Rapiti dal desiderio

di
genere
sentimentali

I giorni passavano lenti, troppo lenti.
Monotoni.
Dannatamente vuoti.
Ogni ora sembrava allungarsi, come se il tempo stesso si rifiutasse di scorrere. La sfida del trattenersi, del resistersi, era durata poco: una settimana, forse nemmeno intera. Alla fine, tutto era crollato. Avevano lasciato andare ogni freno, ogni logica, pur di ritrovarsi. Soli. Tra quattro mura, dove nessuno poteva vederli. Dove la passione poteva urlare in silenzio.
Lui l’accolse con un bacio — lungo, profondo, sensuale. Di quelli che rubano il respiro e lo restituiscono sotto forma di brividi.
Era bello. Bello come l’arte. Bello da far male. E lei si sarebbe lasciata marchiare da quei colori, da quella essenza viva che pareva sgorgargli dalla pelle. Era ambrosia per la sua bocca, linfa per ogni senso. Ogni tocco, ogni parola sussurrata era un’immersione nell’estasi, un naufragare dolce e inevitabile.
I loro baci erano un contorno, sì, ma non meno importanti del quadro principale: erano pennellate sensuali, morbide, calde, che restavano come impronte sulle superfici della casa — sui mobili, sulle lenzuola, persino nell’aria. Ogni carezza, ogni sguardo, ogni respiro era carico di desiderio.
Eppure, non era solo desiderio.
C’era qualcosa di più. Qualcosa che si muoveva sotto quella pelle bruciante.
Qualcosa di più profondo. Di più vero.
Perché quella passione non era solo carne che cerca altra carne. Era fuoco, ma non si consumava. Anzi, cresceva.
Una fiamma che non bruciava solo il corpo, erano gesti, sì, ma anche confessioni mute.
Ogni tocco diceva “ti voglio”, ma anche “non riesco a farne a meno”. Come una droga, Ambrosia..
E sotto sotto… c’era altro. Molto altro ma era il loro grande segreto.
Un sentimento che si nascondeva tra le pieghe del lenzuolo, tra i respiri spezzati e i gemiti. Qualcosa che né l’uno né l’altra osavano ancora chiamare per nome.



di
scritto il
2025-05-15
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