l’avevo già pulito in passato, ma sembrava un bagno non pulito da moltissimo tempo. Quella volta lo avrei reso splendente.
Restituire decoro a quello spazio fu, per me, fonte di un piacere euforico. Mi dedicai al compito con lo zelo di chi ripulisce un altare. Ogni gesto — sfregare, lucidare, profumare — era una carezza devota. Vedere il bagno brillare grazie alle mie cure mi diede un orgoglio intenso. Quello splendore rifletteva anche il mio. Quando venne a controllare, mi sorrise ed io mi sentii colmo di felicità. Mi fece anche un complimento che ricordo ancora: «Bravo. Questo bagno non è mai stato così splendente. Ora è davvero un bagno padronale. D’ora in poi lo voglio sempre così: lo pulirai ogni volta che ci vediamo. La sua pulizia sarà il segno della tua dedizione».
Ero ancora emozionato quando però aggiunse: «Quanto a te, potrai lavarti le mani in cucina e usare il secchio lì nell’angolo per svuotarti. Lo svuoterai poi nel bagno del garage».
Quelle parole mi colpirono come una frustata. Provai una lieve irritazione che si dissolse quando mi porse la mano da baciare. Il contatto con la sua pelle mi placò, come sempre. Capii: negarmi l’uso del bagno non era una punizione, ma un premio. Era un gesto di stima, un segno di apprezzamento per il mio impegno e il mio lavoro. Avevo reso quel luogo tanto bello da renderlo inadatto a me. Un paradosso sublime: la mia dedizione lo aveva trasformato in uno spazio sacro, un luogo del suo potere e dunque inaccessibile al suo servo che purel o aveva purificato. In effetti non era diventato inaccessibile, avrei dovuto usarlo solo per tenerlo pulito. Pulire il bagno sarebbe stata una forma di preghiera.
Mi tornò in mente una vecchia abitudine: quando ero ospite, mi trattenevo per timore di lasciare cattivi odori. L’idea di usare un secchio, per quanto umiliante, mi liberava da quel disagio. Era una soluzione più rispettosa. Pulire il bagno senza poterlo usare era la prova definitiva della mia devozione. In quel modo, sarebbe stato chiaro che lo facevo solo per Lui.
Pulire il bagno di qualcuno che si ama è un gesto d’intimità assoluta. Non si può davvero servire un uomo se non si è disposti a sporcarsi con la sua merda. Lo so: suona brutale. Direi di piu, uno schiavo, credo, desidera l’accesso alle deiezioni del proprio Padrone. Non è solo deferenza: è contatto estremo, crudo, intimo. Ero pronto a farlo, e sarei stato felice che lui, entrando in bagno, sentisse su ogni superficie il segno della mia dedizione e del suo potere.
Ma anche il Padrone ci metteva del suo. Concedeva a me, l’onore di accedere ai suoi resti più intimi. Una volta che io ero escluso dall’uso del bagno, ogni odore e ogni traccia sarebbe stata solo sua. Con aristocratica indifferenza, sembrava ignorare l’intimità e l’importanza di quel gesto. Eppure, era proprio lì la sua grandezza.
A volte, certo, avrei voluto che fosse più attento a quello spazio. Continuava a pisciare senza alzare la tavoletta. Asciugamani e mutande sporche continuavano a stare a terra nei giorni in cui non c’ero. Ma in fondo ero contento che non cambiasse abitudini. Perché era il suo bagno. Ed era giusto così.
Solo gli dèi e le statue non cagano. Gli uomini lo fanno. Il mio compito era rendere più piacevole la sua necessità. E lo avrei fatto con orgoglio, ogni volta consapevole del privilegio che mi veniva concesso.
Queste riflessioni furono interrotti dalla sua voce:”ok ti ho detto che va bene. Ora pulisci il bagno del garage. Non vorrei che quando lo userai tornerai maleodorante e magari infetto.Hai due ore e poi vengo a controolare”.

scritto il
2025-07-02
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