Il ragazzo sulla panchina.

Scritto da , il 2022-01-11, genere tradimenti

Ciao, sono Anna, 48 anni, se non sapete nulla di me, vi invito a leggere i miei precedenti racconti. Sono tutte confessioni di fatti veri. Qualcuno potrà dire che non vi succede nulla, ma è la mia vita e credo dimostri il mio essere troia, sia pure solo con la fantasia. E' una realtà che ormai accetto. La mia voglia di cazzo e di gioventù cresce coi giorni. Non cerco approcci ma sono diventata assai sensibile al mondo esterno e comincio ad essere perennemente eccitata per quello che vedo e prima forse non vedevo.
Nel momento in cui scrivo, mi chiedo - come spesso accade - se avrei davvero il coraggio di vivere davvero una storia, tradendo mio marito - al quale voglio bene ma che sessualmente non mi dice più molto - e, si, credo di essere pronta.
Ne sono stata consapevole qualche giorno fa. Una mia amica di vecchia data ha voluto che la accompagnassi da un medico per una visita. Nella sala d'attesa c'era molta gente e l'usciere ha invitato chi non dovesse visitarsi ad uscire, a causa dell'emergenza covid. Così ho dovuto attendere la mia amica fuori, all'uscita del palazzo. Sennonché, poiché la mia amica mi avvertiva col cellulare che avrebbe atteso almeno per un'ora, andavo a fare un giretto per quella strada, a dire il vero un po' malfamata.
Guardavo le vetrine di qualche negozio di quella brutta periferia e poi tornavo ad aspettare su una panchina nei pressi dell'edificio dove era sito lo studio medico.
Di fronte a me c'erano alcuni ragazzi, seduti su un'altra panchina. C'erano movimenti strani, forse di droga. Arrivava un altro ragazzo su un motorino e lasciava a questi tre sulla panchina qualcosa, poi si allontanava. I tre allora si facevano uno spinello.
A quel punto, poiché cominciavano a guardare dalla mia parte, pensavo fosse meglio smammare. Qualcosa però mi tratteneva. Due su tre erano decisamente bellocci, ma uno dei tre, un ragazzo bruno e magro che doveva avere intorno ai vent'anni, cominciava a fissarmi in volto e sorridermi come a volermi rimorchiare. Insomma, cominciavo a sentirmi desiderata, il che non è poco per una quasi cinquantenne, come si dice oggi una Milf. Ricambiavo gli sguardi sorridendo anch'io e squadrando il ragazzo. Indossava un giubbotto nero e un pantalone di tuta abbastanza esplicito per quanto riguardava il suo sesso. Si, il suo uccello doveva essere davvero grosso, dal rigonfiamento del pantalone che mi esibiva sfrontatamente e che continuamente toccava, come con volgarità indubbia fanno spesso i ragazzi delle periferie quando sono dotati. Mi ricordavo del bel Matteo (vedi racconto precedente) e pensavo che non avevo mai notato nel corso degli anni quanti ragazzi davvero ben messi ci sono in giro.
Pensavo, stupidamente, che ai miei tempi non ne vedevo, ma forse è semplicemente che non avevo la voglia di cazzo che ho adesso oppure era dovuto ad un fatto di moda (nel senso che in passato non usavano jeans o tute come quella che aveva questo selvaggio).
Mi rendevo conto che seduta accavallando le gambe, con una gonna del tailleur che indossavo abbastanza corta, stavo facendo vedere le mie ancora belle cosce, e anche il seno prosperoso, col cappottino scoperto, era ben visibile; insomma li stavo eccitando, giacché ora tutti e tre erano fissi sulle mie grazie e commentavano qualcosa che non riuscivo a capire ma intuivo benissimo.
Forse avrei dovuto davvero togliere le tende, la situazione si sarebbe potuta far pericolosa, ma ero eccitatissima e più sentivo quegli sguardi sul mio corpo, più sentivo di stare per bagnarmi.
A quel punto, ai tre si avvicinava una ragazza molto carina, una diciottenne probabilmente, era la ragazza del primo che mi aveva puntato - quello col pantalone della tuta - perché lo baciava sulla bocca. Fumava un po' con loro dalla canna che ancora girava, poi gli altri due andavano via e restavano lei e lui. I due si sedevano sulla panchina e cominciavano a baciarsi appassionatamente, anche se lui, appena poteva, continuava a flirtare con gli occhi con me. E io da puttana quale mi sentivo consapevolmente in quel momento, continuavo a ricambiare con lieve accenno di sorriso che doveva apparirgli inequivocabile.
I due erano affiancati e pomiciavano con grande foga. A un certo punto lei accarezzava con la sua mano destra il ventre del ragazzo, che ora aveva aperto il giubbotto e mostrava una t shirt attillata e dietro di essa un fisico magro e asciutto non muscolosissimo. La fanciulla andava su e giù con la mano scoprendo l'addome, quando lui la prendeva e se la portava sul cazzo, ora in tiro sotto il pantalone della tuta. Era un palo enorme che subito la ragazza, evidentemente abbastanza esperta nonostante l'età, sapeva come palpare, con lievi ma efficaci movimenti in su e giù. Poi, in un impeto dovuto alla crescente e comprensibile voglia, afferrava la verga come una spada mentre prendeva a baciare il collo del suo boy friend. Che però con sguardo tra l'estasiato e il provocatorio continuava a guardare me. In pratica ero partecipe di quel suo momento, anche se la puttanella non si avvedeva proprio della mia presenza, presa come era dall'esplorare il corpo del tipo, ora con la mano che giungeva fino al suo pettorale.
E in realtà, la mia partecipazione a quel punto non si limitava a stare lì attonita ed eccitata: con un gesto che qualche ora dopo giudicavo da deficiente, portavo la mia mano sul mio seno accarezzandomelo dapprima da sopra all'abitino, poi introducendola nel reggiseno. Nel contempo mi mordicchiavo il labbro inferiore. Avevo perso totalmente il controllo!
Dio se mi avesse vita la mia amica! Non pensavo a nulla. Avrei voluto schizzare tra quei due ed estrarre il cazzo di lui dal pantalone per masturbarlo e succhiarlo avidamente. Attenta solo a vedere se passasse qualcuno, continuavo a corrispondere agli sguardi, che ora erano quasi degli inviti ad avvicinarmi, del ragazzo. Mi torturavo così il capezzolo sinistro con due dita, ormai rossissima in volto, mentre con la mano sinistra andavo su e giù sulla gamba sinistra alzandomi un po' la gonna e facendo capire al ragazzo che ero in fiamme. Il mio messaggio era chiarissimo, sfacciato: avrei voluto essere lei e a quel punto mi sarei fatta montare lì per strada.
D'improvviso, il ragazzo fermava la troietta in calore, prendendo una sigaretta dalla tasca del giubbino e accendendosela. La tipa non si scomponeva, ne prendeva una anche lei e poi cominciava a chattare col telefonino. Infine telefonava a un'amica per dire qualcosa su cui non mi soffermavo, non avendone interesse. Si, perché a quel punto la mia attenzione era solo per lui. Che intanto toglieva il giubbino e restava in maglietta, peraltro con un tempo freddo che nessuno di noi doveva più avvertire, e naturalmente con lo sbalorditivo attrezzo in tiro sotto la tuta. Fumava e mi guardava con aria di sfida. Il cazzo doveva essere duro come una roccia mentre io lo fissavo con faccia da battona che non lasciava adito ad interpretazioni. Se mi avesse ordinato di andare lì a toccarglielo lo avrei fatto immediatamente. E naturalmente avrei baciato quelle labbra carnose, toccato il suo torso per poi farmi cavalcare a culo all'aria sulla panchina...
Ero ormai bagnatissima e nel turbine delle fantasie quando lui si alzava, approfittando della relativa lontananza della ragazza (che civettava con l'amica a telefono), e si avvicinava ad un albero per fare ... pipì!!!
Estraeva così il cazzone, lungo ma soprattutto grosso, e ne scoperchiava la cappella, spaventosa. Ero sbigottita. Era chiaro che lo faceva per me, per mostrarmi qualcosa che non avevo mai visto, che nemmeno immaginavo esistesse. Infatti si voltava mentre espletava il suo bisogno e sorrideva. Poi appena terminato, si voltava dalla mia parte col cazzo semieretto e lo inseriva nelle mutande Calvin Klein per poi ricoprirsi col pantalone. Ero lì a guardarlo sconvolta. Io non credo di aver mai visto un cazzo così, e non parlo solo del penoso pisellino di mio marito.
Ma non è tutto: lo stronzo prendeva un'altra sigaretta e poi me ne offriva una e con cenno del capo mi invitava ad avvicinarmi per prenderla. Ma io ero paralizzata. Giuro!
Allora si avvicinava lui e me la portava per poi accendermela mentre la avevo tra le labbra. Ora, era vicinissimo a me e sentivo, o credevo di sentire, il suo odore di maschio arrapato. "Come ti chiami?", mi faceva - e già quella voce da bastardo aumentava lo sballo della mia grondande fighetta. E io, mentendo: "Sandra" (che poi è il nome della mia amica). "Ok, Sandra, segnati il mio numero". Io come un automa, presi il telefono e lo scrissi nell'agenda.
La ragazza era a una decina di metri e si era accorta della manovra. A quel punto mi sentii in imbarazzo per una eventuale scenata, e mentre lei si avvicinava, salutavo con uno ciao lo sfrontato e mi allontanavo repentinamente senza voltarmi.

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