Tè alla menta

di
genere
trans

Giulia non era sempre stata Giulia. Anni prima, quando era ancora un ragazzo smarrito in un corpo che non sentiva suo, viveva con sua zia Clara, una donna eccentrica e di larghe vedute che gestiva una boutique di abiti vintage in un piccolo paese di provincia. Dopo la morte dei genitori, Clara l’aveva accolta senza fare domande, offrendole una stanza al piano di sopra e un rifugio dal mondo. Ma non era sola in quella casa: c’era anche Said, il maggiordomo marocchino di Clara, un uomo alto e silenzioso sulla trentina, con la pelle color cannella, occhi profondi e un portamento che trasudava mistero. Said si occupava della casa con una discrezione quasi teatrale, ma era impossibile non notarlo – soprattutto per via di ciò che Clara, con un sorriso sornione, aveva confidato una volta a Giulia: il suo membro misurava 23 centimetri. Non era una battuta casuale: Clara lo sapeva con certezza perché, anni prima, spinta da una curiosità insaziabile e da un pizzico di voyeurismo, aveva nascosto una piccola telecamera nel bagno al piano di sotto. Ogni volta che Said si lavava, ignaro, la zia si chiudeva nella sua stanza, accendeva il vecchio monitor collegato al dispositivo e si perdeva nei video. Lo guardava mentre l’acqua scorreva sul suo corpo scolpito, le mani che si muovevano lente e sicure, e spesso, quando lui si abbandonava a momenti di piacere solitario, stringendo quel membro prodigioso e masturbandosi con una forza che faceva tendere ogni muscolo, Clara veniva travolta da un impeto di passione. Sdraiata sul letto, con il respiro corto, si toccava freneticamente, usando qualsiasi cosa trovasse a tiro – la maniglia liscia di una spazzola, il bordo freddo di una bottiglia di profumo, persino il pomello decorato del letto – per soddisfare il fuoco che le immagini di Said accendevano in lei. Quelle sessioni solitarie erano il suo segreto, un piacere proibito che alimentava le sue giornate e che, in qualche modo, aveva reso il maggiordomo ancora più intrigante agli occhi di Giulia quando Clara gliene aveva parlato.

Fu lì, tra le mura di quella casa piena di specchi antichi e cassapanche traboccanti di tessuti, che tutto era iniziato per Giulia. Clara aveva notato il modo in cui il nipote guardava i manichini della boutique, gli occhi pieni di una curiosità che non osava confessare. "Provati qualcosa," gli aveva detto una sera, porgendogli una gonna di velluto verde smeraldo. "Non c’è niente di male a scoprire chi sei." Lui aveva esitato, il cuore che batteva forte, ma alla fine aveva ceduto. La gonna gli scivolava sui fianchi in modo strano, eppure familiare, e Clara aveva applaudito, incoraggiandolo a indossare anche una camicetta di seta e un paio di décolleté con il tacco basso. "Cammina," gli diceva, "senti come ti muovi." E lui lo faceva, barcollando all’inizio, poi trovando un ritmo che gli sembrava naturale.

Said, dall’angolo della stanza, osservava in silenzio, le braccia conserte e un accenno di sorriso sulle labbra. Col passare dei mesi, Clara aveva aperto il suo armadio più intimo: reggiseni di pizzo, mutandine di seta, calze che sussurravano contro la pelle. "Questo è il vero test," gli aveva detto con un occhiolino, ma fu Said a portare la transizione di Giulia a un livello diverso. La prima volta che si erano avvicinati davvero era stata una sera d’estate, quando Giulia, ancora incerta della sua nuova identità, lo aveva spiato mentre faceva il bagno nella vasca al piano di sotto. La porta era socchiusa, il vapore si alzava in spirali, e lei si era nascosta nell’ombra, il respiro corto mentre guardava il corpo nudo di Said emergere dall’acqua come una scultura. Il suo membro, quel prodigio di 23 centimetri, pendeva pesante tra le cosce, e Giulia si era persa in fantasie di sottomissione, sognando di farsi possedere da lui, di sentirlo prenderla con una forza che l’avrebbe liberata da ogni dubbio. Quando Said era uscito dalla vasca, avvolgendosi un asciugamano intorno alla vita, si era chinato per tagliarsi le unghie dei piedi, il corpo piegato in una posa che lasciava intravedere ogni curva dei suoi muscoli. Fu allora che Giulia, spinta da un impulso irrefrenabile, era entrata di soppiatto nella stanza. Senza dire una parola, si era inginocchiata dietro di lui, le mani tremanti, e aveva posato le labbra sul suo ano, leccandolo con una devozione lenta e deliberata, il sapore salato sulla lingua che le accendeva un fuoco dentro. Said si era irrigidito per un istante, sorpreso, ma poi un ringhio basso gli era sfuggito dalla gola. Si era girato di scatto, gli occhi fiammeggianti, e con una presa ferrea sui capelli di lei l’aveva trascinata davanti a sé. "Vuoi questo?" aveva grugnito, spingendo il suo membro turgido contro le sue labbra. Giulia, ansimante, aveva annuito, e lui, con una forza animalesca, le aveva infilato i 23 centimetri in bocca, riempiendola fino a farle lacrimare gli occhi. Lei lo aveva accolto, le mani aggrappate alle sue cosce muscolose, mentre Said muoveva i fianchi con una furia primitiva, il respiro pesante che echeggiava nella stanza umida.

Non si era fermato lì. Tirandola su per le braccia, l’aveva sbattuta contro il bordo della vasca, strappandole i vestiti di dosso con una violenza che era al confine tra il desiderio e la dominazione. Le aveva divaricato le gambe, e con un colpo deciso l’aveva posseduta, il suo membro che la penetrava con una potenza che le strappò un grido soffocato. Ogni spinta era brutale, selvaggia, un ritmo che scuoteva il suo corpo e la faceva tremare di piacere e dolore mescolati. Le mani di Said le stringevano i fianchi, lasciandole segni rossi sulla pelle, e i suoi gemiti gutturali si mescolavano ai sospiri spezzati di lei. Quando ebbe finito, ansimando, si era ritratto, ma non prima di girarla e spingerle il viso verso i suoi piedi bagnati. "Leccali," aveva ordinato, la voce roca di comando. Giulia, stordita dall’intensità, si era chinata, posando la lingua sulla pianta ruvida dei suoi piedi, assaporando il sale e la terra, un gesto di sottomissione totale che sigillava la sua devozione. Said l’aveva guardata con un sorriso soddisfatto, e da quel momento i loro incontri segreti erano diventati una danza di scoperta: lui le aveva insegnato a sentirsi desiderata, a vedere la sua femminilità come una forza, e quel membro prodigioso era stato il sigillo della sua trasformazione. Fu allora che decise di essere Giulia, un nome che Clara aveva suggerito scherzando ma che lei aveva adottato con orgoglio. Con il tempo, i capelli erano cresciuti, gli ormoni avevano ammorbidito i lineamenti, e tra le lezioni di trucco di Clara e gli sguardi ardenti di Said, Giulia era nata.

Quando arrivò il giorno del colloquio di lavoro come segretaria per Lorenzo, Giulia era ormai sicura di sé. Si presentò nello studio con un tailleur nero aderente che esaltava ogni curva del suo corpo, la giacca leggermente sbottonata a lasciare intravedere il pizzo del reggiseno, e la gonna che si fermava appena sopra il ginocchio, rivelando il bordo di autoreggenti nere con una riga posteriore che correva dritta e provocante lungo le gambe. Ai piedi, un paio di tacchi a spillo di 12 centimetri, lucidi e affilati, che ticchettavano sul pavimento con ogni passo, un suono che sembrava un invito. Lorenzo, seduto dietro la scrivania, la accolse con un sorriso formale, ma i suoi occhi tradivano un interesse che andava oltre il curriculum. Mentre parlavano delle mansioni – archiviazione, gestione dell’agenda, corrispondenza – Giulia si sedette di fronte a lui, accavallando le gambe con una lentezza studiata. Con un gesto apparentemente casuale, fece scivolare un tacco dal piede, lasciandolo dondolare sulla punta delle dita dipinte di rosso ciliegia. Poi, con un sorrisetto malizioso, iniziò a giocare: sfregava un piede contro l’altro, la seta delle autoreggenti che frusciava appena, e ogni tanto lasciava cadere la scarpa sul pavimento per poi raccoglierla con le dita, un movimento che metteva in mostra l’arco perfetto della pianta. Lorenzo, con la sua ossessione segreta per i piedi, sentì il cuore accelerare e il sangue pulsargli nelle tempie. Le sue risposte si fecero più brevi, il respiro leggermente irregolare, mentre cercava di mantenere la compostezza, ma il modo in cui Giulia giocherellava con le scarpe lo eccitava a dismisura, trasformando quel colloquio in un gioco di seduzione silenziosa. Alla fine, le offrì il posto senza quasi accorgersi di averlo fatto, stregato da quei piedi che già immaginava di toccare.

Il sole filtrava appena attraverso le tende pesanti dello studio, gettando lame di luce sul pavimento di legno lucido. Lorenzo, un uomo sulla quarantina, capelli brizzolati e un'aria di chi ha visto troppe stagioni cambiare, sedeva dietro la scrivania, immerso in una pila di carte. Il suo ufficio, un rifugio di libri e penne d’argento, odorava di cuoio e caffè appena fatto. Ma quel giorno, c’era qualcos’altro nell’aria, un profumo leggero, floreale, che lo distraeva. Lorenzo aveva un’ossessione per i piedi, una passione che lo portava a notare ogni dettaglio – l’arco elegante di una caviglia, la curva delicata delle dita, il modo in cui una scarpa poteva incorniciare quella parte del corpo come un’opera d’arte.

Dall’altra parte della stanza, seduta con grazia su una sedia di velluto, c’era ora Giulia, la sua nuova segretaria. Aveva venticinque anni, occhi grandi e un modo di muoversi che sembrava danzare tra i confini di ciò che era stato e ciò che desiderava essere. Indossava una gonna aderente color crema che le fasciava i fianchi come una seconda pelle, lunga fino a metà polpaccio, con un piccolo spacco sul retro che rivelava appena un accenno di gamba quando camminava. Sopra, una camicetta di seta color avorio, leggera e trasparente quel tanto che bastava a suggerire la linea delicata del reggiseno di pizzo sottostante. Le maniche, leggermente svasate ai polsi, si muovevano come ali ogni volta che sollevava una mano. Un sottile cinturino di pelle nera le stringeva la vita, accentuando la curva del suo corpo con un tocco di eleganza audace. Ma erano i piedi di Giulia ad attirare lo sguardo di Lorenzo: infilati in un paio di décolleté nere dal tacco medio, con le dita dipinte di un rosso ciliegia che spuntavano appena dalla punta aperta, erano un richiamo irresistibile per lui. Mentre lei accavallava le gambe, lui immaginava di sfilarle quelle scarpe, di passare le dita lungo la pianta morbida, di baciarle la caviglia.

"Signor Martelli," disse Giulia con voce morbida, "ha bisogno che sistemi anche la corrispondenza di ieri? O preferisce che finisca prima il resoconto?" Si sporse leggermente in avanti, posando una mano sul bordo della scrivania, le unghie dipinte di un rosso discreto che catturava la luce. La seta della camicetta si tese sul petto, ma gli occhi di Lorenzo scivolarono verso il basso, dove un piede dondolava appena.

Lorenzo si schiarì la gola. "Il resoconto, per favore. È più urgente." Ma nella sua mente fantasticava di inginocchiarsi davanti a lei, di toglierle quelle décolleté e adorare quei piedi perfetti.

Lavorarono in silenzio per un po’, poi le loro mani si sfiorarono mentre lei gli porgeva una busta. Il contatto fu elettrico, e Giulia lo prolungò, ignara di come Lorenzo stesse immaginando di sfiorarle le caviglie. Il respiro di lui si fece pesante, e lei lo fissò, gli occhi lucidi di sfida.

"Non è solo lavoro quello che vuole da me, vero?" sussurrò, inclinando la testa.

Lorenzo deglutì. "Sei… pericolosa, lo sai?" rispose, la voce roca, pensando a come quei piedi potessero essere la sua perdizione.

Lei rise piano. "Solo per chi non sa gestire il pericolo." Si alzò, lisciandosi la gonna, e il movimento fece scivolare una scarpa dal tallone, lasciandola penzolare per un istante. Lorenzo sentì il sangue pulsargli nelle tempie. Lei si avvicinò al lato della scrivania, il profumo floreale che lo avvolgeva. "Allora, signor Martelli, cosa facciamo con questo… resoconto?"

Non ci fu tempo per rispondere. Lorenzo si alzò di scatto, le mani sui fianchi di lei, e la sollevò sulla scrivania. Le loro labbra si incontrarono in un bacio famelico, e lei gli affondò le dita nei capelli. La seta della camicetta scivolò a terra, seguita dalla gonna, e Lorenzo non resistette: con un gesto rapido, le sfilò le décolleté, lasciando i piedi nudi sotto le sue mani. Li accarezzò con reverenza, le dita che scorrevano lungo l’arco perfetto, un gemito che gli sfuggiva mentre li stringeva delicatamente.

Poi, inginocchiandosi per un momento, Giulia lo prese in bocca dolcemente, un gesto lento e avvolgente che lo fece gemere. Le sue labbra si muovevano con una dolcezza studiata, e l’eccitazione di lui crebbe fino a esplodere di piacere nella sua bocca. Lei deglutì piano, alzandosi con un sorriso trionfante.

Tornò sulla scrivania, e Lorenzo, ancora rapito, le tolse le mutandine. Mentre la penetrava con un movimento lento e profondo, una mano scivolò sul suo membro, accarezzandolo con delicatezza, l’altra tornò ai suoi piedi, sfiorandoli e massaggiandoli mentre si muoveva dentro di lei. Giulia si abbandonò, il piacere che la travolgeva in ondate, amplificato dal tocco simultaneo e dall’ossessione di lui per quei piedi che lo avevano stregato. I loro corpi si intrecciarono, la scrivania che scricchiolava, e ogni spinta era accompagnata da una carezza, un’unione che li portò entrambi al confine dell’estasi.

Quando tutto finì, lei lo guardò, ancora seduta sulla scrivania, i piedi nudi che lui teneva ancora tra le mani. "Il resoconto può aspettare, no?" disse, la voce velata.

Lorenzo rise, il fiato corto. "Direi di sì." E tra loro, ora, c’era un segreto che li avrebbe legati per sempre
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2025-03-19
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