La terapia dell'amore (integrale)
di
GattaBianca
genere
tradimenti
'drin..drin..drin..' «Buongiorno parla la signora Giovanna, scusi se la disturbo, chiamo dalla Clinica degli Angeli, i suoi esami sono pronti, il dottore mi ha sollecitato di dirle se può passare a prenderli il prima possibile, grazie e buona giornata.»
Ho chiuso la chiamata con uno strano presentimento, ma ero tardi, dovevo passere a casa, togliermi il vestito che avevo su, mettermi in tuta, prendere la borsa del tennis, attraversare mezza città all'ora di punta per incontrare Sara, per la nostra partitella settimanale.
Lei sempre in anticipo, io sempre in netto ritardo. Era la mia serata free, chi perdeva pagava la cena, che di solito, costava una sciocchezza per il cibo, ma lo scontrino si rimpinguava per le bibite. Ad ogni ritorno a casa eravamo passibili di ritiro della patente.
Solo arrivando a casa, mi sono accorta di aver lasciato il portafoglio in ufficio, e mi sono messa a cercare nelle tasche di giacche e giubbotti di Filippo, mio marito, che di solito, «guai un mal» come diceva lui, teneva sempre qualche banconota di scorta. Pescando con la mano nel cappotto appeso sull'attaccapanni, ho sentito al tatto la molletta portasoldi, e un altro foglio di carta ripiegato. Ho preso il tutto, 'sequestrando' 50 euro, e aprendo il foglietto ho notato che era la fattura di un residence, dove ho letto: "Villa delle Rose", l'indirizzo, i numeri di telefono, e sotto le varie voci pagate: camera doppia Premiere 200euro; colazioni x 2, 40euro: totale 240euro. Avevo ancora i soldi di Filippo in mano e ho preso altri 100euro.
Insomma spandeva 240euro per fare sesso con la sua tirocinante, almeno 150 potevo intascarmeli. Era proprio uno stupido, dimenticarsi di una prova così lampante, se fossi stata un'altra donna... Forse, però, era proprio lui a ritenermi stupida o cieca, se credeva che non lo sapessi da tempo. Le sue camice messe direttamente in lavatrice dopo quattro ore che le aveva indossate, e quando le controllavo: vedevo gli aloni di fondotinta sul colletto, puzzavano di un profumo da ragazzina, e a volte pescavo tra la stoffa dei lunghi capelli biondi. Se credeva che non avessi capito si sbagliava di grosso, ma a me non importava proprio per nulla.
Filippo aveva uno studio di avvocati, e ogni tanto arrivavano alcune tirocinanti, 25-26enni giovanissime per lui che ne aveva 45, e il mio buon maritino le infarinava sulle procedure lavorative, e le intortava per portarsele a letto. Spesso prese da fantasticherie di possibili carriere, che era quello che lui prometteva, per qualche tempo se le portava in qualche hotel e sfogavano: i loro 'appelli' e le loro 'petizioni'.
Tutte però alla fine scappavano da quell'ufficio e dal mio consorte, probabilmente perché: dopo qualche notte di 'passioncina', scoperto tutto il menù che gli veniva offerto, e considerato, anche il 'lombrichino': corto e secco, che madre natura gli aveva dato in dotazione, credo che pensassero che fosse meglio far carriera in altri uffici, più forniti.
Ieri doveva essere ad una conferenza a Bologna, non in un residence a 15 minuti da casa, ma poco mi importava.
Educata da una famiglia ricca e ultraconservatrice, il sesso per me era sempre stato un nemico da combattere, e di certo la mia vita erotica con il piccolo 'anellide' di Filippo, non me lo aveva fatto diventare amico.
Vedere la faccia arrossata, il sudore della fronte; sentire i suoi versi animaleschi, per soli dieci minuti, e poi la piccola morte lo coglieva, mi faceva quasi sorridere, altro che eccitare.
Comunque chiudendomi la porta alle spalle e pensando a Ivan Lendl, grande tennista di qualche anno fa, ho dimenticato la telefonata e ed i puerili giochini di mio marito.
Il pomeriggio dopo, quando sono arrivata in clinica, avevo la testa annebbiata dai bagordi etilici, che fino all'una mi avevano trastullata, in compagnia di una brillante Sara. Io e lei eravamo amiche da sempre, stesso liceo, stessa facoltà di Lettere, ed anche i nostri lavori erano affini: io ero socia di una Casa Editrice, con il sogno di diventare una grande e affermata scrittrice, lei aveva scelto il giornalismo e lavorava per una importante testata nazionale. Coetanee, entrambe 35 anni, due belle donne, che non passavano quasi mai inosservate, anche se spesso cacciavamo in malo modo gli 'scocciatori' per starcene da sole. Credo che Sara avesse da sempre un debole per me, che covasse dentro un'attrazione erotica nei miei confronti, non che fosse lesbica, infatti ieri sera si era portata a casa un ragazzo di 25 anni, che era in un tavolino in parte al nostro con un amico. L'amico avrebbe voluto strabiliarmi con le sue doti da 'macho', ma l'unica differenza che c'era tra me e Sara era proprio questa: lei ci stava, io rifiutavo. Comunque il tipetto era molto affascinate.
Sono entrata in quella struttura ospedaliera e una 'sbuffata' di disinfettante mi ha aggredito le narici, poi ho parlato con un'infermiera alla reception, che mi ha fatto accomodare su una sedia. Pochi minuti dopo ero in un ambulatorio, ed un dottore del viso arcigno mi ha fatto capire che c'era qualcosa di anomalo nelle mie analisi: un forte calo dei globuli rossi, ed un aumento considerevole di quelli bianchi. Le possibilità, a sentir lui, potevano essere molteplici, e mi ha consigliato di fare esami più specifici, mi ha anche cercato di tranquillizzare, e prima di uscire mi ha detto la frase, che dopo il Covid anche i cani sapevano: «Andrà tutto bene», parole che prevedono però che ci sia qualcosa che non va. Per me poi che ero agofobica, si prospettavano altre torture. Scesa per strada, ho cercato di non pensarci, e di aspettare i prossimi risultati.
Ho incontrato Sara in un bar per un aperitivo, e mi ha raccontato dettagliatamente la sua super nottata con Leonardo, il prode cavaliere di quella sera al ristorante, ne era entusiasta e si erano ritrovati spesso tra le lenzuola di casa sua. Lei sapendo tutto la mia situazione con Filippo: le corna, il mio non apprezzarlo a letto, la mia scarsa ricerca di un altro, mi spronava di lasciarmi andare, ma nella mia cocciutaggine e nel mio disinteresse verso il sesso, le dicevo che stavo bene così.
Forse preoccupata dalle analisi nuove che avevo fatto, la settimana seguente mi sentivo stanca, demotivata, avrei voluto sempre dormire, anche se quel sonno non era assolutamente ristoratore, ma mi sono tenuta tutte dentro per non allarmare nessuno inutilmente. Poi lo shock, una dottoressa, dopo aver visto i risultati degli esami e la T.A.C mi ha detto, con empatia e delicatezza, che avevo, per farla breve, un tumore al seno in fase iniziale: ancora circoscritto a pochi linfonodi adiacenti. Un lieve giramento di testa, la vista appannata, non volevo ascoltare le parole che mi stava dicendo, come un condannato speravo in un indulto, o di svegliarmi nel mio letto dopo aver solo fatto un brutto incubo. Poi la sua voce mi ha distolto dal torpore: «L'abbiamo scoperto in tempo, non deve preoccuparsi, già domani faremo una riunione d'equipe e valuteremo attentamente i possibili trattamenti, ma se fosse per me preferirei prima bombardare le cellule malate con una terapia specifica, poi valutare le altre opzioni più invasive. Si ricordi che il 90% delle donne, un anno dopo la terapia si dimenticano di averlo avuto. Comunque è in buone mani, saremo una squadra e le saremo accanto in ogni momento ne abbia bisogno.»Quelle parole avevano, appena appena, tinto di chiaro il nero e fuligginoso futuro che mi si delineava davanti. Uscendo da quello studio ho focalizzato: avevo un tumore al seno.
Quella sera, per fortuna, ero a casa da sola, non avrei potuto sopportare la presenza di mio marito, che, se glielo avessi detto, avrebbe risolto in breve, con la sua aria da saccente, con qualche inutile frase fatta. Invece io mi sentivo invasa, annichilita, terrorizzata da un male che fino a ieri non esisteva. Qualcosa mi stava distruggendo da dentro, e la mia mente roteava intorno alle parole: chemioterapia, radioterapia, asportazione mammaria, senza tregua, come inglobata in un vortice senza fine. Quando si è fatto buio, non riuscivo: né a leggere, né a guardare la tv, e neppure a stare sdraiata, e per cercare di straviarmi, bardata di: giubbottone, sciarpa e guanti, sono scesa a fare una passeggiata, nel gelo di una serena notte di dicembre. Vedevo le stelle splendere come non avevo mai notato, o forse, presa sempre da altro, non le avevo mai osservate così. Le strade deserte, le luci di Natale nelle case, scatenavano, in me, tempeste di emozioni tetre e cupe. Il giorno prima di Natale era alle porte, ma per me un altro tipo di vigilia era pronta ad aspettarmi, una vigilia di battaglia con un male sconosciuto fino a poche ore prima. Come cambia la vita in un attimo, spesso non ci diamo neppure troppa importanza se capita agli altri; ma che scava, scardina, demolisce se capita a noi.
Rimettendo poi tutto insieme, oltre alla stanchezza, alla spossatezza sentita nelle settimane precedenti, avevo accusato anche altri sintomi che ora collegavo, una leggera squamatura del capezzolo destro, e un lieve dolore al braccio che però imputavo alle partite di tennis.
L'ho solo detto a Sara, agli altri avrei aspettato di capire quale tipo di terapia mi sarebbe stata consigliata; e lei da vera amica, dall'alto del suo acume e della sua intelligenza, mi è stata vicina senza mai una frase sbagliata, o un comportamento troppo compassionevole. Quando quella sera dopo una veloce pizza alle 21: lei andava a casa ad aspettare Leonardo, per condividere il suo matrimoniale; io tornavo nella mia a condividere la solitudine con Filippo. Iniziavo a vedere le cose con altri occhi, prima mi sembrava di poter rimandare tutto al domani, adesso volevo recuperare il tempo andato in ozio e piccole paure inesistenti. Il terrore di deperire fisicamente: di perdere i capelli, di non poter vedere la mia 4a allo specchio e toccarmela, sentendola, come sempre era stato, piena e tonica, di aver sprecato un corpo senza neppure conoscere quello che di bello avrebbe potuto offrirmi mi faceva indignare con me stessa.
Era arrivato il momento di cambiare, di riporre in soffitta i tabù, i 'proibito', i 'vietato' che mi portavo nella testa. Prima di tutto volevo sistemare le cose con Filippo e spiattellargli tutto sul muso, tutte le falsità che prima non mi urtavano, ora mi facevano sentire oltraggiata da tutte le sue bugie e tutti i suoi sotterfugi.
Il pensiero costante al mio male era una fissazione assidua, un pungolo che premeva dentro me. Ma quando la dottoressa mi ha detto che il primo passo poteva essere meno invasivo del previsto, mi sono leggermente sentita alleggerita, mi proponevano una terapia endocrina a bersaglio molecolare, per poi vedere quello che sarebbe successo. Vivevo come una persona borderline, a volte da una parte del rasoio ero distrutta, chiusa in me stessa, ma quando scivolavo dall'altra, mi sembrava di essere una ventenne piena di energia e di voglia di scoprire cose nuove. Avevo iniziato maliziosamente a vestirmi sexy, ha far notare il mio bel corpo, fino ad allora seppellito in abiti larghi e indossati senza gusto.
Avevo un capriccio da togliermi, si chiamava Matteo, un giovane architetto che aveva il suo studio nello stesso palazzo della mia Casa Editrice. Di sfuggita ci vedevamo tutti i giorni, ed un pomeriggio in ascensore mi aveva chiesto di uscire con lui, di andare a mangiare qualcosa insieme, facendomi capire chiaramente qual era il programma per il dopo cena.
Era davvero bello, i suoi occhi nocciola con taglio orientaleggiante ti inchiodavano a lui, i suoi capelli castani lunghi e mossi, il suo fisico atletico, e senza pensarci troppo l'ho invitato io a cena fuori. Quella sera ogni dieci minuti mi messaggiava non credendo che mi sarei presentata. Invece quando ha fatto il suo ingrasso nel locale concordato, ero lì seduta in un vestitino nero corto ad aspettarlo con uno spritz in mano. Già quando mi stavo vestendo, osservandomi allo specchio, mi sono accorta che: avere cura di me, incontrare qualcuno che mi piaceva e l'incertezza di quello che sarebbe successo, mi allontanava dal mio quadro clinico; era ora di vivere, domani ci avrei ripensato al resto.
Dopo una cena passata a stuzzicarci, ho sentito, forse per la prima volta, un grande impulso di voler possedere quell'uomo, di toccarlo, di accarezzare il suo corpo e nutrirmene. Alle 22:00 ero sul divano di casa sua, e aiutata dall'apporto alcolico, disinibita ed eccitata con non mai, ho iniziato a spogliarlo, fremendo di passione. Quando ho visto il suo pene: lungo, marmoreo, glabro, con il prepuzio che ricopriva la sua rotonda punta, avevo il perizoma madido dei mie liquidi. Con un mano lo sfioravo in tutta la sua lunghezza adorandolo, e con l'altra le carezzavo il torace muscoloso, liscio e caldo.
Eravamo entrambi nudi, e mi piaceva che mi vedesse così, ed ho iniziato a baciargli il collo, i pettorali, poi sono scesa agli addominali e seguendo una sottile linea di peli scuri e morbidi, sono arrivata al suo grande membro, e tirandogli indietro la pelle, ai movimenti in su e giù della mano, ho aggiunto la mia bocca che ha preso tra le labbra quel cazzo che sapeva di buono. Lui respirava forte e mi faceva fare, ed io sperimentavo il vero piacere, la vera voglia di qualcuno. Non lasciavo nulla al caso, tutta la notte precedente, nella mia lunga e consueta veglia, avevo già immaginato, quello che stavo per fare realtà. Adoravo quel corpo, adoravo il suo sesso, che leccavo con parsimonia perché tutto non finisse. La mia lingua roteava sulla sua cappella, poi me lo infilavo in bocca fin che mi stava, e con la mano muovevo il resto. L'ho messo i mezzo ai miei seni, e lo cullavo tra di loro. Era assurdo che tenessi quella cosa sana ed eretta tra le mie grosse e malate tette, ma sentivo calde pulsazione tra le mie gambe, e quel pensiero l'ho fatto scappare via da me e da quell'attimo indimenticabile.
Mi ha presa delicatamente e mi ha poggiata sulla schiena sul divano, mi ha divaricato la gambe ed ha perlustrato con la bocca la mia bruciante vagina. La sua saliva mi dava sollievo, e la sua lingua mossa con maestria mi elevava ad una dimensione quasi ultraterrena, eterea, e quando il contatto con la sua bocca è diventato ritmato non ho fatto altro che lasciarmi scivolare verso un delizioso orgasmo che mi ha scossa tutta, in spasmi e leggere grida di puro ed inaspettato godimento.
Ormai ad ogni leggero tocco sussultavo, allora dopo un lungo bacio, mi sono inginocchiata su di lui, ed ho ripreso il mio meraviglioso svago, ma stavolta volevo che venisse, volevo farlo smaniare, soffrire di passione come aveva fatto a me. Ho visto il suo corpo contorcersi, ho fissato i suoi occhi che si erano fatti velati, e ho sentito il suo caldo liquido riempirmi la gola, con la mano ho stretto e mosso più veloce il suo cazzo, e con la lingua lo leccato tutto, ripulendolo fino all'ultima goccia, fino che le sue lievi spinte si sono fermate. Gli ho sorriso, ero felice, ero sazia di emozioni e scarica di tensioni che mi pedinavano giorno e notte come un'ombra di angoscia.
Con la scusa che si era fatto tardi, mi sono rivestita, con Matteo che mi implorava di rimanere a dormire da lui. Rassegnato ai miei no, in verità io volevo rivederlo, e gli ho detto, spudorata come neppure credevo di essere: «Se domani mi inviti a cena dormo con te, solo se facciamo l'amore tutta la notte, ok?» Il suo sguardo è tornato disteso e baciandomi mi ha risposto: «Tu mi farai innamorare così, è da più di un anno che penso a te, lo sai? Domani quando vuoi io ti aspetto qui, e facciamo tutto ciò che vuoi, lo sai che sei splendida?»
In macchina lungo la via del ritorno neppure l'ombra di sensi di colpa, nessun pensiero al demone che avevo dentro, anzi mi sono detta che avrei affrontato tutto con più forza e più determinazione sia: con mio marito, che con quella sordida e schifosa malattia. In due settimane da quella tremenda notizia io ero un'altra persona, pronta ad affrontare il futuro vivendo, non più nascondendomi dietro il nulla che mi facevo andar bene.
Il dilemma che mi stagnava dentro era quello di non poter decidere assolutamente niente di testa mia, non avendo nessun tipo di preparazione scientifica o medica. Guardando per notti intere siti e siti su internet, entravano talmente tanti input che alla fine il mio cervello sembrava azzerato, resettato. L'unica cosa era fidarsi dell'equipe di dottori che seguiva il mio caso.
Visto che sembrava che fosse ancora allo stadio iniziale, il mio tumore al seno poteva essere contrastato con la terapia biologica, meno invasiva della chemio, e via via vedere i risultati sul mio organismo.
«Questa terapia mira a danneggiare le cellule cancerogene senza nuocere alle quelle sane, colpendo molecole specifiche, definite bersagli molecolari. Ogni due o tre settimane, questo con domani glielo faremo sapere, lei si presenterà qui, ed in un ambulatorio le verrà somministrata per via endovenosa la terapia. Gli effetti collaterali possono essere sintomi simil-influenzali, feci liquide, soprattutto le prime volte, e mal di testa. Non si preoccupi se aumenterà di peso, nel momento che smetterà tornerà come prima. Comunque noi tutti siamo qui per ogni evenienza».
Non sapevo spiegarmi il motivo, forse una reazione isterica al magma che mi portavo dentro, ma camminando verso l'ufficio mi sembravo quasi allegra, come se, per ora l'esclusione della chemioterapia classica o di una operazione chirurgica mi avessero già graziato da due paure che albergavano dentro me. E poi, dall'altra parte di questa trincea di guerra alla malattia, c'era l'oasi di pace Matteo, e per lui non volevo perdere i capelli, o farmi asportare parte del mio bel seno, che ieri sera baciava come un bambino quello della mamma. Volevo essere ancora affascinate e seducente per lui, perché questo mi dava forza, mi offriva uno stimolo in più per combattere.
Al mio fidato socio e collega Paolo avevo detto tutto, e lui mi aveva fatto un discorso, da far suo, che mi aveva fatto capire che era bello essere circondati da almeno due o tre persone intelligenti su cui poter contare: «Potrei dirti mille cose che in queste circostanza non andrebbero mai dette, e comincerò proprio da quelle, hai una mezz'oretta vero?» e le sue guance piene e quei suoi occhi azzurri come il cielo, mi hanno sorriso soavemente, poi ha proseguito: «1. Almeno hai perso due chili di troppo che avevi, e non è vero, sei ancora bona come prima; 2. ti potrei portare due o tre esempi di persone che conosco che hanno affrontato il tuo problema, ma ogni persona reagisce diversamente; 3. non avendo basi scientifiche non ti suggerirò trattamenti, non ne sarei all'altezza; 4. non ti dirò che se bevevi più tisane e meno Ferrari o Negroni con Sara nel post tennis, non ti saresti ammalata, altrimenti avresti la cirrosi e non...; 5. non ti dirò mi dispiace tanto per te, devi stare proprio male... perché sarebbero parole scontate e stupide. Beh ora che ti ho elencato, quasi tutto quello che non si dovrebbe dire, eccoti l'ultima: tranquilla faremo noi anche il tuo, stringeremo i denti, tu non ci pensare...» ha fatto una pausa, mi stava ubriacando con la sua voce, e non sapevo più cosa aspettarmi, «col cazzo, scusa il francesismo, tu passerai di qui, ti prenderai i manoscritti che vorrai, e casa tua li leggerai e li correggerai, come sempre. Senza di te qui io sono perso, come un pesce in troppa acqua, e sai che io preferisco il prosecco. Ora vattene a casa e non pensare al tuo povero collega che tanto ti vuole bene. Tornando serio, per quel che riesco ad esserlo, se ti serve qualsiasi cosa io, noi siamo qua, e dico qualsiasi cosa.. Vattene ora, ciao?» Imbambolata sono scoppiata e ridere e gli ho gettato le braccia al corpo, stringendo quella sua bassa e grassoccia figura, quasi fosse un bambolotto.
Filippo ancora non sapeva niente del mio male e per il momento non volevo dirglielo, erano passati cinque giorni dalla scoperta, da poche ore non vedevo Matteo e assaporavo il gusto, odoravo la sua essenza, mi mancava come l'aria, ero innamorata come una sedicenne di quell'uomo, che solo con la sua bocca e le sue mani mi aveva portato e provare un'estasi indescrivibile, e solo pensando al suo meraviglioso cazzo, e a come lo avevo tenuto in bocca, e al il piacere che ne avevo ricevuto, mi faceva sentire un po' porca, ma mi bagnava le mutandine anche se ero per strada, non vedevo l'ora di fare l'amore con lui.
Prima però volevo sistemare una volta per tutte la situazione con mio marito, e fargli sapere che sapevo dei suoi tradimenti, e anche che 'scopacchiava' con la nuova tirocinante. E così, mentre mi preparavo per andare da Matteo, traboccante di desiderio e passione, per quel che mi sarebbe aspettato a breve, ho cominciato: «Filippo penso che sia il momento di giocare a carte scoperte, è inutile che ci prendiamo ancora in giro, siamo adulti. So tutto della relazione che hai con la ragazzina, niente conferenza a Bologna, ma camera doppia a "Villa delle Rose" con la bambina, con la tua tirocinante. Potrebbe essere tua figlia, hai 20 anni più di lei, quella ti mangia se vuole. Ma ti assicuro che non me ne può interessare di meno, fai quello che vuoi, devi solo sapere che anch'io ho appena cominciato a frequentare una persona, sono 5 anni che ti vedo giocare facendomi le corna con ogni vagina che ti sta intorno, ed ora mi sono stufata.» Sembrava un cane che avesse fatto pipì in casa, occhi mogi, bassi, nessuna reazione a negare, nessun gesto dettato dall'orgoglio per il mio tradimento, solo un esile: «Ma cosa... stai dicendo? Io... come hai fatto, chi te lo ha detto?»...«Non ha più importanza, per un po' vai a stare nel nostro nuovo monolocale, lasciami casa mia, ho bisogno di riflettere ma senza averti intorno. Fammi questo piacere, ti prego. Stasera so che non vai alla cena con i tuoi colleghi, so che vedi la bimba, divertiti perché anch'io non mi farò mancare nulla. Buona serata.» ho preso il cappotto e sono uscita per andare da Matteo.
Arrivata a casa sua senza un messaggio, ero in anticipo, anche se non ci eravamo dati un orario preciso, ma anche per strada camminavo determinata dal volerlo appiccicato a me, non volevo neppure mangiare, i miei appetiti fremevano, desideravo sfamare e dissetare tutte le mie più torbide passioni con il suo corpo, dentro un suo caldo e confortevole abbraccio.
Non sapevo ancora se dirgli del male, non era la sua compassione che cercavo, comunque avrei vissuto la cosa sul momento.
Appena ho suonato il citofono, ho aspettato in apnea, con l'ansia che mi attanagliava, preoccupata che non fosse in casa, o si fosse già dimenticato di me. Dopo un po', oramai quasi rassegnata, lo 'skrac' del portone, ed un lungo sospiro e un sorriso mi hanno ridato sollievo. Salendo le scale, ad ogni gradino la mia impazienza si faceva più imponente, e mi pregustavo tutti i giochini che gli avrei fatto, che mai mi sarei pensata neppure di sognare. Quando ho spinto piano la porta socchiusa, sono entrata un po' spiazzata, lui non c'era e l'appartamento mi sembrava un altro, rispetto a quello che avevo visto la notte prima. Poi con la sua spensieratezza, mi è comparso davanti ancora bagnato dalla doccia, vestendo un accappatoio blu elettrico, e vedere quella figura scolpita, delineata in tutte le sue forme, mi ha donato un senso di beatitudine, di appagamento al pensare che era tutto per me, e sono corsa verso di lui, dicendogli sottovoce all'orecchio: «Sei la cosa più bella che ho, non dimenticarlo», e l'ho baciato a lungo, intrecciando la mia lingua con la sua, come se ci conoscessimo da sempre.
Il mio cellulare aveva vibrato nella mia tasca del cappotto, ho visto era Filippo che mi pregava di perdonarlo che sarebbe cambiato e bla...bla...bla, mentre io con una mano sola mi spogliavo per rimanere nuda come lui. Mentre mi filavo i jeans, mi sono piegata di spalle, per fargli vedere la rotondità del mio lato B, che sempre mi aveva resa fiera. Rimasta solo con il perizoma, mi ha preso per mano e mi ha condotto lungo il corridoio verso la sua camera. Ma vedendo il rigonfiamento sotto l'accappatoio a livello del suo cavallo, non ho resistito, ed ancora prima di andare sul letto, mi sono messa in ginocchio ai suoi piedi, e spostando quella tela spugnosa ho leccato la fonte dei miei desideri. Mentre lo sbaciucchiavo tutto facendogli passare le labbra umide delicatamente su la sua lunga asta, lo fissavo negli occhi facendogli capire quanto mi piacesse, e staccandomi un attimo, continuando con la mano a toccarlo, gli ho sussurrato:
«Posso andare avanti all'infinito? L'ho sognato tutta la notte, sei semplicemente meraviglioso.»
«Se vuoi sarà per sempre solo tuo, tu mi piaci troppo, dai che andiamo di la...»...«No ancora un attimo, ti prego». Con difficoltà mi ha portata sul letto matrimoniale, una bella luce chiara illuminava quella stanza, in contrasto con le pareti che erano tinte di un lucido blu cobalto, stranezza che si conformava perfettamente al suo carattere eclettico, che mi pareva di aver percepito in quelle poche ore di conoscenza.
Poi mi ha sfilato le mutandine, facendo comparire il mio rettangolino di peli morbidi e curati, e ci siamo distesi fianco a fianco, baciandoci con una dolcezza, e sfiorando i nostri corpi.
Mi sono messa sopra di lui, e con le braccia mi ha cinto la schiena baciandomi i capezzoli, ho dovuto un po' combattere con me stessa per non fermarlo, non volevo si accorgesse di quella lieve screpolatura, ma con la sua saliva mi umidificava i capezzoli, che erano duri come palline di metallo per l'eccitazione. A cavalcioni su di lui sentivo dietro il mio culetto la sua enorme erezione, e sollevandomi appena un po', divaricando le gambe, ho preso il suo lungo cazzo e me lo sono infilata dentro me. Ho stretto le cosce per far aderire meglio le nostre membrane, da quanto ero bagnata non ho sentito nessun fastidio, ma un senso di totale riempimento, di completezza, e quando, facilitata dalla mie secrezioni, mi è entrato in tutti i suoi centimetri, ho iniziato ad alzarmi ed abbassarmi piano piano, sentendo la passione farsi incontenibile. Le sue grosse dimensioni sondavano spazi vergini mai esplorati del mio corpo, raggiungendo profondità che con Filippo non avevano mai raggiunto. Mentre andavo su e giù sempre con più impeto, gli schiacciavo i pettorali con le dita, volevo fargli male, anzi volevo che lui me ne facesse a me.
Ho tirato su le ginocchia, come fossi su una turca, ho forzato il 'ciac ciac' dei miei glutei sulle sue gambe, in un ritmo più rapido; bruciavo dal desiderio, e di colpo una dolce sospensione delle mie facoltà mentali, rapita da indescrivibili sensazioni che mi permeavano il corpo in brividi e spasmi, poi dalla mia bocca ansante: «Matteo è spaventosamente stupendo, meraviglio.... Sì, sì... Oddio...» e senza altre parole godendo sono crollata su di lui, tremando dall'intensità di quell'istante. Sentivo ancora la durezza del suo cazzo dentro me, ma avevo bisogno di respirare, di far tornare il battito del mio cuore ad un pulsare più lento.
Ero sfinita dall'orgasmo. Ha quel punto, senza neppure pensare a metterci qualcosa addosso, in quell'appartamento caldo, siamo andati in cucina a cenare. Ero spossata, ma felice e serena, ma vederlo nudo mi scatenava altre voglie, ero indemoniata. Mi sono alzata e ho chiuso il gas sotto la pentola dell'acqua per la pasta, appoggiandomi con le mani avanti sul tavolo, ho divaricato leggermente le gambe, ho spinto il mio culetto indietro a mo' di invito, e Matteo ha capito subito cosa doveva fare. Mi è venuto dietro, mi ha afferrato per i fianchi, e con decisione mia ha penetrata, con vigore, con veemenza ed era quello che volevo, sono venuta ancora...ancora e ancora, fin che ho sentito il suo caldo liquido spargersi dentro me, e girandomi gli ho detto: «E' più forte di me, io ti amo, non lasciarmi mai. Io sono tua, e lo sarò per sempre.»
Quando nel letto, nudi e avvinghiati, gli ho spiegato il percorso che avrei intrapreso a giorni, non ha dovuto dire una sola parola, mi ha stretta a se e ho sentito le sue lacrime cadere silenziose e inarrestabili sul mio collo e sul mio viso. Con le dita l'ho asciugato e trattenendo il pianto ho detto: «Per me sarà un anno difficile, non voglio assolutamente farti pagare e soffrire per quello che mi è sta capitando, ma devi sapere che non ho mai desiderato nessuno quanto te, anche se praticamente non ci conosciamo. Io saprò capire ogni tu scelta, ogni tua decisione», e lui sollevando le labbra in una specie di difficile sorriso: «In due ogni cosa si combatte meglio, io sarò il tuo più grande alleato, chiedimi tutto quello che ti può servire, prima che magari possa, involontariamente, commettere qualche errore o semplicemente dirti qualcosa di sbagliato. Vieni a vivere qui, da adesso non andare più via, andrò io da tuo marito... » E su quelle prole ho capito che la vita, anche nel buio, anche nella malattia ti può riservare tanto, ti può donare quello che solo nelle fantasie più lontane e impalpabili avevi immaginato. Mi sono girata, lui mi ha abbracciata con il suo caldo corpo, e silenziosamente ho lasciato che il pianto mi invadesse, ma un pianto di pura letizia, di condivisione.
Una settimana dopo ho cominciato la terapia, e le giornate e gli sbalzi d'umore si susseguivano senza sosta, cercavo di sopportare, di stringere i denti, ma ogni tanto certe sere lo sconforto mi inondava, e dense nebbie di un'orribile paura mi avviluppavano senza scampo. I miei capisaldi erano Matteo e Sara, che si facevano in quattro per me, anche se davanti a loro il mio tenace autocontrollo gestiva tutte le situazioni con un sorriso, preso in prestito dallo notti erotiche che continuavano dense di emozioni tra ma e Matteo.
Sara era felicissima di quel nostro rapporto così pregno di amore, e si mi stava vicina ogni volta che ne avevo bisogno.
Con Filippo la storia era arenata, oltre a sporadiche telefonate, anche dopo aver saputo del tumore, forse per la vergogna che con gli anni di tradimenti ripetuti mi aveva imposto, forse per timore che ormai ero di un altro, non c'erano mai state spiegazioni o chiarimenti sul nostro futuro, aspettavamo entrambi, credo, l'evolversi dei fatti, consapevoli che la parola fine era già scritta indelebilmente.
Uno dei miei più grandi crucci e rimpianti era l'aver aperto la mia vita alla luce dell'amore nel momento più buio della mia esistenza, essendomi trastullata nel vuoto di giornate, mesi e anni inutili.
Ma i sentimenti provati per Matteo erano più di quello che avrei sperato in una vita intera, se fosse andato tutto male avrei potuto dire di aver vissuto, di aver amato e di essere stata amata, e questo mi confortava. Passati sei mesi, le mie condizioni parevano stazionarie, la macchia non si ingrandiva, per la felicità dei medici, ma neppure regrediva con mio enorme smarrimento.
Tutte le mie energie le tenevo per Matteo, ci accontentavamo in ogni capriccio, in tutte le bizzarrie che il nostro cervello poteva concepire. Facevamo l'amore sempre, non ero mai stanca ne stufa per regalarmi a lui, avevamo trovato un'armonia, una conoscenza dei nostri più nascosti piaceri, che non serviva neppure parlare, uno sguardo bastava.
Ero pazza di lui, a tal punto che i dottori, chiedendomi se avessi mantenuto un sufficiente appetito sessuale, persa in un'immagine di Teo sopra di me ho risposto: «Non ho mai avuto così tanta voglia...lo facciamo sempre... si beh, volevo dire..», e mi sono paralizzata, mi ero espressa come se avessi parlato con Sara, e ho sentito la risposta: «Questo è un buon segno signora Giovanna, così fa esercizio fisico...» ed io arrossendo e abbassando lo sguardo sulla scrivania, non ho visto il sorriso divertito del dottore.
La sera prima di sapere se cambiare o meno terapia, a casa con Matteo mi sentivo in forma, quasi mi sembrava di percepire che tutto sarebbe andato per il meglio, e pazza come un gatto in calore, mi sono presentata sul divano, mentre Matteo guardava un film, completamente nuda, già così eccitata da spogliarlo con una mano e con l'altra sigillargli le labbra per non farlo parlare.
Quando però ho gettato sul divano un barattolino di crema lubrificante, i suoi occhi si sono incendiati come paglia al sole, mi sono girata aprendogli praticamente i glutei in faccia, e lui è scoppiato a ridere ed io mi sono sentita un'attrice porno, ruolo che difficilmente mi si confaceva, perlomeno prima di Matteo.
La mia tentazione e i miei mal coordinati movimenti, che dovevano essere accattivanti ed erotici erano risultati goffi e, forse, sventati, e offesa sono corsa in camera.
Però quando mi ha raggiunto, subito dopo, in camera mi ha fatto morire di piacere, muovendosi sinuoso e lento, dopo essere venuta abbondantemente davanti, si è fatto spazio dietro, e quando lubrificata, le nostre membrane hanno aderito alla perfezione, il dolore iniziale si è trasformato in un puro e totalizzante amplesso, e le lacrime lente in grida di godimento fino alla stremo delle mie forze.
Quando mi è venuto dentro, ero messa a 90 gradi, il mio corpo è ceduto sul materasso e per minuti non ho parlato, smaltendo quel piacere così nuovo, così devastante e sconosciuto.
Con quel mio primo rapporto anale a 35 anni, gli ho consegnato la mia vita nelle sue mani, adesso ero tutta sua.
Il giorno dopo in clinica, lo staff di medici che mi avevano seguito sembravano rilassati, io invece sentivo le goccioline di sudore scorrermi gelate dalle ascelle ai fianchi. Vorrei aver potuto fermare il tempo, mettere in stand by, quello che dovano dirmi, non conoscere la mia condanna o la mia liberazione, rimanere fluttuante in un limbo.
Infatti se Matteo era padrone del bello della mia vita, loro erano i miei possibili salvatori dall'oscurità, da un male a cui da sola avrei dovuto solo soccombere. Poi una voce, ha spezzato il silenzio: «Oggi signora Giovanna, è una giornata che speriamo si ricorderà per sempre, e che le permetta di non vedere più, naturalmente non subito, le nostre brutte facce. Il suo male pare stia regredendo, la terapia, come si poteva pronosticare nel suo caso specifico, ci ha impiegato un po' di tempo, ma sembra stia avendo la meglio sulle cellule cancerogene. Quindi siamo tutti ottimisti, le mancano solo tre mesi per finire il ciclo annuale, e noi tutti pensiamo che possa vedere il futuro in maniera più ottimistica. Attenta però, sono malattie subdole, e c'è ancora tanta strada da fare, ma quella che ha percorso finora è servita positivamente.», ho guardato Matteo con un'alba di un giorno di sole nel cuore, ed ho provato un immenso amore verso il tutto che mi circondava.
Poi il dottore si è avvicinato a Matteo, e toccandogli una spalla gli ha detto: «L'ultima volta Giovanna mi ha detto ad una mia domanda specifica, che siete stato impegnato molto anche lei...se non sbaglio...beh... via andate a casa e continui il suo 'apporto terapico', l'amore è la miglior cura.»
Matteo non aveva capito nulla delle parole del dottore, io ero color vinaccia in viso, invece; e quando fuori gli ho spiegato, ha iniziato a ridere da farsi venir male alle mandibole.
Siamo corsi a casa, e dopo aver fatto le scale di corsa, aperto la porta, esserci strappati i vestiti di dosso, volati in camera, buttandoci sul lettone, abbiamo ripreso il mio 'trattamento medico' preferito e abbiamo mescolato i nostri corpi amandoci come fosse la prima volta.
Nel denso buio di una notte, anche un piccolo barlume illumina come il sole. Grazie Matteo, grazie di esistere.
3
4
8
voti
voti
valutazione
7.4
7.4
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
Tutto l'amore che c'èracconto sucessivo
Da attrice al palo
Commenti dei lettori al racconto erotico