Lo stupratore di settembre (EPILOGO)
di
fabioGT
genere
etero
Tullio ripartì per Milano nel pomeriggio inoltrato. Con un certo rammarico, poiché avrebbe volentieri gustato un secondo match tra me e Sonia. Ma il lavoro era lavoro, e non tollerava ritardi o ripensamenti.
Per la seconda volta in quell'incredibile settembre, quindi, io e Sonia rimanemmo soli. Almeno sino al sabato successivo. Stavolta però ero determinato a togliermi i panni di sadico nazista, perlomeno durante le ore della giornata in cui mettevamo il sesso da parte. Ne avevo parlato a pranzo, ed entrambi i Montanari si erano piegati alla mia richiesta. Non senza qualche mugugno, ma avevo lasciato intendere che in caso di risposta negativa avrei potuto mettere fine a quella singolare esperienza. O così lasciai intendere. Certo, dalla loro potevano sfoderare l'arma del ricatto, dal momento che ero pur sempre un malvivente alla macchia. Ma erano dei signori, e tale ipotesi nemmeno la presero in considerazione.
Quella domenica sera, però, era destino che io e Sonia ci prendessimo una pausa, e a dirla tutta fu a causa mia. Ammetto che le intenzioni iniziali erano ben diverse, e già mi vedevo alle prese con le sue generose mammellone, ma attorno alle otto di sera decisi di accendere lo smartphone e di telefonare al mio avvocato. E stavolta per davvero.
Vi risparmio i dettagli su come reagì non appena sentì la mia voce. Diciamo che "completamente impazzito" fu uno dei complimenti meno scurrili che mi appioppò. Ma dopo il comprensibile sfogo, ecco che sganciò la bomba che cambiò tutto.
«Ha ritrattato! Si è rimangiato tutto, la pupattola!»
Il mio cuore saltò un paio di giri, e solo a stento riuscii a chiedergli di che diavolo stesse parlando.
«La tua accusatrice, Saba, e chi altro? La stronza ha ammesso che fu rapporto consensuale, e che di conseguenza non ci fu alcuna violenza sessuale nei suoi confronti! Sei scagionato, qualora non l'avessi ancora capito!»
Ci misi parecchi secondi ad assorbire la fantastica novità. E nel mentre afferrai le spiegazioni del mio legale a spizzichi e bocconi. In sostanza, la troietta era una delle innumerevoli fanatiche del web che sognava di campare riciclandosi come influencer o qualcosa di simile, sulle orme di Chiara Ferragni e compagnia bella. Ma siccome ben pochi se la filavano, le era saltato in mente di farsi pubblicità sulla mia pelle, inventando di sana pianta uno stupro che non c'era mai stato. Del resto in casi simili si tende sempre a credere alla versione della donna, raramente a quella dell'uomo, e generalmente la si azzecca. Ma non nel caso mio, porca puttana.
«E come mai adesso si è rimangiata tutto, dopo avermi mezzo rovinato?» mi informai a quel punto, avendone tutte le ragioni.
«Non proprio adesso, bensì appena due o tre giorni che sei sparito, cara primula rossa dei miei ammennicoli. Stai pur certo che ti avrei informato tempestivamente, se fossi stato in grado di contattarti. Comunque la tipa ha commesso la leggerezza di confidarsi con le persone sbagliate, le quali hanno fatto il loro dovere, andando subito a denunciarla. Ti suggerisco di andare a ringraziarle in ginocchio, quando ti deciderai a tornare.»
Sulle prime concordai con lui, ammettendo che forse qualche santo in paradiso dovevo tenerlo ancora. Ma nelle ore successive avrei convenuto che si trattava di una spiegazione troppo comoda, che puzzava un pochino. Stai a vedere che era prevista anche la ritrattazione, avrei pensato, tanto per battere il ferro finché era caldo? Mai dire mai in questo mondo così bislacco.
L'avvocato aggiunse poi che c'era pur sempre la rogna della mia assenza al processo e conseguente latitanza, ma dato che ero incensurato me la sarei cavata con una multa e una tiratina alle orecchie. Ci salutammo con la solenne promessa che saremmo rimasti in contatto, impegno che che avevo tutto l'interesse a mantenere. Soprattutto alla luce di queste novità.
Mi ritrovai con tanti pensieri per la testa che, come dicevo prima, quella sera trascurai del tutto Sonia, congedata distrattamente prima di andare a dormire. O almeno a tentare di farlo. Ero preoccupato per le scarse prospettive future che mi aspettavano in Sardegna, e in particolare modo sul fronte del lavoro. Come tanti, troppi sardi, avevo trascorso la mia esistenza senza riuscire a trovare un'occupazione stabile, che mi consentisse una decente condizione economica e magari di mettere su famiglia. Macché, figuriamoci. Avevo sperimentato un po' di tutto, e quasi sempre in veste di operaio non specializzato, e proprio a settembre ero riuscito a rimediare un'occupazione part-time, presso una ditta di giardinaggio. Opportunità che con la mia fuga si era dissolta in un amen, e dopo la pubblicità negativa che aleggiava attorno a me dubitavo che avrei trovato qualcosa in tempi stretti.
A dirla tutta una proposta mi era stata fatta, alcune ore prima, a pranzo. Proposta indubbiamente allettante, dal momento che i Montanari rilanciavano. Da mille a duemila euro al mese se avessi continuato a essere il loro trastullo privato, ma stavolta a Milano, a partire da ottobre. Se ne sarebbe riparlato nel weekend, col ritorno di Tullio in costa. Nel frattempo avrei dovuto pensarci su, con l'auspicio che mi orientassi verso il sì.
Decisione mica facile. Un conto era convivere con Sonia e basta, tranne nei fine settimana e in una anonima località marittima. Un altro era trasferirmi a Milano, come ospite permanente, e con la presenza del loro figlio Mattia, maggiorenne da pochi mesi, con cui fare i conti. Che diavolo avrebbero raccontato a questo ignaro ragazzo riguardo il sottoscritto? Che ero un lontano parente tornato di recente dalla Sardegna, dove avevo vissuto trent'anni? Ma per favore. Nascosta da qualche parte, e in pratica pressoché introvabile, conservavo ancora un briciolo di dignità, perbacco.
E a proposito di prole, continuavano a riproporsi nella mia mente quelle due parole pesanti come un macigno, che Sonia mi aveva mormorato durante il cosiddetto stupro. "Mettimi incinta." Nessun dubbio a riguardo, aveva detto proprio così. Certo, poteva essere frutto della pulsione del momento, ma restava il fatto che l'avevo penetrata senza preservativo, acconsentendo di fatto alla sua richiesta. Okay, sapevo per certo che prendeva regolarmente la pillola, e che non avevo ragioni credibili per ritrovarmi padre nove mesi dopo, ma...
Ma dovevo chiarire quella questione rimasta in sospeso. Capire insomma se desiderava davvero che la ingravidassi. Certo che, con tutte le rogne presenti e incombenti, ci mancava solo di diventare genitore a 53 anni suonati. Roba da soap-opera da quattro soldi.
No, non fu facile prendere sonno quella notte. Ci riuscii parzialmente ad alba inoltrata. Una o due ore al massimo, non di più.
Fu una settimana spensierata, intensa, irreale e irripetibile.
Con Sonia perfezionai l'intesa, e con mio grande sollievo almeno la metà delle volta facemmo l'amore come piace a me. Niente violenza, umiliazioni, prevaricazioni. E tutte le volte ecco che la sua richiesta veniva reiterata: «Mettimi incinta». Con me che puntualmente mostravo incertezza. «Sei sicura?»
La sua controreplica consisteva sempre in un cenno affermativo del capo, che non dava adito a interpretazioni.
«Ma Tullio che direbbe?»
«Non lo saprà. Resterà una cosa tra noi. Del resto è già da un po' che abbiamo deciso di avere un altro figlio, quindi per lui non sarebbe una sorpresa.»
«Va bene, ma come faresti ad avere la certezza che sia mio e non suo?»
«Lascia fare a me», rispose lei sorniona, sicura del fatto suo. «Tu fai la tua parte, io penserò al resto. Magari dandoci da fare fin da ora, per esempio.»
«Be', già che siamo qua, a letto e nudi come mamma ci ha fatti...»
Seguì un nuovo tentativo di fecondazione. E anche stavolta con le buone, per fortuna.
Con Sonia quindi avrei condiviso un segreto, con Tullio un altro.
Avevo deciso infatti di rivelargli che ero ufficialmente innocente e non più ricercato. Ma prima di farlo sapere a Sonia mi serviva un suo parere. Ebbi modo di farlo il sabato pomeriggio, dopo pranzo, qualche ora dopo che era tornato da Milano per il weekend. Sarebbe stata una capatina, poiché il giorno dopo gli italiani erano chiamati a eleggere i nuovi parlamentari e senatori. Tullio non voleva esimersi dal compiere il proprio dovere, mentre a me e Sonia interessava meno di zero.
Quando ebbi modo di parlargli a tu per tu, rivelandogli la mia nuova condizione di uomo libero, lui reagì come mi ero aspettato.
«Hai fatto bene a tenerla all'oscuro. Per adesso lasciamo le cose come stanno. A Sonia la intrighi molto di più da malvivente alla macchia, piuttosto che da banale signor nessuno.»
Annuii, guardandomi bene dal spifferargli il resto, ossia che c'era rischio che presto avrebbe allevato un figlio non suo. Non era proprio cosa.
Il giorno dopo ripartì subito dopo pranzo, in modo di avere tempo a sufficienza per recarsi al voto. Andò via soddisfatto, dal momento che io e Sonia ci eravamo "esibiti" per lui due volte, e andandoci decisamente pesante.
Cominciò così l'ultima settimana di settembre, per altro di soli cinque giorni, dato che sabato sarebbe coinciso col primo di ottobre. Io e Sonia non perdemmo occasione alcuna per scatenarci nei nostri fuochi d'artificio. Un po' alla sua maniera, un po' alla mia. Oppure le più volte raggiungendo il giusto compromesso. E tutte le volte ci ritrovavamo spossati, svuotati di energie e increduli di noi stessi, per come ci davamo dentro come ventenni in piena tempesta ormonale. Di sicuro Sonia, se era destino che rimanesse incinta, non poteva rimproverarmi di non aver fatto di tutto per assecondarla in questo senso. Certo, restava da vedere come avrei reagito di fronte alle conseguenze. Nella vita bisogna essere pronti a tutto, ma io lo ero a diventare padre, sia pure in segreto? Ammetto che la prospettiva mi provocava non pochi sudori freddi.
Non furono comunque solo giorni di sesso sfrenato. Ci fu ampio spazio per i sentimenti, le tenerezze, le confidenze e persino per blandi litigi, che si estinguevano rapidi come bolle di sapone. Era piacevole accompagnare Sonia al supermercato, o aiutarla durante le pulizie della casa, oppure ancora sostituirla in cucina a pranzo o a cena. Tutti momenti in cui discutevamo un po' di tutto, scoprendo di avere diversi punti di contatto. Mi spiegò per esempio questa urgenza di fare ritorno a Milano non appena iniziava ottobre. Principalmente era per via del figlio Mattia, che si apprestava a iniziare gli studi universitari. Lei e Tullio non potevano mancare a questo importante appuntamento, per fargli sentire sostegno e vicinanza. Non potei che approvare e ammirarli, oltre che invidiarli un pochino. Le famiglie che vivono in piena serenità e armonia sono merce rara, poco ma sicuro.
Venerdì pomeriggio Tullio telefonò come di consueto alla moglie. E dopo la chiacchierata di rito volle parlare con me.
«Allora, sei pronto? Domattina sarò da voi e ti porterò i soldini. E dopo pranzo tutti in viaggio, con destinazione Milano.»
«Ah, grazie. Ti confesso che mille eurucci mi farebbero davvero comodo.»
Ed era vero. Già prima di finire nel mirino della Giustizia non navigavo nell'oro, figuriamoci adesso.
«E da ottobre gli eurucci, come li chiami tu, raddoppieranno, non dimenticarlo», ribadì Tullio.
«E come potrei? Speriamo che sia veloce e gradevole come settembre, allora. Anche se a Milano non vedrò il mare, purtroppo.»
«Non si può avere tutto, no? Del resto il mare è bello quando fa caldo. Quando c'è freddo a me e Sonia interessa molto poco.»
Io non la pensavo esattamente così, visto che secondo me il mare è bello sempre, a prescindere dalla stagione in corso. Ma i gusti sono gusti, e vanno rispettati. Poi Tullio mi fece ricordare qualcosa che avevo rimosso, alla quale evidentemente teneva moltissimo.
«Non scordare che alla prima occasione gireremo un video amatoriale. Non immagini quante idee ho per la testa. Vedrai che ci divertiremo un mondo.»
E già, il mio esordio nell'hardcore a 53 anni suonati. Niente di strano se alla fine si sarebbe rivelato un film comico, sia pur involontariamente.
«Vedrò cosa posso fare», fu la mia prudente risposta. Non ero del tutto convinto, anche perché si trattava di un impegno mica da poco, e di sicuro non andava pianificato per telefono. Glielo feci capire senza apparire supponente, e lui convenne che avevo ragione. Anche se persino a centinaia di chilometri di distanza avvertivo la sua fregola di iniziare le riprese prima possibile.
Seguirono battute soft e saluti di circostanza. Da come avevo capito, il giorno dopo sarebbe arrivato attorno alle undici. Mentre Sonia si sarebbe occupata di preparare il pranzo, noi maschietti ci saremmo dovuti occupare di caricare la sua capiente vettura di bagagli da portare via. Compresi i miei. Poi, dopo pranzo, e dopo un'ultima ispezione stanza per stanza mentre Sonia lavava le stoviglie, ci saremmo messi in viaggio con destinazione Milano. Dando l'arrivederci alla riviera ligure di Ponente all'estate successiva.
Io e Sonia, quindi, avevamo ancora una notte tutta per noi. Era saggio approfittarne, anche perché Dio solo sapeva quando ci saremmo ritrovati in beata solitudine. Per quanto ne sapevo, avrebbero pututo volerci mesi.
Iniziò dolcemente. Per proseguire sempre dolcemente. e per finire, diverso tempo dopo, altrettanto dolcemente. Fui persino sul punto di dirle la verità sulla mia finta latitanza, ma mi passò dalla mente non appena le nostre labbra e le nostre lingue si unirono con passione mai sopita. Ci avrebbe pensato Tullio a rivelarle che non ero più uno stupratore, nel momento in cui lo avrebbe ritenuto opportuno.
Sperimentammo posizioni inedite alternandole a quelle già collaudate, e mai una volta mi chiese di essere duro con lei. Per quella ultima sera di settembre Sonia aveva necessità di tanta tenerezza, di riguardo da parte mia in ogni cosa che le facevo, e voleva prendersi tutto il tempo per assaporarlo fino in fondo. In una parola voleva essere amata, e fui ben felice di accontentarla. E assecondando come potevo la sua brama di avere un figlio da me, sempre più granitica e convinta.
Davvero strana la vita. Ci conoscevamo da meno di un mese e puntava a diventare madre per la seconda volta nella sua vita, a quasi vent'anni dalla prima. In quell'occasione aveva avuto un maschietto, mentre adesso? Anche in questo caso, ogni cosa a suo tempo.
In quella irripetibile notte a cavallo tra due mesi la amai in tutte le forme che mi furono possibili, come se non ci fosse un domani... E in un certo senso era proprio così.
Chissà come feci, a trovare le energie per alzarmi dal letto alle cinque del mattino. Raramente nella mia esistenza mi sono trovato stanco e disfatto come quelle prime ore di ottobre. Amarsi con felicità e ardore è la cosa più bella che esista, e non sono certo io a scoprirlo, ma gli strascichi che lascia, in fatto di sforzi profusi, non sono cose da poco.
Sonia, beata lei, si godeva la sua catatonia, e per me andava bene così. L'ultima cosa che desideravo era svegliarla così presto, specialmente quella mattina lì.
Sapevo che il primo treno della giornata era previsto dieci minuti prima delle sei, perciò non avevo molto tempo per i convenevoli. Uscii dalla stanza matrimoniale nella penombra, servendosi del display del cellulare come unica fonte di luce, per entrare per l'ultima volta in camera mia.
Mi levai il pigiama leggero che indossavo, e mi vestii rapidamente. Poi, dopo alcune settimane, misi mano allo zaino che avevo portato dalla Sardegna, e cominciai a riempirlo. Fui molto silenzioso, e non scordai nulla, o quasi. Un paio di boxer e alcuni calzini estivi sarebbero rimasti lì, in quanto la sera prima erano finiti in lavatrice, e il lavaggio era previsto in mattinata. Pazienza, sarebbero stati un ricordo tangibile di me. A futura memoria.
Terminata l'incombenza, mi guardai attorno un'ultima volta, forse per cercare di imprimermi ulteriormente quella stanza così speciale. Ma non mi soffermai a lungo: ormai ero pronto a levare le tende.
Una volta in corridoio, fui tentato di gettare lo sguardo dentro la stanza matrimoniale, come per lanciare un ultimo, tacito saluto a Sonia. Ma dopo qualche tentennamento vi rinunciai. Avrei corso il rischio di svegliarla, oppure di avere un ripensamento. E avrei fatto male, perché la decisione che avevo preso era giusta, che mi piacesse o meno.
Entrai però in salotto, ma giusto il tempo per lasciare sul tavolo un breve messaggio scritto. L'avevo preparato la sera precedente, in bagno, poco prima di andare a letto con Sonia. Poi basta, non restava altro da fare.
Uscii per sempre dall'appartamento dove era stato così bene accolto, chiudendo la porta alle mie spalle con meno rumore possibile.
Per strada, dove la temperatura era frizzantina, era ancora buio e si udivano in azione solo i mezzi della nettezza urbana, a una o due vie di distanza. La stazione dei treni non era molto lontana, l'avrei raggiunta in dieci minuti, camminando comodo. Alla mia sinistra il mare ancora avvolto nell'oscurità sembrava una immensa distesa di pece, e mi fece compagnia per tutto il tragitto.
Mi sarebbe mancato, il mare ligure.
L'interregionale partito da Ventimiglia spaccò il secondo, e io fui uno dei tre passeggeri che vi salirono.
Destinazione Genova, naturalmente, da dove mi sarei imbarcato sul primo traghetto disponibile per Porto Torres.
Una volta tornato a casa, dovevo risolvere alcune pendenze piuttosto spinose. Prima fra tutte la mia mancata presenza al processo. Anche se poco dopo ero stato riconosciuto innocente, avevo comunque commesso un reato, e dovevo accettarne le conseguenze. Non sarei finito dentro, quello no, ma la mia fedina penale avrebbe smesso di essere immacolata. E sticazzi, direte voi. E fareste bene. A 53 anni ti interessa poco se hai rigato dritto sino a quel momento. L'importante è salvare il culo per tutto il tempo che ti resta, breve o lungo che sia.
Vi chiederete anche come mai non presi la via più facile, e cioè accettare la proposta dei Montanari.
La risposta si racchiude in una parola sola, e cioè "orgoglio". Non ci stavo a fare il parassita, oltre che entrare nella vita di una famiglia così come se niente fosse, sconvolgendo chi già ne faceva parte e non mi conosceva nemmeno di vista, e cioè Mattia. E poi, quanto sarebbe durato il gioco? Dopo quanto tempo si sarebbero stufati di me? Come sarebbe stata quella singolare convivenza? No, spiacente, non faceva per me.
Meglio ritirarsi da imbattuto, come si dice in ambito sportivo, e lasciare così un ottimo ricordo.
Probabilmente in seguito mi sarei pentito, ma alla fine avrei convenuto che sì, avevo fatto bene.
Ai posteri l'ardua sentenza.
Infine, vi starete chiedendo cosa scrissi nel messaggio d'addio. Presto detto:
"Cara Sonia, caro Tullio. Mi dispiace, ma non me la sento. Sarebbe stato troppo bello. Troppo. Perciò impossibile. La mia vita è in Sardegna, la vostra a Milano. Per un mese abbiamo trovato un punto d'incontro in Liguria, ma le cose belle finiscono, e fin troppo presto. Vi porterò sempre nel mio cuore. E siate felici. Un abbraccio da Fabio"
F I N E
per commenti e stroncature: amoleforme@yahoo.it
Per la seconda volta in quell'incredibile settembre, quindi, io e Sonia rimanemmo soli. Almeno sino al sabato successivo. Stavolta però ero determinato a togliermi i panni di sadico nazista, perlomeno durante le ore della giornata in cui mettevamo il sesso da parte. Ne avevo parlato a pranzo, ed entrambi i Montanari si erano piegati alla mia richiesta. Non senza qualche mugugno, ma avevo lasciato intendere che in caso di risposta negativa avrei potuto mettere fine a quella singolare esperienza. O così lasciai intendere. Certo, dalla loro potevano sfoderare l'arma del ricatto, dal momento che ero pur sempre un malvivente alla macchia. Ma erano dei signori, e tale ipotesi nemmeno la presero in considerazione.
Quella domenica sera, però, era destino che io e Sonia ci prendessimo una pausa, e a dirla tutta fu a causa mia. Ammetto che le intenzioni iniziali erano ben diverse, e già mi vedevo alle prese con le sue generose mammellone, ma attorno alle otto di sera decisi di accendere lo smartphone e di telefonare al mio avvocato. E stavolta per davvero.
Vi risparmio i dettagli su come reagì non appena sentì la mia voce. Diciamo che "completamente impazzito" fu uno dei complimenti meno scurrili che mi appioppò. Ma dopo il comprensibile sfogo, ecco che sganciò la bomba che cambiò tutto.
«Ha ritrattato! Si è rimangiato tutto, la pupattola!»
Il mio cuore saltò un paio di giri, e solo a stento riuscii a chiedergli di che diavolo stesse parlando.
«La tua accusatrice, Saba, e chi altro? La stronza ha ammesso che fu rapporto consensuale, e che di conseguenza non ci fu alcuna violenza sessuale nei suoi confronti! Sei scagionato, qualora non l'avessi ancora capito!»
Ci misi parecchi secondi ad assorbire la fantastica novità. E nel mentre afferrai le spiegazioni del mio legale a spizzichi e bocconi. In sostanza, la troietta era una delle innumerevoli fanatiche del web che sognava di campare riciclandosi come influencer o qualcosa di simile, sulle orme di Chiara Ferragni e compagnia bella. Ma siccome ben pochi se la filavano, le era saltato in mente di farsi pubblicità sulla mia pelle, inventando di sana pianta uno stupro che non c'era mai stato. Del resto in casi simili si tende sempre a credere alla versione della donna, raramente a quella dell'uomo, e generalmente la si azzecca. Ma non nel caso mio, porca puttana.
«E come mai adesso si è rimangiata tutto, dopo avermi mezzo rovinato?» mi informai a quel punto, avendone tutte le ragioni.
«Non proprio adesso, bensì appena due o tre giorni che sei sparito, cara primula rossa dei miei ammennicoli. Stai pur certo che ti avrei informato tempestivamente, se fossi stato in grado di contattarti. Comunque la tipa ha commesso la leggerezza di confidarsi con le persone sbagliate, le quali hanno fatto il loro dovere, andando subito a denunciarla. Ti suggerisco di andare a ringraziarle in ginocchio, quando ti deciderai a tornare.»
Sulle prime concordai con lui, ammettendo che forse qualche santo in paradiso dovevo tenerlo ancora. Ma nelle ore successive avrei convenuto che si trattava di una spiegazione troppo comoda, che puzzava un pochino. Stai a vedere che era prevista anche la ritrattazione, avrei pensato, tanto per battere il ferro finché era caldo? Mai dire mai in questo mondo così bislacco.
L'avvocato aggiunse poi che c'era pur sempre la rogna della mia assenza al processo e conseguente latitanza, ma dato che ero incensurato me la sarei cavata con una multa e una tiratina alle orecchie. Ci salutammo con la solenne promessa che saremmo rimasti in contatto, impegno che che avevo tutto l'interesse a mantenere. Soprattutto alla luce di queste novità.
Mi ritrovai con tanti pensieri per la testa che, come dicevo prima, quella sera trascurai del tutto Sonia, congedata distrattamente prima di andare a dormire. O almeno a tentare di farlo. Ero preoccupato per le scarse prospettive future che mi aspettavano in Sardegna, e in particolare modo sul fronte del lavoro. Come tanti, troppi sardi, avevo trascorso la mia esistenza senza riuscire a trovare un'occupazione stabile, che mi consentisse una decente condizione economica e magari di mettere su famiglia. Macché, figuriamoci. Avevo sperimentato un po' di tutto, e quasi sempre in veste di operaio non specializzato, e proprio a settembre ero riuscito a rimediare un'occupazione part-time, presso una ditta di giardinaggio. Opportunità che con la mia fuga si era dissolta in un amen, e dopo la pubblicità negativa che aleggiava attorno a me dubitavo che avrei trovato qualcosa in tempi stretti.
A dirla tutta una proposta mi era stata fatta, alcune ore prima, a pranzo. Proposta indubbiamente allettante, dal momento che i Montanari rilanciavano. Da mille a duemila euro al mese se avessi continuato a essere il loro trastullo privato, ma stavolta a Milano, a partire da ottobre. Se ne sarebbe riparlato nel weekend, col ritorno di Tullio in costa. Nel frattempo avrei dovuto pensarci su, con l'auspicio che mi orientassi verso il sì.
Decisione mica facile. Un conto era convivere con Sonia e basta, tranne nei fine settimana e in una anonima località marittima. Un altro era trasferirmi a Milano, come ospite permanente, e con la presenza del loro figlio Mattia, maggiorenne da pochi mesi, con cui fare i conti. Che diavolo avrebbero raccontato a questo ignaro ragazzo riguardo il sottoscritto? Che ero un lontano parente tornato di recente dalla Sardegna, dove avevo vissuto trent'anni? Ma per favore. Nascosta da qualche parte, e in pratica pressoché introvabile, conservavo ancora un briciolo di dignità, perbacco.
E a proposito di prole, continuavano a riproporsi nella mia mente quelle due parole pesanti come un macigno, che Sonia mi aveva mormorato durante il cosiddetto stupro. "Mettimi incinta." Nessun dubbio a riguardo, aveva detto proprio così. Certo, poteva essere frutto della pulsione del momento, ma restava il fatto che l'avevo penetrata senza preservativo, acconsentendo di fatto alla sua richiesta. Okay, sapevo per certo che prendeva regolarmente la pillola, e che non avevo ragioni credibili per ritrovarmi padre nove mesi dopo, ma...
Ma dovevo chiarire quella questione rimasta in sospeso. Capire insomma se desiderava davvero che la ingravidassi. Certo che, con tutte le rogne presenti e incombenti, ci mancava solo di diventare genitore a 53 anni suonati. Roba da soap-opera da quattro soldi.
No, non fu facile prendere sonno quella notte. Ci riuscii parzialmente ad alba inoltrata. Una o due ore al massimo, non di più.
Fu una settimana spensierata, intensa, irreale e irripetibile.
Con Sonia perfezionai l'intesa, e con mio grande sollievo almeno la metà delle volta facemmo l'amore come piace a me. Niente violenza, umiliazioni, prevaricazioni. E tutte le volte ecco che la sua richiesta veniva reiterata: «Mettimi incinta». Con me che puntualmente mostravo incertezza. «Sei sicura?»
La sua controreplica consisteva sempre in un cenno affermativo del capo, che non dava adito a interpretazioni.
«Ma Tullio che direbbe?»
«Non lo saprà. Resterà una cosa tra noi. Del resto è già da un po' che abbiamo deciso di avere un altro figlio, quindi per lui non sarebbe una sorpresa.»
«Va bene, ma come faresti ad avere la certezza che sia mio e non suo?»
«Lascia fare a me», rispose lei sorniona, sicura del fatto suo. «Tu fai la tua parte, io penserò al resto. Magari dandoci da fare fin da ora, per esempio.»
«Be', già che siamo qua, a letto e nudi come mamma ci ha fatti...»
Seguì un nuovo tentativo di fecondazione. E anche stavolta con le buone, per fortuna.
Con Sonia quindi avrei condiviso un segreto, con Tullio un altro.
Avevo deciso infatti di rivelargli che ero ufficialmente innocente e non più ricercato. Ma prima di farlo sapere a Sonia mi serviva un suo parere. Ebbi modo di farlo il sabato pomeriggio, dopo pranzo, qualche ora dopo che era tornato da Milano per il weekend. Sarebbe stata una capatina, poiché il giorno dopo gli italiani erano chiamati a eleggere i nuovi parlamentari e senatori. Tullio non voleva esimersi dal compiere il proprio dovere, mentre a me e Sonia interessava meno di zero.
Quando ebbi modo di parlargli a tu per tu, rivelandogli la mia nuova condizione di uomo libero, lui reagì come mi ero aspettato.
«Hai fatto bene a tenerla all'oscuro. Per adesso lasciamo le cose come stanno. A Sonia la intrighi molto di più da malvivente alla macchia, piuttosto che da banale signor nessuno.»
Annuii, guardandomi bene dal spifferargli il resto, ossia che c'era rischio che presto avrebbe allevato un figlio non suo. Non era proprio cosa.
Il giorno dopo ripartì subito dopo pranzo, in modo di avere tempo a sufficienza per recarsi al voto. Andò via soddisfatto, dal momento che io e Sonia ci eravamo "esibiti" per lui due volte, e andandoci decisamente pesante.
Cominciò così l'ultima settimana di settembre, per altro di soli cinque giorni, dato che sabato sarebbe coinciso col primo di ottobre. Io e Sonia non perdemmo occasione alcuna per scatenarci nei nostri fuochi d'artificio. Un po' alla sua maniera, un po' alla mia. Oppure le più volte raggiungendo il giusto compromesso. E tutte le volte ci ritrovavamo spossati, svuotati di energie e increduli di noi stessi, per come ci davamo dentro come ventenni in piena tempesta ormonale. Di sicuro Sonia, se era destino che rimanesse incinta, non poteva rimproverarmi di non aver fatto di tutto per assecondarla in questo senso. Certo, restava da vedere come avrei reagito di fronte alle conseguenze. Nella vita bisogna essere pronti a tutto, ma io lo ero a diventare padre, sia pure in segreto? Ammetto che la prospettiva mi provocava non pochi sudori freddi.
Non furono comunque solo giorni di sesso sfrenato. Ci fu ampio spazio per i sentimenti, le tenerezze, le confidenze e persino per blandi litigi, che si estinguevano rapidi come bolle di sapone. Era piacevole accompagnare Sonia al supermercato, o aiutarla durante le pulizie della casa, oppure ancora sostituirla in cucina a pranzo o a cena. Tutti momenti in cui discutevamo un po' di tutto, scoprendo di avere diversi punti di contatto. Mi spiegò per esempio questa urgenza di fare ritorno a Milano non appena iniziava ottobre. Principalmente era per via del figlio Mattia, che si apprestava a iniziare gli studi universitari. Lei e Tullio non potevano mancare a questo importante appuntamento, per fargli sentire sostegno e vicinanza. Non potei che approvare e ammirarli, oltre che invidiarli un pochino. Le famiglie che vivono in piena serenità e armonia sono merce rara, poco ma sicuro.
Venerdì pomeriggio Tullio telefonò come di consueto alla moglie. E dopo la chiacchierata di rito volle parlare con me.
«Allora, sei pronto? Domattina sarò da voi e ti porterò i soldini. E dopo pranzo tutti in viaggio, con destinazione Milano.»
«Ah, grazie. Ti confesso che mille eurucci mi farebbero davvero comodo.»
Ed era vero. Già prima di finire nel mirino della Giustizia non navigavo nell'oro, figuriamoci adesso.
«E da ottobre gli eurucci, come li chiami tu, raddoppieranno, non dimenticarlo», ribadì Tullio.
«E come potrei? Speriamo che sia veloce e gradevole come settembre, allora. Anche se a Milano non vedrò il mare, purtroppo.»
«Non si può avere tutto, no? Del resto il mare è bello quando fa caldo. Quando c'è freddo a me e Sonia interessa molto poco.»
Io non la pensavo esattamente così, visto che secondo me il mare è bello sempre, a prescindere dalla stagione in corso. Ma i gusti sono gusti, e vanno rispettati. Poi Tullio mi fece ricordare qualcosa che avevo rimosso, alla quale evidentemente teneva moltissimo.
«Non scordare che alla prima occasione gireremo un video amatoriale. Non immagini quante idee ho per la testa. Vedrai che ci divertiremo un mondo.»
E già, il mio esordio nell'hardcore a 53 anni suonati. Niente di strano se alla fine si sarebbe rivelato un film comico, sia pur involontariamente.
«Vedrò cosa posso fare», fu la mia prudente risposta. Non ero del tutto convinto, anche perché si trattava di un impegno mica da poco, e di sicuro non andava pianificato per telefono. Glielo feci capire senza apparire supponente, e lui convenne che avevo ragione. Anche se persino a centinaia di chilometri di distanza avvertivo la sua fregola di iniziare le riprese prima possibile.
Seguirono battute soft e saluti di circostanza. Da come avevo capito, il giorno dopo sarebbe arrivato attorno alle undici. Mentre Sonia si sarebbe occupata di preparare il pranzo, noi maschietti ci saremmo dovuti occupare di caricare la sua capiente vettura di bagagli da portare via. Compresi i miei. Poi, dopo pranzo, e dopo un'ultima ispezione stanza per stanza mentre Sonia lavava le stoviglie, ci saremmo messi in viaggio con destinazione Milano. Dando l'arrivederci alla riviera ligure di Ponente all'estate successiva.
Io e Sonia, quindi, avevamo ancora una notte tutta per noi. Era saggio approfittarne, anche perché Dio solo sapeva quando ci saremmo ritrovati in beata solitudine. Per quanto ne sapevo, avrebbero pututo volerci mesi.
Iniziò dolcemente. Per proseguire sempre dolcemente. e per finire, diverso tempo dopo, altrettanto dolcemente. Fui persino sul punto di dirle la verità sulla mia finta latitanza, ma mi passò dalla mente non appena le nostre labbra e le nostre lingue si unirono con passione mai sopita. Ci avrebbe pensato Tullio a rivelarle che non ero più uno stupratore, nel momento in cui lo avrebbe ritenuto opportuno.
Sperimentammo posizioni inedite alternandole a quelle già collaudate, e mai una volta mi chiese di essere duro con lei. Per quella ultima sera di settembre Sonia aveva necessità di tanta tenerezza, di riguardo da parte mia in ogni cosa che le facevo, e voleva prendersi tutto il tempo per assaporarlo fino in fondo. In una parola voleva essere amata, e fui ben felice di accontentarla. E assecondando come potevo la sua brama di avere un figlio da me, sempre più granitica e convinta.
Davvero strana la vita. Ci conoscevamo da meno di un mese e puntava a diventare madre per la seconda volta nella sua vita, a quasi vent'anni dalla prima. In quell'occasione aveva avuto un maschietto, mentre adesso? Anche in questo caso, ogni cosa a suo tempo.
In quella irripetibile notte a cavallo tra due mesi la amai in tutte le forme che mi furono possibili, come se non ci fosse un domani... E in un certo senso era proprio così.
Chissà come feci, a trovare le energie per alzarmi dal letto alle cinque del mattino. Raramente nella mia esistenza mi sono trovato stanco e disfatto come quelle prime ore di ottobre. Amarsi con felicità e ardore è la cosa più bella che esista, e non sono certo io a scoprirlo, ma gli strascichi che lascia, in fatto di sforzi profusi, non sono cose da poco.
Sonia, beata lei, si godeva la sua catatonia, e per me andava bene così. L'ultima cosa che desideravo era svegliarla così presto, specialmente quella mattina lì.
Sapevo che il primo treno della giornata era previsto dieci minuti prima delle sei, perciò non avevo molto tempo per i convenevoli. Uscii dalla stanza matrimoniale nella penombra, servendosi del display del cellulare come unica fonte di luce, per entrare per l'ultima volta in camera mia.
Mi levai il pigiama leggero che indossavo, e mi vestii rapidamente. Poi, dopo alcune settimane, misi mano allo zaino che avevo portato dalla Sardegna, e cominciai a riempirlo. Fui molto silenzioso, e non scordai nulla, o quasi. Un paio di boxer e alcuni calzini estivi sarebbero rimasti lì, in quanto la sera prima erano finiti in lavatrice, e il lavaggio era previsto in mattinata. Pazienza, sarebbero stati un ricordo tangibile di me. A futura memoria.
Terminata l'incombenza, mi guardai attorno un'ultima volta, forse per cercare di imprimermi ulteriormente quella stanza così speciale. Ma non mi soffermai a lungo: ormai ero pronto a levare le tende.
Una volta in corridoio, fui tentato di gettare lo sguardo dentro la stanza matrimoniale, come per lanciare un ultimo, tacito saluto a Sonia. Ma dopo qualche tentennamento vi rinunciai. Avrei corso il rischio di svegliarla, oppure di avere un ripensamento. E avrei fatto male, perché la decisione che avevo preso era giusta, che mi piacesse o meno.
Entrai però in salotto, ma giusto il tempo per lasciare sul tavolo un breve messaggio scritto. L'avevo preparato la sera precedente, in bagno, poco prima di andare a letto con Sonia. Poi basta, non restava altro da fare.
Uscii per sempre dall'appartamento dove era stato così bene accolto, chiudendo la porta alle mie spalle con meno rumore possibile.
Per strada, dove la temperatura era frizzantina, era ancora buio e si udivano in azione solo i mezzi della nettezza urbana, a una o due vie di distanza. La stazione dei treni non era molto lontana, l'avrei raggiunta in dieci minuti, camminando comodo. Alla mia sinistra il mare ancora avvolto nell'oscurità sembrava una immensa distesa di pece, e mi fece compagnia per tutto il tragitto.
Mi sarebbe mancato, il mare ligure.
L'interregionale partito da Ventimiglia spaccò il secondo, e io fui uno dei tre passeggeri che vi salirono.
Destinazione Genova, naturalmente, da dove mi sarei imbarcato sul primo traghetto disponibile per Porto Torres.
Una volta tornato a casa, dovevo risolvere alcune pendenze piuttosto spinose. Prima fra tutte la mia mancata presenza al processo. Anche se poco dopo ero stato riconosciuto innocente, avevo comunque commesso un reato, e dovevo accettarne le conseguenze. Non sarei finito dentro, quello no, ma la mia fedina penale avrebbe smesso di essere immacolata. E sticazzi, direte voi. E fareste bene. A 53 anni ti interessa poco se hai rigato dritto sino a quel momento. L'importante è salvare il culo per tutto il tempo che ti resta, breve o lungo che sia.
Vi chiederete anche come mai non presi la via più facile, e cioè accettare la proposta dei Montanari.
La risposta si racchiude in una parola sola, e cioè "orgoglio". Non ci stavo a fare il parassita, oltre che entrare nella vita di una famiglia così come se niente fosse, sconvolgendo chi già ne faceva parte e non mi conosceva nemmeno di vista, e cioè Mattia. E poi, quanto sarebbe durato il gioco? Dopo quanto tempo si sarebbero stufati di me? Come sarebbe stata quella singolare convivenza? No, spiacente, non faceva per me.
Meglio ritirarsi da imbattuto, come si dice in ambito sportivo, e lasciare così un ottimo ricordo.
Probabilmente in seguito mi sarei pentito, ma alla fine avrei convenuto che sì, avevo fatto bene.
Ai posteri l'ardua sentenza.
Infine, vi starete chiedendo cosa scrissi nel messaggio d'addio. Presto detto:
"Cara Sonia, caro Tullio. Mi dispiace, ma non me la sento. Sarebbe stato troppo bello. Troppo. Perciò impossibile. La mia vita è in Sardegna, la vostra a Milano. Per un mese abbiamo trovato un punto d'incontro in Liguria, ma le cose belle finiscono, e fin troppo presto. Vi porterò sempre nel mio cuore. E siate felici. Un abbraccio da Fabio"
F I N E
per commenti e stroncature: amoleforme@yahoo.it
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