Gli zii perbene - Parte 03
di
Es
genere
dominazione
Appena i suoi piedi risuonarono sulle assi del portico la porta di casa si aprì. Una signora dalle braccia abbronzate apparve e riconobbe zia Marisa prima ancora che ella dicesse «Sabrina, sei arrivata, vieni, entra: ti aspettavamo.»
L'interno appariva rustico come l'esterno, il legno delle pareti era annerito dagli anni e vi erano appesi oggetti d'uso comune come piatti dipinti, fotografie di posti lontani. L'odore di cipolla fritta le fece pizzicare il naso, tanto era forte.
«La tua valigia» Energica come al solito Marisa le strappò di mano la maniglia del trolley e lo sollevò, come fosse una piuma, per non fargli lasciare tracce di fango sul pavimento. «La lasciamo fuori, per il momento.» la mise accanto alla porta, all’esterno e richiuse l’uscio «Prima c’è una questione da risolvere» una frase tanto semplice quanto sibillina che la fece rabbrividire nonostante la felpa e i pantaloni lunghi.
«Tuo padre ci ha detto tutto» a parlare era stato Eugenio, seduto sul rozzo divano di fronte al camino, spento in quella stagione. Gli dava le spalle e di lui vedeva solo il retro della testa. Un tuono e una raffica di vento umido la convinsero a entrare e chiudere la porta.
«Sì, che devo studiare se no... se no cosa, eh? Mica mi puoi obbligare se non mi va!»
Un lampo illuminò a giorno la stanza, le cose appese alle pareti divennero ben visibili: una sella, un frustino, degli speroni d'acciaio scintilante, il tuono che seguì fece tremare anche il pavimento tanto era stato potente.
«Oh sì che possiamo e credo proprio che sia bene mettere da subito in chiaro un paio di cose.» Marisa era ritta accanto alla porta d’ingresso, i suoi capelli castani erano freschi di parrucchiere «Eugenio, dovremo stare con questa qua almeno sei settimane: se non la mettiamo in riga subito non lo faremo più.»
Lo zio si alzò in piedi, girò attorno al divano e la fissò da dietro al naso di famiglia. Non sorrideva, i suoi occhi neri parevano gelidi come quelli di suo padre, in quel momento era proprio identico a lui.
«Tirati giù i calzoni, che ora le prendi.» allora aveva capito bene. Vide, con la coda dell'occhio che Marisa aveva afferrato uno degli oggetti appesi alla parete, ma di cui ignorava la funzione: sembrava uno strano banjo, ma piatto e fatto di vimini, senza corde e cassa di risonanza.
«Forza, signorina, che ora una bella sculacciata non te la leva nessuno!» un nuovo lampo illuminò la stanza e vide Marisa con il banjo di vimini tenuto per il manico e la parte larga che oscillava in modo eloquente. Quello, unito alle labbra tirate in giù sul volto di sua zia le misero addosso abbastanza fifa da farle tremare le gambe fino al basso ventre.
«No, non voglio, non lo potete fare!» la rabbia che l'aveva sempre sostenuta, anche se in frangenti non più seri di una verifica o un'interrogazione, le fece mettere le mani sui fianchi e divaricare le gambe «E se mi toccate vi denuncio, tutti e due!»
Eugenio sorrise, ma i muscoli contratti sotto la camicia a quadri, i passi che risuonavano sul legno mentre le si avvicinava, gli occhi fissi su di lei, tutto le diceva che la minaccia era appena caduta nel vuoto.
Si fermò a un passo dal volto, mise le mani sui fianchi «La scelta è tua, se non vuoi non posso certo obbligarti con la forza.»
Sabrina alzò lo sguardo fino a incrociare lo sguardo di suo zio «Cos—»
«La tua valigia è sul patio, nessuno la porterà nella tua stanza se non alzi il culo e ce la porti tu. Puoi anche infilare la porta, prendere la valigia e andartene con le tue gambe.»
Sabrina girò sui tacchi e corse fino all'uscio, lo spalancò e si ritrovò a fissare i cavalli al pascolo.
«Niente automobili qui, solo cavalli e non amano essere cavalcati da chi non è capace di farlo» Eugenio scandì ogni parola mentre le si riavvicinava «Se intendi andartene è per sempre. Metti un piede avanti all'altro, superi il cancello, ti fai i 38 chilometri che ti separano da Civitavecchia che è la città più vicina dove puoi prendere un treno, se ha i soldi per prenderlo... a quest'ora Livio ti avrà bloccato bancomat, post-ePay e Visa.» si fermò accanto a lei, i pollici infilati nei passanti dei calzoni «oppure resti e accetti questa punizione e tutte quelle che, se sgarri anche solo mezza volta che verrai giudicata mancante, se svolgerai in modo meno che eccellente i compiti che ti verranno dati, ti verrà inflit—»
«Ho capito!» Sabrina serrò i denti, l'unico modo che conosceva per trattenere le lacrime. Sapeva che erano inutili: non erano servite a impedire il divorzio tra i suoi genitori, non erano servite a salvare la sua famiglia né a convincere sua madre a tornare. Aveva cercato conforto tra gli agi che fino a quel momento le erano stati concessi e, fino a quel momento, avevano funzionato.
«No, non hai capito un cazzo: voglio dire che se adesso te ne vai casa dirò a mio fratello che hai fallito e credo che ti abbia già informato cosa ti accadrà se a settembre non sarai iscritta all’ultimo anno e in corsa per la maturità.» Eugenio, le parve, aveva trasformato la bocca in una mitragliatrice tanto le sembravano rapide e violente le sue parole, sullo smartphone che aveva in mano iniziò a comporre un numero.
Lei afferrò la maniglia della porta, ma un lampo seguito dal tuono le disse che la sua lunga passeggiata verso Civitavecchia sarebbe stata non solo al buio, ma anche parecchio bagnata.
Non è giusto, anche il cielo mi si mette contro adesso?
Mormorò a fior di labbra «Sei uno stronzo» ma lasciò andare la maniglia della porta.
«Pagherai anche questo insulto, ma dopo: ho idea che se il trolley resta sul porticato, tra poco, verrà spazzato via dalla tempesta in arrivo.» Un nuovo lampo provocò il rapido rientro dei cavalli nella stalla, dall’altra parte del piazzale.
Marisa attendeva seduta sul divano, il banjo di vimini appoggiato sulle gambe «Ah, la ragazzina ha preso la sua decisione?»
Eugenio annuì.
Sabrina non riusciva più a scollare lo sguardo dal pavimento, persa tra le fughe delle mattonelle in cotto.
«Bene, Sabrina voglio sentirlo con le tue parole ora ripeti con me: “Eugenio, Marisa, voglio che mi puniate, vi chiedo di essere severi e di non concedermi sconti, né favori: ho sbagliato e me lo merito.” Ripeti!» Marisa si alzò in piedi e le puntò l’attrezzo che, ormai le parve evidente, sarebbe stato lo strumento usato per la punizione.
Sospirò e ripetè la frase senza più guardare avanti a sé.
«Bene, può bastare» Eugenio mise via lo smartphone.
Sabrina non si era nemmeno accorta che lo stava usando come fotocamera «Mi hai ripreso?»
«Certo, casomai ti venisse voglia di denunciarci ti ricordo che sei maggiorenne e stai per ricevere quanto hai appena chiesto con così tanta gentilezza e remissività.» Suo zio incrociò le braccia e Marisa le indicò il divano con l’attrezzo «In ginocchio sui cuscini e mani appoggiate allo schienale, svelta!» e Sabrina eseguì.
L'interno appariva rustico come l'esterno, il legno delle pareti era annerito dagli anni e vi erano appesi oggetti d'uso comune come piatti dipinti, fotografie di posti lontani. L'odore di cipolla fritta le fece pizzicare il naso, tanto era forte.
«La tua valigia» Energica come al solito Marisa le strappò di mano la maniglia del trolley e lo sollevò, come fosse una piuma, per non fargli lasciare tracce di fango sul pavimento. «La lasciamo fuori, per il momento.» la mise accanto alla porta, all’esterno e richiuse l’uscio «Prima c’è una questione da risolvere» una frase tanto semplice quanto sibillina che la fece rabbrividire nonostante la felpa e i pantaloni lunghi.
«Tuo padre ci ha detto tutto» a parlare era stato Eugenio, seduto sul rozzo divano di fronte al camino, spento in quella stagione. Gli dava le spalle e di lui vedeva solo il retro della testa. Un tuono e una raffica di vento umido la convinsero a entrare e chiudere la porta.
«Sì, che devo studiare se no... se no cosa, eh? Mica mi puoi obbligare se non mi va!»
Un lampo illuminò a giorno la stanza, le cose appese alle pareti divennero ben visibili: una sella, un frustino, degli speroni d'acciaio scintilante, il tuono che seguì fece tremare anche il pavimento tanto era stato potente.
«Oh sì che possiamo e credo proprio che sia bene mettere da subito in chiaro un paio di cose.» Marisa era ritta accanto alla porta d’ingresso, i suoi capelli castani erano freschi di parrucchiere «Eugenio, dovremo stare con questa qua almeno sei settimane: se non la mettiamo in riga subito non lo faremo più.»
Lo zio si alzò in piedi, girò attorno al divano e la fissò da dietro al naso di famiglia. Non sorrideva, i suoi occhi neri parevano gelidi come quelli di suo padre, in quel momento era proprio identico a lui.
«Tirati giù i calzoni, che ora le prendi.» allora aveva capito bene. Vide, con la coda dell'occhio che Marisa aveva afferrato uno degli oggetti appesi alla parete, ma di cui ignorava la funzione: sembrava uno strano banjo, ma piatto e fatto di vimini, senza corde e cassa di risonanza.
«Forza, signorina, che ora una bella sculacciata non te la leva nessuno!» un nuovo lampo illuminò la stanza e vide Marisa con il banjo di vimini tenuto per il manico e la parte larga che oscillava in modo eloquente. Quello, unito alle labbra tirate in giù sul volto di sua zia le misero addosso abbastanza fifa da farle tremare le gambe fino al basso ventre.
«No, non voglio, non lo potete fare!» la rabbia che l'aveva sempre sostenuta, anche se in frangenti non più seri di una verifica o un'interrogazione, le fece mettere le mani sui fianchi e divaricare le gambe «E se mi toccate vi denuncio, tutti e due!»
Eugenio sorrise, ma i muscoli contratti sotto la camicia a quadri, i passi che risuonavano sul legno mentre le si avvicinava, gli occhi fissi su di lei, tutto le diceva che la minaccia era appena caduta nel vuoto.
Si fermò a un passo dal volto, mise le mani sui fianchi «La scelta è tua, se non vuoi non posso certo obbligarti con la forza.»
Sabrina alzò lo sguardo fino a incrociare lo sguardo di suo zio «Cos—»
«La tua valigia è sul patio, nessuno la porterà nella tua stanza se non alzi il culo e ce la porti tu. Puoi anche infilare la porta, prendere la valigia e andartene con le tue gambe.»
Sabrina girò sui tacchi e corse fino all'uscio, lo spalancò e si ritrovò a fissare i cavalli al pascolo.
«Niente automobili qui, solo cavalli e non amano essere cavalcati da chi non è capace di farlo» Eugenio scandì ogni parola mentre le si riavvicinava «Se intendi andartene è per sempre. Metti un piede avanti all'altro, superi il cancello, ti fai i 38 chilometri che ti separano da Civitavecchia che è la città più vicina dove puoi prendere un treno, se ha i soldi per prenderlo... a quest'ora Livio ti avrà bloccato bancomat, post-ePay e Visa.» si fermò accanto a lei, i pollici infilati nei passanti dei calzoni «oppure resti e accetti questa punizione e tutte quelle che, se sgarri anche solo mezza volta che verrai giudicata mancante, se svolgerai in modo meno che eccellente i compiti che ti verranno dati, ti verrà inflit—»
«Ho capito!» Sabrina serrò i denti, l'unico modo che conosceva per trattenere le lacrime. Sapeva che erano inutili: non erano servite a impedire il divorzio tra i suoi genitori, non erano servite a salvare la sua famiglia né a convincere sua madre a tornare. Aveva cercato conforto tra gli agi che fino a quel momento le erano stati concessi e, fino a quel momento, avevano funzionato.
«No, non hai capito un cazzo: voglio dire che se adesso te ne vai casa dirò a mio fratello che hai fallito e credo che ti abbia già informato cosa ti accadrà se a settembre non sarai iscritta all’ultimo anno e in corsa per la maturità.» Eugenio, le parve, aveva trasformato la bocca in una mitragliatrice tanto le sembravano rapide e violente le sue parole, sullo smartphone che aveva in mano iniziò a comporre un numero.
Lei afferrò la maniglia della porta, ma un lampo seguito dal tuono le disse che la sua lunga passeggiata verso Civitavecchia sarebbe stata non solo al buio, ma anche parecchio bagnata.
Non è giusto, anche il cielo mi si mette contro adesso?
Mormorò a fior di labbra «Sei uno stronzo» ma lasciò andare la maniglia della porta.
«Pagherai anche questo insulto, ma dopo: ho idea che se il trolley resta sul porticato, tra poco, verrà spazzato via dalla tempesta in arrivo.» Un nuovo lampo provocò il rapido rientro dei cavalli nella stalla, dall’altra parte del piazzale.
Marisa attendeva seduta sul divano, il banjo di vimini appoggiato sulle gambe «Ah, la ragazzina ha preso la sua decisione?»
Eugenio annuì.
Sabrina non riusciva più a scollare lo sguardo dal pavimento, persa tra le fughe delle mattonelle in cotto.
«Bene, Sabrina voglio sentirlo con le tue parole ora ripeti con me: “Eugenio, Marisa, voglio che mi puniate, vi chiedo di essere severi e di non concedermi sconti, né favori: ho sbagliato e me lo merito.” Ripeti!» Marisa si alzò in piedi e le puntò l’attrezzo che, ormai le parve evidente, sarebbe stato lo strumento usato per la punizione.
Sospirò e ripetè la frase senza più guardare avanti a sé.
«Bene, può bastare» Eugenio mise via lo smartphone.
Sabrina non si era nemmeno accorta che lo stava usando come fotocamera «Mi hai ripreso?»
«Certo, casomai ti venisse voglia di denunciarci ti ricordo che sei maggiorenne e stai per ricevere quanto hai appena chiesto con così tanta gentilezza e remissività.» Suo zio incrociò le braccia e Marisa le indicò il divano con l’attrezzo «In ginocchio sui cuscini e mani appoggiate allo schienale, svelta!» e Sabrina eseguì.
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