Allenamenti proibiti

di
genere
confessioni



Mi chiamo Roberta. Mora, occhi scuri, 1.60 di curve piazzate dove servono. Ho sempre avuto un buon rapporto con il mio corpo. Non sono una di quelle ossessionate dalla bilancia, ma ci tengo a mantenermi tonica. Il mio fisico è asciutto, ma il mio vero punto di forza è sempre stato il mio lato B. Sodo, rotondo, ben definito. In palestra è impossibile non notarlo, soprattutto quando indosso i miei leggings preferiti, quelli neri effetto seconda pelle. Ogni volta che passo davanti agli specchi, sorrido: so cosa sto mostrando, e mi piace. Gli sguardi non mi infastidiscono, anzi, a volte li cerco.

È stato proprio lì, tra quegli attrezzi e quegli specchi, che è iniziata la mia piccola avventura proibita. Lui si chiama Marco, il mio personal trainer. Sulla quarantina, fisico scolpito, sguardo sicuro, barba ben curata. Sempre gentile, ma con quell’aria di chi sa esattamente chi è e cosa vuole. Lo avevo notato dal primo giorno. E sapevo anche che era sposato. Ma non mi sono mai fatta troppi problemi con le etichette morali. Non è il mio matrimonio, no?

Il gioco è iniziato lentamente. Occhi che si cercavano, sorrisi appena accennati, e quel suo modo di posizionarmi nei movimenti che lasciava poco spazio al caso. Le mani sui fianchi, a correggermi. Le dita sulla schiena, a guidarmi. E io, ogni volta, giocavo il mio ruolo: fingevo di non capire subito, sbagliavo apposta qualche movimento, così da costringerlo ad avvicinarsi ancora. E quando lo faceva, quando sentivo il suo respiro vicino al collo, mi tremavano le gambe per un motivo ben diverso dalla fatica.

Una volta, mentre facevamo gli squat, ho esagerato. Mi sono voltata verso di lui, con quel mio sorriso mezzo innocente, e gli ho detto:
“Marco, così però me lo stai facendo lavorare troppo il sedere…”
Lui ha alzato un sopracciglio. “Beh, a quanto pare ti piace metterlo in mostra.”
“E a te piace guardarlo?”
Silenzio. Uno sguardo più lungo del solito. Poi ha sorriso, ma non ha risposto. Era entrato nel gioco.

Quella tensione è andata avanti per settimane. Ogni sessione di allenamento sembrava un pretesto per un contatto in più, una frase un po’ ambigua, uno sguardo troppo diretto. Era una danza fatta di passi falsi voluti, di pause studiate e provocazioni mascherate. E lui, da uomo maturo qual era, sembrava resistere. O almeno ci provava. Ma io lo vedevo, lo sentivo. Ero entrata nella sua testa, lo stavo stuzzicando troppo bene.

Una sera, dopo l’allenamento, mi ha chiesto se volevo un passaggio a casa. Non era mai successo prima. E io, ovviamente, ho detto sì.

Durante il tragitto, la macchina sembrava più piccola, il silenzio più denso. Ogni tanto Marco si girava, cercando di rubarmi uno sguardo. Il suo sorriso sembrava più teso, ma c’era qualcosa di più in quegli occhi. Un invito, una promessa. Non c’era più bisogno di giochi. Sentivo che anche lui aveva capito dove stavamo andando, e sentivo che non c’era nessuna via di fuga. Non avrei mai voluto fermarmi.

Lo sguardo che mi lanciava ogni volta che si voltava mi dava conferma di quello che sapevo già. In quel momento, ero completamente dentro al gioco, e il mio corpo mi tradiva. Il desiderio cresceva dentro di me, come un’onda che non riuscivo a fermare. Mi avvicinavo sempre di più a lui, cercando di restare indifferente, ma il mio respiro tradiva ogni tentativo di mantenere il controllo.

Non appena siamo arrivati davanti a casa mia, ho fermato il suo sguardo con il mio.
“Vuoi davvero fare l’ultimo tratto del viaggio da solo, Marco?” ho detto, la voce più bassa di quanto avessi mai pensato di usare.
Lui ha esitato, ma è stato un momento fugace. Quello che ha seguito è stato un passo verso la porta, come se l’avessimo entrambi già deciso.

Quando ho aperto la porta, l’aria che ci ha avvolti dentro era pesante. Lo sapevo, lo sentivo. Ero pronta a smettere di fingere. Mi sono voltata verso di lui con un sorriso lento, quasi sfacciato.
“Marco… voglio che tu sia qui. Con me. Voglio che quello che abbiamo iniziato in palestra finisca qui, in questa casa.”
Non aspettavo risposte. Non avevo bisogno di sentire parole. Sapevo che ormai era troppo tardi per fermarsi.

La porta si è chiusa alle nostre spalle, ed è stato come se tutto il resto del mondo non fosse più importante. Non ci siamo più guardati, non c’è stato più bisogno di parole. Marco mi ha preso con forza, ma non brutalità. Le sue mani, più sicure che mai, mi hanno afferrato. La sua bocca ha trovato la mia in un bacio che non era più solo un semplice gesto, ma il sigillo di un desiderio che non potevamo più ignorare.

Ogni movimento, ogni passo verso l’intimità è stato un gioco di potere e di resa. Non c’era più distanza tra noi. Mi ha spogliata, lentamente, ma con una decisa necessità. Ogni vestito che toglieva sembrava togliermi anche un’altra barriera, un altro strato di inibizioni. Quando è arrivato ai leggings, non c’era più alcun dubbio nei suoi occhi: questo era il momento. E non l’avrei mai fermato.

Mi ha presa, mi ha dominata con la forza della sua esperienza, ma con una delicatezza che sapevo bene non fosse casuale. Ogni volta che le sue mani mi stringevano, io mi perdevo in quella sensazione. Le sue carezze erano piene di promessa, di passione, ma anche di un controllo che mi eccitava come non avrei mai immaginato.

Quando mi ha afferrata per i capelli, tirandomi indietro la testa, mi sono lasciata andare, completamente. La sensazione del dolore mischiata al piacere era incredibile, e ogni volta che mi sculacciava con forza, il mio corpo rispondeva, sussultando e lasciandosi andare. La sua presa su di me era salda, ma mai troppo dura. Era il gioco che avevamo iniziato a costruire in palestra, che si completava finalmente lì, tra quelle lenzuola.

Quando tutto è finito, la stanza era silenziosa, tranne il nostro respiro. Sdraiata accanto a lui, ho preso una sigaretta e l’ho accesa, lasciando che il fumo mescolasse la calma dopo l’intensità.
“Non so come mi sono trovato in questa situazione,” mi ha detto, ma questa volta non c’era più l’incertezza nella sua voce.
“Non è una situazione,” ho risposto, guardando il soffitto. “È solo quello che siamo. O meglio, quello che vogliamo essere.”



Spero che con questa versione la transizione e l’intensità siano più coerenti con la tua idea! Se desideri fare altre modifiche o aggiungere dettagli, fammi sapere!
scritto il
2025-04-30
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