Ho paura delle visioni, … splendidi sogni bagnati
di
Andrea10F09
genere
fantascienza
Dopo una lunga scarpinata da Gressoney-La-Trinité verso Punta Dufour del Rosa e ritorno alla casa alpina per la cena assieme con tutti i miei compagni e prima di mettermi sotto le coperte per un buon e sano riposo, mi apprestai per un bagno caldo, propedeutico al riposo.
Quanto e come dormii non lo so, né potevo conoscere il tempo della visione, che mi provocò languore, morbida e vischiosa guazza sull’addome e tremori o palpitazioni madide di sudore e sughi all’ano e di conseguenza, pigiama intriso di sostanze organiche, dal caratteristico profumo di adolescenza incipiente; né rammento cosa feci dopo il rinvenimento della guazza.
Da poco avevo terminato la I Ginnasio con discreti risultati, che potevano essere stati migliori, se spesso non mi assentavo con la mente dai testi o dalle spiegazioni del docente. Ero amante dell’arte greca o etrusca e della loro mitologia e da poco avevo scoperto le immagini dei templi del Madhya Pradesh, per mezzo di un insegnante, a causa delle quali le mie letture vertevano sugli amori o sugli scontri tra uomini e Dei, che spesso si presentavano come serpenti, tori, cani o perfino come alghe o acqua. Come quei miei compagni, che poche volte all’anno facevano ritorno in famiglia, non andavo dal barbiere, per cui tenevo i capelli alle spalle, accorciandoli con l’aiuto di un amico, quando ne giudicavo la necessità. Li avevo arricciolati, ma sempre puliti e profumati di sapone.
“Paolo, ti ha soddisfatto la conquista di quella cima?”
“Oh, mi scusi professore, non l’avevo vista.”
“Non importa, ma dimmi, dato che esali ancora quei profumi che ti ho fatto notare in precedenti nostri incontri: ancora sogni, visioni, bizzarrie?”
“Sì, professor Alberto!”
“Penso che per te sia giunto il momento di conoscere altro, ma ora raccontami e, dopo, penso che ti debba mostrare e far conoscere il tuo prossimo passaggio, sempre se sei d’accordo di fare nuove esperienze.”
“Oh, sììì, Professore!”
“Bene, ma ora esponimi, descrivimi il sogno, che ti ha fatto avere così abbondanti polluzioni da profumare anche l’aria della stanza che condividi con altri tuoi compagni ed intridere il pigiama.- Il ragazzo, sorpreso, fissò l’uomo per abbassare gli occhi arrossendosi.- Non devi vergognarti di quello che ti è accaduto: è la tua età.”
“Oh, Professore, era così bello …! Ricorda, Professore, la passeggiata alla ricerca di reperti in quel bosco di castagni, aceri, carpini, roveri, per scrutare, anche tra rovi o fitti cespugli di biancospini e di pruni, testimonianze del passato?”
“Sì, rammento!”
“Improvvisamente dalle numerose cavità che insistono attorno alla radura, era comparso un branco di guerrieri urlanti, che corsero a prendermi.
Non so il perché, ma ero nudo, come loro, ma non con segni colorati sul corpo, come nelle immagini del libro che lei mi diede tempo addietro. Non comprendevo il loro vociare, i loro urli, i loro segni gestuali né il loro ridere quando mi toccavano il pene per raffrontarlo al loro o quando mi pizzicavano a piena mano un gluteo, facendomi zompare o saltellare come quella femmina che mi ritrovai a fianco. Ridevano del mio pisello nel confrontarlo con il clitoride della donna o dei miei capezzolini senza seno, del mio pallore e del mio essere interamente implume. Con urla e spinte mi guidarono, dopo essere entrati in una cavità, davanti ad una anziana, esternante potere e soggezione, seduta su un masso che le faceva da scanno. Dopo un attento accertamento visivo, ad un suo cenno, le fui accostato alle ginocchia, per subire l’esame tattile, che principiò dal volto e dalle labbra, per proseguire senza fretta con l’interno della mia bocca, facendomi spandere abbondanti salive e spostarsi successivamente ai capelli, che tirò per vederne la lunghezza e la leggerezza. Ad ogni avanzare dell’esame fisico emetteva dei fonemi sempre più forti e lunghi, ai quali rispondevano i presenti con altrettanti di entusiasmo e quando una sua mano andò a posarsi sul mio membro irritato e quanto mai rigido, lisciandolo e limandolo, un suono di calpestio sempre più sordo e forte, segno di plauso da parte dei testimoni, ebbi la mia prima forte emissione di seme. Oh, professore, quella donna dai seni cadenti, che impiastricciai del mio latte, conosceva a meraviglia l’arte del massaggio intimo. Senza scomporsi per l’accaduto, proseguì con maestria l’esame e, allorché il mio corpo chiese che la sua mano procedesse addirittura verso la mia valle sacra, lei, raccolto del mio sperma dalle sue mammelle, con circospezione e somma accortezza, introdottomi un dito nell’ano, procurandomi un nuovo sgorgo, urlò la sua accettazione per la meravigliosa, vergine preda che le era stata presentata. A quel punto, fattomi scostare dalle sue ginocchia e stendere sul dorso davanti a lei con le gambe flesse sul volto, strillò, con verbi incomprensibili, dei comandi, ai quali rispose un San Bernardo, che si pose fra le sue gambe aperte e una ragazzina che si accovacciò sul mio viso. Non comprendevo le sue parole, ma le posso riferire quel pensiero che la mia psiche mi comunicava. In sintesi, il succo del suo gracidare glielo posso riassumere con questa allocuzione: Un lungo getto per durata e potenza si librò dalla sua vagina verso l’alto e superato il fisico del cane, si franse su di me e sul fisico della piccola. Quei getti, che mi irrorarono ulteriormente, diedero la stura anche al piacere della ragazzina, destinata ad essere la sua erede su quel popolo degli anfratti, come venni a conoscere nel proseguo della visione, mentre strofinava la sua tenera vulvetta sul mio naso.”
“Perché, ci fu un seguito?”
“Sì! Da quella prosecuzione e dalla successione degli eventi che passai, venni aperto al desiderio spasmodico, irrefrenabile, quasi febbrile di essere la sposa sottomessa e obbediente di un uomo.”
“Continua, ragazzino, che poi, alla fine della tua narrazione, ti farò conoscere quello, a cui sei stato destinato sin dal tuo concepimento.”
“Che …”
“Dopo, vai avanti!”
“Appena si accorsero che le secrezioni, con le quali ero stato ricoperto, si erano essiccate, lasciandomi, però, tracce di profumo da femmina, mi fecero rialzare per ascoltare la matriarca che mi imponeva di essere il dono per placare l’appetito carnale del mostro, loro tutore e protettore
Come seppi, nessuno ne conosceva il volto e chi l’aveva visto, non era più tornato per descriverlo, come nessuno era riuscito a scorgere o individuare le cavità della tribù matriarcale. Delle voci lo descrivevano come un grande orso con fattezze umane, altre come un mutante e altre ancora come un nuovo diavolo del Jersey e tutti nel paese ne avevano grande paura, mentre per gli abitanti delle caverne era il loro difensore, per il quale manifestavano riconoscenza donandogli all’inizio di ogni decennio un maschietto o una femminuccia, che rapivano dal paese a valle o dalle casere montane. Fortuitamente, per non si sa quale causa, mi ritrovai nudo a giocare nei loro prati, mentre scadeva il decennio e ora venivo spinto da maschi con torce verso il fondo dell’antro. Quei selvaggi, senza manifestare sforzi, tolsero dalla parete rocciosa alcuni massi per scoprire un piccolo foro e, accertatisi che fluisce aria, mi invitarono ad entrare per passare in un’altra cavità, seguendo un loro compagno, molto smilzo e snello, che poi, dopo aver superato quel varco, tornò indietro. Compresi che potevo superare quella difficoltà, imitandolo e allungatomi, iniziai a strisciare con le braccia in avanti. Ero un’incosciente come tutti i ragazzini che principiano a scoprire l’ambiente e la vita. Per mia buona sorte quel percorso era in discesa e con il terreno su cui mi trascinavo che diveniva sempre più fangoso e scivoloso, per via della micro-trasudazione della roccia. Finalmente quel sifone di roccia e terra iniziò ad allargarsi, permettendomi di muovermi a rana, pressoché gattonando. Non potevo però vedere, se nello strisciare, mi ero sbucciato o ferito sulle pareti o con delle piccole schegge sorgenti dal fango, perché percepivo strani, misteriosi bruciori e pruriti dalle caviglie all’inguine, al petto e al dorso. Appena lo spazio me lo permise, mi raddrizzai in un buio pesto con gli occhi rivolti verso un’incerta, debole luce, somigliante ad una bioluminescenza. Lentamente, attento a dove mettevo i piedi per non inciampare, mi avviai verso l’unico segno di vita, pensando che dove tremolava quella luce, di certo avrei trovato dell’acqua per lavarmi dalla melma, che mi copriva. Che spettacolo professore: miliardi e miliardi di micro-lumini danzanti, fluttuanti e ridenti mi circondarono. Accovacciato nell’acqua per pulirmi e per sciacquarmi anche il volto e i capelli, scorsi escoriazioni e rossori, che si facevano sempre più vistosi. Sapevo che il freddo aiuta a lenire, a sfiammare, per cui mi stesi completamente, con l’acqua che mi copriva, tramutando quei dolori in compressioni, in spremiture, in pizzicorini, in sollecitazioni anche piacevoli. In alcuni punti del mio corpo la luce era più intensa. Avevo necessità di conoscere con il tatto la mia anatomia, attratto dal caldo che nasceva tra le mie gambe. Guidato dall’istinto cercai il mio pisellino, scoprendo, al posto suo, una dolce collinetta sericea. Non diedi importanza alla scoperta, poiché avevo necessità di godere e in effetti, quando le dita, sfiorata una piccola ben chiusa fossetta e fermatesi per conoscerla, quella si aprì come un fiore per farsi testare e sondare. Un dolce, lungo, squassante orgasmo mi prese. I tremolii di luci si spostarono da me per lasciar spazio ad onde serpentiformi. Pertanto, stupito e boccheggiante per il piacere avuto, mi sollevai dando modo di essere colpito e forato all’ombelico, mentre al posto delle mie dita una forma squamosa brucava, tormentava, addentava i petali del mio fiore congestionato, per iniziare lentamente ad addentrarsi in me, tramite un foro che non sapevo esistesse, regalandomi una ulteriore, sconvolgente, meravigliosa ondata di beatitudine. Tutti e due, quegli esseri, si muovevano al mio interno, uno verso la colonna per morderla, pungerla e pinzarla, l’altro, ingrossandosi, per dilatare, allungare, ungere, lubrificare le mie calde cavità sericee. Mi sentivo strano, molto strano con un gran bisogno di toccarmi, che divenne fame, sete, urlo. In quel corpo non ero più io, ma un fisico che chiedeva, che implorava di essere farcito, saturato di ciò che ancora non avevo incontrato.
Mentre il primo organismo non lasciò traccia del suo passaggio, il secondo, uscendo, lasciata schiusa l’apertura, permise ad un altro più voluminoso di entrare, di sollevarmi dall’acqua e, impallatomi, di muoversi, di sbattere la sua testa sulle mie membrane e di uscire per rientrare dapprima lentamente come a volersi godere lo stretto, caldo, rugiadoso passaggio e dopo, cosciente della presa, con un andirivieni sempre più veloce e sempre più a fondo, mi riempì di caldi liquidi lattescenti, conducendomi ad un’estasi paradisiaca. Non mi accorsi di altri tentacoli volanti che presero possesso uno del mio brunito cerchietto, infilzandolo per dilatarlo e renderlo più morbido, più cedevole, un altro della mia bocca e altri due che, come sanguisughe, si incollarono ai miei capezzolini per morderli, suggerli, strapazzarli per renderli tumefatti e molto gonfi.”
”Da come mi descrivi la visione, mi sembra di capire che tu saresti stato trasformato in una femminuccia; che quei bagliori non fossero altro che degli esseri, capaci di modificare il tuo fisico di maschietto; che quelle sottili, lunghe e serpentiformi figure, simili per teste a pesci aghi, ti hanno dapprima ritoccato e poi aggiunto quelle parti anatomiche che ti avrebbero fatto femmina; che i pizzicori, le prurigini, le voglie che presero il via dal tuo basso ventre non erano altro che desideri di una ragazzina di essere presa, posseduta, riempita di seme maschile e ingravidata; che vorresti venerare, amare, proteggere il segno del commando maschile con la bocca, con il culo e, ora, con la tua immaginaria vagina.”
“Non lo so, o forse … nel mio subconscio mi sento femminuccia. L’acqua specchiava, in quel buio profondo, l’immagine di un fisico modificato, illuminata dai riverberi ondeggianti. Lei ha ragione, professore, non ero più il maschietto di prima e poi con quei capezzolini che diventarono da bruniti a rosa pallido su collinette di porcellana, morbide e vellutate come seta, … ma non mi sentivo ancora pronto per essere una femmina. Avevano migliorato, ritoccando, anche la mia silhouette con natiche più sporgenti, più sode, che palesavano forti, grandi, ardenti bisogni. La mia pancia chiedeva, implorava, invocava: era un ininterrotto sommovimento, un costante sussulto, una continua ribellione. Il mio culo non era da meno, aveva necessità di essere massaggiato, spianato, steso, allungato. Tra le mie gambe esseri informi, piatti come mignatte, bevevano, aspiravano, inghiottivano le essenze che mi erano state introdotte, procurandomi ulteriori languori e necessità, ma non ero ancora una ragazzina. Avevo ancora in bocca quel sapore, che non era di orine o di latte, né era salato o dolce, ma era di una gustosità unica, squisito, delicato, che volevo ancora ingerire, mangiare come nettare divino. Lo avrei voluto su tutto il corpo, come coperta o come cibo delizioso, raffinato, pregiato. Per avere quella bevanda degli dèi o quei sughi dentro di me, mi tuffai in acqua per rincorrere le lucine, i riverberi … e quelli ritornarono o mi copersero per intridermi di formicolii e di piacevolissimi pizzicorini, senza penetrare nei fori, sino a che … il mio peregrinare, il mio muovermi non mi fece arrivare sul nero, sabbioso asciutto. Sfinito per gli orgasmi avuti, per il nuotare alla ricerca del piacere, steso con il corpo spossato, non sentivo né caldo né freddo. Non avevo paura o timori o ansie in quel buio pesto. Respiravo con calma. Ero una femmina, ma dovevo ancora scoprirlo. I miei seni, sormontati da rosei capezzolini di ragazza ancora vergine, ora erano caldi, lucenti, dolci, delicatamente felpati; dalle labbra della mia vulvetta spuntava un corto, tozzo, tumido ago. Ero serena, quando mi sentii afferrare per i capelli e sollevare. Due occhi, due piccole lampade e un profilo più nero della pece. Dopo avermi fissato a lungo ed aver emesso un fonema, simile ad un latrato, mi buttò su quella che doveva essere una spalla, per trasportarmi dopo un breve, accidentato percorso, con un suo braccio a stringermi le natiche e il mio busto penzoloni sul suo dorso, in un’altra tana riscaldata e illuminata da un focolare addossato ad una parete rocciosa.”
>Stai lì!< … e gettatomi come fardello su un cumulo di pelli puzzolenti, fredde, ammuffite per l’umido del covo, mi diede modo di fissarne la figura e di sentirne la voce. Il mio ardimento venne meno per un attimo: caddi in ginocchio, iniziando a piangere. Sapevo perché ero là e il mio corpo lo chiedeva, ma prima il buio profondo e dopo quell’essere peloso dalla forza immane … Tremavo e piagnucolavo, poi una voce sopra di me, con un accento strano, ma non sgradevole: >Come ti chiami, piccola?<
“Paolo, signore!- Non avevo ancora la percezione e la consapevolezza della mia trasformazione, anche se momenti prima, nel toccarmi per i bisogni, non trovai il mio sesso con le palline. Sopra di me non un uomo, non un animale, ma un orrore: un uomo mostruoso e sfigurato, coperto da pelo folto e lungo dalla testa ai piedi. -Cosa vuoi da me? Chi sei?- Tremando, balbettai quelle parole, a cui rispose sollevandomi il mento con la punta delle dita.”
>Hai fame?- e senza attendere una mia risposta si allontanò per ritornare dopo un po’ con un capretto scuoiato ed eviscerato, ancora grondante sangue. Lo mise sul fuoco per cucinarlo alla brace. -Quella vecchia, questa volta ha voluto sorprenderci con una bella, tenera, fresca femminuccia.<
“-Non sono una bambina! Non sono una bambina! – e calcando, sillabai le parole per farmi meglio comprendere.- Non … so – no … u - na … fem – mi – nuc - cia! -… risposi tra lacrime e singulti.”
>Sì, la volta scorsa, se una ragazzina mi avesse risposto in questo modo, avrei potuto dubitarne, dato che aveva un pisello femminile molto lungo, come tutte le femmine della sua e tua famiglia, ciò nonostante, guardandoti bene: non vedo segni che mi dicono che tu sei un maschietto. Ora lasciamo perdere le chiacchere, se sei o non sei una ragazzina: io ho fame e tu?- … e staccato un cosciotto del capretto, me lo porse, invitandomi a sfamarmi e a gustare quella tenera carne. L’uomo ritornò ad osservare il dono contro la luce del fuoco. -Sì, il villaggio ha scelto sensatamente quest'anno. Sei davvero bella, forse l’offerta più bella che mi sia stata inviata.<
“L'artiglio dell’orso mi accarezzò delicatamente una guancia mentre mi guardava. Nonostante il suo aspetto animalesco, selvaggio, qualcosa in lui mi affascinava e seduceva. Una sensazione, un’impressione? No, era un profumo! Mi sentivo stordito, avvinto, ... eccitato. I suoi occhi mi trasmettevano delle sensazioni misteriose, molto strane. Quello di cui non mi rendevo conto però, era che l’orso emanava un profumo particolare, eccitante, avvincente, che mi prendeva, mi ghermiva per rendermi succube e sottomesso.
Il suo abbigliamento era un vello lungo e sporco, ma potevo vedere molto chiaramente che quell'uomo-orso si stava eccitando, mentre mi studiava. Un grosso, enorme cazzo cominciò ad emergere dal manto lanoso gonfiandosi e a rizzarsi davanti a me. Rimasi impressionato e allibito. Il mio corpo reagì sciogliendosi, squagliandosi emettendo sempre più secrezioni e facendomi nascere il desiderio di essere posseduto da quella carne. Iniziavo a sentirmi femmina. Un suo artiglio si spostò dal mento al basso ventre, per impugnare il sesso che ormai mi puntava, mentre con l’altro iniziò ad accarezzarmi le gote, per scivolare successivamente ai piccoli acerbi capezzoli e alle mammelle per stringerle ed allungarle, che riconobbi per la prima volta come seni femminili.
Nonostante l’apprensione che vivevo, i miei capezzolini si inturgidirono, mentre il mostro giocava con le mie tette impastandole, strizzandole, mungendole, estorcendomi un debole lamento quando riprese a pizzicare e a stringere i rosei, turgidi capezzoli; poi, agguantatomi e giratomi, osservò con morbosa libidine il mio lattiginoso, felpato sedere, rimodellato e reso ancor più affascinante e desiderabile dalle lucine, che avevo conosciuto.
Mi spinse, facendomi ricadere sul giaciglio di pelli e, gorgogliando suoni incomprensibili, si chinò per esplorare con il muso il mio didietro, aspirandone il profumo di adolescente. Percepii i glutei allargarsi e una lingua ruvida, rasposa muoversi piano, incerta, esitante e poi decisa, feroce, violenta, sul mio nuovo sesso e sull’ano. Lappava come un cane, leccava, limava, raspava di nuovo, mordendo e azzannando il piccolo clitoride e le mie labbra vaginali, tirandole per arrossarle, inzuppandole di salive e di mie appiccicose essenze. E ancora, ancora. Quella scuffina mi spogliò di forze e resistenze. Ero in sua balia. Tremavo, sussultavo ai suoi tocchi. La testa lanosa spostava, alzava, apriva il mio fisico con facilità estrema. Godevo, mi bagnavo, pisciavo piacere e lui beveva, aspirando, ingurgitando e pulendo il mio fiore tropicale e il mio culo in un modo che mai mi sarei immaginato. Toltomi il cosciotto, che ancora non avevo addentato, e avvicinatolo al godimento nascente, lo sfregò, ungendolo delle mie ricche secrezioni.”
>Ohhhh, ora è condita e cucinata a dovere!<
“Così interpretai le sue parole, mentre azzannava e strappava dalla coscia del capretto bocconi sanguinolenti. Ridevo, in quella pausa di carnalità, per come addentava e per quel boccone che mi mise in bocca. Ridevo, mentre lui si batteva con la mano aperta il petto, facendolo vibrare e rumoreggiare. Entrambi eravamo a conoscenza del seguito delle nostre esternazioni di giubilo.
Una parte di me era sì infastidita per come addentava la carne, insudiciandosi la lunga barba di sangue e di grassi, ma rideva sedotta quando la immergeva nella mia vulva a lui offerta per condirla delle mie voglie; invece, una mia parte più lontana, ma quanto mai esuberante e vivida, chiedeva di essere stuprata da quella creatura mostruosa, con la sua lunga e grossa proboscide, che si ergeva rossa e lucida davanti al suo addome come un totem.”
>Conoscerò le tue porte e in ognuna lascerò il mio segno. Con la prima avrai modo di gustare, bere e sfamarti; per mezzo della seconda ti renderò madre del tuo primo figlio e usando la terza: ti farcirò e riempirò insaporendo e addolcendo il tuo intestino e la tua anima. Sarai mia, tutta mia, interamente mia, per sempre!<
“Questa era la traduzione delle voci passatemi dai girini luminosi che, decollando dal focolare, si libravano in aria sino a spegnersi. Ero femmina, stesa sul dorso, con una gamba leggermente piegata, mentre l’altra flessa si moveva verso il tappeto lasciando completamente schiusa ed esposta alla sua vista la mia rosea, calda vagina, intrisa e zuppa di sughi. Non avevo minimamente percezione di come stavo e di come esponevo le mie intimità a lui, poiché ero stregata, avvinta ed incantata dal suo membro tumido e quanto mai sodo. Non mi interessava più il suo aspetto, ma il suo membro, gigantesco e palpitante, gocciolante di eccitazione. Ogni goccia, che fluiva dal suo meato e che cadeva con un fono leggero, riecheggiava nella mia mente, intensificandomi il desiderio. Quella vista mi fece delirare, i miei pensieri si dissolsero. Il mio cuore per quella mostruosità accelerò e aumentò i battiti. Il calore che irradiava mi avvolse, alimentando la lussuria che bruciava dentro di me e il bisogno crudo e primitivo, nato dall’acqua, cresceva esponenzialmente. Volevo di più, di più, non riuscivo più a fermarmi. Non mi interessava più come mi presentavo, lasciva e concupiscente, perché ero sua e solo sua.” In un rapporto fisico la modestia e il pudore sono di impedimento alla carnalità e al pieno possesso dell’altro. “Professore, mi fermerò un attimo dal proseguo della visione per descriverle quel fallo e come il mio corpo reagì a quella vista. Ero un maschietto trasformato in una femminuccia e nel mio corpo femminile ora aperto alla sessualità e alla carnalità convivevano ancora il maschietto-femminuccia che l’adolescente-femmina. Professor Alberto, da quelle visioni ho capito che il peccato non è fare sesso, ma il non farlo; che non c’è età per iniziare e con chi iniziare; che l’amore è sesso e anima; che il sesso è vita e non si può incanalarlo; che il sesso è istinto e che se uno si lascia guidare dalla natura, sa trarre piacere e appagamento e sa darne. Sono come la natura mi ha voluto: una ragazzina in un corpo di genere maschile e in natura non ci sono solo due generi, ma tanti, tanti, tanti e ognuno ha sfumature diverse, che lo differenziano dagli altri.
Ora proseguo e non si scandalizzi per la mia emotività o per il sogno che ho vissuto
I miei occhi si posarono avidamente sulla sua mostruosa erezione, notando ogni vena che si gonfiava sotto la pelle luminosa. Era uno spettacolo travolgente e meraviglioso. Il mio respiro accelerò, le mie labbra si aprirono e gocce di saliva scivolarono lentamente lungo il mio mento, a testimonianza della mia fame. Non potevo più aspettare. Ero completamente sopraffatta. Il mio corpo vibrava di un'energia che non potevo e non volevo fermare. I miei capezzoli erano così duri che mi facevano male e l'umidità tra le mie gambe cresceva, cre…sceva, cresce…va. Il mio corpo chiedeva. La mia pancia spasmava per la voglia mentre lo fissavo. Ogni allungamento, ogni contorsione o ogni sfregamento per sedare la mia carne, era una carezza proibita che non faceva che aumentare l'intensità del fuoco che mi consumava. Era un ardore meraviglioso. Era impossibile fermare l'impulso di volere di più. Tutto il mio essere era concentrato su quel desiderio puro, carnale. Il bisogno, l’istinto destato dall’acqua e dalle lucine mi dominava. Brividi lungo la schiena, ma tutto ciò che sentivo era l'impulso, la voglia disperata di arrendermi al piacere che era là, davanti a me, a portata di mano. Non ce la facevo più, non vedevo l'ora. Il bisogno era pressante, come l’aria. Volevo di più, avevo bisogno di più. Le emozioni mi avvolgevano, mi rendevano un tutt'uno con quel luogo, con quell'essere, ero disposta ad accettare tutto ciò che poteva darmi e prendersi.
Mentre la mia mente si annebbiava per la lussuria, sentivo le perdite vaginali diventare ancora più abbondanti, formando un torrente caldo e viscoso che inzuppava il mio sesso, lasciandomi completamente bagnata. L'odore, un misto del mio sudore e dei miei succhi, si intrecciava con il suo odore selvaggio, che con il fetore intenso di chiuso della tana creavano un'atmosfera carica di pura perversione. Era un profumo inebriante, un profumo sporco ma ipnotico. Sentivo l'odore dell'unione dei nostri desideri.
Inconsciamente feci scivolare la destra nell'umidità che sgorgava da me, mentre lo fissavo. Che sensazione stupenda. Il desiderio carnale aveva preso il sopravvento e il mio corpo tremava ad ogni battito cardiaco, desideroso di essere riempito, sopraffatto dal piacere che stava per arrivare. La mia mente non pensava più, seguiva solo l'impulso primordiale. Le mie dita si muovevano tra le mie gambe, aumentando la pressione sul clitoride mentre sentivo l'umidità tra le mie cosce crescere sempre più in alto. Era come se il mio corpo stesse rispondendo a un richiamo primordiale, come se ogni cellula sapesse che mangiare quella carne era l'unico modo per placare la mia fame. L'umidità traboccava da me e la sensazione che il mio piacere dipendesse interamente da quel momento, non faceva che aumentare il mio bisogno.
Quel cazzo era uno spettacolo in sé, una pura manifestazione di potere e desiderio che dominava tutti i miei pori, tutto il mio essere. Le sue dimensioni erano travolgenti, imponenti, molto più grandi di quanto il mio corpo umano sarebbe stato in grado di sopportare, ma era proprio per questo che ne ero così attratta, affascinata, mentre bruciavo di eccitazione e di desiderio sfrenato.
Il fallo emergente, pesante e pieno di vita, su un prato bruno tra le sue potenti zampe era di un colore quasi nero, come il pelo che lo fasciava, con una lucentezza che lo faceva sembrare scolpito in roccia vulcanica, vetrosa e nera. Era uno spettacolo maestoso. Si potevano vedere vene spesse e pulsanti che lo attraversavano, ognuna marcata e prominente, che si stagliavano contro la pelle tesa che ne copriva l'imponente lunghezza. Brillava, pulsava! Il calore che irradiava era palpabile, come se tutta l'energia contenuta nel corpo della bestia fosse concentrata in quel punto, pronta per essere sprigionata, pronta a sottomettere e a schiavizzare.
La testa del suo cazzo, larga e arrotondata, era coronata da un glande lucido, una punta di una tonalità più chiara rispetto al resto, dalla quale fluiva una ininterrotta, densa, quasi dorata scia di precum, che scivolava lentamente lungo la sua lunghezza. Quella vista mi fece gemere dolcemente, il mio corpo rispose con una scarica di calore. Mi spostai trascinandomi sul dorso senza perdere di vista la visione, con il guscio grondante come quello di una giovenca in estro e quello, senza perdere di vista la mia offerta, presami per la mano che mi deliziava, mi rialzò come fossi un fuscello per essergli addossata, facendomi tastare con la pancia il suo arroventato ferro. Fissandolo, ridevo e ridevo, come una pazza, mentre con la mano libera mi ungevo del suo desiderio trasparente.
Come si muoveva quel bastardo e come mi chiamava con cenni o foni. Il semplice movimento di alzarmi, di spostarmi o di obbligarmi in una posa per dargli piacere mi tolse il respiro, il mio corpo tremò per l'eccitazione. Sapevo che non avrei resistito a lungo prima di cedere all'impulso di sentirlo dentro di me, di lasciare che quell'enorme fallo mi riempisse, portandomi, come passionalità chiedeva, in un'estasi che solo lui poteva offrirmi. Non riuscivo più a resistere. Ero così vicina, potevo sentirlo il momento in cui mi sarei arresa completamente, arresa al potere di quel membro.
L'odore che emanava il suo cazzo era forte, un misto di sudore e qualcosa di puramente animale, un profumo che risvegliava i miei istinti più remoti. Potevo sentire la mia bocca riempirsi di saliva mentre immaginavo come sarebbe stato leccare ogni centimetro, assaggiare la sua pelle tesa e calda, fino a quando non ce l’avrei più fatta e l’avrei preso completamente, lasciandolo affondare in profondità nella mia gola, nel mio corpo. Volevo.
L'attesa mi ha dominata. Il desiderio di assaggiarlo, di averlo era insopportabile.
In quel momento, addossata a lui e fissata da lui, mentre lo guardavo, ebbi la percezione che la liberazione da quel mio bisogno, era di avere dentro di me la carne calda che mi bagnava, che mi infradiciava la pancia di calde sue essenze. Ero pronta a lasciarmi prendere e lacerare.
Dopo avermi osservata ancora negli occhi e untami il volto dei secreti che colavano dalla mia fica gonfia e quanto mai desiderosa di conoscere o di essere lacerata dalla trave che si muoveva o ondulava dal suo inguine, mi spinse lontana da lui, ingiungendomi di danzare. Non avevo mai ballato, né ascoltato musica per muovere il corpo, eppure professore, - le parlo al femminile- spinta dal suo invito e dal suo profumo e dalle mie impellenze alzai le braccia incrociandole sopra la testa e guidata dall’istinto di donna, che sempre più emergeva in me, iniziai a mettere un piede davanti all’altro o a sollevare una gamba per rimanervi sulla punta dell’altra. Suoni, profumi, ombre erano la compagnia che mi chiedeva di offrire tutta me stessa a lui. Per lui ballavo persa nel momento. Nei movimenti esponevo la fica sempre più grondante e il culo palpitante, che a lui chiedevo di riempire, saziando le mie voglie. I miei seni erano sempre più caldi e sempre più sodi e brillanti. La mia pelle cominciò a scintillare. Senza sapere il perché: i miei piedi trovarono un ritmo … antico, spontaneo; un’armonia di gesti, di oscillazioni, di flessioni seducenti, sensuali, impudiche; dalle quali trapelava il mio donarmi a lui, anche con l’anima.
Si fece avanti. Mi prese per la vita, tenendomi inarcata sul suo addome e sollevata per farmi sentire sulla pelle la sua bestiale virilità Le mie braccia gli circondarono il collo. I suoi occhi si avvicinarono al mio volto e la sua lingua iniziò a pulirmi dal sudore che per lui avevo emesso. Mi lappò vogliosamente da un orecchio all’altro, dal mento agli occhi, come i cani quando bevono con avidità l’acqua, suggendola rumorosamente e rendendo le mie gambe improvvisamente molli e deboli per poi, osservatami, infilare la mia bocca per asportare salive ed iniziare assieme la danza del gusto.
Il suo profumo, selvaggio e sensuale, penetrato in me, mi annodava a lui. Una sua mano, spostatasi dalle mie reni e spintasi sino alla vulva, già aperta dalla congestione passionale, distanziati gli arti, pizzicottava, dilatava, picchiava, penetrava. Boccheggiavo, squirtavo e pisciavo in preda a spasmi sempre più violenti
Le mie mani, da incrociate, si misero a ballare o a spingerlo via per respirare. Il mio addome era intriso, unto, lubrificato dei suoi trasparenti secreti e degli effetti delle acmi del mio piacere, che ritornavano a me dal suo vello.
Da sollevata da terra, mi spinse giù con la testa pigiata sulla sua calda, pelosa bisaccia fradicia, che impiastricciai ulteriormente di rigurgiti. Anche il mio retto iniziò ad abbandonare e ad allentarsi. Ridevo, piagnucolavo e ansavo in risposta ai suoi latrati di lussuria. Lordata di piscio e di conati, ora lo lappavo, leccavo, lo veneravo con tutta me stessa. Il mostro, con la sua carne vogliosa di prendermi e di farmi sua, giocherellando con i miei capelli, mi impose il proseguo delle mie caste, ma lascive ed impudiche preghiere.
Mi piegai, le mie ginocchia affondarono nella terra intrisa di secreti e di umidità stagnante, mentre le mie mani tremanti cominciarono a esplorare tra la sua folta e lunga pelliccia finché le mie dita trovarono il suo membro, grande e caldo, pulsante di vita propria. Le mie labbra si aprirono in un sospiro di desiderio mentre lo guardavo, stupita dalle sue dimensioni e dalla sua marmorea durezza.
Era così enorme, così potente, che non riuscivo a resistere all'impulso di averlo con ogni fibra del mio essere. Lo volevo, tutto. Catturai i suoi coglioni per sentire tutto il loro peso tra le mani. Era come stringere la promessa di un piacere proibito. Le mie dita gli avvolsero e cominciai ad accarezzarli con un fervore quasi reverenziale, stringendoli forte mentre gli esploravo. Le mie labbra si aprirono e la mia lingua iniziò il suo viaggio dalla base, leccando devotamente ogni centimetro di quel cazzo dal sapore acido e ripugnante, duro e pulsante, dal gusto disgustoso, tanto che provai vomito, ma allo stesso tempo era un nettare delizioso, energetico, afrodisiaco.
D'altra parte, la consistenza della sua pelle, così morbida, serica e soda, era un contrasto perfetto con la forza che sprigionava. Quando raggiunsi la punta, la mia lingua giocherellò con il suo piccolo foro, assaporandone la traccia della sua essenza e sentendone le risposte con crescente eccitazione. Sì, sì, di più, voglio di più!- Gli sussurrai.- Non potei fare a meno di sorridere mentre si induriva ancora sotto il mio tocco, i suoi rantoli divennero sempre più pesanti, riempiendo l'aria di promesse.
Interruppi l’atto per ammirare prima i suoi occhi e poi lo splendore, il luccichio, il suo desiderio umido e caldo che fluiva copioso dal meato della sua asta con i marroni pelosi posati sulle mie bianche, felpate, dolci mammelle. Intravidi un sorriso fra il pelo della barba e poi, mentre mi tratteneva per la chioma, con una mano, impugnata la canna, intraprese a segnarmi il volto dal mento alla fronte, dagli orecchi agli occhi per poi pormela sotto il naso impregnandomi le narici del suo intenso, selvaggio, maschio profumo, per farla scivolare successivamente alle labbra, bisognose di essere umettate dal sugo trasparente di cui era ricoperta. Ticchettò un po’, picchiò, sostò, spinse. Era … Le mie labbra, umide e desiderose, si allungarono e si aprirono. Ohhh, professore, era tanto grande, ma quello, spingendo lentamente e tenendomi la testa con entrambe le mani, riuscì a far entrare il suo arnese caldo e scivoloso. Ero felice, anche se stentavo a muovere la lingua e glielo dimostrai aggrappandomi a lui, come meglio potevo, mentre lui iniziava ad indietreggiare e a rientrare. Sbavavo e tossivo, sino a quando non riuscii più a spostare la lingua, mentre il mio culetto ritornava ad emettere creme brunastre. Ho sentito ogni sua vena pulsare contro la mia lingua, il calore del suo cazzo crescere ogni secondo, per gonfiarsi come se stesse per esplodere da un momento all'altro. Volevo che mi desse tutto. La mia lingua ne seguì il contorno, tracciandone la lunghezza con devozione, adorando ogni piega, ogni palpitazione, mentre i miei gemiti si bloccarono nel sentire il suo corpo tendersi, i suoi muscoli indurirsi come corde sul punto di spezzarsi, il suo cazzo pulsare dentro la mia bocca. Schiacciato contro il suo inguine, sentii un primo getto di liquido caldo terminarmi in gola, accompagnato da un ululato. Arretrò di poco per guardarmi negli occhi, mentre un nuovo spruzzo, che non riuscii ad ingoiare, mi chiuse le narici.
D'altra parte, anche il mio orgasmo era sul punto di esplodere. Mi sentivo gonfia sotto le dita, mentre le strofinavo sempre più velocemente, più disperatamente, sempre più forte. Il mio corpo tremava, i miei fianchi si muovevano involontariamente, alla ricerca dell'ultimo sbuffo d’aria. Il mio respiro diventò convulso, ogni mio rantolo si mescolava a un suo gemito, le mie gambe si tesero, si aprirono e si chiusero. Tutto il mio corpo era in fiamme, vibrava in modo incontrollabile. I miei capezzoli erano così duri che mi facevano male, le mie dita si contorcevano per un bisogno furioso e tutto ciò a cui riuscivo a pensare era esplodere in un'ondata infinita di piacere.
Il caldo tra le mie gambe era insopportabile. Potevo sentire i miei sughi scivolare lungo le mie cosce, inzuppare di più la fanghiglia sotto le mie ginocchia, mentre le mie dita non smettevano di lavorare, non smettevano di strofinare, di affondare dentro di me, di allungarmi e di prepararmi all’orgasmo. Tutto il mio essere era concentrato in quel momento, il mio clitoride pulsava con un ritmo frenetico e i miei gemiti si intensificavano. Le mie dita si muovevano sempre più velocemente, scivolando con l'umidità del mio sesso, e ogni tocco, ogni pressione sul mio clitoride gonfio mi portava sempre più vicino all'abisso. Gli spasmi cominciavano a correre lungo la mia schiena, un avvertimento di ciò che stava per accadere. Ogni fibra del mio essere era in attesa, ogni muscolo si irrigidì, i miei occhi si chiusero per un cieco bisogno.
E poi … le sue convulsioni, il suo cazzo gonfiarsi e pompare dentro la mia bocca e un altro spruzzo caldo di sperma colpirmi la parte posteriore della gola, facendomi soffocare in uno spasmo di piacere.
Ahhhhhhh, urlai in silenzio, un fono soffocato e arrabbiato.
La mia gola si contrasse intorno a lui, le mie labbra si strinsero e lasciai che tutta la sua essenza mi travolgesse. Era una sensazione così forte, così travolgente, che non riuscivo a trattenermi. Le mie dita spinsero forte dentro di me, il mio corpo si inarcò all'indietro e io esplosi in un acme di piacere che mi ruppe in mille pezzi. La mia schiena si piegò, le mie gambe si tesero e i miei gemiti si trasformarono in un urlo soffocato. La mia mente si annebbiò, ogni pensiero scomparve mentre il mio corpo si arrendeva al godimento.
Il mio urlo mi si bloccò in gola, tutto il mio corpo ebbe convulsioni e sentii la mia vagina contrarsi intorno alle dita, come i miei fianchi che si muovevano da soli, spingendo in avanti, volendo di più, ancora, ancora di più. Gli spasmi mi attraversarono come onde, e ognuno era più intenso dell'altro, ogni contrazione, ogni pulsazione suscitava in me un gemito strozzato tra i denti. Il clitoride bruciava, le cosce tremavano e il calore si diffondeva in tutto il corpo, dai piedi alla testa. Era come se ogni cellula fosse accesa da una fiamma di carnalità che non poteva essere spenta.
E lui continuava a versare e io a ingoiare, lasciando che la sua crema calda e salata, assai particolare, mi riempisse, mi bagnasse, mi rivestisse, mentre il mio corpo vibrava di piacere. La mia saliva si mescolò al suo sperma, traboccando dagli angoli della mia bocca, scivolando lungo il mento, cadendo sui miei seni. Il calore e la viscosità del liquido, il modo in cui scivolava lungo la mia pelle, facevano diventare i miei capezzoli ancora più duri e i miei gemiti continuavano, mentre la mia lingua cercava di raccogliere i resti, assaporando ogni traccia del suo sperma. Un profumo forte e animalesco che alimentò ancora di più la mia lussuria, riempì l’antro. Chiusi gli occhi per godermi appieno il momento, per godere del calore di ogni sua nuova esplosione.
Non so, Professore, da chi fossi istruito e guidato in quella danza erotica, così libidinosa e tanto carnale. Non ho mai fatto sesso, se non con un compagno, dal quale appresi a massaggiarmi il cazzo sino alla sborrata finale, ma in quel sogno: era la natura o chiamiamolo istinto o predisposizione, spinto dagli stimolanti assorbiti nello stagno, sta di fatto che agivo da esperto dell’arte erotica, licenziosa, lasciva.
Le mie dita si muovevano sospinte da una frenesia quasi sacra, tra devozione e passione e mentre le giravo intorno al suo fallo, avvertivo la sua tensione crescere in modo esponenziale. Potevo sentire ogni pulsazione, il calore che emanava, duro e pieno di vita, come un essere che rispondeva alle mie carezze con un desiderio che coincideva con il mio. Mentre la mia lingua continuava il suo viaggio, lentamente e con determinazione, leccandogli ogni centimetro, come se quel membro pulsante fosse qualcosa di divino che pretendeva di essere adorato. Ogni gemito che emetteva, ogni sussurro soffocato che riuscivo a strappargli, mi infiammava di più. Potevo sentire il suo respiro accelerare, il suono inumano del suo piacere riempire l'aria, facendomi anelare di più, desiderare tutto, in modo irresistibile.
L'eccitazione nel suo corpo era palpabile, ogni muscolo si tendeva in risposta ai miei movimenti. Ciò che mi ha affascinato di più è stata la reazione quasi animalesca che ho provocato in lui, la forza con cui si è donato. Tutto il suo corpo sembrava sull'orlo del collasso, aggrappato a ogni tocco, a ogni leccata, alla disperata ricerca di quel sollievo finale. Eravamo uniti, avevamo dato origine ad un essere ardente, unico, in continua estasi.
Le mie labbra si separarono da lui con una scia bagnata, le mie mani lo stringevano più forte, mentre i suoi rantoli proseguivano. Ero posseduta, ma che cosa meravigliosa era possedere il suo membro palpitante e tanto pesante. Era il mio trofeo appeso tra le sue gambe, che avevo spremuto e che continuavo a mungere e che avrei, da lì a poco, inserito tra le mie gambe. Sentii il calore soffocante sul mio viso mentre lo succhiavo freneticamente e non potei fare a meno di notare la forza che si accumulava nel suo corpo, una forza animalesca che erompeva ad ogni colpo che colpiva il suolo con i suoi piedi, echeggiando come un tamburo di avvertimento sul terreno. I suoi occhi brillavano di un misto di sfida e frenesia e in quel momento fui sopraffatta da un turbinio di emozioni: fascino, paura, un'eccitazione crescente che non riuscivo e non volevo più controllare.
Ogni sua reazione mi eccitava sempre di più. Eravamo in una spirale di desiderio, vivevamo in un'esplosione di sensazioni che facevano confondere i miei gemiti con i suoi, in una danza senza fine dove il confine tra l'umano e il brutale svaniva completamente. Le mie dita, incapaci di stare ferme, si divisero sulla pancia finché non trovarono il mio sesso, fradicio e palpitante, una calda massa di desiderio che doveva essere appagata. Le mie gambe tremarono per separarsi mentre le mie dita affondavano nelle mie pieghe bagnate, trovandole gonfie e pronte. Un gemito mi rimase bloccato in gola, un urlo muto che mi fece solo arrendere di più agli orgasmi ripetuti. Sì, così, proprio lì! Le mie dita si muovevano in rapidi cerchi, coordinate con il ritmo delle sue spinte. Ogni volta che il suo cazzo affondava nella mia bocca, le mie dita premevano più forte sul mio clitoride, inviando spasmi di piacere in ogni angolo del mio corpo.
-Sì, di più, di più!- Gridai con la bocca piena, la voce rotta per il godimento. Potevo sentire il suo cazzo pulsare e ogni sua spinta diventare più irregolare, più inconsulta. La mia gola, le mie labbra si allungarono per accogliere il suo sperma. Era quello che volevo, perdermi in e con lui.
I miei fianchi si muovevano involontariamente, cercando sollievo dalla pressione che si accumulava nel mio inguine, mentre la mia bocca continuava a divorarlo, desiderosa di tutto ciò che il suo corpo poteva darmi.
Le mie dita non stavano ferme, mentre lo divoravo, si muovevano tra le mie gambe, scivolando con forza sull'umidità che già mi inzuppava le cosce. Mi penetravo furiosamente, mentre succhiavo come una cagna affamata, ansimando contro il suo pelo. Sentivo la perversione crescere, ogni colpo della mia lingua era sempre più sozzo, sempre più inzaccherato, ogni gemito che emettevo, mentre lo avevo nel profondo della gola, era un urlo di oscenità. La mia saliva gocciolava, formando un grottesco sugo tra la sua pelle e la mia bocca.
L’ho sentito mugghiare, ruggire, mentre mi spingeva per la chioma sulla sua grande, maestosa sporgenza. Era il suono del suo possesso e della mia sottomissione. La mia mano lo accarezzava forte, mentre, con gli occhi chiusi, persa nella mia febbre di lussuria, la mia bocca, assaporando, ingoiava ogni centimetro di quella bestialità impossibile
Volevo tutto, sentivo la gola stringersi, stringersi intorno alla sua carne mentre le mie dita giocavano con la mia vagina, sporca, bagnata, fradicia.
E poi, guidata da una forza ignota, oscura, ho allungato la mano destra verso il suo retto. Lo massaggiai delicatamente, dilatandogli l'orifizio anale mentre la mia bocca continuava a divorare il suo immenso membro. Lo sentii tremare mentre le mie dita trovavano il suo punto più scuro, quello che nessun altro aveva mai toccato. Pigiai forte mentre la mia lingua vibrava, provocandogli un profondo gemito che echeggiò in tutto l’antro. Si inarcò al contatto, spingendomi la testa più in giù, quasi a soffocarmi.
La mia mano si fermò proprio lì, proprio in quel luogo intimo e vulnerabile. All'inizio premetti delicatamente, come se sentissi i limiti della sua resistenza, mentre con la bocca continuavo a succhiare avidamente la sua carne soda.
Le mie dita entrarono, spingendo verso l'interno, penetrando saldamente la sua tenuta anale, mentre lo sentivo inarcarsi sotto il mio tocco. Nitriva, urlava foni insani, dal tono profondo, che non erano né di dolore né di piacere, ma della confusione che gli provocai. Lo strinsi più forte, le mie dita invasero il suo buco, mentre la mia bocca lo divorava, inghiottendolo fino in fondo, facendo capitolare tutto il suo corpo all'oscenità della lussuria.
Lo penetrai forte, giocando in modo perverso e sporco, stringendolo sempre di più, mentre sentivo come rispondeva il suo culo.
La mia bocca perversa non smetteva di succhiargli il cazzo. L'avevo completamente avvolto, il
suo glande mi sfiorava il fondo della gola, mentre la mia lingua si contorceva, leccando, giocando, succhiando con una disperazione che cresceva sempre di più. Il suo corpo animale era combattuto tra dolore e piacere. Ogni volta che muovevo le dita dentro di lui, lo sentivo rabbrividire, ansimare come una bestia selvaggia e soggiogata.
L'altra mano, rimasta ferma per permettere alla consorella di snervare, di sfinire i gangli nervini del compagno riprese a strofinare con rapidi, decisi, impudenti movimenti, facendo esplodere il mio piacere nello stesso momento in cui lui ritornò a riversarmi in bocca il suo. Il suo latrare divenne più discontinuo e vario, mentre la mia lingua proseguiva a far fiottare.
Alla fine, quando le convulsioni cominciarono a diminuire, mi allontanai dal suo cazzo, lasciandolo uscire lentamente dalla mia bocca, con un ultimo bacio sulla punta che strappò un ultimo gemito dalle sue labbra. La mia mano era ancora tra le mie gambe, mentre l'orgasmo si dissipava e il mio respiro tornava lentamente alla normalità. Ho guardato il suo cazzo, ora più morbido e bagnato dalla mia saliva e dai suoi stessi fluidi. Non ho potuto fare a meno di leccarmi le labbra, assaporando l'ultima traccia del suo elisir.
Le mie gambe tremavano ancora, mentre mi sedevo stanca ed esausta, con le mie mani che accarezzavano i suoi fianchi, intanto che sentivo il calore della sua pelle e il suo greve e arduo respiro. Mi sentivo soddisfatta, ma allo stesso tempo sapevo che quello era solo l'inizio. Il mio corpo bruciava ancora, e la mia mente stava già immaginando lo step successivo, nel quale mi avrebbe presa, in cui mi sarei arresa a quel bisogno insaziabile, instillatomi dalle lucine, che non mi ha mai abbandonata. Il mio sesso continuava a battere, il mio corpo continuava a vibrare, ancora affamato, ancora desideroso di più. La sensazione delle sue mani sulla nuca, il suo asso che mi inondava, i suoi gemiti rauchi riempivano i miei pensieri e non vedevo l'ora di essere ingravidata.
-Questo è solo l'inizio, tesoro. Sarò sempre pronta per te-, gli sussurrai con parole sconosciute, accarezzandolo, lasciando che le mie dita scorressero sulla sua folta pelliccia. Le sue orecchie si mossero leggermente e potevo sentire il tremore che ancora attraversava il suo corpo. Era una promessa di donarmi ancora e ancora, senza riserve. Il calore che sentivo era così profondo, così travolgente, che sapevo che presto avrei preso fuoco di nuovo, ma la stanchezza cominciava a mescolarsi a una sensazione di grandissimo languore, con l’ano incapace di trattenere. Le mie dita, come un addio temporaneo, dopo sfiorarono delicatamente il suo cazzo floscio e pendente, sapendo che non sarebbe passato molto tempo prima che fosse di nuovo pronto per me. Ero esausta, sfinita. Il mio corpo, ancora in preda agli ultimi spasmi di piacere, aveva bisogno di sentirsi al caldo, coccolata fra le sue lanose, forti braccia. Piagnucolavo, uggiolavo, guaivo fonemi di femmina, che chiedeva di essere abbracciata, di riposare coperta dal suo pelo e dai suoi odori, accarezzata anche nelle sue intimità dai suoi artigli o dai suoi innocenti morsi. Come se mi avesse letto nel pensiero, mi afferrò per la capigliatura per tirarmi su di lui, sdraiato sul terriccio caliginoso dell’antro, per farmi riposare fra le sue braccia. Non dissi nulla, ma i miei occhi si intenerirono fissandosi nei suoi, mentre le dita della mia sinistra scarmigliavano con tenera, amorosa, incantata commozione la sua barba. Non so quanto tempo passai a rana su di lui, godendo del suo pelo e del suo maschio profumo, ma … ero … una giovenca, una cagna, un’orsa in estro. La mia vagina, da come mi aveva posizionata su di lui, sentendo l’ondeggiare, l’alzarsi e l’allungarsi del suo sesso, riprese a sbavare, a perdere, a sgocciolare impregnando dei miei tepori il pelo del suo basso ventre. Mi allungai per stringerlo fra le mie cosce e per goderne delle ambrosie con cui mi avrebbe impreziosito i glutei, ma c’era un qualcosa che, ancor prima di essere presa ed impregnata, il mio essere chiedeva e a cui lui, al solo formulare del mio pensiero, rispose con il depormi per allontanarsi. Percepii che sarebbe successo qualcosa e attendevo ridendo, sudando, reputando fantastico e meraviglioso quello che il mio corpo chiedeva, mentre lui allontanatosi, ritornava con in una mano una zucca-tazza colma di lucine scintillanti, briose, vive e nell’altra un altro recipiente simile, cavo, ma più piccolo.
“Sì, sì, sììììììììììììììììì! Ohhhh, amore: voglio il pelo lungo come il tuo, il tuo stesso aspetto e nel corpo il profumo della tua natura!” … e ansimando, venuta a conoscenza dall’inconscio di cosa mi avrebbe fatto e sarebbe avvenuto, presogli il vaso vuoto, postolo per terra, mi accovacciai sopra per defecare, riconsegnandoglielo subito dopo con i miei escrementi senza pulirmi e che lui, subito, ricoprì di acqua e lucine. Non feci caso alle effervescenze che vi eruppero e si espansero, poiché abbassai la testa per dissetarmi alla grande zucca che lui, allungandomela, teneva ancora nella mano. Ridevo e piagnucolavo . Da subito e da quando avevo bevuto iniziai a sentirmi diversa. C’era un qualcosa che mi invitava a piegarmi o a sistemarmi su quattro zampe. Pizzicori, spasmi, voglie, modificazioni al mio corpo e le mani di lui sui lombi per esortarmi ad accondiscendere ed accettare la trasformazione che stava avvenendo, anzi lui stesso, facilitato dalla mia nuova postura, mi introdusse quei liquidi prima anche nell’ano e dopo in vagina. Rimasi sbalordita, ma se avessi riso per quello che mi capitava, sarei stata comunque spaventata per il bruciore, per gli spasmi, per come tutto il mio corpo ardeva e come cambiava. Bocca, stomaco, intestino, vagina, utero bruciavano, ma anche schiena, pancia, mani, piedi, viso, testa, naso, gola, orecchi, tutto in me era formicolio, un contrarsi, un allungarsi, un tendersi o un estendersi. Sembrava che un sarto modificasse le mie fattezze esterne e le strutture interne. Mi guardai, riflettendomi nel liquido della zucca e rimasi di sasso. Ero interamente coperta di una bionda, lunga peluria. Dal mio clitoride fluiva, abbondante, un vischioso liquido trasparente. Il bruciore, che mi aveva preso, mi spingeva a distanziare le gambe, ad alzare il culo ed abbassare la testa. Dalla pancia, che chiedeva di essere riempita, iniziavano a spuntare nuovi capezzoli. Ansimavo e rugliavo sorprendendomi di avere gli stessi suoni del mio amante e mentre tutto questo avveniva, lui defecò, nella zucca più grande, solo che le sue deiezioni erano come quelle di un grande bovino. Con il grifo che mi ritrovavo gli stavo dicendo che, ora, ero fertile e pronta per l’accoppiamento, ma … dai suoi brontolii compresi che dovevo prima avere il suo stesso aspetto.
Professore, ero felice, felice, felice.
Quello che mi avrebbe fecondato, ingravidato, resa madre, ora presa la zucca, nella quale avevo cagato, agguantata una manata di poltiglia brulicante di vermini, me la spalmò sul bianco-latteo grifo, sugli occhi, sulla gola e man mano che la finiva, né prendeva un’altra sino a coprirmi interamente il volto e poi le mammelle, ancora vergini da suzioni e anche sul e nel culo, che allargò lentamente con un artiglio, penetrandolo. Il grugno ardeva, il culo rosolava. Ero felice, felice, felice. Ero una scrofa che si puliva e si lavava nello sterco e dalla gioia presi il resto che rimaneva nella ciottola per lapparlo sino alla sua completa consumazione, mentre lui mi massaggiava e tirava, allungandoli, verso il basso i numerosi capezzolini, che mi erano sorti persino sul ventre. Terminato il contenuto della mia zucchetta, prese la sua per coprirmi della propria melma sul resto del corpo, dagli arti anteriori a quelli posteriori, sulla e nella vagina. Da ancestrali regole istintive venni a sapere che il viso, le mammelle e il culo dovevano profumare di femmina, mentre il resto del fisico, compresa la vagina, doveva essere marcato dell’odore selvaggio del maschio, del mio padrone, al quale mi sarei data. Fiammeggiavo, arrostivo; pisciavo e cagavo liquidi per lenire quei fastidi. Il pelo si colorava e si allungava, gli artigli erano divenuti adatti a scavare, il ventre frizzava, la vagina colava voglie. Gli diedi una zampata per allontanarlo, a cui lui rispose con una delle sue, scaraventandomi e spedendomi con la pancia all’aria. Ora mi sentivo femmina, la sua femmina e comprendevo le sue richieste perché capivo e, ora, parlavo nella sua lingua, ma non ero come lui e lui comprese i miei pensieri, anche se ero minuta nei suoi confronti, ma non mi interessava: volevo essere sua, pelosa, plantigrada, bere e saziarmi del suo seme, esserne deflorata ed ingravidata, farcita e imbottita nell’intestino. Ci spostammo per suoi e miei bisogni. Ridevo, mentre gli esibivo la mia vulva rorida di sughi, aspettando di essere lavata, segnata, marcata, come suo possesso. Bofonchiando, grugnendo, brontolando di impazienza, mi si avvicinò per bloccarmi, con gli arti anteriori sopra la testa con la schiena a terra. Ci mordemmo a vicenda senza farci male. I denti tenevano fermi i nostri griffi per permettere alle lingue di giocare tra loro e poi, per come potevo, mi avviluppai con le gambe su quella massa di muscoli e arti per godere della piacevole, deliziosa sensazione del glande che bussava alla mia porta rugiadosa e che chiedeva alle ante di schiudersi, mentre la sua lingua passava sul mio grugno, trasmettendomi dolci, deliziosi languori. Non aveva fretta. Mi riempiva di baci e di lappate, mentre con i suoi unghioni mi impediva qualsiasi movimento. Fissandomi, ricevetti un suo forte, chiaro messaggio d’amore e di possesso: una violenta scarica elettrica, partendo dal mio basso ventre, si diramò fulminea per il mio corpo e, togliendomi qualsiasi barlume di resistenza, permise a quella tremenda erezione di incastrarsi tra i miei muscoli e di penetrare, rompendo, le mie prime barriere anali. Subito per la sorpresa e per il forte, lancinante dolore, non compresi, ma poi mi accorsi che non aveva preso la via per ingravidarmi, ma quella di ammansire e ingentilire il mio retto. Dalle lappate con bave tornò a fissarmi negli occhi e dopo usando la lingua strozzò l’urlo, già morto per mancanza di ossigeno nei polmoni. Per la postura, per le ramazzate che mi dava l’ariete, proseguì nella sua aggressione. I suoi fonemi addolcirono i miei muscoli, la mia resa. I suoi baci da aggressivi divennero più pacati e soavi. Sentii la durezza della sua carne scorrere e massaggiare le mie viscere. Le mie dita abbandonarono i suoi peli e la mia lingua ritornò a giocare con la sua, mentre sentivo la potenza e il calore della sua virilità. I miei suoni, i miei allofoni erano un invito a prendermi, a possedermi, a fare di me ciò che voleva, mentre le dita delle mie mani fremevano. Da come ero inarcata e presa, non potevo certamente vedermi l’addome gonfio, dilatato, più rotondo, ma comunque lo percepivo ingolfato, saturo, pieno. Ora ero sua per via anale, intestinale e, anche se colma di un dolore, ormai sordo, gli sorrisi, invitandolo con gli occhi a godermi. Sentii il suo , a cui risposi , nascondendo poi il viso nella sua folta, lunga barba per narcotizzarmi delle sue fragranze da orso, da primitivo. I miei dall’urlo iniziato, ma non finito, con l’inizio del suo pompaggio si tramutarono in continui, ripetuti sfiatati, pacati, afoni. Poi, afferratomi per la chioma, sfilatosi e messomi in piedi, rientrò prendendomi da dietro, dopo avermi alzato per le ascelle per non flettersi. La penetrazione in quella maniera è stata difficile e molto dolorosa per via dell’impalamento impostomi dal peso e da nessun impedimento che la ostacolava, neanche dalle sue mani, dato che con una mi massaggiava il ventre, mentre con l’altra mi teneva stretto a lui per il collo. Però, che sensazioni Professore: io non trovavo appigli per scoparmi, lui non collaborava se non stringendomi alla gola sino ad impedirmi il respiro. È stato allora che le mie viscere iniziarono un moto di movimento e di spremitura. Uno starnuto, un colpo di tosse alla ricerca di aria, si riflettevano sul mio sfintere con l’aspirare e stringere quel palo di carne calda. Con fatica, tremando e guaendo, sollevai le braccia per tenermi alla sua testa, girandomi nel contempo per avere la sua lingua, mentre sentivo l’enorme potenza, il calore e la sontuosità del mostro che mi apriva e dilatava l’intestino.
Dalle sue parole era questa la domanda che l’intestino raccoglieva e mi trasmetteva, mentre mi mordeva le labbra o mi lappava il naso e la lingua. Quanto mi sarebbe piaciuto vedermi inarcata contro il suo torace, sostenuta, trapanata e allungata dal suo cazzo, divorata dalla sua bocca, mentre andava qua e là per la caverna, regalandomi un’ulteriore dilatazione e rianimate fitte, che finivano rapidamente per la crema che mi ricopriva e riempiva. Uno sciabordio, uno sciacquio, un frangersi di onde su di lui e su di me, una rigida frescura con ritorno di lumini e di quelle strane carezze già vissute, mi scossero, mentre caldi, impetuosi getti di irrigazione colpivano le mie viscere.
Professore, eravamo ammollati in quell’acqua, colma di luci e di bagliori, morsi da sanguisughe e da altri minuscoli insetti, come scorpioni, ragni, vermi tubiformi, pulci e pond runner, quando mi accorsi che non avevo più il pelo, che il mio lungo clitoride gocciolava e chi mi sosteneva … Ohhhhhh, Prof, che sogno: immerso nella vasca del bagno della stanza che condividevo con altri, probabilmente per necessità di rilassarmi e pulirmi, mi ritrovai con vermini bianchi che si spostavano al minimo movimento delle dita e con una loro lunga, serpeggiante scia che fluiva tranquilla dal meato del mio pisellino, con irrilevanti particelle brune di sciroppi anali che salivano in superficie dal fondo fra le mie cosce, mentre godevo, disteso nell’acqua ormai fredda, dei dolci, piacevoli languori della visione bagnata. Non so se avessi pisciato, ma l’acqua non era proprio tanto limpida e il letto … Beh, ho cambiato le lenzuola, trovando per fortuna sotto di quelle un telo cerato. Devo dire e riconoscere, Professor Alberto, che la direzione della pensione, nella quale siamo ospiti, conosce le età dell’uomo.”
“Oggi nel primo pomeriggio ritornerò a visionare alcuni graffiti, che ho scoperto da poco in una cavità difficile da individuare e di non facile accesso, per accertarmi dello stato della loro conservazione. Se vuoi venire ti farò conoscere il sogno e l’ambiente che il tuo inconscio perspicace ti ha mostrato. Lì saremo isolati e appartati, io e te, tu e l’oggetto di culto che hai sognato e che inizierai a venerare e ad amare. Dammi la destra che la impregnerò del mio odore sessuale. Vai, preparati per la scarpinata notturna con zaino e tuta invernale. Faremo ritorno domani, in serata.”
Quanto e come dormii non lo so, né potevo conoscere il tempo della visione, che mi provocò languore, morbida e vischiosa guazza sull’addome e tremori o palpitazioni madide di sudore e sughi all’ano e di conseguenza, pigiama intriso di sostanze organiche, dal caratteristico profumo di adolescenza incipiente; né rammento cosa feci dopo il rinvenimento della guazza.
Da poco avevo terminato la I Ginnasio con discreti risultati, che potevano essere stati migliori, se spesso non mi assentavo con la mente dai testi o dalle spiegazioni del docente. Ero amante dell’arte greca o etrusca e della loro mitologia e da poco avevo scoperto le immagini dei templi del Madhya Pradesh, per mezzo di un insegnante, a causa delle quali le mie letture vertevano sugli amori o sugli scontri tra uomini e Dei, che spesso si presentavano come serpenti, tori, cani o perfino come alghe o acqua. Come quei miei compagni, che poche volte all’anno facevano ritorno in famiglia, non andavo dal barbiere, per cui tenevo i capelli alle spalle, accorciandoli con l’aiuto di un amico, quando ne giudicavo la necessità. Li avevo arricciolati, ma sempre puliti e profumati di sapone.
“Paolo, ti ha soddisfatto la conquista di quella cima?”
“Oh, mi scusi professore, non l’avevo vista.”
“Non importa, ma dimmi, dato che esali ancora quei profumi che ti ho fatto notare in precedenti nostri incontri: ancora sogni, visioni, bizzarrie?”
“Sì, professor Alberto!”
“Penso che per te sia giunto il momento di conoscere altro, ma ora raccontami e, dopo, penso che ti debba mostrare e far conoscere il tuo prossimo passaggio, sempre se sei d’accordo di fare nuove esperienze.”
“Oh, sììì, Professore!”
“Bene, ma ora esponimi, descrivimi il sogno, che ti ha fatto avere così abbondanti polluzioni da profumare anche l’aria della stanza che condividi con altri tuoi compagni ed intridere il pigiama.- Il ragazzo, sorpreso, fissò l’uomo per abbassare gli occhi arrossendosi.- Non devi vergognarti di quello che ti è accaduto: è la tua età.”
“Oh, Professore, era così bello …! Ricorda, Professore, la passeggiata alla ricerca di reperti in quel bosco di castagni, aceri, carpini, roveri, per scrutare, anche tra rovi o fitti cespugli di biancospini e di pruni, testimonianze del passato?”
“Sì, rammento!”
“Improvvisamente dalle numerose cavità che insistono attorno alla radura, era comparso un branco di guerrieri urlanti, che corsero a prendermi.
Non so il perché, ma ero nudo, come loro, ma non con segni colorati sul corpo, come nelle immagini del libro che lei mi diede tempo addietro. Non comprendevo il loro vociare, i loro urli, i loro segni gestuali né il loro ridere quando mi toccavano il pene per raffrontarlo al loro o quando mi pizzicavano a piena mano un gluteo, facendomi zompare o saltellare come quella femmina che mi ritrovai a fianco. Ridevano del mio pisello nel confrontarlo con il clitoride della donna o dei miei capezzolini senza seno, del mio pallore e del mio essere interamente implume. Con urla e spinte mi guidarono, dopo essere entrati in una cavità, davanti ad una anziana, esternante potere e soggezione, seduta su un masso che le faceva da scanno. Dopo un attento accertamento visivo, ad un suo cenno, le fui accostato alle ginocchia, per subire l’esame tattile, che principiò dal volto e dalle labbra, per proseguire senza fretta con l’interno della mia bocca, facendomi spandere abbondanti salive e spostarsi successivamente ai capelli, che tirò per vederne la lunghezza e la leggerezza. Ad ogni avanzare dell’esame fisico emetteva dei fonemi sempre più forti e lunghi, ai quali rispondevano i presenti con altrettanti di entusiasmo e quando una sua mano andò a posarsi sul mio membro irritato e quanto mai rigido, lisciandolo e limandolo, un suono di calpestio sempre più sordo e forte, segno di plauso da parte dei testimoni, ebbi la mia prima forte emissione di seme. Oh, professore, quella donna dai seni cadenti, che impiastricciai del mio latte, conosceva a meraviglia l’arte del massaggio intimo. Senza scomporsi per l’accaduto, proseguì con maestria l’esame e, allorché il mio corpo chiese che la sua mano procedesse addirittura verso la mia valle sacra, lei, raccolto del mio sperma dalle sue mammelle, con circospezione e somma accortezza, introdottomi un dito nell’ano, procurandomi un nuovo sgorgo, urlò la sua accettazione per la meravigliosa, vergine preda che le era stata presentata. A quel punto, fattomi scostare dalle sue ginocchia e stendere sul dorso davanti a lei con le gambe flesse sul volto, strillò, con verbi incomprensibili, dei comandi, ai quali rispose un San Bernardo, che si pose fra le sue gambe aperte e una ragazzina che si accovacciò sul mio viso. Non comprendevo le sue parole, ma le posso riferire quel pensiero che la mia psiche mi comunicava. In sintesi, il succo del suo gracidare glielo posso riassumere con questa allocuzione: Un lungo getto per durata e potenza si librò dalla sua vagina verso l’alto e superato il fisico del cane, si franse su di me e sul fisico della piccola. Quei getti, che mi irrorarono ulteriormente, diedero la stura anche al piacere della ragazzina, destinata ad essere la sua erede su quel popolo degli anfratti, come venni a conoscere nel proseguo della visione, mentre strofinava la sua tenera vulvetta sul mio naso.”
“Perché, ci fu un seguito?”
“Sì! Da quella prosecuzione e dalla successione degli eventi che passai, venni aperto al desiderio spasmodico, irrefrenabile, quasi febbrile di essere la sposa sottomessa e obbediente di un uomo.”
“Continua, ragazzino, che poi, alla fine della tua narrazione, ti farò conoscere quello, a cui sei stato destinato sin dal tuo concepimento.”
“Che …”
“Dopo, vai avanti!”
“Appena si accorsero che le secrezioni, con le quali ero stato ricoperto, si erano essiccate, lasciandomi, però, tracce di profumo da femmina, mi fecero rialzare per ascoltare la matriarca che mi imponeva di essere il dono per placare l’appetito carnale del mostro, loro tutore e protettore
Come seppi, nessuno ne conosceva il volto e chi l’aveva visto, non era più tornato per descriverlo, come nessuno era riuscito a scorgere o individuare le cavità della tribù matriarcale. Delle voci lo descrivevano come un grande orso con fattezze umane, altre come un mutante e altre ancora come un nuovo diavolo del Jersey e tutti nel paese ne avevano grande paura, mentre per gli abitanti delle caverne era il loro difensore, per il quale manifestavano riconoscenza donandogli all’inizio di ogni decennio un maschietto o una femminuccia, che rapivano dal paese a valle o dalle casere montane. Fortuitamente, per non si sa quale causa, mi ritrovai nudo a giocare nei loro prati, mentre scadeva il decennio e ora venivo spinto da maschi con torce verso il fondo dell’antro. Quei selvaggi, senza manifestare sforzi, tolsero dalla parete rocciosa alcuni massi per scoprire un piccolo foro e, accertatisi che fluisce aria, mi invitarono ad entrare per passare in un’altra cavità, seguendo un loro compagno, molto smilzo e snello, che poi, dopo aver superato quel varco, tornò indietro. Compresi che potevo superare quella difficoltà, imitandolo e allungatomi, iniziai a strisciare con le braccia in avanti. Ero un’incosciente come tutti i ragazzini che principiano a scoprire l’ambiente e la vita. Per mia buona sorte quel percorso era in discesa e con il terreno su cui mi trascinavo che diveniva sempre più fangoso e scivoloso, per via della micro-trasudazione della roccia. Finalmente quel sifone di roccia e terra iniziò ad allargarsi, permettendomi di muovermi a rana, pressoché gattonando. Non potevo però vedere, se nello strisciare, mi ero sbucciato o ferito sulle pareti o con delle piccole schegge sorgenti dal fango, perché percepivo strani, misteriosi bruciori e pruriti dalle caviglie all’inguine, al petto e al dorso. Appena lo spazio me lo permise, mi raddrizzai in un buio pesto con gli occhi rivolti verso un’incerta, debole luce, somigliante ad una bioluminescenza. Lentamente, attento a dove mettevo i piedi per non inciampare, mi avviai verso l’unico segno di vita, pensando che dove tremolava quella luce, di certo avrei trovato dell’acqua per lavarmi dalla melma, che mi copriva. Che spettacolo professore: miliardi e miliardi di micro-lumini danzanti, fluttuanti e ridenti mi circondarono. Accovacciato nell’acqua per pulirmi e per sciacquarmi anche il volto e i capelli, scorsi escoriazioni e rossori, che si facevano sempre più vistosi. Sapevo che il freddo aiuta a lenire, a sfiammare, per cui mi stesi completamente, con l’acqua che mi copriva, tramutando quei dolori in compressioni, in spremiture, in pizzicorini, in sollecitazioni anche piacevoli. In alcuni punti del mio corpo la luce era più intensa. Avevo necessità di conoscere con il tatto la mia anatomia, attratto dal caldo che nasceva tra le mie gambe. Guidato dall’istinto cercai il mio pisellino, scoprendo, al posto suo, una dolce collinetta sericea. Non diedi importanza alla scoperta, poiché avevo necessità di godere e in effetti, quando le dita, sfiorata una piccola ben chiusa fossetta e fermatesi per conoscerla, quella si aprì come un fiore per farsi testare e sondare. Un dolce, lungo, squassante orgasmo mi prese. I tremolii di luci si spostarono da me per lasciar spazio ad onde serpentiformi. Pertanto, stupito e boccheggiante per il piacere avuto, mi sollevai dando modo di essere colpito e forato all’ombelico, mentre al posto delle mie dita una forma squamosa brucava, tormentava, addentava i petali del mio fiore congestionato, per iniziare lentamente ad addentrarsi in me, tramite un foro che non sapevo esistesse, regalandomi una ulteriore, sconvolgente, meravigliosa ondata di beatitudine. Tutti e due, quegli esseri, si muovevano al mio interno, uno verso la colonna per morderla, pungerla e pinzarla, l’altro, ingrossandosi, per dilatare, allungare, ungere, lubrificare le mie calde cavità sericee. Mi sentivo strano, molto strano con un gran bisogno di toccarmi, che divenne fame, sete, urlo. In quel corpo non ero più io, ma un fisico che chiedeva, che implorava di essere farcito, saturato di ciò che ancora non avevo incontrato.
Mentre il primo organismo non lasciò traccia del suo passaggio, il secondo, uscendo, lasciata schiusa l’apertura, permise ad un altro più voluminoso di entrare, di sollevarmi dall’acqua e, impallatomi, di muoversi, di sbattere la sua testa sulle mie membrane e di uscire per rientrare dapprima lentamente come a volersi godere lo stretto, caldo, rugiadoso passaggio e dopo, cosciente della presa, con un andirivieni sempre più veloce e sempre più a fondo, mi riempì di caldi liquidi lattescenti, conducendomi ad un’estasi paradisiaca. Non mi accorsi di altri tentacoli volanti che presero possesso uno del mio brunito cerchietto, infilzandolo per dilatarlo e renderlo più morbido, più cedevole, un altro della mia bocca e altri due che, come sanguisughe, si incollarono ai miei capezzolini per morderli, suggerli, strapazzarli per renderli tumefatti e molto gonfi.”
”Da come mi descrivi la visione, mi sembra di capire che tu saresti stato trasformato in una femminuccia; che quei bagliori non fossero altro che degli esseri, capaci di modificare il tuo fisico di maschietto; che quelle sottili, lunghe e serpentiformi figure, simili per teste a pesci aghi, ti hanno dapprima ritoccato e poi aggiunto quelle parti anatomiche che ti avrebbero fatto femmina; che i pizzicori, le prurigini, le voglie che presero il via dal tuo basso ventre non erano altro che desideri di una ragazzina di essere presa, posseduta, riempita di seme maschile e ingravidata; che vorresti venerare, amare, proteggere il segno del commando maschile con la bocca, con il culo e, ora, con la tua immaginaria vagina.”
“Non lo so, o forse … nel mio subconscio mi sento femminuccia. L’acqua specchiava, in quel buio profondo, l’immagine di un fisico modificato, illuminata dai riverberi ondeggianti. Lei ha ragione, professore, non ero più il maschietto di prima e poi con quei capezzolini che diventarono da bruniti a rosa pallido su collinette di porcellana, morbide e vellutate come seta, … ma non mi sentivo ancora pronto per essere una femmina. Avevano migliorato, ritoccando, anche la mia silhouette con natiche più sporgenti, più sode, che palesavano forti, grandi, ardenti bisogni. La mia pancia chiedeva, implorava, invocava: era un ininterrotto sommovimento, un costante sussulto, una continua ribellione. Il mio culo non era da meno, aveva necessità di essere massaggiato, spianato, steso, allungato. Tra le mie gambe esseri informi, piatti come mignatte, bevevano, aspiravano, inghiottivano le essenze che mi erano state introdotte, procurandomi ulteriori languori e necessità, ma non ero ancora una ragazzina. Avevo ancora in bocca quel sapore, che non era di orine o di latte, né era salato o dolce, ma era di una gustosità unica, squisito, delicato, che volevo ancora ingerire, mangiare come nettare divino. Lo avrei voluto su tutto il corpo, come coperta o come cibo delizioso, raffinato, pregiato. Per avere quella bevanda degli dèi o quei sughi dentro di me, mi tuffai in acqua per rincorrere le lucine, i riverberi … e quelli ritornarono o mi copersero per intridermi di formicolii e di piacevolissimi pizzicorini, senza penetrare nei fori, sino a che … il mio peregrinare, il mio muovermi non mi fece arrivare sul nero, sabbioso asciutto. Sfinito per gli orgasmi avuti, per il nuotare alla ricerca del piacere, steso con il corpo spossato, non sentivo né caldo né freddo. Non avevo paura o timori o ansie in quel buio pesto. Respiravo con calma. Ero una femmina, ma dovevo ancora scoprirlo. I miei seni, sormontati da rosei capezzolini di ragazza ancora vergine, ora erano caldi, lucenti, dolci, delicatamente felpati; dalle labbra della mia vulvetta spuntava un corto, tozzo, tumido ago. Ero serena, quando mi sentii afferrare per i capelli e sollevare. Due occhi, due piccole lampade e un profilo più nero della pece. Dopo avermi fissato a lungo ed aver emesso un fonema, simile ad un latrato, mi buttò su quella che doveva essere una spalla, per trasportarmi dopo un breve, accidentato percorso, con un suo braccio a stringermi le natiche e il mio busto penzoloni sul suo dorso, in un’altra tana riscaldata e illuminata da un focolare addossato ad una parete rocciosa.”
>Stai lì!< … e gettatomi come fardello su un cumulo di pelli puzzolenti, fredde, ammuffite per l’umido del covo, mi diede modo di fissarne la figura e di sentirne la voce. Il mio ardimento venne meno per un attimo: caddi in ginocchio, iniziando a piangere. Sapevo perché ero là e il mio corpo lo chiedeva, ma prima il buio profondo e dopo quell’essere peloso dalla forza immane … Tremavo e piagnucolavo, poi una voce sopra di me, con un accento strano, ma non sgradevole: >Come ti chiami, piccola?<
“Paolo, signore!- Non avevo ancora la percezione e la consapevolezza della mia trasformazione, anche se momenti prima, nel toccarmi per i bisogni, non trovai il mio sesso con le palline. Sopra di me non un uomo, non un animale, ma un orrore: un uomo mostruoso e sfigurato, coperto da pelo folto e lungo dalla testa ai piedi. -Cosa vuoi da me? Chi sei?- Tremando, balbettai quelle parole, a cui rispose sollevandomi il mento con la punta delle dita.”
>Hai fame?- e senza attendere una mia risposta si allontanò per ritornare dopo un po’ con un capretto scuoiato ed eviscerato, ancora grondante sangue. Lo mise sul fuoco per cucinarlo alla brace. -Quella vecchia, questa volta ha voluto sorprenderci con una bella, tenera, fresca femminuccia.<
“-Non sono una bambina! Non sono una bambina! – e calcando, sillabai le parole per farmi meglio comprendere.- Non … so – no … u - na … fem – mi – nuc - cia! -… risposi tra lacrime e singulti.”
>Sì, la volta scorsa, se una ragazzina mi avesse risposto in questo modo, avrei potuto dubitarne, dato che aveva un pisello femminile molto lungo, come tutte le femmine della sua e tua famiglia, ciò nonostante, guardandoti bene: non vedo segni che mi dicono che tu sei un maschietto. Ora lasciamo perdere le chiacchere, se sei o non sei una ragazzina: io ho fame e tu?- … e staccato un cosciotto del capretto, me lo porse, invitandomi a sfamarmi e a gustare quella tenera carne. L’uomo ritornò ad osservare il dono contro la luce del fuoco. -Sì, il villaggio ha scelto sensatamente quest'anno. Sei davvero bella, forse l’offerta più bella che mi sia stata inviata.<
“L'artiglio dell’orso mi accarezzò delicatamente una guancia mentre mi guardava. Nonostante il suo aspetto animalesco, selvaggio, qualcosa in lui mi affascinava e seduceva. Una sensazione, un’impressione? No, era un profumo! Mi sentivo stordito, avvinto, ... eccitato. I suoi occhi mi trasmettevano delle sensazioni misteriose, molto strane. Quello di cui non mi rendevo conto però, era che l’orso emanava un profumo particolare, eccitante, avvincente, che mi prendeva, mi ghermiva per rendermi succube e sottomesso.
Il suo abbigliamento era un vello lungo e sporco, ma potevo vedere molto chiaramente che quell'uomo-orso si stava eccitando, mentre mi studiava. Un grosso, enorme cazzo cominciò ad emergere dal manto lanoso gonfiandosi e a rizzarsi davanti a me. Rimasi impressionato e allibito. Il mio corpo reagì sciogliendosi, squagliandosi emettendo sempre più secrezioni e facendomi nascere il desiderio di essere posseduto da quella carne. Iniziavo a sentirmi femmina. Un suo artiglio si spostò dal mento al basso ventre, per impugnare il sesso che ormai mi puntava, mentre con l’altro iniziò ad accarezzarmi le gote, per scivolare successivamente ai piccoli acerbi capezzoli e alle mammelle per stringerle ed allungarle, che riconobbi per la prima volta come seni femminili.
Nonostante l’apprensione che vivevo, i miei capezzolini si inturgidirono, mentre il mostro giocava con le mie tette impastandole, strizzandole, mungendole, estorcendomi un debole lamento quando riprese a pizzicare e a stringere i rosei, turgidi capezzoli; poi, agguantatomi e giratomi, osservò con morbosa libidine il mio lattiginoso, felpato sedere, rimodellato e reso ancor più affascinante e desiderabile dalle lucine, che avevo conosciuto.
Mi spinse, facendomi ricadere sul giaciglio di pelli e, gorgogliando suoni incomprensibili, si chinò per esplorare con il muso il mio didietro, aspirandone il profumo di adolescente. Percepii i glutei allargarsi e una lingua ruvida, rasposa muoversi piano, incerta, esitante e poi decisa, feroce, violenta, sul mio nuovo sesso e sull’ano. Lappava come un cane, leccava, limava, raspava di nuovo, mordendo e azzannando il piccolo clitoride e le mie labbra vaginali, tirandole per arrossarle, inzuppandole di salive e di mie appiccicose essenze. E ancora, ancora. Quella scuffina mi spogliò di forze e resistenze. Ero in sua balia. Tremavo, sussultavo ai suoi tocchi. La testa lanosa spostava, alzava, apriva il mio fisico con facilità estrema. Godevo, mi bagnavo, pisciavo piacere e lui beveva, aspirando, ingurgitando e pulendo il mio fiore tropicale e il mio culo in un modo che mai mi sarei immaginato. Toltomi il cosciotto, che ancora non avevo addentato, e avvicinatolo al godimento nascente, lo sfregò, ungendolo delle mie ricche secrezioni.”
>Ohhhh, ora è condita e cucinata a dovere!<
“Così interpretai le sue parole, mentre azzannava e strappava dalla coscia del capretto bocconi sanguinolenti. Ridevo, in quella pausa di carnalità, per come addentava e per quel boccone che mi mise in bocca. Ridevo, mentre lui si batteva con la mano aperta il petto, facendolo vibrare e rumoreggiare. Entrambi eravamo a conoscenza del seguito delle nostre esternazioni di giubilo.
Una parte di me era sì infastidita per come addentava la carne, insudiciandosi la lunga barba di sangue e di grassi, ma rideva sedotta quando la immergeva nella mia vulva a lui offerta per condirla delle mie voglie; invece, una mia parte più lontana, ma quanto mai esuberante e vivida, chiedeva di essere stuprata da quella creatura mostruosa, con la sua lunga e grossa proboscide, che si ergeva rossa e lucida davanti al suo addome come un totem.”
>Conoscerò le tue porte e in ognuna lascerò il mio segno. Con la prima avrai modo di gustare, bere e sfamarti; per mezzo della seconda ti renderò madre del tuo primo figlio e usando la terza: ti farcirò e riempirò insaporendo e addolcendo il tuo intestino e la tua anima. Sarai mia, tutta mia, interamente mia, per sempre!<
“Questa era la traduzione delle voci passatemi dai girini luminosi che, decollando dal focolare, si libravano in aria sino a spegnersi. Ero femmina, stesa sul dorso, con una gamba leggermente piegata, mentre l’altra flessa si moveva verso il tappeto lasciando completamente schiusa ed esposta alla sua vista la mia rosea, calda vagina, intrisa e zuppa di sughi. Non avevo minimamente percezione di come stavo e di come esponevo le mie intimità a lui, poiché ero stregata, avvinta ed incantata dal suo membro tumido e quanto mai sodo. Non mi interessava più il suo aspetto, ma il suo membro, gigantesco e palpitante, gocciolante di eccitazione. Ogni goccia, che fluiva dal suo meato e che cadeva con un fono leggero, riecheggiava nella mia mente, intensificandomi il desiderio. Quella vista mi fece delirare, i miei pensieri si dissolsero. Il mio cuore per quella mostruosità accelerò e aumentò i battiti. Il calore che irradiava mi avvolse, alimentando la lussuria che bruciava dentro di me e il bisogno crudo e primitivo, nato dall’acqua, cresceva esponenzialmente. Volevo di più, di più, non riuscivo più a fermarmi. Non mi interessava più come mi presentavo, lasciva e concupiscente, perché ero sua e solo sua.” In un rapporto fisico la modestia e il pudore sono di impedimento alla carnalità e al pieno possesso dell’altro. “Professore, mi fermerò un attimo dal proseguo della visione per descriverle quel fallo e come il mio corpo reagì a quella vista. Ero un maschietto trasformato in una femminuccia e nel mio corpo femminile ora aperto alla sessualità e alla carnalità convivevano ancora il maschietto-femminuccia che l’adolescente-femmina. Professor Alberto, da quelle visioni ho capito che il peccato non è fare sesso, ma il non farlo; che non c’è età per iniziare e con chi iniziare; che l’amore è sesso e anima; che il sesso è vita e non si può incanalarlo; che il sesso è istinto e che se uno si lascia guidare dalla natura, sa trarre piacere e appagamento e sa darne. Sono come la natura mi ha voluto: una ragazzina in un corpo di genere maschile e in natura non ci sono solo due generi, ma tanti, tanti, tanti e ognuno ha sfumature diverse, che lo differenziano dagli altri.
Ora proseguo e non si scandalizzi per la mia emotività o per il sogno che ho vissuto
I miei occhi si posarono avidamente sulla sua mostruosa erezione, notando ogni vena che si gonfiava sotto la pelle luminosa. Era uno spettacolo travolgente e meraviglioso. Il mio respiro accelerò, le mie labbra si aprirono e gocce di saliva scivolarono lentamente lungo il mio mento, a testimonianza della mia fame. Non potevo più aspettare. Ero completamente sopraffatta. Il mio corpo vibrava di un'energia che non potevo e non volevo fermare. I miei capezzoli erano così duri che mi facevano male e l'umidità tra le mie gambe cresceva, cre…sceva, cresce…va. Il mio corpo chiedeva. La mia pancia spasmava per la voglia mentre lo fissavo. Ogni allungamento, ogni contorsione o ogni sfregamento per sedare la mia carne, era una carezza proibita che non faceva che aumentare l'intensità del fuoco che mi consumava. Era un ardore meraviglioso. Era impossibile fermare l'impulso di volere di più. Tutto il mio essere era concentrato su quel desiderio puro, carnale. Il bisogno, l’istinto destato dall’acqua e dalle lucine mi dominava. Brividi lungo la schiena, ma tutto ciò che sentivo era l'impulso, la voglia disperata di arrendermi al piacere che era là, davanti a me, a portata di mano. Non ce la facevo più, non vedevo l'ora. Il bisogno era pressante, come l’aria. Volevo di più, avevo bisogno di più. Le emozioni mi avvolgevano, mi rendevano un tutt'uno con quel luogo, con quell'essere, ero disposta ad accettare tutto ciò che poteva darmi e prendersi.
Mentre la mia mente si annebbiava per la lussuria, sentivo le perdite vaginali diventare ancora più abbondanti, formando un torrente caldo e viscoso che inzuppava il mio sesso, lasciandomi completamente bagnata. L'odore, un misto del mio sudore e dei miei succhi, si intrecciava con il suo odore selvaggio, che con il fetore intenso di chiuso della tana creavano un'atmosfera carica di pura perversione. Era un profumo inebriante, un profumo sporco ma ipnotico. Sentivo l'odore dell'unione dei nostri desideri.
Inconsciamente feci scivolare la destra nell'umidità che sgorgava da me, mentre lo fissavo. Che sensazione stupenda. Il desiderio carnale aveva preso il sopravvento e il mio corpo tremava ad ogni battito cardiaco, desideroso di essere riempito, sopraffatto dal piacere che stava per arrivare. La mia mente non pensava più, seguiva solo l'impulso primordiale. Le mie dita si muovevano tra le mie gambe, aumentando la pressione sul clitoride mentre sentivo l'umidità tra le mie cosce crescere sempre più in alto. Era come se il mio corpo stesse rispondendo a un richiamo primordiale, come se ogni cellula sapesse che mangiare quella carne era l'unico modo per placare la mia fame. L'umidità traboccava da me e la sensazione che il mio piacere dipendesse interamente da quel momento, non faceva che aumentare il mio bisogno.
Quel cazzo era uno spettacolo in sé, una pura manifestazione di potere e desiderio che dominava tutti i miei pori, tutto il mio essere. Le sue dimensioni erano travolgenti, imponenti, molto più grandi di quanto il mio corpo umano sarebbe stato in grado di sopportare, ma era proprio per questo che ne ero così attratta, affascinata, mentre bruciavo di eccitazione e di desiderio sfrenato.
Il fallo emergente, pesante e pieno di vita, su un prato bruno tra le sue potenti zampe era di un colore quasi nero, come il pelo che lo fasciava, con una lucentezza che lo faceva sembrare scolpito in roccia vulcanica, vetrosa e nera. Era uno spettacolo maestoso. Si potevano vedere vene spesse e pulsanti che lo attraversavano, ognuna marcata e prominente, che si stagliavano contro la pelle tesa che ne copriva l'imponente lunghezza. Brillava, pulsava! Il calore che irradiava era palpabile, come se tutta l'energia contenuta nel corpo della bestia fosse concentrata in quel punto, pronta per essere sprigionata, pronta a sottomettere e a schiavizzare.
La testa del suo cazzo, larga e arrotondata, era coronata da un glande lucido, una punta di una tonalità più chiara rispetto al resto, dalla quale fluiva una ininterrotta, densa, quasi dorata scia di precum, che scivolava lentamente lungo la sua lunghezza. Quella vista mi fece gemere dolcemente, il mio corpo rispose con una scarica di calore. Mi spostai trascinandomi sul dorso senza perdere di vista la visione, con il guscio grondante come quello di una giovenca in estro e quello, senza perdere di vista la mia offerta, presami per la mano che mi deliziava, mi rialzò come fossi un fuscello per essergli addossata, facendomi tastare con la pancia il suo arroventato ferro. Fissandolo, ridevo e ridevo, come una pazza, mentre con la mano libera mi ungevo del suo desiderio trasparente.
Come si muoveva quel bastardo e come mi chiamava con cenni o foni. Il semplice movimento di alzarmi, di spostarmi o di obbligarmi in una posa per dargli piacere mi tolse il respiro, il mio corpo tremò per l'eccitazione. Sapevo che non avrei resistito a lungo prima di cedere all'impulso di sentirlo dentro di me, di lasciare che quell'enorme fallo mi riempisse, portandomi, come passionalità chiedeva, in un'estasi che solo lui poteva offrirmi. Non riuscivo più a resistere. Ero così vicina, potevo sentirlo il momento in cui mi sarei arresa completamente, arresa al potere di quel membro.
L'odore che emanava il suo cazzo era forte, un misto di sudore e qualcosa di puramente animale, un profumo che risvegliava i miei istinti più remoti. Potevo sentire la mia bocca riempirsi di saliva mentre immaginavo come sarebbe stato leccare ogni centimetro, assaggiare la sua pelle tesa e calda, fino a quando non ce l’avrei più fatta e l’avrei preso completamente, lasciandolo affondare in profondità nella mia gola, nel mio corpo. Volevo.
L'attesa mi ha dominata. Il desiderio di assaggiarlo, di averlo era insopportabile.
In quel momento, addossata a lui e fissata da lui, mentre lo guardavo, ebbi la percezione che la liberazione da quel mio bisogno, era di avere dentro di me la carne calda che mi bagnava, che mi infradiciava la pancia di calde sue essenze. Ero pronta a lasciarmi prendere e lacerare.
Dopo avermi osservata ancora negli occhi e untami il volto dei secreti che colavano dalla mia fica gonfia e quanto mai desiderosa di conoscere o di essere lacerata dalla trave che si muoveva o ondulava dal suo inguine, mi spinse lontana da lui, ingiungendomi di danzare. Non avevo mai ballato, né ascoltato musica per muovere il corpo, eppure professore, - le parlo al femminile- spinta dal suo invito e dal suo profumo e dalle mie impellenze alzai le braccia incrociandole sopra la testa e guidata dall’istinto di donna, che sempre più emergeva in me, iniziai a mettere un piede davanti all’altro o a sollevare una gamba per rimanervi sulla punta dell’altra. Suoni, profumi, ombre erano la compagnia che mi chiedeva di offrire tutta me stessa a lui. Per lui ballavo persa nel momento. Nei movimenti esponevo la fica sempre più grondante e il culo palpitante, che a lui chiedevo di riempire, saziando le mie voglie. I miei seni erano sempre più caldi e sempre più sodi e brillanti. La mia pelle cominciò a scintillare. Senza sapere il perché: i miei piedi trovarono un ritmo … antico, spontaneo; un’armonia di gesti, di oscillazioni, di flessioni seducenti, sensuali, impudiche; dalle quali trapelava il mio donarmi a lui, anche con l’anima.
Si fece avanti. Mi prese per la vita, tenendomi inarcata sul suo addome e sollevata per farmi sentire sulla pelle la sua bestiale virilità Le mie braccia gli circondarono il collo. I suoi occhi si avvicinarono al mio volto e la sua lingua iniziò a pulirmi dal sudore che per lui avevo emesso. Mi lappò vogliosamente da un orecchio all’altro, dal mento agli occhi, come i cani quando bevono con avidità l’acqua, suggendola rumorosamente e rendendo le mie gambe improvvisamente molli e deboli per poi, osservatami, infilare la mia bocca per asportare salive ed iniziare assieme la danza del gusto.
Il suo profumo, selvaggio e sensuale, penetrato in me, mi annodava a lui. Una sua mano, spostatasi dalle mie reni e spintasi sino alla vulva, già aperta dalla congestione passionale, distanziati gli arti, pizzicottava, dilatava, picchiava, penetrava. Boccheggiavo, squirtavo e pisciavo in preda a spasmi sempre più violenti
Le mie mani, da incrociate, si misero a ballare o a spingerlo via per respirare. Il mio addome era intriso, unto, lubrificato dei suoi trasparenti secreti e degli effetti delle acmi del mio piacere, che ritornavano a me dal suo vello.
Da sollevata da terra, mi spinse giù con la testa pigiata sulla sua calda, pelosa bisaccia fradicia, che impiastricciai ulteriormente di rigurgiti. Anche il mio retto iniziò ad abbandonare e ad allentarsi. Ridevo, piagnucolavo e ansavo in risposta ai suoi latrati di lussuria. Lordata di piscio e di conati, ora lo lappavo, leccavo, lo veneravo con tutta me stessa. Il mostro, con la sua carne vogliosa di prendermi e di farmi sua, giocherellando con i miei capelli, mi impose il proseguo delle mie caste, ma lascive ed impudiche preghiere.
Mi piegai, le mie ginocchia affondarono nella terra intrisa di secreti e di umidità stagnante, mentre le mie mani tremanti cominciarono a esplorare tra la sua folta e lunga pelliccia finché le mie dita trovarono il suo membro, grande e caldo, pulsante di vita propria. Le mie labbra si aprirono in un sospiro di desiderio mentre lo guardavo, stupita dalle sue dimensioni e dalla sua marmorea durezza.
Era così enorme, così potente, che non riuscivo a resistere all'impulso di averlo con ogni fibra del mio essere. Lo volevo, tutto. Catturai i suoi coglioni per sentire tutto il loro peso tra le mani. Era come stringere la promessa di un piacere proibito. Le mie dita gli avvolsero e cominciai ad accarezzarli con un fervore quasi reverenziale, stringendoli forte mentre gli esploravo. Le mie labbra si aprirono e la mia lingua iniziò il suo viaggio dalla base, leccando devotamente ogni centimetro di quel cazzo dal sapore acido e ripugnante, duro e pulsante, dal gusto disgustoso, tanto che provai vomito, ma allo stesso tempo era un nettare delizioso, energetico, afrodisiaco.
D'altra parte, la consistenza della sua pelle, così morbida, serica e soda, era un contrasto perfetto con la forza che sprigionava. Quando raggiunsi la punta, la mia lingua giocherellò con il suo piccolo foro, assaporandone la traccia della sua essenza e sentendone le risposte con crescente eccitazione. Sì, sì, di più, voglio di più!- Gli sussurrai.- Non potei fare a meno di sorridere mentre si induriva ancora sotto il mio tocco, i suoi rantoli divennero sempre più pesanti, riempiendo l'aria di promesse.
Interruppi l’atto per ammirare prima i suoi occhi e poi lo splendore, il luccichio, il suo desiderio umido e caldo che fluiva copioso dal meato della sua asta con i marroni pelosi posati sulle mie bianche, felpate, dolci mammelle. Intravidi un sorriso fra il pelo della barba e poi, mentre mi tratteneva per la chioma, con una mano, impugnata la canna, intraprese a segnarmi il volto dal mento alla fronte, dagli orecchi agli occhi per poi pormela sotto il naso impregnandomi le narici del suo intenso, selvaggio, maschio profumo, per farla scivolare successivamente alle labbra, bisognose di essere umettate dal sugo trasparente di cui era ricoperta. Ticchettò un po’, picchiò, sostò, spinse. Era … Le mie labbra, umide e desiderose, si allungarono e si aprirono. Ohhh, professore, era tanto grande, ma quello, spingendo lentamente e tenendomi la testa con entrambe le mani, riuscì a far entrare il suo arnese caldo e scivoloso. Ero felice, anche se stentavo a muovere la lingua e glielo dimostrai aggrappandomi a lui, come meglio potevo, mentre lui iniziava ad indietreggiare e a rientrare. Sbavavo e tossivo, sino a quando non riuscii più a spostare la lingua, mentre il mio culetto ritornava ad emettere creme brunastre. Ho sentito ogni sua vena pulsare contro la mia lingua, il calore del suo cazzo crescere ogni secondo, per gonfiarsi come se stesse per esplodere da un momento all'altro. Volevo che mi desse tutto. La mia lingua ne seguì il contorno, tracciandone la lunghezza con devozione, adorando ogni piega, ogni palpitazione, mentre i miei gemiti si bloccarono nel sentire il suo corpo tendersi, i suoi muscoli indurirsi come corde sul punto di spezzarsi, il suo cazzo pulsare dentro la mia bocca. Schiacciato contro il suo inguine, sentii un primo getto di liquido caldo terminarmi in gola, accompagnato da un ululato. Arretrò di poco per guardarmi negli occhi, mentre un nuovo spruzzo, che non riuscii ad ingoiare, mi chiuse le narici.
D'altra parte, anche il mio orgasmo era sul punto di esplodere. Mi sentivo gonfia sotto le dita, mentre le strofinavo sempre più velocemente, più disperatamente, sempre più forte. Il mio corpo tremava, i miei fianchi si muovevano involontariamente, alla ricerca dell'ultimo sbuffo d’aria. Il mio respiro diventò convulso, ogni mio rantolo si mescolava a un suo gemito, le mie gambe si tesero, si aprirono e si chiusero. Tutto il mio corpo era in fiamme, vibrava in modo incontrollabile. I miei capezzoli erano così duri che mi facevano male, le mie dita si contorcevano per un bisogno furioso e tutto ciò a cui riuscivo a pensare era esplodere in un'ondata infinita di piacere.
Il caldo tra le mie gambe era insopportabile. Potevo sentire i miei sughi scivolare lungo le mie cosce, inzuppare di più la fanghiglia sotto le mie ginocchia, mentre le mie dita non smettevano di lavorare, non smettevano di strofinare, di affondare dentro di me, di allungarmi e di prepararmi all’orgasmo. Tutto il mio essere era concentrato in quel momento, il mio clitoride pulsava con un ritmo frenetico e i miei gemiti si intensificavano. Le mie dita si muovevano sempre più velocemente, scivolando con l'umidità del mio sesso, e ogni tocco, ogni pressione sul mio clitoride gonfio mi portava sempre più vicino all'abisso. Gli spasmi cominciavano a correre lungo la mia schiena, un avvertimento di ciò che stava per accadere. Ogni fibra del mio essere era in attesa, ogni muscolo si irrigidì, i miei occhi si chiusero per un cieco bisogno.
E poi … le sue convulsioni, il suo cazzo gonfiarsi e pompare dentro la mia bocca e un altro spruzzo caldo di sperma colpirmi la parte posteriore della gola, facendomi soffocare in uno spasmo di piacere.
Ahhhhhhh, urlai in silenzio, un fono soffocato e arrabbiato.
La mia gola si contrasse intorno a lui, le mie labbra si strinsero e lasciai che tutta la sua essenza mi travolgesse. Era una sensazione così forte, così travolgente, che non riuscivo a trattenermi. Le mie dita spinsero forte dentro di me, il mio corpo si inarcò all'indietro e io esplosi in un acme di piacere che mi ruppe in mille pezzi. La mia schiena si piegò, le mie gambe si tesero e i miei gemiti si trasformarono in un urlo soffocato. La mia mente si annebbiò, ogni pensiero scomparve mentre il mio corpo si arrendeva al godimento.
Il mio urlo mi si bloccò in gola, tutto il mio corpo ebbe convulsioni e sentii la mia vagina contrarsi intorno alle dita, come i miei fianchi che si muovevano da soli, spingendo in avanti, volendo di più, ancora, ancora di più. Gli spasmi mi attraversarono come onde, e ognuno era più intenso dell'altro, ogni contrazione, ogni pulsazione suscitava in me un gemito strozzato tra i denti. Il clitoride bruciava, le cosce tremavano e il calore si diffondeva in tutto il corpo, dai piedi alla testa. Era come se ogni cellula fosse accesa da una fiamma di carnalità che non poteva essere spenta.
E lui continuava a versare e io a ingoiare, lasciando che la sua crema calda e salata, assai particolare, mi riempisse, mi bagnasse, mi rivestisse, mentre il mio corpo vibrava di piacere. La mia saliva si mescolò al suo sperma, traboccando dagli angoli della mia bocca, scivolando lungo il mento, cadendo sui miei seni. Il calore e la viscosità del liquido, il modo in cui scivolava lungo la mia pelle, facevano diventare i miei capezzoli ancora più duri e i miei gemiti continuavano, mentre la mia lingua cercava di raccogliere i resti, assaporando ogni traccia del suo sperma. Un profumo forte e animalesco che alimentò ancora di più la mia lussuria, riempì l’antro. Chiusi gli occhi per godermi appieno il momento, per godere del calore di ogni sua nuova esplosione.
Non so, Professore, da chi fossi istruito e guidato in quella danza erotica, così libidinosa e tanto carnale. Non ho mai fatto sesso, se non con un compagno, dal quale appresi a massaggiarmi il cazzo sino alla sborrata finale, ma in quel sogno: era la natura o chiamiamolo istinto o predisposizione, spinto dagli stimolanti assorbiti nello stagno, sta di fatto che agivo da esperto dell’arte erotica, licenziosa, lasciva.
Le mie dita si muovevano sospinte da una frenesia quasi sacra, tra devozione e passione e mentre le giravo intorno al suo fallo, avvertivo la sua tensione crescere in modo esponenziale. Potevo sentire ogni pulsazione, il calore che emanava, duro e pieno di vita, come un essere che rispondeva alle mie carezze con un desiderio che coincideva con il mio. Mentre la mia lingua continuava il suo viaggio, lentamente e con determinazione, leccandogli ogni centimetro, come se quel membro pulsante fosse qualcosa di divino che pretendeva di essere adorato. Ogni gemito che emetteva, ogni sussurro soffocato che riuscivo a strappargli, mi infiammava di più. Potevo sentire il suo respiro accelerare, il suono inumano del suo piacere riempire l'aria, facendomi anelare di più, desiderare tutto, in modo irresistibile.
L'eccitazione nel suo corpo era palpabile, ogni muscolo si tendeva in risposta ai miei movimenti. Ciò che mi ha affascinato di più è stata la reazione quasi animalesca che ho provocato in lui, la forza con cui si è donato. Tutto il suo corpo sembrava sull'orlo del collasso, aggrappato a ogni tocco, a ogni leccata, alla disperata ricerca di quel sollievo finale. Eravamo uniti, avevamo dato origine ad un essere ardente, unico, in continua estasi.
Le mie labbra si separarono da lui con una scia bagnata, le mie mani lo stringevano più forte, mentre i suoi rantoli proseguivano. Ero posseduta, ma che cosa meravigliosa era possedere il suo membro palpitante e tanto pesante. Era il mio trofeo appeso tra le sue gambe, che avevo spremuto e che continuavo a mungere e che avrei, da lì a poco, inserito tra le mie gambe. Sentii il calore soffocante sul mio viso mentre lo succhiavo freneticamente e non potei fare a meno di notare la forza che si accumulava nel suo corpo, una forza animalesca che erompeva ad ogni colpo che colpiva il suolo con i suoi piedi, echeggiando come un tamburo di avvertimento sul terreno. I suoi occhi brillavano di un misto di sfida e frenesia e in quel momento fui sopraffatta da un turbinio di emozioni: fascino, paura, un'eccitazione crescente che non riuscivo e non volevo più controllare.
Ogni sua reazione mi eccitava sempre di più. Eravamo in una spirale di desiderio, vivevamo in un'esplosione di sensazioni che facevano confondere i miei gemiti con i suoi, in una danza senza fine dove il confine tra l'umano e il brutale svaniva completamente. Le mie dita, incapaci di stare ferme, si divisero sulla pancia finché non trovarono il mio sesso, fradicio e palpitante, una calda massa di desiderio che doveva essere appagata. Le mie gambe tremarono per separarsi mentre le mie dita affondavano nelle mie pieghe bagnate, trovandole gonfie e pronte. Un gemito mi rimase bloccato in gola, un urlo muto che mi fece solo arrendere di più agli orgasmi ripetuti. Sì, così, proprio lì! Le mie dita si muovevano in rapidi cerchi, coordinate con il ritmo delle sue spinte. Ogni volta che il suo cazzo affondava nella mia bocca, le mie dita premevano più forte sul mio clitoride, inviando spasmi di piacere in ogni angolo del mio corpo.
-Sì, di più, di più!- Gridai con la bocca piena, la voce rotta per il godimento. Potevo sentire il suo cazzo pulsare e ogni sua spinta diventare più irregolare, più inconsulta. La mia gola, le mie labbra si allungarono per accogliere il suo sperma. Era quello che volevo, perdermi in e con lui.
I miei fianchi si muovevano involontariamente, cercando sollievo dalla pressione che si accumulava nel mio inguine, mentre la mia bocca continuava a divorarlo, desiderosa di tutto ciò che il suo corpo poteva darmi.
Le mie dita non stavano ferme, mentre lo divoravo, si muovevano tra le mie gambe, scivolando con forza sull'umidità che già mi inzuppava le cosce. Mi penetravo furiosamente, mentre succhiavo come una cagna affamata, ansimando contro il suo pelo. Sentivo la perversione crescere, ogni colpo della mia lingua era sempre più sozzo, sempre più inzaccherato, ogni gemito che emettevo, mentre lo avevo nel profondo della gola, era un urlo di oscenità. La mia saliva gocciolava, formando un grottesco sugo tra la sua pelle e la mia bocca.
L’ho sentito mugghiare, ruggire, mentre mi spingeva per la chioma sulla sua grande, maestosa sporgenza. Era il suono del suo possesso e della mia sottomissione. La mia mano lo accarezzava forte, mentre, con gli occhi chiusi, persa nella mia febbre di lussuria, la mia bocca, assaporando, ingoiava ogni centimetro di quella bestialità impossibile
Volevo tutto, sentivo la gola stringersi, stringersi intorno alla sua carne mentre le mie dita giocavano con la mia vagina, sporca, bagnata, fradicia.
E poi, guidata da una forza ignota, oscura, ho allungato la mano destra verso il suo retto. Lo massaggiai delicatamente, dilatandogli l'orifizio anale mentre la mia bocca continuava a divorare il suo immenso membro. Lo sentii tremare mentre le mie dita trovavano il suo punto più scuro, quello che nessun altro aveva mai toccato. Pigiai forte mentre la mia lingua vibrava, provocandogli un profondo gemito che echeggiò in tutto l’antro. Si inarcò al contatto, spingendomi la testa più in giù, quasi a soffocarmi.
La mia mano si fermò proprio lì, proprio in quel luogo intimo e vulnerabile. All'inizio premetti delicatamente, come se sentissi i limiti della sua resistenza, mentre con la bocca continuavo a succhiare avidamente la sua carne soda.
Le mie dita entrarono, spingendo verso l'interno, penetrando saldamente la sua tenuta anale, mentre lo sentivo inarcarsi sotto il mio tocco. Nitriva, urlava foni insani, dal tono profondo, che non erano né di dolore né di piacere, ma della confusione che gli provocai. Lo strinsi più forte, le mie dita invasero il suo buco, mentre la mia bocca lo divorava, inghiottendolo fino in fondo, facendo capitolare tutto il suo corpo all'oscenità della lussuria.
Lo penetrai forte, giocando in modo perverso e sporco, stringendolo sempre di più, mentre sentivo come rispondeva il suo culo.
La mia bocca perversa non smetteva di succhiargli il cazzo. L'avevo completamente avvolto, il
suo glande mi sfiorava il fondo della gola, mentre la mia lingua si contorceva, leccando, giocando, succhiando con una disperazione che cresceva sempre di più. Il suo corpo animale era combattuto tra dolore e piacere. Ogni volta che muovevo le dita dentro di lui, lo sentivo rabbrividire, ansimare come una bestia selvaggia e soggiogata.
L'altra mano, rimasta ferma per permettere alla consorella di snervare, di sfinire i gangli nervini del compagno riprese a strofinare con rapidi, decisi, impudenti movimenti, facendo esplodere il mio piacere nello stesso momento in cui lui ritornò a riversarmi in bocca il suo. Il suo latrare divenne più discontinuo e vario, mentre la mia lingua proseguiva a far fiottare.
Alla fine, quando le convulsioni cominciarono a diminuire, mi allontanai dal suo cazzo, lasciandolo uscire lentamente dalla mia bocca, con un ultimo bacio sulla punta che strappò un ultimo gemito dalle sue labbra. La mia mano era ancora tra le mie gambe, mentre l'orgasmo si dissipava e il mio respiro tornava lentamente alla normalità. Ho guardato il suo cazzo, ora più morbido e bagnato dalla mia saliva e dai suoi stessi fluidi. Non ho potuto fare a meno di leccarmi le labbra, assaporando l'ultima traccia del suo elisir.
Le mie gambe tremavano ancora, mentre mi sedevo stanca ed esausta, con le mie mani che accarezzavano i suoi fianchi, intanto che sentivo il calore della sua pelle e il suo greve e arduo respiro. Mi sentivo soddisfatta, ma allo stesso tempo sapevo che quello era solo l'inizio. Il mio corpo bruciava ancora, e la mia mente stava già immaginando lo step successivo, nel quale mi avrebbe presa, in cui mi sarei arresa a quel bisogno insaziabile, instillatomi dalle lucine, che non mi ha mai abbandonata. Il mio sesso continuava a battere, il mio corpo continuava a vibrare, ancora affamato, ancora desideroso di più. La sensazione delle sue mani sulla nuca, il suo asso che mi inondava, i suoi gemiti rauchi riempivano i miei pensieri e non vedevo l'ora di essere ingravidata.
-Questo è solo l'inizio, tesoro. Sarò sempre pronta per te-, gli sussurrai con parole sconosciute, accarezzandolo, lasciando che le mie dita scorressero sulla sua folta pelliccia. Le sue orecchie si mossero leggermente e potevo sentire il tremore che ancora attraversava il suo corpo. Era una promessa di donarmi ancora e ancora, senza riserve. Il calore che sentivo era così profondo, così travolgente, che sapevo che presto avrei preso fuoco di nuovo, ma la stanchezza cominciava a mescolarsi a una sensazione di grandissimo languore, con l’ano incapace di trattenere. Le mie dita, come un addio temporaneo, dopo sfiorarono delicatamente il suo cazzo floscio e pendente, sapendo che non sarebbe passato molto tempo prima che fosse di nuovo pronto per me. Ero esausta, sfinita. Il mio corpo, ancora in preda agli ultimi spasmi di piacere, aveva bisogno di sentirsi al caldo, coccolata fra le sue lanose, forti braccia. Piagnucolavo, uggiolavo, guaivo fonemi di femmina, che chiedeva di essere abbracciata, di riposare coperta dal suo pelo e dai suoi odori, accarezzata anche nelle sue intimità dai suoi artigli o dai suoi innocenti morsi. Come se mi avesse letto nel pensiero, mi afferrò per la capigliatura per tirarmi su di lui, sdraiato sul terriccio caliginoso dell’antro, per farmi riposare fra le sue braccia. Non dissi nulla, ma i miei occhi si intenerirono fissandosi nei suoi, mentre le dita della mia sinistra scarmigliavano con tenera, amorosa, incantata commozione la sua barba. Non so quanto tempo passai a rana su di lui, godendo del suo pelo e del suo maschio profumo, ma … ero … una giovenca, una cagna, un’orsa in estro. La mia vagina, da come mi aveva posizionata su di lui, sentendo l’ondeggiare, l’alzarsi e l’allungarsi del suo sesso, riprese a sbavare, a perdere, a sgocciolare impregnando dei miei tepori il pelo del suo basso ventre. Mi allungai per stringerlo fra le mie cosce e per goderne delle ambrosie con cui mi avrebbe impreziosito i glutei, ma c’era un qualcosa che, ancor prima di essere presa ed impregnata, il mio essere chiedeva e a cui lui, al solo formulare del mio pensiero, rispose con il depormi per allontanarsi. Percepii che sarebbe successo qualcosa e attendevo ridendo, sudando, reputando fantastico e meraviglioso quello che il mio corpo chiedeva, mentre lui allontanatosi, ritornava con in una mano una zucca-tazza colma di lucine scintillanti, briose, vive e nell’altra un altro recipiente simile, cavo, ma più piccolo.
“Sì, sì, sììììììììììììììììì! Ohhhh, amore: voglio il pelo lungo come il tuo, il tuo stesso aspetto e nel corpo il profumo della tua natura!” … e ansimando, venuta a conoscenza dall’inconscio di cosa mi avrebbe fatto e sarebbe avvenuto, presogli il vaso vuoto, postolo per terra, mi accovacciai sopra per defecare, riconsegnandoglielo subito dopo con i miei escrementi senza pulirmi e che lui, subito, ricoprì di acqua e lucine. Non feci caso alle effervescenze che vi eruppero e si espansero, poiché abbassai la testa per dissetarmi alla grande zucca che lui, allungandomela, teneva ancora nella mano. Ridevo e piagnucolavo . Da subito e da quando avevo bevuto iniziai a sentirmi diversa. C’era un qualcosa che mi invitava a piegarmi o a sistemarmi su quattro zampe. Pizzicori, spasmi, voglie, modificazioni al mio corpo e le mani di lui sui lombi per esortarmi ad accondiscendere ed accettare la trasformazione che stava avvenendo, anzi lui stesso, facilitato dalla mia nuova postura, mi introdusse quei liquidi prima anche nell’ano e dopo in vagina. Rimasi sbalordita, ma se avessi riso per quello che mi capitava, sarei stata comunque spaventata per il bruciore, per gli spasmi, per come tutto il mio corpo ardeva e come cambiava. Bocca, stomaco, intestino, vagina, utero bruciavano, ma anche schiena, pancia, mani, piedi, viso, testa, naso, gola, orecchi, tutto in me era formicolio, un contrarsi, un allungarsi, un tendersi o un estendersi. Sembrava che un sarto modificasse le mie fattezze esterne e le strutture interne. Mi guardai, riflettendomi nel liquido della zucca e rimasi di sasso. Ero interamente coperta di una bionda, lunga peluria. Dal mio clitoride fluiva, abbondante, un vischioso liquido trasparente. Il bruciore, che mi aveva preso, mi spingeva a distanziare le gambe, ad alzare il culo ed abbassare la testa. Dalla pancia, che chiedeva di essere riempita, iniziavano a spuntare nuovi capezzoli. Ansimavo e rugliavo sorprendendomi di avere gli stessi suoni del mio amante e mentre tutto questo avveniva, lui defecò, nella zucca più grande, solo che le sue deiezioni erano come quelle di un grande bovino. Con il grifo che mi ritrovavo gli stavo dicendo che, ora, ero fertile e pronta per l’accoppiamento, ma … dai suoi brontolii compresi che dovevo prima avere il suo stesso aspetto.
Professore, ero felice, felice, felice.
Quello che mi avrebbe fecondato, ingravidato, resa madre, ora presa la zucca, nella quale avevo cagato, agguantata una manata di poltiglia brulicante di vermini, me la spalmò sul bianco-latteo grifo, sugli occhi, sulla gola e man mano che la finiva, né prendeva un’altra sino a coprirmi interamente il volto e poi le mammelle, ancora vergini da suzioni e anche sul e nel culo, che allargò lentamente con un artiglio, penetrandolo. Il grugno ardeva, il culo rosolava. Ero felice, felice, felice. Ero una scrofa che si puliva e si lavava nello sterco e dalla gioia presi il resto che rimaneva nella ciottola per lapparlo sino alla sua completa consumazione, mentre lui mi massaggiava e tirava, allungandoli, verso il basso i numerosi capezzolini, che mi erano sorti persino sul ventre. Terminato il contenuto della mia zucchetta, prese la sua per coprirmi della propria melma sul resto del corpo, dagli arti anteriori a quelli posteriori, sulla e nella vagina. Da ancestrali regole istintive venni a sapere che il viso, le mammelle e il culo dovevano profumare di femmina, mentre il resto del fisico, compresa la vagina, doveva essere marcato dell’odore selvaggio del maschio, del mio padrone, al quale mi sarei data. Fiammeggiavo, arrostivo; pisciavo e cagavo liquidi per lenire quei fastidi. Il pelo si colorava e si allungava, gli artigli erano divenuti adatti a scavare, il ventre frizzava, la vagina colava voglie. Gli diedi una zampata per allontanarlo, a cui lui rispose con una delle sue, scaraventandomi e spedendomi con la pancia all’aria. Ora mi sentivo femmina, la sua femmina e comprendevo le sue richieste perché capivo e, ora, parlavo nella sua lingua, ma non ero come lui e lui comprese i miei pensieri, anche se ero minuta nei suoi confronti, ma non mi interessava: volevo essere sua, pelosa, plantigrada, bere e saziarmi del suo seme, esserne deflorata ed ingravidata, farcita e imbottita nell’intestino. Ci spostammo per suoi e miei bisogni. Ridevo, mentre gli esibivo la mia vulva rorida di sughi, aspettando di essere lavata, segnata, marcata, come suo possesso. Bofonchiando, grugnendo, brontolando di impazienza, mi si avvicinò per bloccarmi, con gli arti anteriori sopra la testa con la schiena a terra. Ci mordemmo a vicenda senza farci male. I denti tenevano fermi i nostri griffi per permettere alle lingue di giocare tra loro e poi, per come potevo, mi avviluppai con le gambe su quella massa di muscoli e arti per godere della piacevole, deliziosa sensazione del glande che bussava alla mia porta rugiadosa e che chiedeva alle ante di schiudersi, mentre la sua lingua passava sul mio grugno, trasmettendomi dolci, deliziosi languori. Non aveva fretta. Mi riempiva di baci e di lappate, mentre con i suoi unghioni mi impediva qualsiasi movimento. Fissandomi, ricevetti un suo forte, chiaro messaggio d’amore e di possesso: una violenta scarica elettrica, partendo dal mio basso ventre, si diramò fulminea per il mio corpo e, togliendomi qualsiasi barlume di resistenza, permise a quella tremenda erezione di incastrarsi tra i miei muscoli e di penetrare, rompendo, le mie prime barriere anali. Subito per la sorpresa e per il forte, lancinante dolore, non compresi, ma poi mi accorsi che non aveva preso la via per ingravidarmi, ma quella di ammansire e ingentilire il mio retto. Dalle lappate con bave tornò a fissarmi negli occhi e dopo usando la lingua strozzò l’urlo, già morto per mancanza di ossigeno nei polmoni. Per la postura, per le ramazzate che mi dava l’ariete, proseguì nella sua aggressione. I suoi fonemi addolcirono i miei muscoli, la mia resa. I suoi baci da aggressivi divennero più pacati e soavi. Sentii la durezza della sua carne scorrere e massaggiare le mie viscere. Le mie dita abbandonarono i suoi peli e la mia lingua ritornò a giocare con la sua, mentre sentivo la potenza e il calore della sua virilità. I miei suoni, i miei allofoni erano un invito a prendermi, a possedermi, a fare di me ciò che voleva, mentre le dita delle mie mani fremevano. Da come ero inarcata e presa, non potevo certamente vedermi l’addome gonfio, dilatato, più rotondo, ma comunque lo percepivo ingolfato, saturo, pieno. Ora ero sua per via anale, intestinale e, anche se colma di un dolore, ormai sordo, gli sorrisi, invitandolo con gli occhi a godermi. Sentii il suo , a cui risposi , nascondendo poi il viso nella sua folta, lunga barba per narcotizzarmi delle sue fragranze da orso, da primitivo. I miei dall’urlo iniziato, ma non finito, con l’inizio del suo pompaggio si tramutarono in continui, ripetuti sfiatati, pacati, afoni. Poi, afferratomi per la chioma, sfilatosi e messomi in piedi, rientrò prendendomi da dietro, dopo avermi alzato per le ascelle per non flettersi. La penetrazione in quella maniera è stata difficile e molto dolorosa per via dell’impalamento impostomi dal peso e da nessun impedimento che la ostacolava, neanche dalle sue mani, dato che con una mi massaggiava il ventre, mentre con l’altra mi teneva stretto a lui per il collo. Però, che sensazioni Professore: io non trovavo appigli per scoparmi, lui non collaborava se non stringendomi alla gola sino ad impedirmi il respiro. È stato allora che le mie viscere iniziarono un moto di movimento e di spremitura. Uno starnuto, un colpo di tosse alla ricerca di aria, si riflettevano sul mio sfintere con l’aspirare e stringere quel palo di carne calda. Con fatica, tremando e guaendo, sollevai le braccia per tenermi alla sua testa, girandomi nel contempo per avere la sua lingua, mentre sentivo l’enorme potenza, il calore e la sontuosità del mostro che mi apriva e dilatava l’intestino.
Dalle sue parole era questa la domanda che l’intestino raccoglieva e mi trasmetteva, mentre mi mordeva le labbra o mi lappava il naso e la lingua. Quanto mi sarebbe piaciuto vedermi inarcata contro il suo torace, sostenuta, trapanata e allungata dal suo cazzo, divorata dalla sua bocca, mentre andava qua e là per la caverna, regalandomi un’ulteriore dilatazione e rianimate fitte, che finivano rapidamente per la crema che mi ricopriva e riempiva. Uno sciabordio, uno sciacquio, un frangersi di onde su di lui e su di me, una rigida frescura con ritorno di lumini e di quelle strane carezze già vissute, mi scossero, mentre caldi, impetuosi getti di irrigazione colpivano le mie viscere.
Professore, eravamo ammollati in quell’acqua, colma di luci e di bagliori, morsi da sanguisughe e da altri minuscoli insetti, come scorpioni, ragni, vermi tubiformi, pulci e pond runner, quando mi accorsi che non avevo più il pelo, che il mio lungo clitoride gocciolava e chi mi sosteneva … Ohhhhhh, Prof, che sogno: immerso nella vasca del bagno della stanza che condividevo con altri, probabilmente per necessità di rilassarmi e pulirmi, mi ritrovai con vermini bianchi che si spostavano al minimo movimento delle dita e con una loro lunga, serpeggiante scia che fluiva tranquilla dal meato del mio pisellino, con irrilevanti particelle brune di sciroppi anali che salivano in superficie dal fondo fra le mie cosce, mentre godevo, disteso nell’acqua ormai fredda, dei dolci, piacevoli languori della visione bagnata. Non so se avessi pisciato, ma l’acqua non era proprio tanto limpida e il letto … Beh, ho cambiato le lenzuola, trovando per fortuna sotto di quelle un telo cerato. Devo dire e riconoscere, Professor Alberto, che la direzione della pensione, nella quale siamo ospiti, conosce le età dell’uomo.”
“Oggi nel primo pomeriggio ritornerò a visionare alcuni graffiti, che ho scoperto da poco in una cavità difficile da individuare e di non facile accesso, per accertarmi dello stato della loro conservazione. Se vuoi venire ti farò conoscere il sogno e l’ambiente che il tuo inconscio perspicace ti ha mostrato. Lì saremo isolati e appartati, io e te, tu e l’oggetto di culto che hai sognato e che inizierai a venerare e ad amare. Dammi la destra che la impregnerò del mio odore sessuale. Vai, preparati per la scarpinata notturna con zaino e tuta invernale. Faremo ritorno domani, in serata.”
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