Tutto torna (prima parte)

Scritto da , il 2021-10-05, genere etero

Autunno 2020
Ad Andrea De Carolis le nuove disposizioni ministeriali sulle mascherine (pardon, sui “dispositivi di protezione delle vie respiratorie”) proprio non andavano giù. La pandemia aveva rialzato la testa dopo un’estate illusoria, specie nella prima parte, quando sembrava che il famigerato coronavirus stesse per estinguersi da solo. Pia illusione, appunto.
Da ferragosto in poi il numero dei positivi era cresciuto in maniera esponenziale, e a ottobre inoltrato si era nel bel mezzo della vaticinata seconda ondata. Il governo in carica aveva cercato di arginare il fiume in piena con provvedimenti farraginosi, come per esempio l’obbligo di portare sempre con sé il dispositivo di cui sopra, lasciando intendere che bisognava indossarlo H24, anche se in realtà non era proprio così. L’ennesimo DPCM, che Andrea aveva ribattezzato NSCPP, ossia Non Sappiamo Che Pesci Prendere, a dirla tutta imponeva la mascherina sono nei luoghi affollati o quando ci si trovava a breve distanza interpersonale con il prossimo. Il cosiddetto “Distanziamento Sociale”, quindi, che giustamente qualche mese dopo l’Accademia della Crusca avrebbe rettificato in “Distanziamento fisico”.
In termini non politichesi, chiunque poteva infischiarsene della mascherina, a patto di portarsela appresso e deambulasse in aree dove l’assenza di altre persone fosse “continuativa”. Andrea, che il DPCM lo aveva letto, riletto e imparato a memoria, dopo cinque minuti di museruola aveva fastidio a respirare, trovando indigesta la sua stessa anidride carbonica. “Se siamo nati col naso libero da impedimento alcuno ci sarà un perché?” soleva argomentare. Oltretutto doveva rinunciare sovente agli occhiali da vista, che si appannavano nel breve volgere di due secondi netti, altro motivo per detestare quegli incapaci a Roma. Comunque in quel momento respirava a pieni polmoni, impegnato in una salutare corsetta pomeridiana. Cultore della forma fisica e della sana alimentazione, Andrea aveva varcato la soglia della cinquantina alcuni mesi prima, e a detta dei più dimostrava dieci anni di meno. In particolar modo quando ti rasava la barba a zero, barba che col fluire degli anni era sempre più tendente al bianco, come era lecito attendersi da un ex quarantenne. Il grigiore, almeno per adesso, non aveva intaccato più di tanto la nera capigliatura, folta e con lieve accenno di stempiatura. A corollario di tutto ciò, il suo peso forma era attorno ai settanta chili per un metro e ottantuno di altezza. Mica male, considerando che la totalità dei suoi coetanei non riusciva più ad arginare panza e guanciotte gonfie, spesso aggravate da calvizie più o meno radicali. Coetanei che le più volte lo canzonavano per la sua passione per le lunghe sgambate, le sgroppate a ritmo regolare e le avventurose escursioni in bici lungo i percorsi dei territori circostanti. Gli stessi coetanei che, sarà stato un caso, incontrava puntualmente nei pressi del bar più vicino, a svuotare boccali di birra e a fumarsi un mozzicone dopo l’altro. Ma così filava il mondo. Un mondo che in occasione del famigerato lockdown di marzo e aprile consentiva ai tabagisti di uscire di casa quando volevano, per rifornirsi di salubre nicotina, mentre chi osava mettere fuori in naso per mera attività sportiva veniva bollato come incosciente, o untore, o semplicemente criminale.
Andrea non si era mai sentito tale, e aveva tirato dritto per la sua strada, evadendo di casa tutte le volte che l’aveva ritenuto opportuno, determinato a farsi rispettare qualora qualche imbecille in divisa gli avesse contestato di aver eluso gli arresti domiciliari senza una valida motivazione.
In linea di massima gli era sempre andata bene, anche perché le rare ingerenze delle forze dell’ordine avevano riguardato quasi sempre automobilisti o centauri, con le eventuali sanzioni ridotte all’osso. Dalle sue parti insomma si preferiva indulgenza e tolleranza, a patto di non tirare troppo la corda.
Così il primo lockdown era trascorso senza colpo subire, ma dopo sei mesi la situazione era di nuovo punto e a capo, e le ristrettezze che tutti si auguravano di essersi lasciati alle spalle non solo erano tornate, ma addirittura inasprite. A cominciare, appunto, dalla faccenda delle mascherine.
Quel mite pomeriggio di metà ottobre Andrea percorreva i consueti cinque chilometri quotidiani a piedi. Andatura sostenuta ma senza eccedere, come quando si procede svelti per non tardare a un appuntamento importante. Trotterellava, in buona sostanza, e questa era una complicazione per chi disdegnava le museruole. Perché in tal caso si era tenuti a usarle, sempre a condizione di rispettare il distanziamento sociale, pardon fisico.
Tuttavia il neocinquantenne bazzicava lungo una stradina deserta, agli estremi limiti della periferia, e solo all’ultimo momento si accorse di essere affiancato dalla vettura dei vigili urbani. Tentò di simulare indifferenza, proseguendo impettito e guardando avanti, ma il pubblico ufficiale alla guida non era dello stesso avviso.
“Perché non indossa la mascherina?” lo apostrofò con improntitudine, nemmeno avesse a che fare con un mocciosetto che pisciava controvento. Almeno buongiorno, che cacchio.
“Non mi risulta che sia carnevale”, fu la replica stizzita.
“C’è poco da fare gli spiritosi, sa? La mascherina è obbligatoria ovunque, per sua informazione!” sbraitò il vigile alla guida. Fortemente sovrappeso, espressione truce e chiaramente prossimo alla pensione, pareva che non aspettasse altro che sfogarsi su qualcuno a seguito di una giornata storta.
“Invece si sbaglia, e di molto. Conosco bene il decreto, cosa crede? L’obbligatorietà consiste nel portarsela sempre appresso, questo è vero, ma non si è tenuti a indossarla sempre. Altrimenti fra pochi mesi saremo sfuggiti al covid, certo, ma non da asma bronchiale.”
Il funzionario fece per ribattere, ma Andrea non aveva ancora finito. “E fiscalità per fiscalità, in questo momento è lei che andrebbe sanzionato, dal momento che in macchina siete in due, e tiene la museruola, pardon mascherina, calata sotto il naso. Praticamente come se non l’avesse.”
Effettivamente la montagna di lardo non era solo. Con ogni probabilità era fiancheggiato da una collega, della quale non riusciva a scorgere il viso, ma solo -si fa per dire- la dolce curvatura di un seno che non passava inosservato. Andrea poi era un cultore dei seni sodi e vistosi, e il cappellino che portava, con la scritta I love bustys in chiara evidenza ne era una riprova. Era un berretto sportivo nero, comodo e pratico, gradito gadget di una rivista specializzata. Lo adoperava ogni qualvolta usciva per fare jogging o passeggiare.
“Non si preoccupi per noi. Non siamo tenuti a indossarle, nonché a fornirle alcuna spiegazione”, tentò di giustificarsi mister colesterolo a mille, pur consapevole di sparare una panzana.
“E certo! Il virus giustamente si tiene alla larga da chi indossa una divisa, onde evitare richiami o contravvenzioni.”
“Ancora spiritoso, vedo. Sto per sbellicarmi dal ridere, pensi un po’. É pregato di mettersi la mascherina, ora, senza discutere, altrimenti ci metto poco a sanzionarla. Molto poco, si fidi.”
Andrea tuttavia non intendeva mollare. Era una questione di principio. Sulle prime sembrò piegarsi, dato che estrasse da una tasca una mascherina celeste di uso chirurgico.
“Vede? Lei e la sua collega potete constatare che sono ligio alle regole, e infatti obbedisco al cosiddetto DPCM, che impone di portare sempre con sé un dispositivo come questo. Ma se arretro di due metri, come sto facendo adesso”, e così dicendo arretrò di tre passi, “non devo sottostare ad alcun obbligo, visto che la cosiddetta “distanza sociale” è ampiamente rispettata. O sbaglio?”
Il ragionamento e la dimostrazione di Andrea non facevano una grinza, tuttavia l’odioso tutore del traffico si sentì palesemente preso per i fondelli, e agì di conseguenza.
“Glielo ripeterò ancora una volta, l’ultima. É pregato di indossare quella fottuta mascherina, altrimenti quattrocento euro di ammenda non glieli toglie nemmeno il Padreterno in persona. Mi sono spiegato?” Tono in crescendo, dapprima moderatamente accomodante, ma alla fine sbraitante e perentorio. E tanto per darsi un contegno, l’agente aveva poi sollevato la mascherina, coprendo così il nasone a patata.
“Non ci provi nemmeno. Conosco i miei diritti. E da quel che ho capito, farebbe meglio a informarsi dettagliatamente sui decreti da fare rispet…”
“Rizzo, muovi il culo e prepara il verbale!” Strepitò a quel punto il bulldog, rivolgendosi alla collega. Poi spalancò la portiera e fece per uscire, riuscendovi dopo due tentativi andati a vuoto. Ma se pensava di intimidire quel cittadino così sfrontato e indolente aveva fatto male i conti.
Andrea infatti non arretrò di un passo, limitandosi a indossare di nuovo la mascherina, trovandosi a tiro di droplet. La mole oblunga del vigile, poi, anziché intimorirlo per poco non lo fece scoppiare a ridere. Non solo il funzionario era tozzo, tarchiato e in evidente affanno, pur non avendo prodotto sforzo fisico rilevante. Era la sua statura a rincarare la dose, rendendolo improbabile e ridicolo. Vantava, si fa per dire, uno strepitoso metro e sessanta stentato, che lo costringeva a piegare il capo in alto per incrociare lo sguardo con lui.
Nel frattempo la collega Rizzo lo aveva raggiunto senza profferir parola, brandendo penna e taccuino, in evidente imbarazzo che si coglieva nonostante la bardatura in viso. Andrea poté così studiarla nel dettaglio, e l’impressione fu più che positiva.
Rizzo sovrastava il collega di una decina di centimetri, e pesava la metà. Occhi vispi e furbetti, naso probabilmente a punta, lunghi capelli rossi e lisci, età stimabile tra i venticinque, ventotto al massimo. Bella ragazza, poco da eccepire, con un fisico da pin-up e un seno sfrontato che onorava la camicetta di ordinanza. La classica tettona, sentenziò Andrea, compiaciuto, chiedendosi se lei conoscesse il significato della scritta sul cappellino. Si augurò di sì.
“Ci fornisca le sue generalità, prego”, lo riscosse il lardoso, distogliendolo controvoglia dalla piacevole disamina.
Stavolta Andrea non fece una piega e snocciolò i suoi dati sensibili, senza tuttavia degnarlo di uno sguardo. Per principio ci provava solo con le over 40, e considerava ridicoli coloro che si facevano accompagnare da ragazzette che potevano essere loro figlie o nipoti. Ma l’espressione a tratti sorniona e a tratti maliziosa della Rizzo lo stavano persuadendo a rivedere certe regole non scritte. Quest’ultima aprì bocca solo per le domande di rito utili alla compilazione del verbale, che eseguiva con una certa riluttanza. O almeno così gli sembrò.
“Ha un documento?” incalzò il collega, che non ci stava a essere tagliato fuori da quel gioco di sguardi. Anche stavolta Andrea lo accontentò senza fiatare, e anche stavolta non gli concesse lo sputo di un’occhiata. Occhiata che si posava a intervalli regolari su occhi e seno della vigilessa, la quale ne era consapevole, e reagiva con un sorrisetto sfrontato e sbarazzino, impossibile però da cogliere, causa mascherina. E come se non bastasse, Andrea ebbe un’erezione.
“Assurdo”, commentò tra sé. “Ti viene duro di fronte alle ragazzine, nemmeno fossi un quindicenne. Anche se non hai tutti i torti, a giudicare da quel paio di protuberanze…”
Il lato positivo della grottesca situazione era che gli animi si erano placati, così il vigile lardoso poté restituirgli la carta d’identità, unitamente a una multa di quattrocento euro e spiccioli. Mica male per una corsetta pomeridiana di metà ottobre.
“Farò ricorso”, lo liquidò il runner, squadrandolo per mezzo secondo scarso.
“Faccia come crede”, replicò l’altro, tornando al posto di guida con le solite difficoltà deambulatorie.
La collega lo imitò, ma un istante prima di accomodarsi, e approfittando dell’accensione del motore non poco catarroso, ammiccò verso il cappellino di Andrea.
“Bella scritta”, commentò senza farsi sentire dal collega.
‘Belle tette’, avrebbe voluto ribattere lui , ma per il quieto vivere si limitò ad annuire, con un sorriso appena accennato. Sorriso che la Rizzo registrò nella sua pienezza, avendosi Andrea calato di nuovo la mascherina.
La ripartenza dell’auto fu stentata e asmatica, mentre ad Andrea non restò altro che riprendere l’esercizio fisico. “Nomen omen”, rifletté mentre riacquistava il blando ritmo di poco prima. Già, perché la rossa vigilessa dal cognome ambiguo continuava a farglielo rizzare. Fortuna che nei pressi non c’era anima viva, altrimenti sai che figura.

“De Carolis carissimo, come va? Non ci si sente da un pezzo, perbacco!”
“Ciao Gaggiolo, come butta? Sei ancora a piede libero o finalmente la giustizia ha fatto il suo corso?”
Andrea De Carolis ed Elio Gaggiolo si conoscevano da una trentina d’anni, eppure persistevano a chiamarsi per cognome, mai per nome. La professione di Gaggiolo – avvocato penalista in costante decadenza – era una valida prerogativa per rivolgersi a cani e porci per cognome, a prescindere dal loro ceto sociale. E a entrambi andava bene così.
“Ogni tanto ci provano, ma riesco sempre a sfangarla. Ho i miei metodi, come ben sai.”
“Sì, ma anche le bustarelle risentono dell’inflazione, e se continui spendere e spandere senza ritegno, mi chiedo come potrai continuare a pagarle.”
“Quanto è vero! Al limite c’è sempre il mio ghostwriter preferito a foraggiarmi di tanto in tanto, e come sempre a fondo perduto…” E anche se i due si trovavano a centinaia di chilometri di distanza e si parlavano al telefono, Gaggiolo strizzò ugualmente l’occhio.
Andrea divenne serio. “É a proposito di pecunia che ti chiamo, avvocato. Ho un problemino con una multa che ritengo ingiusta, e vorrei sapere come muovermi per farmela levare.”
“Da quanto tempo vivi da quelle parti, un mese? E già ti sei messo nei guai? Stavolta di che si tratta, ci hai provato con l’unica carabiniera donna del circondario, vecchio provolone?”
“Tre settimane e due giorni”, puntualizzò Andrea, che riassunse dettagliatamente quanto gli era accaduto venti ore prima.
“Vigili urbani, eh? In tal caso si fa ricorso al sindaco, come da prassi”, gli spiegò allora l’avvocato.
“Al sindaco? Andiamo bene. Si tratta di una cittadina di meno di diecimila abitanti, niente di più facile che si conoscano tutti, primo cittadino in primis. Figuriamoci se cancellerebbe una multa a un pinco pallino qualsiasi, inimicandosi così il corpo dei vigili.”
“Purtroppo è così, De Carolis, ma non demordere. Puoi sempre sbandierare che sei amico mio, e che gli addetti al traffico me li mangio la mattina a colazione, o minchiate del genere. Fa sempre effetto spargere di vantare amicizie altolocate.”
'Dio santo, allora sì che sarei davvero costretto a pagare, accollandomi inoltre le spese processuali', pensò sconsolato Andrea, che mai nella vita avrebbe voluto un azzeccagarbugli come Gaggiolo difenderlo in una qualunque vertenza giudiziaria, fosse stata anche il furto di una caramella. “Da quel poco che so è avvocato pure lui”, preferì mentire, ormai pentito di aver fatto quella telefonata. “Okay, mascalzone togato, grazie lo stesso. Ci si sente.”
“Sempre a disposizione, scribacchino.”

Malgrado la scoraggiante consulenza del suo amico, Andrea non perse del tutto le speranze di risparmiare quattrocento euro. Con i tempi che correvano era un peccato mortale gettare alle ortiche. Perciò si ripromise di fare una capatina in municipio appena possibile, ossia due giorni dopo, lunedì.
Per intanto aveva da trascorrere un sabato in beata solitudine, e di pomeriggio ammazzò il tempo pedalando per due ore in sella alla sempre affidabile mountain-bike del 2013.
Il giorno dopo come di consueto alternò il tipo di attività motoria, optando stavolta per una passeggiata senza pretese, a passo lento, tanto per favorire la digestione.
Com’è come non è si ritrovò a percorrere la strada fatale, dove si era scornato col vigile zelante e sovrappeso. E senza mascherina in viso nemmeno stavolta. Convinto più che mai di avere subito un sopruso bello e buono, non intendeva recedere di un passo. E se la coerenza non era aria fritta, si sentiva in diritto/dovere di bardarsi il viso solo di fronte a evidenti necessità.
Il tempo si era mantenuto gradevole e temperato, cielo terso e una leggera brezza da levante. Condizioni ideali per mettere insieme più di quattro passi. Anche stavolta Andrea era l’unico nei paraggi a spostarsi a piedi, mentre le auto di passaggio erano sparute e discrete. Tutte tranne una.
Una Panda blu scuro di non recente immatricolazione lo affiancò. Lui non ci fece caso, finché udì una voce vagamente familiare.
“Ha cambiato berretto, a quanto pare.”
Ancor prima di voltarsi, l’uomo capì al volo di chi si trattava. Ne ebbe conferma anche grazie alla sfrontata curvatura del seno, pur celato dalla camicia di ordinanza, oltre che dallo sguardo furbetto e perennemente malizioso. La vigilessa tettona, insomma, e stavolta senza mascherina a occultare il sorrisetto sornione, sveglio e intelligente.
E in effetti la sua osservazione era stata legittima. Quel pomeriggio Andrea portava un capellino sportivo, sempre nero, ma stavolta con la scritta Bud’s in evidenza, a reclamizzare la sua birra preferita.
“Temo che l’altro fosse un tantino esplicito”, rispose, soffermandosi un po’ più del dovuto su quel seno che pareva invocarlo come le sirene con Ulisse. Poi tentò di apparire meno accomodante, e aggiunse: “Se vuole multarmi di nuovo perché sono privo di museruola conosce già i mei estremi. Quindi stavolta non si disturbi ad alzarsi”. Detto ciò, fece per riprendere il passo, senza attendere replica. Ma era tutta finzione: in realtà quella ragazza lo intrigava parecchio, e si augurò che quell’incontro inaspettato si dilungasse ancora un poco.
“A parte che non sono ancora entrata in servizio, da me non ha nulla da temere. Anzi, se ci tiene a saperlo secondo me è stato vittima di un’ingiustizia. Ma non potevo oppormi di fronte a un superiore di grado.” Anche il tono cantilenante e mieloso della voce contribuivano a renderla ulteriormente sexy. Aveva tutti i pregi, la vigilessa Rizzo.
“Sì, ho apprezzato la sua strenua difesa nei miei confronti”, ironizzò Andrea, arrestandosi per la seconda volta. “Ma la sostanza non cambia, visto che dovrò sganciare quattro testoni, anche se ho sempre intenzione di oppormi.” Nonostante le migliori intenzioni, l’occhio si tuffava su quell’avvallamento toracico che Dio solo sapeva quanto avrebbe voluto esplorare. Ne era talmente ipnotizzato che pensò di non aver capito bene la domanda susseguente, così chiese alla ragazza di ripeterla.
“Le occorre un passaggio?”
Ebbene sì, la prima volta aveva compreso bene, altroché.
“In verità ho iniziato da pochi minuti… E poi, sbaglio o non siete autorizzati a caricare a bordo dei civili?”
“A parte che questa è la mia auto personale, non sono ancora in servizio. Inizio tra mezz’ora”, spiegò lei con quel sorriso tanto empatico quanto accattivante. “E vorrei farmi perdonare per l’accaduto. Odio le ingiustizie di qualunque forma.”
“Farsi perdonare… come?” In realtà Andrea aveva in mente diversi modi, ma non stava a lui scegliere quello più consono.
“Caffettino?”
L’uomo annuì, guardandosi attorno come se si aspettasse di essere vittima di uno scherzo di cattivo gusto, predisponendosi a un eventuale assalto da parte di una decina di addetti al traffico ghignanti e assetati di sangue. Invece neanche un cane nel circondario, con la sola vigilessa a intrattenerlo in mezzo al nulla.
“Perché no.”

Una volta accomodatosi in auto, Andrea ritenne doveroso presentarsi, ma la ragazza lo anticipò.
“So tutto di lei, almeno riguardo i dati essenziali, ricorda? É toccato a me redigere il verbale.”
“Come non dimenticarlo. Piuttosto, possiamo darci del tu, anche se a occhio e croce ho il doppio dei tuoi anni?”
“Certo. E io sono Greta, piacere.” Contrariamente a come non si usava più, per ragioni pandemiche, gli porse la mano destra. Andrea esitò un momento.
“É sterilizzata dall’amuchina, non temere”, scherzò lei. Nel frattempo sul suo viso era ricomparsa la mascherina d’ordinanza.
Andrea sorrise e ricambiò il gesto.
“Non sei di queste parti, ho letto nel verbale”, affermò Greta mentre riavviava il motore.
“Sono del profondo sud, anche se non ci torno da una vita. Amo trasferirmi di qua e di là, a seconda dell’ispirazione. Vivo qui da poche settimane.”
“Infatti hai un accento ‘misto’, diciamo. Tipico di chi ha vissuto in tanti posti.”
“Tu invece sei autoctona?”
“Sì. Qualche volta ho provato a cambiare aria, ma appena mi si è presentata l’opportunità ho tentato la sorte e mi è andata bene.”
“Scommetto che sei ancora una novellina.”
“Sono vigilessa da meno di due mesi, sì. É così evidente? Ah, la mascherina, ti spiace indossarla?”
“Giusto.”
Andrea obbedì di buon grado, con l’occhio indiscreto che finiva sempre col posarsi su quel paio di tette che promettevano così bene, ed erano la principale causa di un’erezione testarda e persistente.
“Dove si va?” domandò dopo un po’, imponendosi di guardare altrove.
“A casa ho una macchinetta del caffè niente male. Se vuoi andiamo là. Così subito dopo potrò entrare in servizio. Il comando dei vigili è a due passi.”
“Per me va bene, ma siamo sicuri di non trovarci il tuo fidanzato?”
Greta lo fissò per un momento, sorniona. “Non vive con me, non ancora. Per adesso divido l’affitto con una collega. Ma in questo momento non c’è.”
Niente da fare: non solo l’erezione non scemava, ma quel tono di voce moderato, cantilenante e sensuale contribuiva ad aggravare la situazione.
‘Bentornato a quando avevi sedici anni, caro Andrea’, pensò rassegnato.
Giunsero a destinazione alcuni minuti dopo. Greta abitava dall’altra parte della cittadina, e impiegarono quel tempo a rivivere l’episodio che li aveva fatti incontrare due giorni prima. Inoltre la ragazza ammise che il diretto superiore non le andava per niente a genio, e lo stesso valeva per quasi tutti i suoi colleghi.
“Chissà perché non ne sono stupito”, concordò lui.
Poco dopo i due fecero ingresso nella casetta che Greta aveva preso in affitto, e Andrea fu fatto accomodare in un salottino accogliente e luminoso.
Nell’attesa del caffè si guardò attorno e fu subito attratto da alcune foto incorniciate, messe in bella mostra lungo una cassettiera. Le prime tre ritraevano Greta in pose e periodi differenti, mentre le restanti due riguardavano una ragazza a lui sconosciuta. Sicuramente la coinquilina.
Nelle tre istantanee, Greta sfoderava il suo immancabile e amabile sorrisetto. Nella prima era immortalata in una spiaggia affollata, in bikini turchese e i piedi nella battigia, come se stesse valutando se bagnarsi o meno. Nella seconda sorrideva in primo piano. Non era possibile stabilire cosa indossasse, visto che in pratica si trattava di una fototessera ingrandita.
La terza immagine gli mozzò il fiato.
“Cazzo!” non poté che esclamare, sia pure sottovoce, e non aveva tutti i torti. La ragazza mostrava la schiena nuda e indossava solo un perizoma leopardato. Era in bagno, china in avanti, in modo che il suo trionfale fondoschiena rubasse la scena a tutto il resto. Un culo da urlo, a forma di mandolino, liscio, abbronzato e privo solo della parola. La foto non era stata scattata a tradimento, poiché Greta ammiccava a beneficio dell’obiettivo, mentre si asciugava i lunghi capelli con il phon.
“Hai capito la vigilessa arcigna e irreprensibile?” commentò Andrea tra sé, distogliendo a fatica lo sguardo da quelle chiappe da playmate.
L’immagine di fianco ritraeva un’altra ragazza, carina, mora, minuta, fotografata a sua insaputa e che si guardava attorno, mentre sedeva a un tavolino di un pub.
Ma fu la quinta e ultima foto a strappargli una nuova, smorzata esclamazione.
“Cacchio…” Non si fosse trovato in casa altrui, le due sillabe avrebbero risuonato lungo le quattro pareti, ma poco importava. Era sempre la ragazza di prima, o almeno tutto lo lasciava supporre, dato che la si vedeva di spalle. A differenza della foto del pub, stavolta la tizia era molto meno vestita, dal momento che indossava solo un succinto bikini. Del resto era una chiara ambientazione balneare, e difatti la moretta stava per spiccare un balzo da una piattaforma di cemento armato, per tuffarsi nel mare sottostante. Fu il suo delizioso lato B a fargli strabuzzare gli occhi. Pur tettomane impenitente, quando si trattava di bei culi Andrea smarriva la trebisonda, e poco ci mancava che si mettesse a sbavare come un cane idrofobo. E il culo della tizia era persino più arrapante di quello già sontuoso della vigilessa Greta. Altro mandolino cesellato, liscio, abbronzato come solo Madre Natura a volte sapeva produrre. Insomma era destino che quel pomeriggio l’insolente erezione di Andrea perdurasse a tempo indeterminato.
“É Rosaria. Mia amica, collega e coinquilina”, lo informò la voce flautata di Greta alle sue spalle.
Come un ladro colto sul fatto, Andrea si affrettò a staccare lo sguardo dall’ottima dotazione di Rosaria, cercando una battuta spiritosa per giustificarsi. Ma quando piantò gli occhi su Greta, si avvide che quest’ultima a sua volta era priva di vestiti e mascherina, a eccezione di un perizoma nero.
“Ora le puoi guardare liberamente”. Ovviamente la ragazza si riferiva al suo voluttuoso paio di tette, ma Andrea non ebbe certo bisogno del suo benestare. Due seni ben torniti e sodi ricambiavano la sua espressione estatica e bavosa, inchiodata su due capezzoli alti, vermigli, proporzionati e in pieno inturgidimento. Era un pezzo che l’uomo non aveva occasione di ammirare tanta bontà a tu per tu. E lo avrebbe consumato con lo sguardo ancora a lungo se Greta non lo avesse riscosso con una certa premura.
“Purtroppo ho i minuti contati, e quello stronzo del mio capo mi fa pesare anche i centesimi di secondo…”
“E… quindi?”
“…e quindi direi di andare subito al sodo, mentre per il caffè sarà per un’altra volta”, e così dicendo la giovane tettona si inginocchiò e gli calò pantaloni della tuta da ginnastica e slip. Non tanto, giusto quanto serviva per sguainare un pene gonfio ed eretto come un obelisco pulsante.
Andrea, piacevolmente sbalordito e a corto di obiezioni o argomenti, riuscì a farfugliare un “Tu sei tutta matta”, pur lasciandola fare di buon grado.
Greta si serviva di labbra, denti e lingua con movimenti esperti e coordinati, mettendoci forse un po’ troppa foga, ma non aveva scelta.
“Scusami”, si giustificò in un momento in cui fu in grado di parlare, lasciando alla mano destra il compito di proseguire. “Vorrei tanto fare le cose con calma e in pieno relax, ma per stavolta ti dovrai accontentare.”
“Tranquilla, non presenterò reclamo”, sorrise Andrea, conscio di non poter resistere ancora per molto. Certo non si aspettava di sborrare così in fretta, nemmeno fosse un ragazzetto alle prima esperienza con una professionista, ma Greta ci sapeva fare. Tornò a lavorarlo di bocca e dopo un minuto un familiare fiotto caldo e denso, accompagnato da un rantolo catarroso, le riempì la bocca e parte del cavo orale. Il piacere che ne scaturì fu così debilitante che ad Andrea quasi gli si piegarono le ginocchia, con la bravissima bocchinara che gli aspirò anche l’ultima, singola goccia. Poi, soddisfatta del risultato, Greta ingoiò il tutto, per poi baciargli sbrigativa la punta del pene; quindi si rialzò, andando di corsa a recuperare la divisa di ordinanza.
E mentre lo faceva gli diede le spalle, attardandosi solo quando ci fu da sollevare i calzoni, in modo che Andrea potesse avere ulteriore conferma dell’armonia di quelle curve.
“Bello, il tuo benvenuto in città”, le disse mentre si ricomponeva a sua volta, con l’erezione che finalmente iniziava a ridursi.
“Non potevo lasciarti andare in giro con quell’alzabandiera”, lo canzonò lei. “E poi volevo rifonderti per un torto subito, no? E qualcosa mi dice che lo hai gradito.”
“Altroché. Se non fosse che le mie finanze sono quelle che sono, mi farei multare dalla mattina alla sera!”
Greta scoppiò a ridere con lui e insieme uscirono di casa. Lei si scusò per non potergli dare uno strappo, e Andrea replicò che andava bene così. Si salutarono e ognuno andò per la sua strada. Ma prima che le distanze glielo impedissero, lui si voltò e buttò un’occhiata nostalgica all’incedere sculettante della vigilessa più sexy che avesse mai conosciuto.
“Beata gioventù”, sospirò serafico, mentre una nuova e impertinente erezione tornava a profilarsi all’orizzonte.

Nei giorni seguenti il pensiero insistente di Andrea volò sul corpo lussurioso di Greta, ma anche sull’ottimo lato B della sua amica Rosaria, al punto che si scordò di presentare ricorso per la famosa contravvenzione.
Aveva preferito infatti buttarsi a capofitto sul suo lavoro e sui suoi hobby, in attesa dell’evolversi degli eventi. E sì, perché si augurava di cuore che il fausto incontro con la vigilessa avesse un seguito. Magari meno sbrigativo, possibilmente. Anche perché, in fin dei conti, quel squisito paio di bocce non aveva avuto opportunità di sfiorarle con un dito.
Urgeva perciò rimediare alla prima occasione. Anche perché non era mica facile concentrarsi sul suo lavoro di ghostwriter, pungolato da un chiodo fisso che non ti mollava un istante.
Andrea infatti per vivere scriveva storie per conto terzi. Era diventato romanziere quasi per caso, diversi anni prima. Durante una tediosa e lunga convalescenza che lo aveva costretto alla sedia a rotelle, aveva dovuto ammazzare il tempo in qualche modo. Da sempre vorace lettore di romanzi di vari generi, si era reso conto che quel passatempo non era sufficiente per riempire le ore di immobilismo forzato. Così, complice uno spot pubblicitario molto in voga in quel periodo, si era abbonato a una rivista che insegnava la scrittura creativa a romanzieri in erba. E come per tutte le sfide che affrontava, anche stavolta ci aveva dato dentro col massimo impegno, finché diversi mesi dopo era stato in grado di realizzare la sua opera prima.
Il romanzo descriveva le drammatiche vicende di un costruttore edile che si era trovato di punto in bianco travolto da una crisi senza precedenti. Come se non bastasse, moglie e figlia gli avevano voltato le spalle, mettendolo praticamente alla porta. Così, indeciso se farla finita o tagliare i ponti con tutto e tutti, alla fine aveva optato per la seconda soluzione. Quasi per caso si era ritrovato in Sardegna, dove la situazione era ulteriormente precipitata. Al punto che lo spettro del suicidio stava profilandosi minaccioso all’orizzonte. Ma un incontro inaspettato, proprio quando stava per compiere l’insano gesto, gli avrebbe cambiato la vita, riscattandola e regalandole un senso concreto rispetto alla sua esistenza precedente.
Il libro fu rifiutato da tutte le case editrici a cui si era rivolto, per la verità senza sperarci più di tanto. Ma grazie all’intervento del suo amico avvocato, Andrea ottenne iil riconoscimento meritato. Gaggiolo infatti vantava una marea di conoscenze, molto spesso tutt’altro che lecite; tra quelle ‘legittime” vi era Michele Bosco, scafato agente letterario, che seppe valorizzare al meglio la sua opera, trovandogli un editore facoltoso e strappando un contratto di collaborazione più che dignitoso.
'La filosofia del bene' balzò in poche settimane in testa alle classifiche di vendita, ma Andrea visse il suo quarto d’ora di gloria con un certo distacco, reiterando il medesimo concetto. “Sono solo un lettore passato momentaneamente dall’altra parte della barricata”, si schermiva nelle interviste di rito. “Non aspettatevi molto altro in futuro. Meglio un romanzo fatto bene, che la gente ricorderà con piacere, senza rimpiangere i soldi spesi, piuttosto che proporre la solita minestra riscaldata. Non fa per me, credetemi.”
E in effetti La filosofia del bene fu la sua unica pubblicazione. Non smise mai di scrivere, certo, ma a causa di avvenimenti avversi, Andrea preferì tornare nell’ombra. Un po’ per il quieto vivere, ma soprattutto per sfuggire quanto possibile dal suo ineluttabile destino. Di conseguenza il grande pubblico si scordò svelto di lui. Chi invece non lo dimenticò fu il suo agente, che saputo del suo addio alla narrativa gli suggerì un’alternativa allettante e sotto traccia. Che lui ben lieto di accettare.
“Se non vuoi più scrivere per te stesso, fallo per gli altri, come ghostwriter”, gli aveva spiegato Bosco. “Non immagini quanti autori affermati vi ricorrono, specialmente nei periodi di blocco. Okay, a loro spettano gloria, onore, recensioni più o meno addomesticate o eventuali stroncature, oltre che quattrini. Tu dovrai accontentarti di questi ultimi, ma c’è di peggio a questo mondo, no?”
Andrea non trovò valide argomentazioni per ribattere a tanta ovvietà, così si dichiarò disponibile a un tentativo. E i risultati, più che positivi, non si fecero attendere.
Michele Bosco lo presentò a un famoso autore di romanzi gialli ambientati nella Bassa Padana, che da alcuni anni vivacchiava con storie riesumate dal cassetto dopo giacenze ultradecennali. Ad Andrea l’ispirazione non mancava mai, e fu sufficiente un pomeriggio per mettere insieme le basi per un potenziale bestseller. Che fece subito centro, rilanciando così le quotazioni dello scrittore in crisi.
Come preventivato, gloria e santità baciarono solo quest’ultimo, ma a Andrea poco importò. Anche perché la sua parte di profitto si rivelò niente male. Ma non solo: prese a collaborare in modo attivo, per non dire determinante, con altri due romanzieri piuttosto noti, anche loro a corto di ispirazione. Nessun problema. C’era sempre il De Carolis a tirarli fuori dalle secche. E pazienza se nessuno lo avrebbe mai saputo. Se c’era qualcosa che Andrea non avrebbe mai barattato era il privilegio di vivere un’esistenza discreta, pressoché inosservata e apparentemente impalpabile. In fondo la felicità sta nelle piccole cose, filosofeggiano i saggi.
Qualche tempo dopo il suo raggio di azione si estese verso la stesura di soggetti e sceneggiature di fiction televisive. E benché il suo contributo fosse anche stavolta notevole, il suo nome non apparve mai nei titoli di coda. Andrea era una sorta di fantasma – ghostwriter, appunto – a cui attingere ogni qualvolta si presentasse la necessità. Un’attività segreta che di tanto in tanto gli consentiva di trasferirsi qua e là lungo lo Stivale, alla ricerca di nuove idee o spunti preziosi.
E stavolta quanto tempo si sarebbe trattenuto nella cittadina dove aveva rimediato una multa, ma anche un benvenuto di tutto rispetto? A saperlo…

Estate 2018
Sonia Gutierrez aveva trentotto anni, prossima ai trentanove, ma ne dimostrava dieci in meno. Nata in Italia da genitori venezuelani trapiantati in Lombardia, era una donna che faceva girare la testa a chiunque avesse il privilegio di incontrarla.
Di statura media, lunghi capelli scuri e lisci che si gettavano a cascata sulle spalle, sino a lambire i glutei. Occhi castani, vispi e intelligenti. Naso a punta posto al di sopra di due labbra carnose e vermiglie. Fisico slanciato, col lato B ‘brasiliano’, cioè squisitamente largo ma non troppo, voluttuoso e fatto apposta per essere dimenato nel corso di ritmiche danze tribali.
Ma soprattutto il seno.
Quel davanzale armonico, smisurato e quindi impossibile da occultare con efficacia era un tratto caratteristico e imprescindibile quando si parlava di Sonia. Non a caso la maggior parte di chi si riferiva a lei la chiamava ‘la tettona’. Raramente adoperavano nome o cognome. Del resto Sonia Gutierrez deteneva il più bel paio di meloni di tutto il circondario, quindi era giusto rendere onore al merito. D’altro canto lei non si sforzava più di tanto per limitarne l’appariscenza. Qualunque capo indossasse, era immancabilmente scollato, giorno o notte che fosse, in pubblico o in privato che si trovasse. Le scollature vertiginose per Sonia erano un vero e proprio 'must'. Con conseguente visibilio per tutti i tettomani in circolazione dalle sue parti. Se la sudamericana avesse mai sospettato di quante innumerevoli erezioni fossero responsabili quel paio di meraviglie, be’, forse si sarebbe posta qualche doveroso limite. Ma lei era fatta così, e a nessuna persona etero e sana di mente sarebbe mai balenata l’idea di modificare il suo stile di vita… Uno stile di vita che la spingeva ogniqualvolta ad affrontare qualunque situazione di…petto.
Altra peculiarità di Sonia era il sorriso radioso, spontaneo e sincero.
Chiunque avesse anche un vago ricordo di lei, anche avendola adocchiata a distanza e senza sapere chi fosse, di Sonia ne rammentava il sorriso… almeno come seconda dote. Perché certo, quelle tettone da urlo monopolizzavano l’attenzione generale, ma quando lei sorrideva mostrando una chiostra di denti candidi e perfetti, non si poteva non apprezzare in egual misura. Il classico raggio di sole, insomma, che scaldava animi e cuori anche nelle giornate più cupe.
A completare il quadro, già di per sé rifulgente, c’era anche la sua voce. Superfluo affermare quanto fosse sensuale, ritmata, volutamente lenta e regolare, come se fosse ben conscia di quello che stava per dire, senza esitazioni o tentennamenti alcuni. L’accento era solo vagamente spagnolo, e affiorava solo in determinati momenti, e mai per caso. Oltretutto Sonia era una discreta cantante, passione coltivata con poca convinzione quando era una teenager. Si cimentava in brani semplici, orecchiabili, popolari, e proprio per questo fatti apposta per valorizzare un timbro vocale degno di un call center per adulti.
Andrea De Carolis, pur non avendola mai incontrata in vita sua, o almeno 'non ancora', di Sonia aveva appreso tutto questo, sia pure indirettamente e in circostanze del tutto fortuite.
Quell’estate del 2018 aveva deciso di trascorrerla lungo la riviera ligure, cominciando dalle Cinque Terre per avanzare verso ponente, con l’intenzione di terminarla a Ventimiglia, dove di fatto terminava il territorio italiano.
Per gli spostamenti usava quasi sempre il treno, anche perché non aveva molta scelta. La patente di guida gli era stata ritirata diversi anni prima, per guida in stato di ebbrezza. Per la verità si era trattato di una normale sospensione, e terminati di novanta giorni comminati poteva tornare a guidare. Magari con qualche punto in meno, ma comunque 'poteva' rimettersi al volante.
Invece no. La sua coscienza, unitamente a uno spiccato senso di responsabilità, lo aveva messo spalle al muro, facendogli capire quello che in fondo aveva sempre sospettato. Andrea non era fatto per guidare. Per andare in bici magari sì, perché no, ma senza pretendere salti di categoria. Stesso discorso per motociclette di bassa cilindrata o per le minicar tanto in voga tra i giovanissimi. Vai a piedi o in bici, oppure fartici portare, gli aveva imposto il suo Io razionale. Si vive bene lo stesso.
Così ormai da decenni i suoi trasferimenti erano regolati da mezzi di trasporti pubblici, con annessi pregi e difetti. Di negativo c’era che doveva sottostare a orari imposti da altri, gli piacesse o meno. Del resto non era mica semplice scendere a patti con un treno, locale, regionale o Intercity che fosse. Quindi tanto valeva adeguarsi e cercare di coglierne i lati positivi.
Uno di questi era che sovente si aveva il piacere di condividere la tratta con belle gnocche potenzialmente disponibili. Sempre a patto, naturalmente, che fossero single o non accompagnate da eventuali consorti. Per la verità Andrea non era mai stato un donnaiolo eccelso, ma talvolta riusciva a prendersi qualche soddisfazione. Certo non era tipo da sveltine consumate in tutta fretta nella toilette del vagone, ma un paio di volte gli era capitato anche quello. Ma nell’eventualità di un amplesso più rilassato, con i tempi giusti e nella comodità di un letto ad almeno una piazza e mezzo… meglio ancora. Magari presso l’hotel più vicino alla stazione di turno.
Ma nel caso di Sonia, le cose cominciarono diversamente.
Galeotto fu il suo smartphone, che lei aveva dimenticato in una poltrona del diretto delle nove e trenta del mattino. Poltrona dove due minuti dopo si accomodò proprio Andrea, che nel treno vi era appena salito. Era un vagone ampio, senza cabine, con diversi posti a sedere vuoti. Del resto l’ora di punta era passata da un po’. Nessuno negli immediati pressi, così Andrea fu il solo ad accorgersene.
Si trattava di un dispositivo costoso, ultimo modello e acquistato in tempi recenti. Era acceso e senza alcun sistema di sicurezza attivo, così poté visualizzarne il contenuto senza impedimenti.
E comunque bastò l’immagine dello screensaver a mozzargli il respiro.
Una bellissima immagine di Sonia, sorridente, scollata, elegante e in compagnia di una ragazza molto simile a lei, presumibilmente la figlia, gli dava il benvenuto. Mamma e figlia si tenevano la spalla a vicenda e ammiccavano spensierate alla fotocamera che le aveva immortalate, nel più classico dei selfie, scattato dalla più giovane delle due. Quest'ultima non aveva nulla da invidiare alla florida genitrice, anche se Sonia vantava un paio di taglie di seno in più. Una sesta, perlomeno, fu la stima da quel tettomane incallito che era Andrea. Così finì per ficcanasare ulteriormente nei meandri del dispositivo. Ignorando così la flebile voce della coscienza, che gli sussurrava che era meglio comportarsi con senso civico, consegnandolo a chi di dovere. Del resto il controllore sarebbe passato lì a momenti, quindi niente di più facile cedergli la patata bollente, e tutti felici e contenti. Lo avrebbe anche fatto, certo, ma 'dopo'. Anche l’occhio voleva la sua parte.
E in effetti l’addetto al controllo dei biglietti si palesò poco dopo, con Andrea che gli prestò un grado di attenzione appena sufficiente per esibire il biglietto. Di fatto era piombato dentro l’universo fotografico della sconosciuta; un mondo fatto di curve sinuose, sorrisi accattivanti e di varia umanità, quasi sempre composta dal solo gentil sesso.
La cartella delle immagini conteneva infatti decine di fotografie, e per visionarle tutte ci sarebbe voluto l’intero pomeriggio. Oltretutto la stazione in cui doveva scendere era ormai prossima, perciò per il momento si limitò a una rapida scorsa a casaccio.
Fu subito fortunato. Una Sonia dal sorriso imperituro e dal topless stratosferico gli apparve da una spiaggia candida e dalle acque turchesi e cristalline. Andrea pensò subito a una località caraibica o del sudovest asiatico, ma fu una divagazione effimera. I larghi capezzoli color porpora, visibilmente turgidi e attorniati da due mammelle così grosse che occorrevano quattro mani per afferrarle in pieno, non tolleravano distrazione.
“Cazzo!” si fece sfuggire, scordandosi che era pur sempre in un vagone passeggeri occupato, sia pure sparutamente, da altri viaggiatori come lui. ‘Cristo, che tette!’ aggiunse poi, stavolta solo mentalmente. Era sotto ipnosi, stranito, imbesuito. Anche perché le altre due istantanee che riuscì a visualizzare erano dello stesso tenore. Un trionfo, un festival di topless. Con conseguente, inevitabile, vigliacca e quasi dolorosa erezione, proprio ora che doveva alzarsi.
E sì, perché nel frattempo il convoglio era giunto a destinazione, e non c’era molto tempo per saltare fuori. Tuttavia si concesse un’ultima occhiata, rapidissima, a una quarta foto. Per poco non pestò i piedi a una signora che transitava dinnanzi a lui, anch’ella diretta all’uscita. Colpa della nuova versione di Sonia, che stavolta non era da sola. Riecco la figlia, anche lei in topless da urlo, che sfiorava quello della madre.
“Minchia!“ commentò estasiato, e di nuovo lo fece a voce. Fortunatamente l’annuncio dell’altoparlante, che informava i passeggeri che si trovavano in quella determinata stazione, fece in modo che nessuno lo udisse.
Una volta all’aperto fece per spegnere l’apparecchio, ma poi paventò che forse alla riaccensione sarebbe stato necessario digitare il PIN, quindi si limitò a disattivare la carta SIM. In questo modo nessuno lo avrebbe disturbato mentre visionava l’intero album, sia tramite semplici telefonate, sia con le varie messaggistiche che necessitavano di connessione a internet. E non vedeva l’ora di rigettarsi tra quelle tettone da spavento.
E l’albergo in cui alloggiava era giusto a due passi.

Autunno 2020
Doveva essere destino che quando Andrea la incontrava, Greta indossasse sempre la tenuta da vigilessa.
Avvenne alcuni giorni dopo lo sbrigativo fellatio. Era pomeriggio inoltrato quando lo scrittore aveva deciso di concedersi un’ora di mountain-bike, modificando il percorso che affrontava di solito. Stavolta aveva optato per un circuito ‘interno’ nel centro abitato, che attraversò in lungo e in largo, senza tralasciare alcun rione. Giunto alla piazza principale, che distava circa un chilometro da dove abitava, ecco che la intravide, di spalle e a piedi. E non da sola.
Era affiancata da una collega. Quasi certamente la stessa ragazza dal sedere modellato che aveva ammirato nelle foto del loro salottino. Un po’ più bassa di statura, minuta e dai lunghi capelli scuri, solo parzialmente coperti dal copricapo di ordinanza. Nel complesso non pareva affatto male. Andrea le affiancò, salutandole con un mezzo sorriso.
“Salve, come va? Bella giornata anche oggi, vero? “
Sulle prime Greta non diede segno di riconoscerlo, e ne aveva ben donde.
Sì, perché con quel casco nero da ciclista, gli occhialoni da sole e l’abbigliamento autunnale da fuoriclasse delle due ruote, Andrea era 'effettivamente' irriconoscibile. Questo indipendentemente dal fatto che non indossasse la mascherina anti covid, bonaria concessione dei DPCM per chi praticava attività sportiva all’aperto. Ma dopo essersi fermato e appoggiato il piede a terra, si levò gli occhiali. La ragazza allora annuì, sorridendo e rispondendo al saluto. Un sorriso, in questo caso, celato dietro la famigerata mascherina, ma ci si doveva accontentare.
“Salve a te! Niente jogging oggi? “
“Oggi è il turno dei pedali. Le scarpe da runner scalpitano, ma le adopererò domani. Tutto Okay? Mi domandavo che fine avevi fatto… “
“Sì, tutto Okay, ma con più impegni del solito ultimamente. “ Poi, rivolgendosi alla collega, Greta le spiegò: “Il signore è il tizio della multa ingiusta, ricordi? “
L’altra annuì, senza commenti.
“Lei è Rosaria “, disse poi la rossa, tornando a rivolgersi a Andrea. “Quella delle foto che hai visto l’altro giorno. “
“E come dimenticarle “, replicò lui tra il serio e il faceto. “Piacere, io sono Andrea. “
“Rosaria, piacere mio “, si presentò la piccoletta, con una voce un po’ più stentorea di quanto lui si aspettava. Del resto, nelle botte piccola… Piuttosto sembrò essere arrossita leggermente, dopo l’accenno alle foto. O era un’impressione? Per la miliardesima volta Andrea maledisse le fottute mascherine del cazzo.
In ogni caso si presentò a sua volta, poi domandò a Greta: “Sbaglio o abbiamo un caffè in sospeso? “
Le due ragazze stavano pur sempre lavorando, quindi non era il caso di intrattenerle a lungo, presso una pubblica via e sotto lo sguardo indiscreto di passanti e automobilisti.
“Vero. Be’, noi stacchiamo alle venti, quindi sarà un po' tardi per un caffè. Ma se ti accontenti di una cena senza pretese… “ E prima di proseguire Greta incrociò lo sguardo con quello dell’amica, che dopo una breve esitazione annuì.
“Se ti accontenti, insomma, ci farebbe piacere averti nostro ospite stasera. Diciamo alle nove. Che ne dici? “
“Volentieri, ma… ci saranno anche eventuali fidanzati? “
“No, stasera via libera, sia per me che per Rosaria. Per motivi diversi sono entrambi fuori città “, lo rassicurò Greta.
Ad Andrea sovvenne l’antico adagio secondo cui quando il gatto non c’è, i topi ballano. Anzi, in questo caso le tope… ma saggiamente lo tenne per sé.
“Okay. Non vedo l’ora. A più tardi, bellezze! “ E detto questo riprese a pedalare, lasciandosele alle spalle, abortendo per tempo un principio di erezione. Per esperienza personale sapeva che la sella della bici risulta piuttosto scomoda, se sei alla prese con l’uccello che si anima di vita propria. Sì, era decisamente disagevole.

Il ghostwriter si presentò puntuale, portando con sé una bottiglia di lambrusco amabile, ideale per accompagnare un pasto serale.
Restò deluso, senza darlo a vedere, dall’abbigliamento informale delle due ospiti, entrambe in tuta sportiva da ginnastica. Si era auspicato ben altro, ma quando fu informato che erano rincasate in gran ritardo dal lavoro, comprese che avevano avuto appena il tempo di dedicarsi alla preparazione della cena.
Cena che fu servita dopo un’attesa di venti minuti, durante i quali Andrea si era offerto di dare una mano, offerta rispedita al mittente. Tra spaghetti con condimento leggero, carne rossa e insalata, ebbe modo di raccontare un po’ di sé. Cosa faceva per vivere, cosa aveva fatto in passato e come mai era capitato da quelle parti. Mentre parlava lo sguardo cadeva inevitabilmente sul seno di Greta, che la giacchetta della tuta celava integralmente. Per fortuna la forma di quelle due tette perfette la si poteva apprezzare ugualmente, unitamente al sorriso malizioso di lei.
Inoltre Andrea apprezzò anche il viso amabile di Rosaria, ora che non era costretta alla mascherina. La ragazza era carina, con un bel visetto armonico, con occhi scuri, naso a punta, capelli lisci, lunghi e scuri che le arrivavano alle spalle. Il sorriso era timido e simpatico, e non partecipava più di tanto alla conversazione, senza tuttavia perdersi una parola. Anche lei, come Greta, era entrata nel corpo dei vigili urbani di recente. Non era di quelle parti, bensì di una provincia limitrofa, e quando Greta le aveva proposto la coabitazione, in modo di ammortizzare le spese, aveva subito accettato.
Non si mostrarono particolarmente colpite quando Andrea illustrò loro la sua attività di scrittore per conto terzi. Ammisero infatti di non essere lettrici di romanzi, ma di vivere da sempre in mezzo ad altri tipi di libri, ossia quelli da studio. Le loro passioni erano altre, come la musica leggera, la vita notturna nei weekend presso pub o discoteche, o anche al cinema o presso feste tra amici. Ma da alcuni mesi il mondo aveva dovuto fare i conti con la pandemia, con la conseguenza che diverse abitudini erano state accantonate, a partire dalle comuni forme di divertimento.
Tuttavia lasciarono intendere che l’estate appena trascorsa non era andata sprecata, e che si erano concesse alcune spensierate avventure, complice il momentaneo calo di contagi a livello nazionale. Andrea annuì, concordando che si vive una volta sola, e che la verde età era fatta soprattutto per divertirsi.
Nel complesso fu un’ora molto gradevole, durante la quale lui si destreggiò fra argomenti vari, puntualmente conditi da fine umorismo e autoironia. Greta e Rosaria insomma non si pentirono di averlo invitato, e contribuirono attivamente alla conversazione, specialmente Greta; Rosaria infatti persisté, fino alla fine della cena, al minimo sindacale. La stessa Rosaria che, a un certo punto, si scusò annunciando che era stanca e che sarebbe andata a dormire. Andrea ne apprezzò la discrezione e le augurò una buonanotte e un arrivederci a presto. Dieci minuti dopo lui e Greta si ritrovarono nella camera da letto di quest’ultima. Il letto era a una piazza e mezza, quindi di dimensioni più che sufficienti per accoglierli entrambi.

Finalmente Andrea ebbe modo di sbizzarrirsi con bellissimo seno di Greta. La ragazza, quasi completamente nuda, gli sedeva di fianco, mentre lui, comodamente disteso e con la testa su due guanciali, la lasciava fare.
Si era levata tutto, persino le calze, ma non il perizoma. Andrea, che si auspicava un rapporto sessuale completo, le aveva domandato il motivo, ma lei si era mantenuta sul vago.
“Sei tu l’ospite. Voglio che godi solo tu “, aveva risposto.
Con presa esperta lo stava masturbando da diversi minuti, senza fretta, offrendogli il seno all’altezza del viso. Andrea, a sua volta seminudo, glielo leccava, baciava e ne succhiava i capezzoli turgidi, palpandoglielo e massaggiandoglielo di tanto in tanto. Con voce sempre più simile a un rantolo, poi, persisteva a complimentarsi.
“Dio, che tette che hai, Greta… mi fanno impazzire… Le ho desiderate sin dal primo momento che vi posai lo sguardo, il giorno della multa… “
Non erano solo le tette a farlo sbarellare. Mentre lo segava, infatti, la ragazza gli sorrideva come solo lei sapeva fare, conversando con lui, modulando il timbro vocale, rendendolo ancora più sensuale. Lo informò, tra l’altro, che in quei frangenti adorava essere insultata. Sulle prime Andrea esitò, ma non tardò ad adeguarsi.
“L’ho capito sin dalla prima occhiata che sei una grandissima troia “, scatarrò fissandola negli occhi.
“Oh, sì… e sono una troia fortunata, tanto ce l’hai grosso… É un privilegio poterlo lavorare prendendomi tutto il tempo che voglio… “
“Verissimo, cazzo! La volta scorsa sei stata bravina, ma è finito troppo presto… Una roba indegna per una puttanella esperta come te… “
“Sì, sono una puttana “, confermò lei. “E adesso me lo infilo tra le tette… Tanto lo so che non aspetti altro, lurido maiale… “
E alle parole seguirono i fatti. Greta indietreggiò per poi piegare il busto in avanti, accogliendo quel pene eretto alla massima potenza nel solco tra i seni. Dopodiché ve lo imprigionò, quasi facendolo sparire dentro, masturbandolo a colpi di tette.
“Oddio… che porca… che zoccola… che tettona che sei, mh… “
In simili frangenti, si sa, non si vede l’ora che il piacere più intenso esploda senza limiti, ma allo stesso tempo si vorrebbe che tale momento non arrivi mai. E Greta sembrava fatta apposta per spingerti a supplicare entrambe le eventualità. E anche stavolta non affrettò i tempi.
Godeva nel portare Andrea a un passo dalla sopportazione estrema, ma senza permettergli di varcare la soglia. Fu magistrale nel prolungare la ‘spagnola’ per parecchi minuti, nel corso dei quali fu investita da una sequela di improperi, insulti e invettive di ogni risma. Lei li assorbì sbeffeggiandolo di par suo, confermando con l’eterna espressione lasciva qualunque epiteto le venisse rivolto.
Infine, puntuale come la morte, il momento topico arrivò. Conscia dell’imminente eiaculazione del partner, la vigilessa afferrò la punta del pene con la bocca, dopo aver spiegato che odiava gli sprechi.
E in effetti non una stilla di sperma caldo e denso andò persa. L’orgasmo stellare di Andrea fu agevolato magnificamente, con lei che, se fosse stato possibile, gli avrebbe aspirato anche l’anima.
“Troiaaa… “ gemette lui nel parossismo del godimento. Non era certo la prima volta che sborrava in quel modo, ma mai come allora il piacere era stato tanto appagante, al punto di rischiare di perdere i sensi.
“Bravissima “, si complimentò con un filo di voce quando fu in grado di parlare, allungando la mano per carezzarle la guancia.
L’ultima immagine che registrò prima di appisolarsi fu il seno di Greta che persisteva a circondargli un cazzo ancora in piena erezione e visibilmente lieto di siffatta compagnia. Appena sopra, il quadro era completato dal malizioso sorriso di lei. Un sorriso simile a quello che compare a chi compie una marachella senza essere smascherato, e già ne pregusta una nuova.
Dio, come adorava quel sorriso da magnifica puttanella.

Se addormentarsi era stato paradisiaco, il risveglio non fu da meno.
Lo scrittore si destò di colpo, emergendo da un sonno ristoratore, a causa di forza maggiore. Greta infatti gli stava accarezzando teneramente il capo, accogliendolo tra i magnifici seni, mentre giù, nei ‘paesi bassi’, c’era un certo fermento. Sulle prime pensò che la ragazza avesse ripreso il discorso di alcune ore prima, riprendendo a masturbarlo con deliberata lentezza, ma si sbagliava.
Stavolta infatti al suo pene stava provvedendo Rosaria, nuda come mamma l’aveva fatta, impegnata nell’esecuzione di un pompino appassionato.
“Ma cosa…!? “ gracchiò allora lui, non del tutto persuaso di essere davvero sveglio.
“Lasciala fare “, gli sussurrò Greta, cullandolo come fosse un bebè irrequieto da allattare.
A quel punto Andrea si arrese all’evidenza, prendendo atto che era tutto reale, e non un tipico sogno adolescenziale.
La piccoletta ci sapeva fare. A differenza di come aveva agito Greta, pareva mostrare una certa premura, come se non vedesse l’ora di farlo eiaculare. O forse era il suo consueto modo di esprimersi. Oltretutto, volutamente o meno, era china e di spalle, esibendo così quello statuario fondoschiena che lui aveva ammirato tramite le foto del salottino.
“Cristo, quanto siete bone… “ gli venne spontaneo da dire, la voce ancora impastata dal sonno ma già piuttosto affannosa.
“…e puttane! “, rimarcò Greta, persistendo a cullarlo tra le tette, con i turgidi capezzoli che non chiedevano altro che essere succhiati con ardore. Cosa che Andrea fece subito, alternandoli, domandandosi nel contempo quanto avrebbe resistito stavolta.
“Sì… le mie splendide puttane… “
“Non mi pare che disdegni la carne fresca, vero nonnetto? “ lo apostrofò quindi Rosaria, in un momento in cui smise con la bocca, proseguendo con la mano destra.
“E ti credo! Messe insieme raggiungiamo a malapena la sua età “, le diede spago Greta.
Le due vigilesse avevano il potere di elettrizzarlo qualunque cosa dicessero, figurarsi in momenti simili, nei quali ormai non chiedeva altro che liberare tutto il godimento possibile e immaginabile. Greta e Rosaria sembravano uscite per sbaglio da un raffinato film pornografico, dalle quali si erano prese una licenza per potersi curare di lui. Una fortuna mica da poco.
La strepitosa pompa si dilungò per qualche minuto ancora, durante i quali Andrea, tra un gemito, un rantolo e il respiro sempre più affannoso, le coprì di ogni insulto che gli veniva in mente, con le dirette interessate che reagivano ghignando e annuendo. Finché, inesorabile ed esplosiva, l’ondata di piacere lo travolse come uno tsunami. Greta accentuò la stretta al seno, mentre Rosaria completò il suo lavoro di bocca solo dopo essersi accertata di aver ingoiato tutto quello che era possibile ingoiare. Non una cosa rapidissima, in verità.
Poi, prostrato e momentaneamente knock-out, gli ultimi scampoli di godimento che scemavano, le ringraziò di buon grado, ribadendo che come zoccole meritavano un dieci e lode.
“Ma grazie a te per la colazione “, replicò Rosaria mentre si congedava in tutta fretta.
Andrea e Greta scoppiarono a ridere, con Rosaria che sorrise strizzandogli l’occhio e uscendo di scena. Evidentemente doveva entrare in servizio entro breve. E a giudicare dalle prime luci diurne che filtravano dalle tapparelle parzialmente abbassate, doveva mancare poco alle otto del mattino.
“C’è un problema “, disse Greta tra il serio e il faceto. “Come si fa con la 'mia' colazione?”“
Andrea la rassicurò mentre le leccava il capezzolo sinistro. “Dammi una mezz’ora e rimedieremo. “
“Ci sto! “ E suggellò il compromesso appena raggiunto stampandogli le labbra sulle sue, insinuando la calda lingua finché non incrociò quella di lui.
Dio, come sapeva attizzarlo quella rossa mozzafiato!
E a ben pensarci, mezz’ora era una stima alquanto pessimistica.

Estate 2018
Andrea saggiamente preferì non tirare troppo la corda, e riattivò la SIM dopo aver fatto ingresso nella stanza di un modesto alberghetto. Così facendo la telefonata arrivò immediata. Addio alla gradevole prospettiva di rivedere quelle foto, quindi. Prima di rispondere Andrea si gustò la suoneria con motivetto danzante, in stile sudamericano, ma soprattutto gettò lo sguardo al display. Nello schermo era apparso infatti il nome ‘Brenda’, che fungeva come didascalia al viso di una bella ragazza sorridente e spensierata. La figlia della bella mammellona, con ogni probabilità. Ma non era Brenda a chiamarlo.
Fece giusto in tempo a dire ‘pronto’.
“Pronto? Buongiorno, sono la proprietaria del telefono da cui mi sta rispondendo. “ Anche la voce, come previsto, era 'caliente' e sensuale, con un retrogusto di lieve apprensione.
“Lo ha dimenticato in treno, giusto? “
“Esatto. Circa un’ora fa. É da un po’ che provo a chiamare. Temevo che si fosse scaricata la batteria: “
“No, la batteria non c’entra. Il fatto è che mi trovavo in una zona senza campo, ma adesso ne sono uscito. Glielo restituisco quando vuole, beninteso. “
“Ah, bene, molto gentile. “ Sospiro di sollievo. “Dove si trova di preciso? Se non siamo troppo distanti potrei raggiungerla anche subito. “
Andrea le comunicò il nome della cittadina in cui si trovava.
“Allora siamo vicinissimi!“ gioì la donna. “Le è possibile farsi trovare alla stazione, diciamo fra un’ora, un’ora e un quarto? Fra non molto dovrebbe esserci un treno, in partenza da qui. “
“Nessun problema. É sua l’immagine che compare nel salvaschermo? “ Andrea voleva lasciare intendere che si era limitato a rispondere alla chiamata, e che non si era azzardato a ficcanasare nel contenuto del dispositivo.
“Sì, sono io. Lei, invece, come potrò riconoscerla? “
“Porterò in testa un cappellino nero, con la scritta ‘Bud’s’, la famosa marca di birra. Sono alto, magro e barbetta di qualche giorno. Mi riconoscerà di sicuro. “
“Perfetto. Allora a fra non molto, signor…? A proposito, io mi chiamo Sonia. “
“Io sono Andrea, piacere. Siamo d’accordo, quindi. Arrivederci a fra poco."

Dopo una doccia tonificante, Andrea si concesse due tramezzini, una Bud’s e due pesche nettarine. Era pur sempre ora di pranzo, perciò si era procurato lo spuntino in un negozietto lì vicino. Lo aveva consumato in camera e poco dopo eccolo di nuovo alla stazione, ad attendere l’Intercity che arrivava da levante.
Non vedeva l’ora di essere a tu per tu con la titolare di uno dei seni più appetitosi che avesse mai visto sinora. Dopo una ponderata riflessione aveva deciso di farle un certo discorsetto, partendo da lontano, mediante cerchi concentrici sempre più stretti, fino ad assestare la zampata finale.
A condizione, però, che Sonia si presentasse da sola. Altrimenti sarebbe scattato il piano B, che prevedeva di procrastinare i sogni di gloria di un giorno o due. Se proprio doveva esporsi, meglio che non ci fossero scomodi testimoni tra i piedi.
L’attesa durò una ventina di minuti.
L’interregionale entrò in stazione e si arrestò pigro dinanzi a lui. Pochi viaggiatori in uscita e ancor meno in entrata. Sonia fu la prima a scendere.
Andrea la riconobbe all’istante, e sentì il fiato mancare. Le foto che aveva ammirato sino a poco prima non le rendevano giustizia. Dal vivo Sonia era così avvenente, sensuale e felina da dare l’impressione di appartenere a categorie eccelse, inarrivabili per i comuni mortali. E a scapito dell’abbigliamento insolitamente sobrio. Nessuna concessione infatti a scollatura o minigonna, ma semplice t-shirt nera, pantaloni leggeri blu scuro e comuni scarpette estive da passeggio. Un vestiario non dettato dalla ricercatezza, insomma, bensì dalla calda e umida stagione in corso.
Tuttavia impossibile persuadere quel prorompente seno a mantenersi in secondo piano. Macché. La parte anatomica più appariscente della venezuelana esigeva sempre e comunque le luci della ribalta, prendere o lasciare.
Per Andrea sarebbe stato un dolore distoglierne lo sguardo e concentrarsi sul suo viso, che in ogni caso meritava altrettanta considerazione. Sonia infatti lo aveva presto individuato, e nel dirigersi verso di lui aveva sollevato gli occhiali da sole, bloccandoli appena sopra la fronte, sorridendo timidamente. E come sovente accadeva, provò una scossa elettrica nel constatare come il suo davanzale fosse al centro dell’attenzione dello sconosciuto di turno.
Fin dall’età di sedici anni, da quando cioè dal petto le erano emersi quei due promontori, si era accorta che gli occhi maschili, e spesso quelli femminili, immancabilmente si inchiodavano lì, ancor prima di scrutarla in viso. Promontori che, per giunta, reagivano in autonomia, dilatandosi di almeno mezza taglia, come se dicessero: “Ma prego, guardate e ammirate. Non ci offendiamo di sicuro, anzi! “
Essendo poco espansiva per natura, specialmente nei difficili anni dell’adolescenza, agli inizi aveva provato grande imbarazzo, con tanto di rossore in viso e consequenziale balbettio. Tale disagio però non aveva tardato a mutare.
Suo malgrado si era presto resa conto che gli effetti che il suo seno provocava cominciavano a eccitarla. Essere spogliata da occhi lubrici e sognanti la faceva bagnare all’istante, puntualmente, mentre nel contempo quelle sfrontate tettone rincaravano la dose espandendosi. C’erano momenti in cui il reggiseno pareva restringersi, al punto che se lo avrebbe voluto strappare di dosso e affidarne il contenuto al fortunato di turno, intimandogli di massaggiarle, palparle, mungerle, baciarle, succhiarle…
Ma questo non succedeva mai. Pur potendo avere chiunque ai suoi piedi, Sonia non si poteva certo definire una mangiatrice di uomini. Sino ad allora si era concessa quasi esclusivamente all’unico uomo della sua vita, che poi era il padre di sua figlia. Uomo con cui non si era mai sposata e che ora non frequentava più. Le uniche trasgressioni che si concedeva erano mentali, e solo quelle. Con buona pace della nutrita platea dei suoi fans occasionali.
In conclusione, per lei era routine che quel signore maturo ma ancora giovanile indugiasse qualche istante di troppo sulle sue tettone. Se non avesse avuto una certa premura si sarebbe gustata il momento, ma era intenzionata a salire sul primo treno che la riportasse a destinazione. E stavolta con lo smartphone in tasca.
Fu lei a rompere il ghiaccio.
“Il signor Andrea? “
“In persona. Piacere di conoscerla… Sonia, giusto? “ Nonostante le fantasticherie su quel davanzale da urlo, il tono di risposta era stato fermo e immediato.
“Esatto. Intanto la ringrazio e mi scuso per la seccatura. Quando stamani mi sono accorta di averlo perso, temevo di non ritrovarlo più. É un modello parecchio costoso, per giunta comprato da pochissimo.“ Sonia aveva accompagnato quelle riflessioni con un sorriso solare e contagioso, che Andrea apprezzò e ricambiò. Peccato che l’auspicio che si fosse presentata da sola venne meno pochi istanti dopo.
“Mamma, è come dici tu. Il treno parte fra tre minuti, binario 2. Ci arriviamo tramite il sottopassaggio. “
Sui venti, ventidue anni al massimo, la nuova arrivata monopolizzò di colpo l’attenzione di Andrea. Una spanna più bassa di Sonia, capelli di un rosso innaturale, un po’ in carne, accenno di pancetta e…
Un seno monumentale. I suoi occhi non avevano ancora finito di bearsi di quello già imponente di Sonia, che ecco gliene si parava di fronte un altro ancora più voluminoso, di quelli che si avvistano anche a distanza. Impossibile ignorarlo, o non desiderarlo, o non ammirarlo… E questo nonostante la ventenne ricalcasse il medesimo abbigliamento morigerato della madre.
Per uno come Andrea, che dei seni grossi aveva fatto una ragione di vita, la conseguente e fastidiosa erezione non fu una sorpresa. Ricordò vagamente come la ragazza fosse presente in alcune delle immagini dello smartphone, ma con inquadrature del solo viso o in età ancora acerba, quando ancora quei formidabili meloni non erano maturati.
“Brenda, mia figlia “, la presentò Sonia, fingendo di non cogliere il turbamento del suo interlocutore.
“Piacere, Andrea “, fece lui di rimando, annuendo con un cordiale sorriso. Evitò di dare la mano per non essere tentato di allungare anche l’altra, palpando tutto il palpabile.
Brenda sorrise a trentadue denti, annuendo. Un sorriso non di circostanza, bensì intriso di una nota di malizia e finta ingenuità, che Andrea interpretò come un invito a proseguire le formalità in momenti più idonei, senza l’ingombrante mammina tra le scatole. O almeno così gli piacque supporre.
“Di nuovo grazie per la disponibilità, signor Andrea. Ma come ha sentito abbiamo i secondi contati, perciò… “
Lo scrittore comprese l’antifona e tornò a fissare Sonia, stavolta negli occhi. E pazienza se non era venuta da sola. Anzi, forse era meglio così. Chissà, magari i suoi progetti sulla venezuelana potevano estendersi anche alla giunonica figliola, chi poteva dirlo?
“Certamente, mi rendo conto. Adesso le rendo il ‘maltolto’, ma a una condizione.“
Madre e figlia lo fissarono interdette. Quattro occhi e quattro poppe da leggenda puntate su di lui. Dio, come se le sarebbe fatte! Anche ora, lì, lungo i binari e davanti a tutti, e tanti saluti alle telecamere di sorveglianza.
“Che ci diamo del tu“, e detto questo, fu il suo turno di sorridere. Si produsse così in un’espressione scanzonata, simpatica e rassicurante.
Sonia e Brenda non poterono non sorridere a loro volta. Brenda per la verità ridacchiò. Possibile che quel cinquantenne cominciasse 'sul serio' a intrigarla? Mai dire mai.
“Volentieri“, concordò Sonia.
E finalmente l’agognato dispositivo fu consegnato alla legittima proprietaria.
“Senza volerti offendere, Andrea, ma… posso ricambiare in qualche modo? Che so, una ricompensa in denaro? Non farti problemi, davvero. Ne sarei felice. Mi hai risparmiato diverse noie, oggi.“
“A posto così, Sonia. Il piacere è tutto mio, credimi.“
“Che gentile! Hai visto, mamma? Al mondo esistono ancora i signori “, pigolò Brenda, che da quando era apparsa non aveva staccato gli occhi da quella sorta di eroe.
“Ma no, chiunque avrebbe fatto lo stesso. Piuttosto, sicure di non volervi prendere un caffè? O bere qualcosa di dissetante, con questa arsura?“
“Se capiti dalle nostre parti volentieri. Del resto siamo poco distanti, no? Scusaci davvero, ma adesso andiamo. Ancora grazie e buona giornata“, e così dicendo Sonia si congedò, con Brenda al suo fianco. Prima di scomparire dalla sua vista, la ragazza si voltò e lo salutò con la mano, sempre sorridendo di par suo.
Andrea ricambiò. Restò in stazione finché il treno non si portò via le sue nuove conoscenze.
Una cosa era certa: voleva rivederle. E al più presto possibile. 'Doveva' essere un arrivederci, quello, non certo un addio.

Per tutto il resto del giorno nessuna delle due ebbe la mente sgombra per potersi concentrare sulle normali incombenze. Soprattutto Sonia.
Lo sguardo magnetico, fuggevole e perforante di Andrea aveva lasciato il segno. Evidentemente a certe cose era impossibile farci l’abitudine. Pensò a lui costantemente, il seno perennemente espanso, come se il misterioso individuo non solo glielo avesse divorato con lo sguardo, ma addirittura ci avesse giocato con le mani aperte, facendone quello che voleva. E non solo con gli arti superiori.
E non era su di giri solo per essere stata spogliata con gli occhi. Rivivendo gli attimi in cui Andrea aveva adocchiato Brenda e il suo grosso seno giovane e sodo, si scoprì a desiderare che ci giocasse a sua volta. Immaginava le sue capienti mani che a turno si posavano sulle bocce della figlia, mungendole per qualche minuto, per poi fare la stessa con lei, all’infinito e senza soluzione di continuità.
Chiaramente una parte di lei si vergognò di tali licenziosi pensieri, ma l’insano desiderio soverchiava di gran lunga il senso del pudore. Del resto era ancora una donna giovane, bellissima e molto ambita. Non aveva senso fossilizzarsi su un unico amore ormai alle spalle, e in via definitiva. A meno che non decidesse di farsi monaca di clausura.
Anche Brenda pensò molto ad Andrea. Aveva confidato alla madre il suo apprezzamento subito dopo essersi congedate da lui, mentre raggiungevano il treno del ritorno.
“Ehi, mamma, hai visto che fico? É un peccato non esserci trattenute un po’ di più.”
“Mi sembra un tantino stagionato per una che ha compiuto vent’anni da un mese. Potrebbe essere tuo padre, come minimo.”
“Per fortuna non lo è. E poi lo sai, preferisco i maturi ai mie coetanei. Sono tutti imbecilli senza cervello. Ce ne fosse uno con un minimo di fascino, e che non pensi solo a una cosa. Che palle!”
Sonia aveva sospirato, ammettendo che la figlia non aveva tutti i torti. Ma il suo ruolo di genitrice le imponeva una certa equidistanza, a partire dai facili bollori di una ventenne che scoppiava di salute.
“Non sappiamo nulla di lui. D’accordo, è stato molto gentile, ma aldilà di questo resta un perfetto sconosciuto. Che potremmo non incontrare mai più.”
“Certo, certo… Fai tanto la schizzinosa, ma intanto ho ben visto come ti fissava. Stavo per lasciarvi soli soletti, piccioncini…”
Sonia era avvampata, colta in castagna. Del resto nessuna persona al mondo la conosceva bene come la figlia, perciò sapeva che negare l’evidenza era tempo perso.
“Per carità, niente di nuovo sotto il sole”, aveva insistito Brenda, con un tono canzonatorio e sbeffeggiante. “Solo che stavolta mi è sembrato che hai gradito più di altre volte, ammettilo. Ci mancava solo che gli dicevi ‘Dove vuoi e quando vuoi, bello spilungone!’“
“Ma smettila! Ti rendi conto di quante stupidaggini stai dicendo, cretina?” Sonia aveva tentato di mostrarsi indignata, ma con scarsa convinzione. Al punto che, infine, aveva buttato giù la maschera. “É così evidente?”
La risposta schietta e spiazzante di Brenda fu più esplicativa di mille parole. Un vero e proprio colpo di grazia.
“Domandalo alle tue tettone, se non credi a me. Ancora un po’ e quel povero reggiseno cederà come una diga in piena!”
Sonia era scoppiata a ridere, imbarazzata ma anche consapevole di come per la figlia fosse un libro aperto. E non solo per la figlia.
Fortuna volle che, una volta salite sul treno, la ragazza avesse lasciato cadere l’argomento, dedicandosi a smanettare col suo smartphone per ammazzare il tempo durante il tragitto. Sonia la imitò, controllando il suo, constatando con sollievo che non sembrava essere stato violato nelle cartelle più personali. O almeno così le parve. Annotò mentalmente che appena possibile avrebbe spostato il contenuto del suo telefonino altrove. O in una chiavetta USB o direttamente nel Cloud, o qualcosa di simile. Le era andata bene quella volta, non era il caso di sfidare di nuovo la sorte.

Il piano originale di Andrea prevedeva una certa procedura che però, dopo ponderata riflessione, subì una sostanziale modifica.
Oltre ad aver fatto copia della maggior parte delle foto, l’uomo si era segnato il numero telefonico di Sonia, di Brenda e di altri diversi nominativi pescati a caso dal mucchio. L’intenzione era di contattarla un paio di giorni dopo con un banale pretesto, scusandosi di essersi permesso di memorizzare il suo numero personale. Per esempio le avrebbe raccontato che 'casualmente' si trovava dalle sue parti, e si era chiesto se fosse possibile prendere quel caffè lasciato in sospeso alla stazione. Ma ci ripensò.
Avrebbe contattato Brenda, scavalcando la madre, almeno per il momento. L’atteggiamento civettuolo della ragazza non gli era sfuggito. Aveva intuito che era in cerca di tenere amicizie, certo, ma di una certa età. Con ogni probabilità, infatti, a causa della sua prorompenza Brenda era attorniata da coetanei dal tasso di testosterone a mille, come era normale che fosse. Beata gioventù. Lei però era alla ricerca, magari inconscia, di una figura paterna, esperta e rassicurante… Di uno come Andrea, insomma. E non di fugaci sveltine con giovani idioti figli di papà, sotto le fresche frasche.
Andrea si domandò inoltre se un padre ce lo avesse. Qualcosa gli diceva che Brenda era il frutto di un’avventura estiva di una Sonia appena maggiorenne. Una Sonia ancora indecisa su chi scegliere tra i numerosi corteggiatori che sicuramente le si proponevano di continuo. E poco tempo dopo la fine di quell’avventura si era scoperta in dolce attesa. Niente di nuovo sotto il sole, quindi.
“Pronto? Salve, sono Andrea, quello del cellulare ritrovato. Come va?” esordì col tono più pacioso e disinvolto possibile, dopo che Brenda aveva risposto al quarto squillo. A quel punto poteva accadere di tutto, specialmente in negativo. La ragazza avrebbe potuto reagire in malo modo contro quell’evidente violazione della privacy. Anche mandandolo a quel paese e bloccando il suo numero, onde evitare ulteriori seccature. Già, perché Andrea, diversamente dal solito, l’aveva chiamata palesando il suo numero, mostrando così la giusta dose di rispetto e fiducia reciproca. In altre parole lasciava intendere che se si sentiva minacciata, Brenda poteva farlo rintracciare da chi di dovere.
Ma ogni timore svanì in un nanosecondo. Certo che si ricordava di lui.
“Ciao! Che piacere risentirti. Va tutto bene, grazie, e a te?“
Ancora meglio del previsto. Non solo Brenda gradiva l’inattesa sorpresa, ma pareva anzi che non aspettasse altro. L’entusiasmo era tipicamente giovanile, se non adolescenziale. Non era tipa da celare i sentimenti dietro una maschera imperturbabile. Andrea ne dedusse che sarebbe stato più facile del sperato. Meglio così.
“Intanto chiedo venia se ti chiamo dopo averti carpito il numero. Ma sai, di fronte a una ragazza come te è lecito fare uno strappo al bon ton, di tanto in tanto.“
“Figurati, hai fatto bene. Dove ti trovi adesso?”
“Sempre dove mi avete lasciato l’altro ieri, in stazione. Non mi sono più mosso.“ Chiaramente Andrea scherzava, e difatti ottenne l’effetto che si auspicava, ossia di farla scoppiare a ridere.
“Non ci credi? Possa un fulmine incenerirmi se non è vero. Dal momento che vi ho viste sparire all’orizzonte non ho più trovato la forza di muovere un muscolo, e da quel momento sono immobile come una statua di sale, ad aspettare invano il vostro ritorno. Dici che pretendo troppo?“
“Scemo”, rise Brenda, soggiogata dall’atteggiamento sbarazzino di un uomo di cui ancora non sapeva praticamente una mazza.
“Sì, sbellicati pure! Bel rispetto per chi è rimasto incantato da te, da tua madre e… dai vostri argomenti!”
Lei non smise affatto di sghignazzare, prendendo anzi a ragliare come un mulo. Ancora più oca di quanto mostrasse di essere, pensò Andrea. Tutta tette – e che tette! – e poco cervello. A differenza della madre, generosamente provvista di entrambe le qualità.
E sì: lo scrittore aveva puntato sul cavallo vincente.
“So che è prematuro, considerando che ci siamo visti di sfuggita, ma provo a buttarmi lo stesso. Ti andrebbe un aperitivo, più tardi? Lì, dalle tue parti. Qui non conosco nessuno, e per tutto il resto della giornata non avrò un cazzo da fare.” Richiesta rivolta sempre tra il serio e il faceto, con sbilanciamento verso il serio. Con tanto di parolaccia finale, tanto per sondare la reazione di una ragazza che appariva ingenua, ma senza esserlo affatto, e già da un pezzo.
“Se non ci conosci nessuno, come mai ti sei esiliato lì?”
“Te lo spiego davanti all’aperitivo di cui sopra. Non sarà nulla di che. Solo una piacevole mezzoretta tra amici, di cui uno prossimo alla pensione…”
“Ma piantala! Magari fossero tutti malridotti come te, i pensionati!”
“Allora? Sto aspettando una risposta. Che se sarà negativa, ti avverto, avrà conseguenze nefaste sulla mia autostima!”
“Come no! Chissà quante donne riesci a stregare, facendo il finto tonto. E non posso darle torto.” Brenda aveva optato per il sì ancora prima che Andrea avesse terminato di spiegare la sua proposta, ma fingeva di volerlo tenere per la corda.
Il tira e molla proseguì ancora per due minuti, finché arrivò il sospirato Okay.
“Perfetto. Va bene per le sei, alla ‘tua’ stazione? Soli soletti io e te, naturalmente.”
“Va bene, mascalzone latino. Per una volta mammina resterà all’oscuro di cosa faccio quando esco dalla portata dei suoi rada, contento?”
“Per una volta, dici? Sarà, ma scommetto che se Sonia sapesse come trascorri il tuo tempo libero, e con chi, ti spedirebbe in collegio!”
Brenda replicò col medesimo tono semiserio. “Bravo. ‘Se sapesse’. Ma dal momento che ne è ignara, non disturbiamo il can che dorme.”
D’istinto gli strizzò l’occhio, scordando anche se lui non poteva vederla. Ma ancora poche ore, e non ci sarebbe più stato bisogno del telefono.

Due ore dopo essersi riabbracciati all’ombra del treno appena giunto, Andrea e Brenda finirono a letto insieme.
L’alcova fu un monolocale appartenente a un’amica di lei, che in quei giorni era assente. Malgrado i vent’anni appena compiuti, la ragazza dimostrò di avere già una certa esperienza nell’arte del sesso, abbinata alla sua frizzante verve giovanile, che per farla breve la rendeva semplicemente insaziabile.
Tuttavia Andrea le tenne testa magnificamente. Avesse avuto un trentennio di meno avrebbe resistito cinque minuti, anche perché lei deteneva un seno che solo a guardarlo faceva risuscitare i morti. Naturalmente ci si era soffermato a lungo, esplorandolo in tutti i modi possibili. Quindi di lingua, mani, bocca e soprattutto pene. Farsi incastrare il cazzo tra quei due capolavori era qualcosa che avrebbe augurato a chiunque, in particolar modo a chi, come lui, delle tette enormi aveva la fissa. E infatti, al termine di un lungo amplesso in cui avevano sperimentato di tutto e di più, fu proprio quello il modo che scelse per eiaculare. Venire tra quelle tettone da leggenda fu un godimento assoluto, prolungato e appagante. Non una goccia andò sprecata, nel senso che l’intero ‘prodotto interno lordo’ finì per inzaccherare gran parte della superficie del davanzale, a partire dai turgidi e rosei capezzoloni.
Davvero tutto bellissimo, gratificante e per certi versi unico. Dopo la magnifica schizzata propose un break, per recuperare energie. Fu l’occasione buona per parlare di sé e raccontare cosa facesse per vivere.
Purtroppo per lui, Brenda mostrò di non essere particolarmente intrigata o affascinata dal suo mestiere di inventore di storie. Per carità, niente di nuovo sotto il sole. L’Italia non era un Paese di lettori, e lui ne era ben consapevole. Specialmente riguardo giovani e giovanissimi. Brenda non faceva eccezione. Confessò senza mezzi termini che in vita sua aveva letto pochissimi libri, ma che non vedeva l’ora di leggere qualcosa di suo. Anche in questo caso niente di nuovo; quando descriveva la sua professione, gli veniva sempre risposto che alla prima occasione avrebbero provveduto a documentarsi almeno un pochino. Come dire campa cavallo.
Andrea fece buon viso a cattivo gioco, e per chiudere la questione invitò la ragazza a parlare a sua volta di sé. Brenda non si fece pregare, e da brava latinoamericana, almeno di origine, fu un fiume in piena. Adorava parlare, e si vedeva. In sostanza definì i suoi primi vent’anni come sostanzialmente sereni e spensierati. Le scuole dell’obbligo, poi le commerciali e gli studi interrotti quando si era resa conto che quel pezzo di carta non sarebbe mai riuscito a conseguirlo. Un po’ per pigrizia, un po’ perché forse avrebbe fatto meglio a scegliere un indirizzo scolastico più consono alle sue capacità di apprendimento, ma ormai la frittata era fatta. E poi le amicizie, le passioni, i ragazzi (aveva perso la verginità il giorno del suo diciassettesimo compleanno), e la palese, irresistibile voglia di vivere. Dopotutto si era giovani una volta sola.
Poi, finalmente, su imbeccata di Andrea, si soffermò sullo splendido rapporto che aveva con la bellissima madre.
Tra Sonia e Brenda, semplicemente, vigeva l’amore assoluto. Come Andrea immaginava, la ragazza era stato il frutto del più grande amore vissuto da Sonia. Una relazione di diversi anni, ma che alla fine era terminata senza il coronamento di un matrimonio.
“Ma di lui, se vi rivedrete, ti parlerà mamma. Posso solo dirti che si chiama Fabio, ha circa la tua età ed è la seconda persona al mondo più importante e preziosa per me. Un po’ vi somigliate, sai?” dichiarò Brenda al termine del suo breve resoconto.
“Mi fa piacere che siate in ottimi rapporti.”
“Oh, sì. É il padre che chiunque vorrebbe”, aggiunse lei con gli occhi che le si erano illuminati.
“Mentre con tua madre come sono rimasti?”
“Insomma… Oddio, si parlano, sì… E secondo me si amano ancora. Ma tra loro qualcosa deve essersi rotto per sempre.”
“Capisco. Non saranno i primi e né tantomeno gli ultimi. Comunque, tornando a tua madre, si è poi sposata, in seguito?”
“Alla fine no, mai. Intendiamoci, a lei basta schioccare le dita per avere chiunque ai suoi piedi…”
“…pienamente d’accordo. E questo vale anche per te”, concordò Andrea.
“Grazie. Comunque sia, a sposarsi non c’è mai andata nemmeno vicina. Mi ha sempre ripetuto che la nostra famiglia è composta da due sole persone, io e lei, e che va benissimo così.”
“D’accordo, però stento a credere che dopo la separazione da tuo padre si sia mantenuta casta e pura. Che so, anche breve relazioni di poca importanza, tanto per levarsi qualche sfizio. Del resto Sonia è ancora molto giovane, e il sangue caldo deve avercelo anche lei…”
“Be’, sì, in questo caso è proprio come dici tu”, ammise Brenda, sfoderando il sorriso fintamente ingenuo con nota maliziosa a corredo. “Eppure ha avuto molte meno storie di quanto ci si possa aspettare da una donna così bella e desiderabile. Diciamo che in fatto di uomini è piuttosto selettiva, e per farli entrare nella sua vita deve fidarsi ciecamente. E fidarsi di voi maschietti, si sa, non è mai cosa scontata, non trovi?”
“Non riesco a darti torto”, ridacchiò Andrea. Con un sorriso degno di uno squalo.
Uno squalo non entra in azione a testa bassa. Dapprima effettua cerchi concentrici attorno alla preda. Li disegna sempre più stretti, inesorabili, abbinati a un atteggiamento di crescente ostilità.
Finché, dopo che si sente abbastanza sicuro, affonda le fauci senza pietà. Riuscendo spesso nel suo intento. In questo caso le prede erano due, da catturare una per volta, e la prima era naturalmente Brenda.
Il bersaglio grosso, però, era Sonia. Ma ogni cosa a suo tempo. Adesso si spupazzava la figlia, e dopo aver giudicato di essersi riposato a sufficienza, se la sarebbe trombata ti nuovo. Daje, Andrea, si disse compiaciuto, pregustando un nuovo tuffo in un mare di carne fresca.

Autunno 2020
Fabio rispose solo al decimo squillo, quando ormai Sonia stava per desistere. Temeva che ancora una volta la voce incerta e impastata lo tradisse. E infatti.
“Hai bevuto ancora? Bravo, complimenti. La situazione resterà tale e quale, non svanirà dietro i vapori dell’alcol, idiota irresponsabile!” lo aggredì subito la sua ex compagna.
“Taglia corto. Cosa vuoi?” Fabio si vergognò di se stesso. Più che parlare, aveva gracchiato. Dio, come gli scoppiava la testa. Sbornia più pesante del solito, stavolta.
“Semplicemente sapere come stai. Ti chiamo sempre io. Se aspettassi te passerebbero secoli”, si ammorbidì Sonia. Fabio era pur sempre l’uomo della sua vita, anche se il passato non sarebbe più tornato.
“Come sto, mi chiedi? Vediamo. Due giorni fa, o forse quattro o cinque, non so, ho ricevuto il preavviso di licenziamento. Non ricordo di avere risposto, ma presumo di no. Con la banca sono in rosso, ma poco male, mi stavano sulle balle e aspettavo l’occasione propizia per mandarli dove si meritano. Se non sbaglio ho terminato il caffè, mentre lo scaldabagno è rotto da un mese. O due. Sai, quando si è in preda al delirium tremens il tempo scorre per conto suo e non si degna di rendere conto a te. In definitiva sì, sto bene, va tutto alla grande. Pensa se stessi male, piuttosto.”
Stavolta, tutto sommato, si era espresso in maniera passabile, incespicando solo sulle sillabe spigolose. Sonia ebbe un groppo in gola, e ancora una volta si pentì di averlo chiamato. Ma quella era l’ultima, sancì. La penultima al massimo, nel caso un brutto giorno fosse stata costretta a comunicargli la tragica notizia che aleggiava da tempo nell’aria. Ormai Fabio era un caso disperato. Irrecuperabile. Il countdown finale era scattato già da un pezzo, e lui non faceva niente per rallentarlo.
“Neanche il becero sarcasmo servirà a qualcosa. Ancora stento a credere come ti sei ridotto nel giro di così poco tempo. Io ne soffro più di te, come è normale, ma sto cercando di reagire. E dovresti farlo anche tu.”
“A che pro, me lo spieghi? Intendiamoci, mi fa piacere per te, ma ognuno reagisce a modo suo alle disgrazie. Detto questo, ti ringrazio del pensiero e piantala di cercarmi. Non ho bisogno di nessuno, nemmeno di te.”
“Non hai bisogno nemmeno del vino”, fece in tempo a ribattere Sonia, ma non poté aggiungere altro. Fabio aveva chiuso la comunicazione. A quel punto sbuffò risentita e fece per richiamarlo, ma poi lasciò perdere. Conosceva quell’uomo a menadito, e sapeva che sicuramente aveva spento il cellulare.
“Come vuoi”, sospirò tra sé. ”Non farò la tua fine. Non mi ridurrò come te. Non finché il responsabile non avrà pagato.”

Quello stesso giorno, ad alcune centinaia di chilometri di distanza, andava in atto il secondo round tra Andrea e il suo vecchio amico, ossia il vigile lardoso dei quattrocento euro di ammenda. Anche stavolta l’ambientazione era la medesima. Stessa strada di estrema periferia, pressoché deserta, stesso podista privo di dispositivo di protezione delle vie respiratorie, stessa auto della Polizia municipale alle calcagna. Ma stavolta con Rosaria al posto di Greta.
“Allora non ci siamo capiti a sufficienza? Vuole capire o no che la mascherina va indossata sempre, senza eccezioni di sorta?” stava sbraitando, i cagnaccio. Che a onor del vero, aveva la mascherina calata almeno in parte, scoprendo così un nasone storto e peloso.
Ad Andrea ricordò il bulldog dei cartoni di Tom & Jerry, e il paragone ci stava a meraviglia.
A partire dal ringhiare scomposto e rabbioso.
“Anche oggi non ha altro da fare, vedo…” replico placido Andrea, salutando Rosaria con un sorriso e un cenno della mano.
“Evidentemente no. Non si metta contro di me, glielo sconsiglio”, rincarò l’addetto al traffico. “E non mi riferisco solo alla multa che sta rischiando di prendersi di nuovo.”
“Per carità, non mi permetterei mai. E a proposito di mascherina, suppongo sia una perdita di tempo ribadire che non sono tenuto a indossarla se mi trovo in una situazione di isolamento, giusto? Non lo dico io, ma il famigerato DPCM che lei non deve aver letto molto bene…”
“Non si permetta! L’ho letto riga per riga, invece! E se non provvede entro dieci secondi a obbedire alle direttive di cui sopra, sarò costretta a multarla di nuovo, veda lei!” Il bulldog sembrava incapace di comunicare con Andrea senza abbaiare.
“La indossi, per favore. Così finisce qui e ognuno andrà per la sua strada”, si intromise allora Rosaria, chinando la testa per farsi vedere dal sedile del passeggero. “Non ci vuole molto, dopotutto.”
“Guardi, sono tentato di dare retta almeno a lei, che la museruola, pardon mascherina, la porta in modo corretto, e non a chi predica bene e razzola male”, rispose Andrea, continuando a fissare il collega. “Bel nasino, comunque.”
Punto sul vivo, il vigile sistemò la mascherina meglio che poté, coprendo così entrambe le vie respiratorie.
“Cinque secondi!”, esclamò un attimo dopo.
“Ma anche meno”, e così dicendo lo scrittore, anziché piegarsi, estrasse il portafoglio dalla tasca e gli porse la sua carta di identità. “Faccia pure, se proprio la farà sentire meglio. Così finalmente potrò levarmi la sua brutta faccia davanti. Magari faccio ancora in tempo a salvare la digestione, se si sbriga e si leva dai coglioni.”
A quelle parole, per poco il vigile non ebbe un travaso di bile. Per un tizio poco propenso al dialogo e al confronto democratico, la misura era colma. Con le consuete difficoltà motorie sganciò la cintura di sicurezza e uscì dalla vettura a passo di carica. In barba alle disposizioni anti covid piantò il viso a una spanna da quello di Andrea. Quest’ultimo non arretrò di un passo e si chinò a sua volta, in modo che tra i due nasi ci fossero cinque centimetri al massimo.
“Anche se ora porto una divisa, niente può impedirmi di spaccarti la faccia, illustre testa di cazzo”, sibilò il nano, a denti stretti e con i pugni chiusi.
“Però prima devi riuscirci, e ti assicuro che non sarà facile come pensi, botolo. Comunque sia, quando vuoi e dove vuoi. Noi due soli, senza indiscreti spettatori, che ne dici?” Di contro, la calma di Andrea era stata glaciale. Con un tono per niente minatorio, almeno in apparenza, e forse proprio per questo più efficace. Come avesse parlato delle previsioni meteo del prossimo weekend.
“Non chiedo di meglio. Io smonto fra tre ore, perciò fatti trovare davanti al…”
“Alt! Basta, smettetela, per Dio! Vi ha dato di volta il cervello? Comportatevi da persone adulte, per la miseria!”
Oltre a intervenire verbalmente, Rosaria si era fisicamente frapposta tra i due, cercando di allontanarli e riuscendovi almeno in parte.
“Non riesco a crederci!” rincarò. “Due persone mature come voi, che anziché dare il buon esempio pensano di essere ancora alle elementari! Per favore, ricomponetevi e moderate i toni, prima che finiate su YouTube.”
Effettivamente lungo la stradina le rare auto di passaggio avevano cominciato a rallentare. Difficile resistere alla prospettiva di una sana scazzottata. Meglio ancora potendola riprendere in video, postandola poi in tutta fretta sui Social. Del resto ormai si campava di visualizzazioni, e la privacy era un ricordo sbiadito. E presto le auto non avrebbero solo rallentato.
Inoltre, indovinò Andrea, il cagnaccio non doveva essere molto popolare tra i suoi concittadini, e chissà quanti di loro avrebbero gongolato nel vederlo soccombere in uno scontro cruento. Roba da festeggiare per un mese di fila. Ma non poteva permettersi una scomoda visibilità. Mantenere un basso profilo era una sua regola di vita, oltre che una necessità, quindi meglio non dare nell’occhio.
Tuttavia fu proprio il vigile a sotterrare l’ascia di guerra, almeno per il momento.
“Va bene, ma non finisce qui”, e tornò in auto senza più degnarlo di uno sguardo. Una volta comodo, fece segno a Rosaria, rimasta ancora a bordo strada, di fare altrettanto. La ragazza sospirò di sollievo. Non aveva nessuna intenzione di stendere un secondo verbale ad Andrea. Quello di Greta bastava e avanzava, quindi tanto meglio così.
Salutò lo scrittore con un sorriso appena accennato, nel quale lui colse comunque un auspicio a rivedersi presto. Sorriso ricambiato con gli interessi.
Ad Andrea la ragazza piaceva un casino, e la riteneva intrigante quanto Greta. Senza contare un fondoschiena più unico che raro.
L’auto ripartì con la consueta riluttanza, col vigile che si ostinò a guardare dritto davanti a sé, come se Andrea non esistesse nemmeno.
‘Vai, vai, testa di cazzo. Ma ti do ragione: non finisce qui’, pensò lui mentre la guardava rimpicciolirsi all’orizzonte. Carmine Curreli, così si chiamava il tizio, era ufficialmente entrato nella sua lista nera.

Nelle settimane successive il rapporto segreto fra Andrea, Greta e Rosaria si consolidò.
Con la discrezione che lo distingueva, il ghostwriter andava a trovarle di tanto in tanto, e solo dopo aver ricevuto il via libera. Doveva sempre tenere conto che entrambe erano ufficialmente fidanzate, e la prudenza non era mai troppa.
Andrea era molto abile nel non farsi avvistare da chicchessia, e ne veniva regolarmente compensato. Generalmente andava a letto con loro a turno, ma non era raro che entrambe si concedessero insieme. E quando questo accadeva, Andrea metteva in campo una buona dose di flemma e di esperienza, ottenendo pregevoli risultati. Le due vigilesse insomma non restarono mai deluse. Anzi, presto si pentirono di non avergli consentito, i primi tempi, di fare sesso completo. Per Andrea la penetrazione era un’arte, ripeteva spesso; un’arte nella quale mostrava lusinghiere capacità.
Furono settimane nelle quali il vigile Curreli lo tenne costantemente d’occhio, senza tuttavia importunarlo ancora. Una delle ragioni era che finalmente qualcuno era riuscito a mettergli in zucca ciò che Andrea fin da subito aveva tentato di fargli capire. Anche se dai mass media era stato lasciato intendere che la mascherina fosse obbligatoria, in realtà non era esattamente così. L’obbligo era riferito al fatto che il dispositivo andava sempre portato con sé, ma si era tenuti a indossarlo solo se negli immediati pressi circolava almeno una persona. Curreli così dovette ammettere a denti stretti che lo spocchioso forestiero aveva sempre avuto ragione. Ma anche in tal caso, chi se ne frega, pensò.
Lo scrittoruncolo gli stava mortalmente sulle balle, ma non solo. La verità era che per una volta nella vita gli era capitato uno che non avesse soggezione di lui. Di solito vinceva a mani basse i duelli verbali, puntando in primis sul vocione sovrastante e sull’atteggiamento da spaccamontagne. Tutti, prima o poi, piegavano la testa di fronte all’irruenza e all’aspetto minaccioso di Carmine Curreli. E quei fessi che non abbassavano la cresta si ritrovavano presto a mal partito, pagando dazio dopo un cruento scontro fisico, dove tutto era concesso. Se c’era da picchiare duro, lui bombardava. Certo, anche per lui gli anni stavano volando, e la sessantina era dietro l’angolo.
Ma il vigore, la forza e i cazzotti che mollava erano sempre quelli. E alla prima occasione li avrebbe fatti assaggiare al nuovo concittadino venuto da vattelapesca, Italia. Anche a costo di giocarsi il posto di lavoro. Essere temuto e rispettato veniva prima di tutto. E nessuno aveva il coraggio di fargli notare che era da perfetti imbecilli rischiare la pensione a pochi anni dall’agognato traguardo. Cazzi suoi, era il giudizio popolare mai apertamente espresso.
Peccato per lui che anche Andrea fosse altrettanto astioso. E per trasformare il rancore in odio il processo era lento ma costante. A volte, fortunatamente per l’outsider di turno, non si arrivava a tanto. Si procedeva per livelli. Più si saliva di grado, più era prossimo il punto di non ritorno. Ma non si trattava di criteri rigidi e standard. La pazienza e il grado di tolleranza di Andrea variava da persona a persona. Curreli, per sua sventura, batté il record minimo di tolleranza. E quando Andrea decideva di punire qualcuno, non tornava più sulle sue decisioni.
L’occasione propizia non si presentò subito subito, ma alla fine si concretizzò.

Col ritorno dell’ora solare le giornate erano tornate a farsi brevi, e alle sei del pomeriggio di metà novembre era pressoché notte. Curreli aveva prestato servizio di mattina, e dopo aver pranzato era uscito di casa. Viveva da solo, non essendosi mai sposato, perciò non doveva rendere contro a nessuno dei suoi orari di rientro.
Generalmente trascorreva il tempo libero curando il piccolo frutteto ereditato dal padre una dozzina di anni prima. Oppure sbevazzava al bar della piazza principale, dove sovente alzava il gomito sino a raggiungere livelli di guardia. E quando trincava il suo già pessimo carattere si inaspriva ulteriormente, con conseguenze immaginabili. Alla miglior parata il vigile si limitava a insulti, bestemmie e improperi vari. Ma quando a parer suo era il caso, dalle parole passava a menar le mani.
Anche per via del fisico tarchiato, Curreli era un discreto incassatore, prima ancora che picchiatore. Lo stile era rudimentale, ma dava sempre i frutti sperati. Tempestava il malcapitato di turno con pugni, calci, spintoni, sberle e gomitate, avendo immancabilmente la meglio. La foga era pari a un tempestoso fiume in piena, ma ciò nonostante sapeva quando era il momento di non infierire. Un conto era riempire il coglione di turno senza lasciagli addosso tracce significative, un altro era spedirlo all’ospedale col rischio di non farlo più tornare vivo.
E mai una volta, nemmeno dopo gli scontri più violenti, aveva avuto noie con la legge. Non una denuncia, o un richiamo, o la convocazione dai carabinieri e seguito della scazzottata di turno. Non occorreva essere delle cime per intuirne i motivi. Carmine Curreli era poco amato, 'molto' poco, ma in compenso era parecchio temuto. Quindi meglio tenerselo buono e fare buon viso di fronte alle sue intemperanze, specie se condite da qualche birretta di troppo.
Quel fatale pomeriggio divenuto ormai sera aveva fatto scorrere il passante del cancello del frutteto, sigillandolo poi con un rugginoso lucchetto. Aveva zappato per un paio d’ore e ora pregustava una capatina al bar, prima di ordinare una pizza da asporto da consumare a casa. La guarda era quindi bassa, e i sensi più che rilassati. Fece per aprire la portiera del suo Suv seminuovo, quando una tremenda legnata gli si abbatté sulla schiena.
Il dolore fu atroce e fulmineo. I polmoni si svuotarono di colpo, impedendogli di urlare; le ginocchia si piegarono, e sicuramente sarebbe stramazzato a terra se non avesse avuto la sua vettura davanti. Il Suv infatti lo sostenne almeno in parte, ma un secondo dopo ecco una seconda randellata, ancora più devastante della prima, e sempre a colpire la parte alta della schiena. Stavolta il vigile riuscì a produrre un gemito strozzato, ma nulla di più. Nessuno sarebbe accorso in suo aiuto, tantomeno se era impossibilitato di chiederlo a voce.
Per alcuni secondi non successe alcunché, e l’unica colonna sonora fu l’ansimare affannoso del vigile, assieme al latrare di un cane in lontananza.
Quando fu in grado di parlare, riuscì a sputacchiare uno stentato “Chi cazzo sei?”, provando nel contempo a guardarsi indietro. Pessima idea, dato che il corpo contundente si abbatté di nuovo su di lui, tra le scapole, senza pietà. Stavolta, quantomeno, un urlaccio riuscì a cacciarlo.
“Non voltarti!” intimò perentorio l’uomo alle sue spalle. Il quale evidentemente voleva essere certo di essersi spiegato bene, tanto che bissò la mazzata, stavolta sul fianco sinistro. “Se ti azzardi a farlo ti ammazzo come un cane!”
Curreli obbedì docilmente, mentre il patimento generale si manteneva a livelli quasi intollerabili.
“E bravo il mio vigile testa di cazzo”, lo dileggiò l’altro, che in tutta sincerità non aspettava che il minimo pretesto per accanirsi ancora.
“Che cazzo vuoi?” gracchiò nuovamente Curreli, col risultato di beccarsi un’altra randellata alla schiena.
“Non parlare! Non devi dire una parola, stronzo!”
Pur obnubilato dalle fitte, il vigile annuì con estrema fatica.
“Non ti ammazzo, ma solo perché oggi sono di buon umore. Altrimenti non avrei scrupoli, con un pezzo di merda come te. E non ti ammazzo anche perché so che terrai il becco chiuso, giusto? Rispondi con un cenno, non parlare! La tua voce mi dà la nausea.”
Curreli non se lo fece ripetere due volte, annuendo col capo anche più del necessario.
“Impara le buone maniere, cialtrone. Con chiunque. Se scopro che fai ancora la carogna quando sei in servizio tornerò a cercarti, ma stavolta non sarà un incontro amichevole come questo.“
Curreli fece cenno affermativo con la testa. Avrebbe venduto l’anima al diavolo pur di sottrarsi da quell’implacabile aguzzino. Gli avrebbe giurato persino di lasciare il Sistema Solare, pur di avere salva la pellaccia e risparmiarsi altre legnate.
“Molto bene. Adesso levo le tende, ma tu non muovere un muscolo per cento secondi. Contali, te lo consiglio.”
Curreli fu a un passo da garantirgli a voce che lo avrebbe fatto, ma riuscì a mordersi la lingua in tempo, annuendo come prima.
“Perfetto. Stammi bene e… Ah, quasi mi dimenticavo…”
E di nuovo una randellata alla schiena. Che, se possibile, era ancora più energica di quelle precedenti, che non erano state carezze.
“Cerca di essere gentile con le tue colleghe!” gli consigliò l’uomo misterioso proprio nel momento in cui Curreli subiva la mazzata. Uomo misterioso che rimase qualche momento a contemplare il lavoro eseguito, per poi decidersi a tornare nelle tenebre. “Conta. Mentalmente, però. Persino un analfabeta come te dovrebbe riuscirci.”
Pur mezzo stordito dalle botte rimediate, Curreli obbedì con impegno, raggiungendo e poi superando il numero 100 di venti unità. Attorno a lui la semioscurità regnava sovrana, ma nonostante la visibilità incerta convenne di essere 'veramente' da solo. Col cane di prima che non aveva mai smesso di farsi sentire a modo suo.
Per rimettersi alla guida ci mise un’eternità, durante la quale rischiò due volte di perdere i sensi. Se il diavolo non ci metteva la coda, forse se la sarebbe cavata con qualche costola incrinata e un paio di microfratture alle vertebre. L’importante era di essere ancora vivo. E di questo ringraziò quel Signore a cui negli ultimi anni si era rivolto sempre meno, preferendo l’alternativa della birra alla spina.
Quanto prima avrebbe fatto ammenda.

Andrea era pienamente soddisfatto della dura lezione inferta al grassone. Dopo averlo lasciato ammaccato e dolorante, aveva approfittato degli ultimi scampoli di luminosità per liberarsi del bastone. Che poi altro non era che il manico di un piccone da minatore. Nessun problema con le impronte digitali, dato che aveva usato un paio di guanti di lana. E in ogni caso era pressoché sicuro che Curreli avrebbe incassato in silenzio, evitando di spargere la voce, tantomeno presso i carabinieri. Del resto non lo aveva visto in faccia, anche se sapeva benissimo chi era, ma non disponeva di prove concrete per trascinarlo davanti a un giudice. Certo, ne aveva riconosciuto la voce, che invero Andrea non si era curato più di tanto di camuffare. Ma sarebbe stato un elemento insufficiente al fine di eventuali indagini.
Inoltre lo scrittore, evidentemente, sapeva come colpire e su quali punti specifici del corpo, senza lasciare tracce evidenti. E, ciliegina sulla torta, la mole obesa della vittima aveva ammortizzato le bastonate sui fianchi.
Il manico da piccone sparì in mezzo ai rovi che imperavano presso una campagna abbandonata, a mezzo chilometro dal frutteto di Curreli. Dopodiché Andrea si nascose dietro un muretto a secco. Voleva sincerarsi che il vigile transitasse in auto per tornare a casa, quindi relativamente tutto intero. In pratica si trattava di un percorso obbligato, a meno che Curreli non volesse allungare la strada di diversi chilometri, procedendo in direzione opposta.
Ma come previsto, pochi minuti dopo il Suv transitò dinnanzi a lui. Con evidente lentezza, certo, ma col conducente in grado di guidarlo, randellate o meno.
Dal suo nascondiglio sempre più buio, Andrea annuì compiaciuto. Qualcosa gli diceva che quel ciccione borioso e buffone in futuro si sarebbe tenuto alla larga. Una rottura di coglioni in meno.

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