Cimitero futuro

Scritto da , il 2012-09-26, genere pulp

Patrizia! Patrizia! Quel pomeriggio sarebbe venuta a trovarmi, un freddo giorno d'autunno quando inizia già a fare buio presto. Lei era una ragazza punk che ero riuscito ad avvicinare, la vedevo a scuola, poi la ritrovai al cinema ero andato a vedere un horror e mi sedetti vicino a lei, sapevo di andarle a genio e così decise di uscire con me, di parlarmi ogni tanto. Voleva scopare, ricordo che ne parlammo sul vaporetto quando andammo a visitare il cimitero ebraico a Venezia, avrei voluto chiavarla subito fra le calli. I miei genitori da una settimana mi avevano mandato a casa dei nonni, che non dista molto dalla mia, loro erano andati in visita da una sorella della nonna e io dovevo badare alla casa. La villetta era grande e polverosa, in casa c'eravamo solo io e la donna delle pulizie che passava il pomeriggio. Suonò il campanello: era Patrizia, l'avevo già vista dalla finestra del piano superiore dove stavo ascoltando della musica dal giradischi, andai ad aprirle. Era bella con la sua giacca di pelle e la cresta nera afflosciata legata a mo di coda di cavallo, mi salutò, la donna delle pulizie stava spazzando al secondo piano. “C'è la donna in casa e non mi dici nulla? Adesso che si fa? Non voglio mica passare il pomeriggio a guardare la tv capisci? Potevamo andare a casa mia?” partì lei tenendomi un po' il muso, era tanto carina con quell'espressione sul viso, “Mavalà, andiamo di sotto che non ci disturba nessuno” risposi prendendola per mano, perchè la casa aveva un ampio sotterraneo, c'era il caminetto già acceso che riscaldava gli ambienti e dava un minimo di luce. Scendemmo la scala a chiocciola nel buio e la baciai quando passammo davanti alla stanza del camino, la donna delle pulizie pensò che fossimo andati ad ascoltare qualche disco nel sotterraneo dove abbiamo un altro giradischi più vecchio. Nello scantinato c'erano una serie di stanze col soffitto basso, erano ingombre di vecchi mobili e oggetti, sapevo che a Patrizia quell'atmosfera piaceva. Giungemmo all'unica stanza quasi completamente vuota, al suo interno era illuminata da una lampadina che penzolava dal soffitto e c'era una stufetta elettrica accesa, per il resto c'erano solo dei cartoni stesi lungo i bordi del muro. “però, accogliente, dio can l'hai arredata tu?” mi chiese ironicamente, “No, c'ho solo dato una pulita stamattina. Questa la chiamo la chiesa dei ratti” risposi, lei alzò lo sguardo e nella penombra vide un crocifisso sul fondo della stanzetta tiepida: i chiodi delle braccia si erano spezzati e ora cristo penzolava per le gambe con le braccia aperte “di solito di topi qua ne gira sempre qualcuno, ma non si avvicineranno se con me c'è una bella micetta!” ripresi rivolto a lei, Patrizia fece un mezzo sorriso “Scusa, questa m'è venuta dal cuore!” risposi. Iniziammo a baciarci e lei si tolse la giacca lasciandola cadere a terra,le cacciai la lingua in bocca, la abbracciai, le palpai il culo, porco dio quant'era bello. Lei si stese per terra, mi chinai su di lei, si tolse la felpa, faceva abbastanza caldo per spogliarsi però volevo spogliarla io, continuai a baciarla, la toccai fra le gambe sopra i pantaloni, lei mi tolse la maglietta e rimasi a torso nudo. Continuai ad accarezzarla, aveva delle gambe ben fatte e lunghe, era quasi alta come me, le sfilai la maglietta lasciandola in reggiseno e pantaloni, con un calcio si liberò delle scarpe di tela, io le avevo già tolte, presi a palparle le tette, la sua pelle era bianca e delicata. Le sciolsi la cintura e le sfilai i pantaloni erano stretti e tirando per toglierglieli ricaddi sulla schiena, lei si chinò su di me, sentivo il suo seno appoggiarsi alla mia pelle, fra poco sarebbe stata nuda fra le mie braccia. Misi mano al suo reggiseno, bastò un movimento e le scoprii le tette candide coi capezzoli piccoli e aggraziati, glieli baciai e ciucciai subito, le accarezzai il pancino, le presi la mano, il triangolo di carne fra il pollice e l'indice era più chiaro del resto del corpo, era il segno lasciato dalle sigarette che ci aveva spento sopra. La girai di spalle baciandole la schiena senza smettere di accarezzarle le tettone (che forse non erano nemmeno grandissime, ma sicuramente molto belle), iniziai a tirarle giù le mutandine lentamente mentre la toccavo proprio lì. Lei si girò ancora, il suo pube era rasato sui lati (come la sua testa), al centro era attraversato da un rettangolino di pelo nero molto regolare ben curato, non indugiai un secondo a coprirla di baci a muovere la lingua per carpire il suo sapore, mi lavò letteralmente il viso coi suoi umori. Stava iniziando a provare piacere, era partita in quarta, mi sfilò in fretta pantaloni e mutande per prendermelo subito in mano, il suo polso si muoveva sue e giù ritmicamente, il mio pene era ormai semieretto, lei ne baciò la punta, poi lo prese lentamente in bocca e inizio un bocchino coi fiocchi, io intanto le avevo già infilato due dita in figa invischiandole nella sua polpa calda e tenera. Aveva una figura splendida e linee delicate. Leccava bene l'asta facendo saettare la lingua come una viperetta, mi stringeva i testicoli con le dita e li baciava. Cel'avevo duro “Dai dio ladro, ora strusciati la croce sulla figa, insulta quell'oggetto maledetto e tutto ciò che rappresenta!”, lo tolse dal muro stringendo la croce fra le mani, cristo penzolava muovendosi a destra e a sinistra, lei aprì le gambe mostrandomi il suo paradiso e appoggiandoci il segno dell'immonda religione “E' così che bisogna abbattere la superstizione, mai mi piegherò ad un dio ebreo, un impostore che ha distrutto la nostra cultura, conquistando il mondo con le sue menzogne! Egli generò l'ipocrisia, il mondo abbracciò il suo culto assorbendone i precetti peggiori e condannando gli istinti che la natura c'ha dato!” esultai eccitatissimo, lei gettò il crocifisso in un angolo e mi buttai, partimmo con una bella sessantanove, poi presi da una tasca dei pantaloni un goldone e me lo infilai in fretta fino alla base del pene. Glielo infilai dentro con un colpo secco, iniziai a muovermi coi fianchi, anche lei sapeva muoversi bene, le misi un dito in culo. La girai di lato quando iniziammo a prendere un buon ritmo e la fottei di sponda, poi girandomi sul fianco passammo ad un bel cucchiaio, ora mi dava le spalle e potei rigirarla per metterla a pecora e sbatterla da dietro da dietro, quindo si puntellò con le mai sul muro non resistetti e raccolta la croce gliela misi nel culo per qualche centimetro coprendola di bestemmie, non volevo infilargliela troppo dentro e troppo forte perchè temevo di farle male con gli spigoli di legno, lo gettammo ancora per terra calpestandolo coi piedi nudi, le baciavo il buco del culo sudato con una gran foga. Sentivo il rumore generato dal contatto dei nostri corpi e questo mi eccitava perdutamente, sentivo quanto lei godeva e questo mi appagava, ormai era mia...per quei momenti trascorsi in balia della passione si sarebbe lasciata fare qualsiasi cosa, avrei anche potuto seppellirla viva o strangolarla senza che lei potesse sottrarsi al godimento. Lo infilavo e sfilavo dentro di lei, ci buttammo sul pavimento godendo e contorcendo i nostri corpi, sentivo le sue forme su di me, un calore umano, un calore di donna che assaggiavo avidamente. Da tanto tempo non sentivo quelle sensazioni e temevo che difficilmente le avrei ritrovate in futuro. I suoi capezzoli erano rossi e turgidi. Lei si mise sopra di me alla ricerca di un piacere egoistico che la portò all'orgasmo, se avessimo avuto più tempo l'avrei scopata tutto il giorno, io non avevo goduto, mi sfilò il goldone con calma e riprese a masturbarmi, me lo prese ancora in bocca, pochi movimenti e le venni addosso, che visione libidinosa, pareva Venere in persona con la bocca aperta pronta a ricevere ogni schizzo del succo delle mie gonadi. Spinsi fuori il mios eme con tutta la forza che avevo in corpo. Lo sboro le andò sul viso e sulle tette, un' eiaculazione abbondante e appagante. Lei leccò la brodaglia densa sul suo corpo, la stanza odorava di noi. Restammo lì nudi al tepore della stufa togliendoci un poco la polvere che avevamo addosso, a parlarci. Le offrii del whiskey, cen'era una bottiglia abbandonata in un cantone. Ci scambiammo le cassette di alcune band, ci capitava di prenderne sempre copie in più per gli scambi, una cosa che la gente non faceva più da 15 anni, fu bello anche stare lì a raccontarcela, mentre eravamo ancora stanchi e affannati. Fumammo una sigaretta. Ci facemmo anche delle foto nudi, che conservo ancora, chissà se lei le ha ancora. Perchè col tempo ci perdemmo di vista, siamo sempre appartenuti a due mondi separati, troppe realtà stanno naufragando, si rimane in pochi, lei partì. La chiesa dei ratti è tornata ad essere per sempre il ritrovo di quelle bestie. Di lei mi resterà solo il ricordo, di me a lei non so, il tempo è passato e ho lottato per restare uguale in un mondo che cambia.

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