La Dipendenza

di
genere
tradimenti

L’auto si ferma su via dei Sette Metri, un cane annusa la terra dell’albero affianco, il sole cala lentamente all’inizio dell’estate.
Il colore vinaccia dell’utilitaria si distingue dalla media delle vetture circostanti, i vetri scuri contribuiscono a creare un senso di distaccato mistero.
Per un passante è difficile vedere la luce del cellulare che si illumina nel veicolo, così come il volto del guidatore.

“Scendi, sono davanti casa tua.”

Il messaggio è conciso, stringente, essenziale, non ammette repliche e non riceve risposta.
Dentro l’auto, Matteo rimane immobile a fissare un cancello alla sua destra, quasi si dimentica di respirare nella profondità di quell’osservare, nel mentre i minuti passano.

Il cancello nero sbatte alla chiusura, Isabella esce, avanza verso il ciglio della strada e entra in auto.
Il vestito rosso le stringe, i piedi le sudano negli stivali neri, spera che il trucco messo in fretta e furia non le coli per il caldo e il nervosismo.
I due si guardano negli occhi senza dire una parola.

Erano giorni che non le rispondeva al vocale che gli aveva mandato.
Lei si era aperta con lui, di ritorno non aveva ottenuto nient’altro che distanza e freddezza.

“Che ci fai qui?”

Matteo abbassa il finestrino a metà, prende un pacchetto di Camel dal cruscotto e se ne accende una.

“Litigare su Wathsapp non porta a niente.”

Isabella si guarda intorno, come se temesse di essere seguita, per il resto non accenna a staccare il contatto visivo da lui.

“Non qui. Non voglio dare spettacolo di fronte casa dei miei.”

Non ha neanche finito la frase che Matteo ha già messo in moto.

“Ho un posto più tranquillo dove andare.”

L’Opel esce dal parcheggio e si allontana ad un ritmo sereno.

Sotto al volante c’è un piccolo telecomando grigio rettangolare, ha due pulsanti sopra, Matteo preme quello di sinistra, il cancello di fronte si apre in un cigolio che sa di vecchio e malandato.
La generale pace e le villette a schiera potrebbero far pensare di non essersi mossi di molto; lo scenario, però, è passato dal quartiere di Morena a quello di Capannelle.
Matteo guida l’auto fino al suo posto, in un cortile aperto, intorno altre macchine dormono alla fine di una lunga giornata infrasettimanale.

“Cos’è questo posto?”

Isabella rimane ferma affianco alla macchina, Matteo si è già allontanato di qualche passo, chiudendo l’auto.

“Casa mia.”

Sul volto di lei si curva un accenno di sorriso che l’orgoglio e l’amor proprio non vogliono lasciare troppo vedere.

Entrano in ascensore, per tutto l’intermezzo non proferiscono parola, si guardano negli occhi e basta, non accennano altra mossa.
Le porte si aprono accompagnate dall’accenno di un campanello, davanti a loro la porta in legno con il numero 24 inciso sopra in rosso.
Matteo tira fuori un mazzo pieno di chiavi da una tasca dei jeans, punta verso la serratura in basso, la porta si apre con uno scatto, lascia entrare Isabella e lui dopo di lei, chiude la porta senza voltarsi.

Isabella si gira, continuano a non dirsi niente, Matteo la solleva in braccio, lei si abbandona all’istante come se non avesse aspettato altro, le loro bocche si incontrano come quelle di due felini in un duello, come tentassero di azzannarsi, con più lingua che denti però.
Mesi di resistenza estenuante inceneriscono in un istante, crollano sul pavimento come fanno i loro corpi.
Ci sarebbe tutto il tempo del mondo, ma loro non ne hanno più, i vestiti restano incollati addosso, non è necessario toglierli, basta alzare ciò che va alzato e abbassare ciò che va abbassato.
Isabella spalanca le cosce, le gambe dritte in aria, le mani aggrappate al sedere di lui; Matteo spinge, spinge sempre di più, entrarle dentro è la cosa più semplice della storia dell’umanità, la cosa più eccitante che abbia mai fatto nella vita.

Tanto è grande il sentimento, quanto sfrenata la passione, quanto incontrollate le parole.
Isabella lo implora di venirle dentro, lo vuole con tutta sé stessa, farebbe un figlio con lui se fosse per lei; Matteo le urla di essere la donna della sua vita, non ragiona più ormai.
I gemiti di lei lo spingono fino al limite, le viene dentro come fosse una liberazione e abbandona il corpo sopra il suo, ancora abbandonati sul pavimento.

Isabella è la ragazza del migliore amico di Matteo.
Isabella è innamorata di Matteo da mesi, non ha potuto che ammetterlo a se stessa la notte di Santo Stefano.
Si sono avvicinati in un momento difficile, lei si è avvicinata a lui, lo ha ammaliato fino a che la cosa non è diventata irrimediabile, inarrestabile, irrinunciabile.
Matteo ha fatto di tutto per resistere, per sbollire, alla fine è stato debole, alla fine ha ceduto.
Guardano entrambi il soffitto, respirano ancora affannosamente, lui con un senso di schifo addosso, lei di innegabile soddisfazione.

“Non dovrà accadere più.”

Questo si dice Matteo.

Avvenne ancora e ancora, sempre di più, divenne una droga.
Undici mesi dopo Isabella partorì il loro primo figlio.
Matteo e il suo migliore amico non riallacciarono mai più i rapporti.
scritto il
2024-05-21
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