Laura - Quarta parte

di
genere
trans

Nella notte mi svegliai e mi accorsi che dalla finestra entrava la luce della luna, lei aderiva a me con la schiena e il suo culo nudo aderiva al mio inguine. Alzai la testa dal cuscino e vidi il suo viso sereno illuminato debolmente e ammirai il suo profilo, pensai “che cose strane capitano nella vita, non mi sarei mai aspettato di stare così nel mio letto con lei e non avrei mai pensato che mi sarebbe piaciuta così” mi venne duro e senza ragionare diedi due colpi di bacino e il mio cazzo strusciò sulle sue chiappe cercando di farsi strada. La sua destra si fece spazio tra di noi e me lo afferrò andando su e giù delicatamente, la sua voce impastata di sonno mi disse “non lo sai ma le ragazze come me non possono farlo quando vogliono, prima devono andare in bagno” mi accostai al suo orecchio “scusami, non ci avevo pensato, dormi” lei si girò verso di me e con gli occhi chiusi me lo prese con entrambe le mani “ho detto dormi, è ancora buio e non puoi non dormire” mi ero trattenuto da anteporre la parola amore che mi veniva spontanea. Si riaddormentò con il mio cazzo in mano e lo tenne così anche quando si ammosciò. Dormiva come una gattina e approfittai della fievole luce per guardarla senza che lei vedesse che lo facevo. Mi riaddormentai anch’io e non mi accorsi che era tornato il giorno, quando mi svegliai lei non era vicino a me e non vederla mi suscitò un momento di angoscia ma passò subito perché sentii dei rumori in cucina.
Guardai la sveglia, erano le otto, mi chiesi cosa stesse facendo già in piedi. Pensai di dormire ancora un po’ ma la luce dalla finestra mi disturbava, mi alzai e andai in bagno, lei non era più entrata da quando ne eravamo usciti assieme perché gli asciugamani erano asciutti. Pisciai in piedi e mi lavai le mani, la faccia e l’uccello nel lavandino. Lavai i denti e mi annusai sotto le ascelle ma avevo fatto la doccia da poche ore e non puzzavo. Decisi che mi sarei presentato in cucina così com’ero. Indossai un paio di jeans e una felpa e misi i piedi in un paio di espadrillas rosse che usavo in casa. Mi accostai alla finestra e capii che realizzare i miei programmi sarebbe stato arduo, oltre la terrazza la nebbia era così fitta che non vedevo aldilà della strada.
Ciabattai in cucina e lei era li che montava una moka, indossava la vestaglia di seta della sera, si era pettinata ed era senza calze, in compenso mi aveva preso un paio di calzerotti di lana e nei piedi portava un paio di improbabili zoccoli del dottor Scholl di due taglie più grandi. Chiunque si fosse presentata così mi avrebbe fatto da ammosciaminchia, la trovai bellissima.
“Quando ti togli la divisa da pinguino e ti vesti così dimostri dieci anni di meno, mi piaci ancora di più”
Non seppi cosa rispondere, le andai vicino e le sfiorai le labbra “dove ti sei lavata?” “nel bagno dove mi sono cambiata ieri sera, c’erano tutte le mie cose” “anche quelle fantastiche dottor Scholl?” rise piegando il capo “ho scoperto che nell’ingresso una porta da su uno sgabuzzino, non lo sapevi?” “so che c’è uno sgabuzzino ma non lo apro mai, mia nonna quando ero piccolo minacciava di rinchiudermi li e non mi è simpatico. Prima o poi lo farò murare”
“beh, li c’è tutto l’abbigliamento di una colf e anche gli zoccoli, deve essere molto alta” mi venne da ridere, era Svetlana la donnona russa che mia madre mandava due volte la settimana a riordinare.
“Chissà che schifezza verrà da quella caffettiera, non la uso mai e faccio colazione al Caffè Matteotti dietro l’angolo.” Mentre la metteva sul fuoco mi disse sorridendo “prima lo assaggerai e poi criticherai”
La strinsi a me da dietro e infilai il naso tra i suoi capelli, sapeva di buono, lei si girò, mi mise le mani sulle spalle e mi baciò sulla bocca, un bacio lungo e sensuale. Sentì che ero già duro, lo sfiorò con il palmo di una mano e sussurrò “prima facciamo colazione”
Il caffè era buono sul serio, confessò che ne aveva fatti due prima di quello che avevamo bevuto, c’erano biscotti e yogurt e quando aprii il frigo mi resi conto che era fornito come se avessi dovuto resistere a un assedio.
Mi chiese se mangiassi spesso in casa visto il frigorifero. Titubai, poi guardandola negli occhi dissi” devo confessarti una cosa… in questa casa…” abbassai lo sguardo “c’è un terzo incomodo” sospesi la frase ancora un attimo “ho una mamma che mi vizia molto” lei scattò “ma vaffanculo, mi hai fatto paura, pensavo di veder sbucare una moglie da un momento all’altro” si mise a ridere e io feci altrettanto “ ma abita qui?” la presi per mano e la portai nell’ingresso, scostai la tenda e le feci vedere dalla finestra “ vedi quella grande terrazza triangolare tutta piena di vegetazione sull’altro lato della via tre piani più sotto? Si vede solo da questa finestra e lei vede solo questa finestra. È l’unica persona che mi rimane e io sono l’unico che rimane a lei. Se non la controllo è invadente ma è abbastanza intelligente da non ossessionarmi e da reprimere i suoi eccessi”.
“Perché mi racconti tutto questo?” “Non volevo che tu pensassi che avevo fatto la spesa, sono molto più impegnato a organizzare il mio lavoro di quanto faccia della mia vita”
Tornammo in cucina, aprì uno yogurt, ne mangiò due cucchiaini e io la baciai, cercò di scostarsi “ma no, so di yogurt, aspetta un attimo” le presi il vasetto di mano, le aprii la vestaglia e le rovesciai un po’ di yogurt tra le tette, la tirai verso me e iniziai a leccarle lo yogurt dal basso verso l’alto, emise un gemito mentre le leccavo i capezzoli e con le mani le impastavo i glutei lei mi slacciò i jeans e li fece scendere poi prese il mio cazzo già duro in mano e inzuppò la cappella nello yogurt come un biscotto. Si abbassò facendo uno squat e mi leccò la cappella. Stava piegata con la vestaglia aperta a gambe allargate e mi piaceva tutto ciò che vedevo. Versò altro yogurt lungo il cazzo, lo imboccò e iniziò a pomparmi con delicatezza, sarei stato delle ore a farmelo ciucciare ma d’istinto mi venne un’altra pulsione. La presi sotto le ascelle e la feci alzare poi prendendola sotto i glutei la sedetti sul bancone della cucina, lei mi guardò interrogativa ma quando sentì che mi mettevo le sue gambe sulle spalle capì. Intinsi due dita nel vasetto e le spalmai tra le sue chiappe poi ne presi un altro po’ e la massaggiai attorno al buco, lo sentii aprire come se si arrendesse, infilai le dita sino alla prima falange e le ritrassi, presi altro yogurt e ripetei l’operazione aumentando la profondità, lei mugolava come una cagnetta intanto ero arrivato a toccare quella pallina che avevo già sentito la sera prima e il suo cazzo svettava tra le gambe. Non si copriva più, aveva capito che mi piaceva. Affondai di nuovo con altro yogurt sino a far entrare tutte le dita e glielo presi in mano iniziando a menarglielo, strabuzzò gli occhi e sussurrò “così mi fai venire”
Non volevo venisse così, tolsi le dita e sollevandomi sulla punta dei piedi le infilai dentro il cazzo poi le afferrai gli avambracci e iniziai a pistonarla tirandola verso di me quando arrivavo a toccarle il culo con la pancia. Non durò neanche un minuto, sospirò solo “vengo”, conoscendola la prevenni e la segai con una mano tenendo l’altra davanti, in modo che spruzzasse solo sul mio palmo. Quando le finirono gli spasmi feci scendere le sue gambe dalle mi spalle, mi piegai su di lei e la bacia a lungo. Mi sussurrò “tu non mi scopi, fai l’amore con me e non mi è mai successo” poi pianse.
scritto il
2024-01-30
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