Sottomesso alla mia capo 5: il festino finale
di
None
genere
dominazione
Dopo il sabato mattina delle frustate (v. episodio 4), i giorni seguenti erano trascorsi in maniera decisamente più tranquilla. La mia padrona, ben capendo quanto a fondo avesse usato del mio corpo, non mi coinvolse in nuove sessioni di dominazione. Anzi, mi fornì una crema per facilitare la guarigione della mia cappella dai postumi dei colpi ricevuti, che mi fecero soffrire per diversi giorni, e mi diede due giornate di permesso dal lavoro per lasciare definitivamente la mia vecchia casa, ormai irreparabilmente sotto sfratto.
Sistemai il tutto, lasciando le mie cose temporaneamente nel magazzino di un amico, salvo l’essenziale, che trasportai nel seminterrato della villa della padrona, ormai divenuto la mia nuova casa, o meglio, il luogo della mia reclusione. Solo il giovedì, come sempre a sorpresa, Barbara m’impose di ripulirla con la lingua dopo che aveva urinato (il bidet, come lo chiamava lei), ma non pretese altro.
Questa relativa tranquillità mi consentì di veder rimarginati i segni fisici della punizione ricevuta, ma avrebbe dovuto anche insospettirmi: dovevo, infatti, immaginare che tanta benignità, da parte della mia padrona, datrice di lavoro e carceriera, fosse funzionale a rendermi pronto a soddisfare nuove, più estreme pretese.
E infatti la tranquillità fu di breve durata. Il sabato successivo, Barbara pretese che pulissi tutta la casa, da cima a fondo, come uno specchio, divertendosi a sorvegliare ogni mio movimento, naturalmente senza muovere neppure un dito per aiutarmi.
Il giorno seguente, mi disse che, di lì a poco, sarebbero venute due sue amiche, con le quali avrei dovuto fare gli “onori di casa”, obbedendo ai loro ordini come se provenissero da lei stessa. Solo, non mi era permesso di chiamarle «padrona», ma piuttosto avrei dovuto chiamare una «signora» e l’altra «dottoressa». Mi ordinò, quindi, di fare una doccia e di mettere un grembiule bianco, di cotone, di quelli che si annodano in vita, quale unico capo di abbigliamento per la serata.
Gli ordini appena ricevuti mi agitarono profondamente. L’idea di dover comparire, praticamente nudo davanti a due perfette sconosciute e, in più, di dovermi sottomettere a loro, servendole in tutto e per tutto, rappresentava per me una prospettiva tremendamente imbarazzante; ma era sempre meno assurda della possibilità di disobbedire alla mia padrona: quello che mi era toccato l’ultima volta, non per avere disobbedito, ma solo per essere stato poco abile nell’eseguire un suo comando, mi impediva anche solo d’immaginare la possibilità di un rifiuto. Per questo mi preparai per la serata nel modo richiesto.
Poco dopo, sentii il rumore di un’auto che arrivava e parcheggiava nel cortile. Quindi la porta che si apriva, saluti e rumori di passi sul pavimento. Non c’era dubbio: erano arrivate. Trascorsi ancora qualche minuto di angosciosa attesa nel seminterrato, poi il mio cellulare squillò. Era Barbara e mi disse solo: «Vieni su nella sala.». Eseguii immediatamente, incamminandomi a malincuore sulla scala che dal seminterrato conduceva al piano principale della villa e di lì mi diressi nella sala.
Appena varcata la porta restai letteralmente di sasso, incapace di muovermi o di parlare. Barbara se ne stava seduta sulla poltrona, indossava un vestito chiaro che le arrivava poco sopra il ginocchio, e aveva l’aria soddisfatta, quasi un po’ tronfia, di chi si sentisse “la padrona della festa”. Sul divano, un po’ in disparte, stava una nera molto alta di, forse, venticinque anni con un abito bianco lungo, composto da top e gonna, un fisico asciutto e un seno prosperoso. Una quarta forse. Ma ciò che mi lasciò di sasso non fu questo.
Tra Barbara e la ragazza, sull’altro posto del divano, in un vestitino leggero, quasi adolescenziale, che rendeva giustizia al suo fisico ancor giovane e snello, davanti a me stava la dottoressa Simona Cattaneo! La sua faccia non mostrava alcuna sorpresa, evidentemente a differenza di me, sapeva già in anticipo che sarei comparso. Era incredibile, il mio medico, non solo sapeva perfettamente che tipo di “mansioni” avrei dovuto svolgere per la sua amica, ma ora si presentava a casa sua per approfittare personalmente del servizio!
Barbara interruppe il flusso dei miei pensieri, ordinandomi di prendere lo champagne dal frigo, metterlo nel secchio d’argento insieme al ghiaccio, portare tre bicchieri e servire loro il tutto. Lo feci, mentre loro chiacchieravano e mi scrutavano divertite Poi, secondo le indicazioni ricevute, restai in piedi, al lato del divano, vicino al posto dov’era seduta la ragazza nera, che le altre donne chiamavano Megan, pronto a riempire di nuovo i bicchieri non appena ne fossi richiesto.
Ma il mio lavoro da cameriere durò poco. Infatti Megan, incoraggiata dal fatto che il retro del mio corpo, completamente nudo, fosse a pochi centimetri da lei, ben presto mi mise la mano destra dritta sul culo, toccandolo e palpeggiandolo a suo piacimento. Dopo un po’ si rivolse alle amiche e, senza alcun ritegno, come se io neppure ci fossi, commentò: «Guardate che questo qui ha proprio un culo sodo. Sarà che fa palestra, ma ci si diverte proprio a toccarlo!». E Simona, di rimando, «Lo so, lo so. Con la scusa delle visite mediche lo palpeggiavo sempre, e non mi pare che gli sia mai dispiaciuto. Quanto a Barbara, credo che abbia fatto più che toccarlo in questi giorni…». E giù una risata generale, mentre io ero costretto a rimanere in silenzio.
In ogni caso, l’umiliazione fece i suoi effetti, perché il mio cazzo ebbe una mezza erezione. La cosa non sfuggì a Megan, che, sempre toccandomi da dietro, cambiò obiettivo, e dal culo passo direttamente alla nerchia, iniziando a massaggiarla su e giù con abile naturalezza. Era pazzesco. Una donna che non mi aveva mai rivolto la parola teneva tranquillamente le mani sul mio cazzo, e lo toccava con la naturalezza di chi frughi nelle sue tasche.
L’atmosfera si stava surriscaldando perché Simona, che prima appariva composta, aveva appoggiato una mano sul suo vestito e, da lì su, si sfiorava leggermente in mezzo alle gambe. La cosa andò avanti per un po’. Poi Barbara, con perversa ironia, la invitò a non trattenersi e ad approfittare del servizio che potevo offrirle.
Perciò la dottoressa mi disse di mettermi di fronte a lei. Io eseguii, col pene ben teso che gonfiava il grembiule, rendendomi ancora più ridicolo di quanto già non apparissi. Quindi la dottoressa mi ordinò di inginocchiarmi. Le sue gambe davanti a me si mossero e con un rapido gesto, senza mostrarmi la sua natura, tolse le mutandine bianche, già bagnate di umori. Poi me le porse, dicendo: «Annusale bene, schiavo. Voglio farti sentire quanto sono donna!».
Mi misi ad annusare e presto le mie narici furono piene del profumo dolciastro dei suoi umori. Poi la mia padrona mi tolse le mutandine di mano e le appoggiò da un lato, mentre Simona apriva le cosce, si alzava il vestito e mi spingeva la testa là in mezzo, ordinandomi di leccare. Mai ordine fu più gradito! Simona aveva una micetta stretta e depilata, che trasudava umori. Cominciai a lavorarla con leccatine brevi alle labbra e al clitoride, eseguite con la punta della lingua. Ma ben presto, bagnata com’era, mi ordinò di andare più a fondo. Così andai più in profondità e, gradualmente intensificai le leccate, finché la dottoressa non iniziò a gemere rumorosamente. A quel punto, però, Barbara mi appoggiò una mano sul culo e mi rifilò una bella sculacciata, non forte, ma comunque fastidiosa.
La cosa mi lasciò per un attimo interdetto, ma lei, quasi a rispondere ai miei interrogativi mentali, mi disse: «Continua! Anche mentre soffri devi continuare a servire! Il piacere di una donna vale molto di più del dolore di uno schiavo!». E giù un’altra manata decisamente più forte della precedente. Nel frattempo Simona, forse per paura che mollassi la presa, prese le mie tempie tra le mani e mi spinse con forza verso di lei. Continuai il mio lavoro di lingua, sempre in crescendo, sotto i colpi di Barbara, che palesemente godeva della situazione che si era creata, finché finalmente Simona non venne inondandomi la bocca e la faccia del suo caldo succo.
Appena il tempo di riprendere fiato e arrivò il turno di Megan. La ragazza aveva tolto il top, lasciando scoperti i suoi seni, che mi aveva ingiunto di lavorare con la bocca. La richiesta, d’altra parte, non mi dispiaceva, non solo perché la tipa aveva un gran bel davanzale, ma anche perché ciò mi consentiva di sedermi sul divano accanto a lei, dando riposo alle mie ginocchia, che avevo dovuto tenere sul pavimento per tutto il tempo del cunnilinguo a Simona.
Mi misi, quindi, ad adoperarmi con impegno, leccando e succhiando. Nel frattempo Simona, che stava seduta dietro di me, si divertiva ad accarezzarmi dappertutto: pettorali, addominali, natiche... Il mio lavoro fece salire l’eccitazione di Megan, che, alla fine, mi ordinò di mettermi di nuovo sulle ginocchia, questa volta davanti a lei. In un attimo si sfilò la gonna e tirò fuori…Un grosso cazzo nero! Quella visione mi sconvolse: Megan non era, quindi, la gran fica che sembrava, ma piuttosto una splendida trans!
La cosa mi spaventò: non avevo mai avuto tendenze gay e neppure avevo mai preso in considerazione le trans, per cui avrei solo voluto sfuggire a quel grosso mattarello di carne che si tendeva davanti a me. Ma non potei. Infatti intervenne la mia padrona, che disse: «Imbecille, non vedi che la mia amica ha bisogno di un pompino? Cosa aspetti a cominciare? Tanto lo sappiamo già che ti piace la sborra…». In realtà, bere lo sperma era per me un’operazione profondamente umiliante, anche se Barbara mi aveva costretto più volte a farlo col mio, e così raccolsi le forze per una timida protesta: «Ma io, veramente…». Ma Barbara m’interruppe subito: «Ma tu cosa? Che lecchi lo sperma dalla mia mano come se fosse crema pasticciera? Che c’è, vuoi un’altra ripassata del mio frustino sulla cappella?».
A quelle parole fui preso dal terrore, e mi misi, pur controvoglia, ad approcciare il cazzo di Megan, suscitando una risata divertita di Simona. Cercai di impegnarmi per farle quello che a me, al suo posto, era sempre piaciuto, facendo su e giù con la bocca e accompagnando il tutto con avide succhiate. Così la stronza si mise a mugolare di piacere, invitandomi ad accelerare sempre di più, finché sentii in bocca le prime gocce del suo liquido e, infine, lei mi schizzò un fiotto caldo, appiccicoso e denso dritto in bocca, urlando: «Bevi, bastardo, bevi!».
Ma il divertimento delle mie sadiche dominatrici non era ancora finito. Infatti mi portarono nella cucina-soggiorno, che aveva un grande tavolo al centro. Mi costrinsero a mettermi in piedi a un capo del tavolo con i gomiti appoggiati allo stesso. Barbara si spogliò nuda e si sedette sul tavolo, proprio davanti a me, con le caviglie nelle mani e, senza tante perifrasi, mi ordinò di leccarle l’ano, cosa che prontamente iniziai a fare. La padrona era stupenda in quella posizione e l’operazione che dovevo farle, per quanto disgustosa, mi eccitò selvaggiamente. Intanto Megan, di nuovo eccitata, approfittava della mia posizione per far sentire la punta dura della sua mazza contro il mio foro, mentre Simona, seduta a cosce aperte su una sedia, si godeva lo spettacolo masturbandosi. Avrei voluto fare qualcosa per impedire che Megan mi penetrasse, ma non potei, visto che Barbara la stimolava apertamente dicendo: «Sì cara, inculati la mia troia, voglio vederla aperta in due fino allo stomaco!» E la “troia”, per chi non lo avesse capito, ero proprio io. E così, mentre la mia lingua si occupava con diligenza di ogni millimetro dell’ano della mia padrona, comprese le parti non proprio pulite, Megan, con le mani sui miei fianchi, iniziò a esercitare una pressione progressiva ma ineluttabile sul mio foro anale. Era la cosa più mortificante che mi fosse mai capitata, ma non potevo farci nulla. Neppure urlare, dato che avevo la bocca impegnata. Potevo solo sperare che finisse presto.
Incredibilmente, però, forse per la vicinanza della mia padrona e per il suo odore, forse perché Simona si masturbava così sfacciatamente davanti a me, e certo per l’impatto ripetuto che il fallo di Megan esercitava sulla mia prostata, accanto al dolore e all’umiliazione, sentii delle crescenti vampate di piacere. Ero davvero frastornato, ogni colpo di Megan era per me orrore e godimento insieme. Lei accelerava sempre di più, chiamandomi “troia e puttana” e io, contro la mia volontà, proprio mentre mi riempiva le budella di sperma caldo, mi ritrovai a venire a fiotti come una bestia. A quello spettacolo, Simona venne subito e, dopo pochi secondi, lo fece anche Barbara, riempendo il tavolo e la mia faccia umori caldi e densi.
Ora finalmente le mie tre dominatrici erano soddisfatte e, dopo essersi prese gioco di me per un poco, decisero di lavarsi e ricomporsi; mentre a me, servitore non più gradito, la padrona concedeva una doccia solitaria nel seminterrato.
Quella giornata fu per me un punto di non-ritorno. Se prima potevo illudermi di essere solo un ragazzo costretto a essere dominato per tenersi stretto il nuovo lavoro, ora, dopo quello a cui mi ero sottoposto senza ribellarmi, godendo segretamente di ogni insulto, costrizione o umiliazione, dovevo ammettere che la mia natura era quella di schiavo sessuale, che tale ero sempre stato e che avrei accettato qualsiasi prova pur di compiacere la mia stupenda padrona. La mia servitù sessuale durò, quindi, per due anni, nei quali compii i più turpi servizi non solo alla mia padrona, ma a chiunque la mia padrona volesse. Bello o brutto, giovane o vecchio, donna, uomo o trans, senza eccezione alcuna.
Poi la mia padrona, con la totale mancanza di pietà e umanità che la caratterizzava, decise di scaricarmi e sostituirmi. Ma questa è un’altra storia. (FINE)
NOTA. Nomi, cose, persone, situazioni descritte in questo e nei precedenti episodi sono interamente frutto della fantasia dell’autore, il quale, in ogni caso, si scusa per eventuali, non volute, coincidenze, omonimie o somiglianze con persone o situazioni reali.
Sistemai il tutto, lasciando le mie cose temporaneamente nel magazzino di un amico, salvo l’essenziale, che trasportai nel seminterrato della villa della padrona, ormai divenuto la mia nuova casa, o meglio, il luogo della mia reclusione. Solo il giovedì, come sempre a sorpresa, Barbara m’impose di ripulirla con la lingua dopo che aveva urinato (il bidet, come lo chiamava lei), ma non pretese altro.
Questa relativa tranquillità mi consentì di veder rimarginati i segni fisici della punizione ricevuta, ma avrebbe dovuto anche insospettirmi: dovevo, infatti, immaginare che tanta benignità, da parte della mia padrona, datrice di lavoro e carceriera, fosse funzionale a rendermi pronto a soddisfare nuove, più estreme pretese.
E infatti la tranquillità fu di breve durata. Il sabato successivo, Barbara pretese che pulissi tutta la casa, da cima a fondo, come uno specchio, divertendosi a sorvegliare ogni mio movimento, naturalmente senza muovere neppure un dito per aiutarmi.
Il giorno seguente, mi disse che, di lì a poco, sarebbero venute due sue amiche, con le quali avrei dovuto fare gli “onori di casa”, obbedendo ai loro ordini come se provenissero da lei stessa. Solo, non mi era permesso di chiamarle «padrona», ma piuttosto avrei dovuto chiamare una «signora» e l’altra «dottoressa». Mi ordinò, quindi, di fare una doccia e di mettere un grembiule bianco, di cotone, di quelli che si annodano in vita, quale unico capo di abbigliamento per la serata.
Gli ordini appena ricevuti mi agitarono profondamente. L’idea di dover comparire, praticamente nudo davanti a due perfette sconosciute e, in più, di dovermi sottomettere a loro, servendole in tutto e per tutto, rappresentava per me una prospettiva tremendamente imbarazzante; ma era sempre meno assurda della possibilità di disobbedire alla mia padrona: quello che mi era toccato l’ultima volta, non per avere disobbedito, ma solo per essere stato poco abile nell’eseguire un suo comando, mi impediva anche solo d’immaginare la possibilità di un rifiuto. Per questo mi preparai per la serata nel modo richiesto.
Poco dopo, sentii il rumore di un’auto che arrivava e parcheggiava nel cortile. Quindi la porta che si apriva, saluti e rumori di passi sul pavimento. Non c’era dubbio: erano arrivate. Trascorsi ancora qualche minuto di angosciosa attesa nel seminterrato, poi il mio cellulare squillò. Era Barbara e mi disse solo: «Vieni su nella sala.». Eseguii immediatamente, incamminandomi a malincuore sulla scala che dal seminterrato conduceva al piano principale della villa e di lì mi diressi nella sala.
Appena varcata la porta restai letteralmente di sasso, incapace di muovermi o di parlare. Barbara se ne stava seduta sulla poltrona, indossava un vestito chiaro che le arrivava poco sopra il ginocchio, e aveva l’aria soddisfatta, quasi un po’ tronfia, di chi si sentisse “la padrona della festa”. Sul divano, un po’ in disparte, stava una nera molto alta di, forse, venticinque anni con un abito bianco lungo, composto da top e gonna, un fisico asciutto e un seno prosperoso. Una quarta forse. Ma ciò che mi lasciò di sasso non fu questo.
Tra Barbara e la ragazza, sull’altro posto del divano, in un vestitino leggero, quasi adolescenziale, che rendeva giustizia al suo fisico ancor giovane e snello, davanti a me stava la dottoressa Simona Cattaneo! La sua faccia non mostrava alcuna sorpresa, evidentemente a differenza di me, sapeva già in anticipo che sarei comparso. Era incredibile, il mio medico, non solo sapeva perfettamente che tipo di “mansioni” avrei dovuto svolgere per la sua amica, ma ora si presentava a casa sua per approfittare personalmente del servizio!
Barbara interruppe il flusso dei miei pensieri, ordinandomi di prendere lo champagne dal frigo, metterlo nel secchio d’argento insieme al ghiaccio, portare tre bicchieri e servire loro il tutto. Lo feci, mentre loro chiacchieravano e mi scrutavano divertite Poi, secondo le indicazioni ricevute, restai in piedi, al lato del divano, vicino al posto dov’era seduta la ragazza nera, che le altre donne chiamavano Megan, pronto a riempire di nuovo i bicchieri non appena ne fossi richiesto.
Ma il mio lavoro da cameriere durò poco. Infatti Megan, incoraggiata dal fatto che il retro del mio corpo, completamente nudo, fosse a pochi centimetri da lei, ben presto mi mise la mano destra dritta sul culo, toccandolo e palpeggiandolo a suo piacimento. Dopo un po’ si rivolse alle amiche e, senza alcun ritegno, come se io neppure ci fossi, commentò: «Guardate che questo qui ha proprio un culo sodo. Sarà che fa palestra, ma ci si diverte proprio a toccarlo!». E Simona, di rimando, «Lo so, lo so. Con la scusa delle visite mediche lo palpeggiavo sempre, e non mi pare che gli sia mai dispiaciuto. Quanto a Barbara, credo che abbia fatto più che toccarlo in questi giorni…». E giù una risata generale, mentre io ero costretto a rimanere in silenzio.
In ogni caso, l’umiliazione fece i suoi effetti, perché il mio cazzo ebbe una mezza erezione. La cosa non sfuggì a Megan, che, sempre toccandomi da dietro, cambiò obiettivo, e dal culo passo direttamente alla nerchia, iniziando a massaggiarla su e giù con abile naturalezza. Era pazzesco. Una donna che non mi aveva mai rivolto la parola teneva tranquillamente le mani sul mio cazzo, e lo toccava con la naturalezza di chi frughi nelle sue tasche.
L’atmosfera si stava surriscaldando perché Simona, che prima appariva composta, aveva appoggiato una mano sul suo vestito e, da lì su, si sfiorava leggermente in mezzo alle gambe. La cosa andò avanti per un po’. Poi Barbara, con perversa ironia, la invitò a non trattenersi e ad approfittare del servizio che potevo offrirle.
Perciò la dottoressa mi disse di mettermi di fronte a lei. Io eseguii, col pene ben teso che gonfiava il grembiule, rendendomi ancora più ridicolo di quanto già non apparissi. Quindi la dottoressa mi ordinò di inginocchiarmi. Le sue gambe davanti a me si mossero e con un rapido gesto, senza mostrarmi la sua natura, tolse le mutandine bianche, già bagnate di umori. Poi me le porse, dicendo: «Annusale bene, schiavo. Voglio farti sentire quanto sono donna!».
Mi misi ad annusare e presto le mie narici furono piene del profumo dolciastro dei suoi umori. Poi la mia padrona mi tolse le mutandine di mano e le appoggiò da un lato, mentre Simona apriva le cosce, si alzava il vestito e mi spingeva la testa là in mezzo, ordinandomi di leccare. Mai ordine fu più gradito! Simona aveva una micetta stretta e depilata, che trasudava umori. Cominciai a lavorarla con leccatine brevi alle labbra e al clitoride, eseguite con la punta della lingua. Ma ben presto, bagnata com’era, mi ordinò di andare più a fondo. Così andai più in profondità e, gradualmente intensificai le leccate, finché la dottoressa non iniziò a gemere rumorosamente. A quel punto, però, Barbara mi appoggiò una mano sul culo e mi rifilò una bella sculacciata, non forte, ma comunque fastidiosa.
La cosa mi lasciò per un attimo interdetto, ma lei, quasi a rispondere ai miei interrogativi mentali, mi disse: «Continua! Anche mentre soffri devi continuare a servire! Il piacere di una donna vale molto di più del dolore di uno schiavo!». E giù un’altra manata decisamente più forte della precedente. Nel frattempo Simona, forse per paura che mollassi la presa, prese le mie tempie tra le mani e mi spinse con forza verso di lei. Continuai il mio lavoro di lingua, sempre in crescendo, sotto i colpi di Barbara, che palesemente godeva della situazione che si era creata, finché finalmente Simona non venne inondandomi la bocca e la faccia del suo caldo succo.
Appena il tempo di riprendere fiato e arrivò il turno di Megan. La ragazza aveva tolto il top, lasciando scoperti i suoi seni, che mi aveva ingiunto di lavorare con la bocca. La richiesta, d’altra parte, non mi dispiaceva, non solo perché la tipa aveva un gran bel davanzale, ma anche perché ciò mi consentiva di sedermi sul divano accanto a lei, dando riposo alle mie ginocchia, che avevo dovuto tenere sul pavimento per tutto il tempo del cunnilinguo a Simona.
Mi misi, quindi, ad adoperarmi con impegno, leccando e succhiando. Nel frattempo Simona, che stava seduta dietro di me, si divertiva ad accarezzarmi dappertutto: pettorali, addominali, natiche... Il mio lavoro fece salire l’eccitazione di Megan, che, alla fine, mi ordinò di mettermi di nuovo sulle ginocchia, questa volta davanti a lei. In un attimo si sfilò la gonna e tirò fuori…Un grosso cazzo nero! Quella visione mi sconvolse: Megan non era, quindi, la gran fica che sembrava, ma piuttosto una splendida trans!
La cosa mi spaventò: non avevo mai avuto tendenze gay e neppure avevo mai preso in considerazione le trans, per cui avrei solo voluto sfuggire a quel grosso mattarello di carne che si tendeva davanti a me. Ma non potei. Infatti intervenne la mia padrona, che disse: «Imbecille, non vedi che la mia amica ha bisogno di un pompino? Cosa aspetti a cominciare? Tanto lo sappiamo già che ti piace la sborra…». In realtà, bere lo sperma era per me un’operazione profondamente umiliante, anche se Barbara mi aveva costretto più volte a farlo col mio, e così raccolsi le forze per una timida protesta: «Ma io, veramente…». Ma Barbara m’interruppe subito: «Ma tu cosa? Che lecchi lo sperma dalla mia mano come se fosse crema pasticciera? Che c’è, vuoi un’altra ripassata del mio frustino sulla cappella?».
A quelle parole fui preso dal terrore, e mi misi, pur controvoglia, ad approcciare il cazzo di Megan, suscitando una risata divertita di Simona. Cercai di impegnarmi per farle quello che a me, al suo posto, era sempre piaciuto, facendo su e giù con la bocca e accompagnando il tutto con avide succhiate. Così la stronza si mise a mugolare di piacere, invitandomi ad accelerare sempre di più, finché sentii in bocca le prime gocce del suo liquido e, infine, lei mi schizzò un fiotto caldo, appiccicoso e denso dritto in bocca, urlando: «Bevi, bastardo, bevi!».
Ma il divertimento delle mie sadiche dominatrici non era ancora finito. Infatti mi portarono nella cucina-soggiorno, che aveva un grande tavolo al centro. Mi costrinsero a mettermi in piedi a un capo del tavolo con i gomiti appoggiati allo stesso. Barbara si spogliò nuda e si sedette sul tavolo, proprio davanti a me, con le caviglie nelle mani e, senza tante perifrasi, mi ordinò di leccarle l’ano, cosa che prontamente iniziai a fare. La padrona era stupenda in quella posizione e l’operazione che dovevo farle, per quanto disgustosa, mi eccitò selvaggiamente. Intanto Megan, di nuovo eccitata, approfittava della mia posizione per far sentire la punta dura della sua mazza contro il mio foro, mentre Simona, seduta a cosce aperte su una sedia, si godeva lo spettacolo masturbandosi. Avrei voluto fare qualcosa per impedire che Megan mi penetrasse, ma non potei, visto che Barbara la stimolava apertamente dicendo: «Sì cara, inculati la mia troia, voglio vederla aperta in due fino allo stomaco!» E la “troia”, per chi non lo avesse capito, ero proprio io. E così, mentre la mia lingua si occupava con diligenza di ogni millimetro dell’ano della mia padrona, comprese le parti non proprio pulite, Megan, con le mani sui miei fianchi, iniziò a esercitare una pressione progressiva ma ineluttabile sul mio foro anale. Era la cosa più mortificante che mi fosse mai capitata, ma non potevo farci nulla. Neppure urlare, dato che avevo la bocca impegnata. Potevo solo sperare che finisse presto.
Incredibilmente, però, forse per la vicinanza della mia padrona e per il suo odore, forse perché Simona si masturbava così sfacciatamente davanti a me, e certo per l’impatto ripetuto che il fallo di Megan esercitava sulla mia prostata, accanto al dolore e all’umiliazione, sentii delle crescenti vampate di piacere. Ero davvero frastornato, ogni colpo di Megan era per me orrore e godimento insieme. Lei accelerava sempre di più, chiamandomi “troia e puttana” e io, contro la mia volontà, proprio mentre mi riempiva le budella di sperma caldo, mi ritrovai a venire a fiotti come una bestia. A quello spettacolo, Simona venne subito e, dopo pochi secondi, lo fece anche Barbara, riempendo il tavolo e la mia faccia umori caldi e densi.
Ora finalmente le mie tre dominatrici erano soddisfatte e, dopo essersi prese gioco di me per un poco, decisero di lavarsi e ricomporsi; mentre a me, servitore non più gradito, la padrona concedeva una doccia solitaria nel seminterrato.
Quella giornata fu per me un punto di non-ritorno. Se prima potevo illudermi di essere solo un ragazzo costretto a essere dominato per tenersi stretto il nuovo lavoro, ora, dopo quello a cui mi ero sottoposto senza ribellarmi, godendo segretamente di ogni insulto, costrizione o umiliazione, dovevo ammettere che la mia natura era quella di schiavo sessuale, che tale ero sempre stato e che avrei accettato qualsiasi prova pur di compiacere la mia stupenda padrona. La mia servitù sessuale durò, quindi, per due anni, nei quali compii i più turpi servizi non solo alla mia padrona, ma a chiunque la mia padrona volesse. Bello o brutto, giovane o vecchio, donna, uomo o trans, senza eccezione alcuna.
Poi la mia padrona, con la totale mancanza di pietà e umanità che la caratterizzava, decise di scaricarmi e sostituirmi. Ma questa è un’altra storia. (FINE)
NOTA. Nomi, cose, persone, situazioni descritte in questo e nei precedenti episodi sono interamente frutto della fantasia dell’autore, il quale, in ogni caso, si scusa per eventuali, non volute, coincidenze, omonimie o somiglianze con persone o situazioni reali.
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