Il Mostro Anatomico

di
genere
gay

Il soggetto a me dinnanzi indossa una maglietta col logo del Nintendo 64, dei Levi’s 501 sformati, fuori misura d’almeno due taglie, e delle Crocs blu, a concludere.
Wow.
Sulla faccia ha dei fondi di bottiglia imprigionati in una cornice rossa e plasticosa, la quale, immagino, abbia la presunzione di spacciarsi per montatura da occhiali da vista.
Oh, Cristo.
Intravvedo dei calzini azzurri, spugnosi, e ammonisco i miei occhi affinché non s’azzardino ad approfondire la situazione.
I capelli, decolorati e platinati, sono più sfibrati e massacrati delle setole del mio spazzolone per il cesso.
Madre di Dio.
Potrei proseguire, con questa descrizione; ma fidatevi se vi dico che avere buon gusto significa comprendere quando sia il caso di fermarsi.
Tuttavia, c’è qualcosa di fondante che ancora non vi ho detto, di questo fanciullo.

Questo buffo bambolotto ha 19 anni.
Questo pacioccoso pupazzone è vergine, ed è etero.
Questo burlesco Ciccio Bello ha un cazzo deforme di venticinque centimetri.


Non voglio riflettere con voi su cosa sia la normalità; ma quel che è certo, e che è bene voi sappiate, è che qualsiasi definizione si voglia attribuire alla parola “Normale” non avrebbe nulla a che fare con me.
Non sento di rientrare nella comune concezione di normalità, e mi va bene così.
Il sesso “normale” non fa per me.
Se non ricevo un po’ di insulti, non mi eccito.
Se non mi si elargiscono dei pattoni e degli schiaffi ben piazzati, non raggiungo l’estasi.
E senza un bel cazzo largo, spesso, imponente, virile e ben cesellato, di scopare non se ne parla nemmeno.
Negli anni, inoltre, ho capito che provo supplementare piacere nel farmi fottere da tizi che mi stiano sulle palle, che mi irritino o che disprezzi addirittura.
Trovo che farmi dominare da questi individui sia un ulteriore step di sottomissione, che mi stimola.
Ricevere apprezzamenti mi piace, certo; ma sapete che c’è?
Sentirmi dire d’aprire di più il culo, perché sono solo uno svuota palle, mi eccita di più che farmi sussurrare d’avere delle belle natiche.
Farmi dare qualche manata sulla faccia mi fa rizzare il cazzo; ricevere bacini e carezze no.
Mi capite?
Sono fatto così, e mi accetto.
Volendo approfondire questo mia caratteristica, nel tempo ho compreso che farmi sodomizzare con violenza da individui per i quali provassi fastidio nella vita di tutti i giorni catalizza la dinamica di lussuria che vi ho appena descritto.
E se il disprezzo è reciproco, è ancora meglio.
Perché se mi dici che ti faccio schifo, e che mi usi solo per svuotarti i coglioni, mi eccito; ma se oltre che a dirlo lo pensi davvero, beh, è il top.
È più autentico.
Ed è proprio per soddisfare queste mie necessità che ora sono qui, sulla soglia dell’appartamento di R., il nerd etero vergine sovrappeso che vi descrivevo poc’anzi: chi, meglio di un vero etero, potrebbe palesare disprezzo estetico verso un gay come me?


Trovarlo non è stato semplice, ma nemmeno difficile; diciamo che è stato casuale, ed è avvenuto grazie a Mario Kart.
Di etero curiosi, ovviamente, le chat ne sono piene; ma loro non mi andavano bene.
Quelli, di etero, non hanno niente: di fatto, si tratta di bisex che non vogliono accettarsi.
Se un uomo cerca un altro uomo, non è etero.
Punto.
R. è stato un colpo di fortuna.
Giocando online, a volte, capita di stringere delle amicizie virtuali.
Se mi diverto a giocare con te, perché non continuare a farlo?
E giocando, ovviamente, si finisce col parlare del più e del meno.
Come ti chiami, dove abiti, quanti anni hai.
Da lì a parlare di figa, naturalmente, è un attimo.
Ma io sono gay, e di figa non ne parlo.
Quindi, mentre R. mi parlava dei suoi anime porno preferiti, io gli raccontavo del cazzo.
Il cazzo vero, non quello dei cartoni animati.
R. rideva, si divertiva ad ascoltare le cronache di un gay di quasi vent’anni più vecchio di lui, non capendo come potessero eccitarmi certe cose.
Gli rispondevo che io, invece, non capivo come a lui, e a tutti quelli come lui, potesse piacere la figa.
Ognuno è come è; ci piace ciò che ci piace, e non c’è niente da capire.
Bisogna solo accettare.
R. è un millennial: non ha pregiudizi. Accetta, anche se non capisce.
R. non è diverso da me solo per orientamento sessuale ed età: ha un canale twitch e gioca dalle 12 alle 16 ore ogni giorno, perché vuole che i videogiochi, la sua passione, diventino il suo lavoro; R. è ancora vergine, e non cura affatto il proprio aspetto fisico, verso il quale non è in alcun modo interessato;
R. ha un mostro anatomico fra le gambe, che finora ha utilizzato solo per spararsi seghe osservando hentai, oppure in videochat, con donne mature.


E una sera mi ha chiesto di dargli un’opinione.
Avevo voglia di vedere il suo cazzone su whatsapp, e di dargli un parere da gay esperto?
“Ma certo, cucciolo; fammi vedere!” è quanto gli ho risposto.
E DIO CRISTO.
R. non è superdotato; R. ha uno scherzo della natura fra le gambe.
Avete presente quei falli mostruosi da essere talmente grossi e spessi da rassomigliare più a dei tronchi piuttosto che a dei cazzi?
Francamente, ritengo che essere nati così possa essere invalidante.
Sono dimensioni umanamente incompatibili.
Anatomicamente, credo che la figa possa raggiungere una dilatazione adeguata ad accoglierlo SOLO durante il parto.
Vi rendete conto?
R. mi ha parlato del suo complesso, nonché dell’inevitabile difficoltà a mantenere e raggiungere un’erezione completa, per la quale gli servirebbe una riserva di sangue apposita.
Gli ho risposto, però, che avere una dote del genere apre tutta una serie di possibilità: c’è chi pagherebbe per vedere, filmare, fotografare, toccare, leccare quel cazzo alieno.
Non a tutti interessa il porno; ma a lui non sarebbe servito.
Nell’epoca dello streaming, avrebbe potuto monetizzare semplicemente mostrandolo in live, anonimamente.
Cercavo di tirarlo su, pur capendo quanto le mie argomentazioni non fossero particolarmente profonde.
Doveva fare ciò che lo faceva stare bene, e che desiderava.
Scopare un culo, però, lo desiderava eccome.
Così, gli ho fatto notare che sul web si trovano video di gay che, in un modo o nell’altro, riescono a dilatarsi al punto da farsi entrare nel culo praticamente qualsiasi cosa, perfino oggetti o falli dal diametro simile al suo pene.
Gli ho fatto notare che io avrei potuto essere uno di quelli.
R. ha riso.
R. ha detto che gli uomini gli fanno schifo.
R. mi ha chiesto scusa, non voleva offendermi; gli ho risposto che non mi sentivo affatto offeso dal fatto che gli uomini gli facessero schifo.
R. mi ha domandato se davvero avrei accettato di provare a farmi inculare da lui anche se gli facevo schifo; gli ho detto di sì.
R. ha specificato che vedere un uomo nudo avrebbe potuto impedirgli di avere un’erezione adeguata, e che come minimo avrebbe avuto bisogno di guardare un hentai.
Poi, ci siamo messi d’accordo.


Siccome non mi inviti a entrare, con fare baldanzoso mi faccio avanti.
Mi dici di non essere sicuro di essere pronto; ti rispondo dandoti una pacca sulla spalla, ricordandoti che c’è una prima volta per tutto e che per te, oggi, è il momento d’aprire un culo.
Ti scanso ed entro in casa, mentre sorridi e ti mostri un po’ più rilassato.
Passiamo l’ora successiva bevendo Coca Zero e giocando a Mario Kart, al quale, come sempre, mi fai il culo.
Sembri perfettamente a tuo agio, ora, come quando giochiamo online; dunque, ti chiedo se puoi almeno toglierti quei jeans: sia perché fanno schifo, sia perché voglio vederlo.
Ridi, sei spontaneo.
Poi li togli.
Naturalmente, non porti le mutande; non credo ti sarebbe possibile farlo.
Perfino da floscio, il tuo uccello è più lungo, robusto e spesso di molti cazzi Xl che ho avuto il piacere di possedere.
Non posso fare a meno di bestemmiare.
Riprendi a ridere; mi hai sempre trovato buffo.
Mi lascio distrarre da ciò che vedo sul mobile dietro di te, ossia i tuoi occhiali da vista rossi, giocattolosi e antiestetici, vicini ai miei occhiali da sole, dei Ray Ban dorati, raffinati e appariscenti.
Poi torno a guardare Il Mostro.
Devo essermici avvicinato senza accorgermene, perché mi allontani con entrambe le braccia, ricordandomi che sono un uomo.
Ammicco, malizioso, e dico ciò che stai pensando: “E ti faccio schifo”.
Tentenni, ma alla fine annuisci.
Ti dico di dirlo, ad alta voce.
Dimmelo, che ti faccio schifo.
Me lo dici, e mi viene duro.
Armeggi col PC e sullo schermo compare una tizia dai capelli viola e con delle tette grandi quanto dei cocomeri. Apparentemente, una medusa meccanica la sta stuprando in bocca, nel culo e nella figa; tuttavia, questa tizia continua a gemere parlando in giapponese, mentre dal clitoride le escono schizzi di… Cosa? Non saprei proprio dirlo.
Si tratta di un hentai, nel caso non fosse chiaro.
Ti vedo masturbarti furiosamente appresso a quelle immagini, e ti domando come cazzo faccia a piacerti ‘sta merda.
Esplodi nuovamente nella tua risata, giovane e pulita.
Poi, con la voce spezzata dalla lussuria, e forse inibita da una timidezza recidiva, mi dici di avvicinarti.
Lo faccio subito, apprezzando in silenzio le dimensioni già accresciute del membro.
Non stacchi mai lo sguardo dallo schermo, ma rivolgi la punta del mostro verso di me, rallentando il ritmo di masturbazione.
Capisco che, finalmente, è il mio momento.
Mi avvicino, in ginocchio.
Ammiro.
Annuso.
E rifletto su come cazzo interagire con questa cosa mostruosa che ho davanti.
Hai le mani più grosse delle mie, e fatichi a impugnare metà del diametro diabolico di questa creazione mefistofelica.
Lecco la punta della cappella, brevemente.
Lo faccio ancora.
Poi passo alla circonferenza del glande; ma non resisto, e lo accolgo fra le labbra.
Lo lecco, lo bacio, lo succhio.
Emetti un gemito; d’altronde, nessuno t’aveva mai fatto questo, prima.
Ti piace.
Come fosse uno scettro, lo circondo con entrambe le mani, e inizio a masturbarlo insieme a te.
Intanto lecco, sputo, riempio di saliva quella cappella.
Ti lasci andare più in fretta di quanto avessi immaginato; infatti; sento l’altra tua mano dietro la nuca, che mi incita, mi avvicina.
Provo a prenderne in bocca il più possibile, che, ahimè, è poco.
Vado poco sotto il glande, senza alcuna possibilità di spingermi oltre: il diametro è veramente eccessivo.
Già così, avverto conati di vomito, mentre ammiro il mio muco che cola dal mostro.
Sento che i tuoi gemiti si fanno più frequenti, e mi viene il dubbio tu stia per sborrare.
Già? Impossibil… Ma non faccio in tempo a formulare il pensiero, ché avverto copiosi schizzi di sperma sulla faccia.
Sperma caldo, denso.
Sperma giovane.
Sperma di vergine.
Sperma sano.
Mi riprendo dal torpore, e cerco di intercettare con la bocca gli schizzi restanti.
Questo è sperma che posso leccare, assaporare, ingoiare.
Finalmente, dopo anni.
E porca troia, di schizzi ne smolli ancora sei o sette.
Ho la bocca piena del prodotto meraviglioso del tuo membro mostruoso.
Stai gemendo come solo un verginello farebbe: senza alcun controllo.
Ingoio tutto, ma proprio tutto.
Cazzo, che soddisfazione. E che sorpresa.
Dici che ti dispiace di non avermi avvisato: non ce l’hai fatta, non sei riuscito a trattenerti.
Ti rispondo di stare tranquillo, è normale.
Quindi ti è piaciuto, azzardo.
Rispondi di sì, con l’estasi sul volto, e mi chiedi di fartelo ancora.
Adesso.
Adesso?
Sì, mi dici che ti senti pieno.
Questa volta sono io a ridere.
Certo, che sei pieno.
Pieno di vita, di giovinezza, di testosterone.
Pieno di sperma.
Mi alzo, mi sfilo i pantaloni.
Vado a prendere il lubrificante, mentre sento che riprendi a masturbarti con l’ausilio visivo della tizia coi capelli viola, che sta ancora gemendo in giapponese.
Mi ci riempio il culo, col lubrificante. Poi vado di dita.
Due.
Tre.
Quattro.
Passano diversi minuti, ti chiedo di pazientare.
Non sarò mai abbastanza largo per prendere davvero quell’incantevole aberrazione; ma, di certo, posso far meglio che con la bocca.
La cappella può entrare tutta, certamente.
E anche la parte sotto, più larga. L’incognita è di quanti ulteriori centimetri riuscirò a scendere.
Quel che è certo è che, seppur per motivi diversi, mio caro, entrambi ci ricorderemo per sempre di quest’esperienza, credimi.
Io, per te, sono il primo buco.
Tu, per me, sei il possessore de “Il Mostro”.
Ti trovo come ti avevo lasciato.
M’infilo tutta la mano nel culo, sovreccitato.
Non sono più un essere senziente: l’incendio interiore ha preso il totale controllo, imponendomi di aprire il culo a quel pezzo di carne lascivo. Devo averlo dentro, anche a costo di spaccarmi letteralmente il culo. Il fuoco mi dice che ho smesso di essere una persona: ora sono un buco, e se un buco non è sufficientemente largo, è inutile. Non serve a niente.
Se non sono inutile, allora forza: dimostriamolo.
Mi metto a pecora e mi dilato il culo con entrambe le mani, più che posso.
Spingo, come se dovessi cagare.
So di essere largo al massimo delle mie possibilità.
Ti inginocchi dietro di me, senza smettere di guardare quella puttana colorata.
Ora la guardo pure io, mentre finge di non voler essere infilzata da quei tentacoli, i quali in confronto al tuo cazzo hanno uno spessore ridicolo, da dilettanti.
Sento che ti cospargi il mostro di lubrificante, che poi mi restituisci, dicendomi di mettermene altro.
Vuoi toccarmi il meno possibile: sono un uomo, ti faccio schifo.
Ne faccio colare un’altra dose abbondante e me la schiaffo nel culo, ora largo come non mai.
Dai, ti dico.
Bestemmio, e ti dico di provare a infilarlo.
Sento la pressione della cappella, ma non stai davvero spingendo.
Non sei convinto? Temi di farmi male?
Mi giro, te lo lecco, succhio, avvolgo fra le labbra come prima, mentre con le mani te lo masturbo forte.
Godi, e lo manifesti.
Torno a darti il culo, e questa volta non ti risparmi.
Mi afferri le natiche il minimo che serve per dare la spinta, e ora sì, che la sento imporsi.
La cappella, intendo.
Dolore, piacere.
Più dolore che piacere.
Spingo, mi apro il culo più che posso.
Sento che non basta, e avverto la fiamma indebolirsi.
Che mi succede?
Serve più brace.
Sono un buco, e non servo a niente se non sono sufficientemente largo.
E allora ti imploro di dirmelo.
Dimmelo, che ti faccio schifo.
Sono un maschio e ti faccio schifo.
Il mio culo non ti interessa; è solo un buco, un cazzo di buco dove svuotarti.
I buchi non sono persone; i buchi sono uno scarico.
I cessi sono buchi, nei quali smaltire i rifiuti.
O nei quali svuotarsi.
Sono il tuo buco, il tuo cesso, che usi per svuotarti i coglioni.
Dimmelo, Cristo.
Me lo dici.
Ed eccola, la brace. Riecco la fiamma, che arde di nuova vita.
Ed ecco il mio culo, pronto a dilatarsi ancora, al massimo, di più.
Spingi cazzo, ti dico di spingere ora, CAZZO.
Spingi, lo fai con forza, senza più alcun riguardo.
Ed entra.
Tutta la cappella, e una buona manciata di centimetri di quanto sta al di sotto.
Nemmeno le svariate volte che mi sono fatto fottere rozzamente da due superdotati contemporaneamente mi sono sentito così… rotto, dilaniato, dominato.
Ma il dolore che avverto, ora impallidisce al cospetto del piacere che mi stai regalando. Un piacere ancestrale, abbacinante.
Tremo tutto. Le ginocchia mi battono dolorosamente sul pavimento, senza che riesca a controllarle.
Stai entrando e uscendo, sbraitando, lanciandomi gli insulti che ti ho chiesto, e dei quali avevo bisogno.
La voce ti si spezza per la lussuria, stai provando un piacere che finora ti era ignoto.
Sono il tuo primo buco, non mi dimenticherai.
Non so da quanto questa lussuriosa tortura stia andando avanti, ma credo tu abbia dato solo quattro o cinque spinte quanto esci fuori del tutto, obbligandomi a lanciare un urlo d’estatico dolore, e tirandomi per i capelli mi porti le labbra sulla tua cappella.
Giusto il tempo di sfiorarla, ed ecco riaffiorare il tuo seme.
Copiosi schizzi, uno dopo l’altro.
Seme giovane, sano.
Seme che, questa volta, ho fatto fuoriuscire col mio culo.
Il tuo buco, che ha adempiuto al suo scopo.
Apprezzo il gusto del mio culo sul tuo cazzo mentre mi imbocchi.
Svuotati, bel fanciullo; trova finalmente il sollievo che meriti.
Ingoio tutto, ebbro di piacere.
Poi ti osservo crollare sul divano, distrutto.
Stai ansimando, provando qualcosa che ti era sconosciuto.
Smolli una bestemmia, e poi ridiamo, insieme.
di
scritto il
2022-09-09
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