Luisella - 2 - Si volta pagina

Scritto da , il 2011-09-26, genere dominazione

Vattenne, …e me ne andai. Un taglio netto con il passato. Il grande nord, Milano, la ricerca di una casetta, piccola come un uovo ma mia, niente mare, un po di freddo, la nebbia, lo smog. … uno schifo! I vicini sempre fuori casa, li incontravo e quasi non ti salutavano. Qualche sorriso, soprattutto dagli uomini, qualche sguardo sospettoso e guardingo, manco fossi un’appestata, anonimato assoluto. Una tristezza. In compenso però nessuno chiedeva chi ero, da dove venivo, che passato avevo. Un sano anonimato adatto a chi ha bisogno di ricominciare. Grande Milano.

Per il lavoro non con c’erano stati problemi. Avevo risposto ad una inserzione di una ditta grafica. Il mio diploma di ragioniera, un po di esperienza nella ditta del padre, un fisico non indifferente, la mia giovialità e il mio sorriso avevano fatto il resto. Roberto, il titolare, era stato esplicito: “non si faccia illusioni, qui si lavora, se uno è bravo resta, guadagna e anche bene, se è un lavativo va fuori dai coglioni, sindacati o no permettendo. Deve imparare a lavorare in modo autonomo ed efficiente, non ho tempo per farle da balia. Se qualcosa non lo sa chieda o se lo studi per conto suo, non voglio gente non aggiornata. Se ha bisogno di uomini se li cerchi fuori di qui. Niente chat col computer. Una storia con un dipendente e lei se ne va. Se ha difficoltà o problemi di qualunque genere, qualunque genere, qui non siamo degli orsi, una mano gliela diamo sempre, lei venga da me e una soluzione la si trova per tutto. Ma ripeto: serietà, riservatezza, efficienza. Buon lavoro!”

Burbero, quasi scorbutico, un po autoritario, ma chiaro e con argomentazioni inequivocabili, privi di ambiguità e di giri di parole, Roberto mi presentava il vero volto del nord. Lui e tutto l’insieme cominciava a piacermi. Dovevo comunque voltare pagina. Stop al sesso, stop alla spensieratezza, stop a un’allegria continua, ora c’era la vita concreta. e mi impegnai al massimo delle mie capacità. Dopo tre anni la mia vita era cambiata. Tanto lavoro, tanto metodo nel lavoro, tanta coscienza del metodo. In ditta serietà e lavoro mi facevano apprezzare. Per le amicizie c’era il sabato, la domenica riposo. Ho conosciuto persone, mi sono fatta qualche amica nelle mie stesse condizioni, nessuna relazione sentimentale, qualche divertimento, un taglio netto al passato. Uomini cercavo di evitarli, fino a che ho conosciuto Massimo che poi ho sposato a 28 anni.

Ero una donna nuova, irriconoscibile. Due fatti mi avevano temprato: il lavoro e Massimo. Il lavoro mi aveva spremuto, quasi stordito, (il Nord!), ma era anche stato abbondante di gratificazioni. Ero diventata autoritaria, avevo imparato a comandare, la mia efficienza non lasciava zone d’ombra. Temuta da qualcuno per la considerazione che Roberto mi riservata, per gli altri ero la sua alter-ego. Ma davanti a lui ero in soggezione, quasi insicura. Il suo aspetto deciso mi soggiogava e mi generava quasi uno stato di eccitazione che non riuscivo a comprendere. Avevo imparato a sostiuirlo in sua assenza e per tutti ero diventata un naturale punto di riferimento. Spesso dovevo andare dai clienti e trattare pratiche per suo conto. Lui esaminava, commentava, apprezzava i risultati. Mai però un accenno fuori dalle righe, un apprezzamento sulla mia persona, sulla mia vita privata. Nonostante fossi una bella ragazza, per certi versi provocante, sembrava che per lui non fossi neppure una donna.

Tutti mi guardavano come i maschi sanno guardare una donna, ma nessuno osava fare avances. Troppo autoritaria, troppo fiera di sé… ma i commenti sulle porte dei bagni, che puntualmente facevo cancellare, parlavano chiaro. Per avermi avrebbero pagato un palancone, ma ero considerata… una che non la dava. Massimo invece rappresentò la parte dolce di Milano. Educato, tenero, elegante, di buona famiglia, mi aveva commosso con le sue tenerezze e attenzioni. Dio sa quanto ne avevo bisogno. Mi accarezzava dolcemente, mi stringeva tra le sue braccia coccolandomi a lungo, aveva due mani fantastiche. Con lui riuscivo ad abbandonarmi gustando la sua tenera compagnia. Mi aprivo progressivamente a lui come una verginella alla scoperta del piacere. Lentamente gli avevo concesso di scoprirmi, di guardarmi, di vedermi nuda, di gustarmi. Niente al confronto delle ebrezze palermitane, ma di quello avevo pur anche bisogno, e la mia natura di donna mi spingeva al matrimonio. E così fu.

Ora che sono passati cinque anni, è rimasta la tenerezza ma si sono diradate le sue manifestazioni tangibili. Il sesso è scarso, circa due volte al mese. Le forme ancora di più, la durata… non parliamone. Dulcis in fundo è spesso lontano da casa per lavoro. Ma il matrimonio con Massimo aveva provocato in Roberto, il titolare, un cambiamento. Succedeva spesso che dovessi stare a lungo nel suo ufficio. Una volta sposata, Roberto era diventato stranamente ironico. Non mi chiamava più signorina o Luisella ma “sposina”, “burrosa creatura”, “dolce signora”. Gli apprezzamenti sul vestito o sulla mia acconciatura che ogni tanto mi buttava lì mi richiamavano alla memoria le giornate palermitane, e diventavano sempre più esplicite, anche troppo. “Tuo marito si delizierà con l’abbondanza delle tue tette…”, “hai una bocca sensuale e provocante anche per un uomo di ghiaccio…”, ecc.. mai però un gesto scomposto, mai un tentativo di sfiorarmi.

Una sera però mi chiese di fermarmi oltre l’orario. Mi andava anche bene, Massimo era in Francia e una probabile cena col capo al ristorante mi inorgogliva. Discutemmo il bilancio trimestrale e affrontammo la verifica di gestione. Lavorammo sodo e in modo costruttivo. Verso le 22 chiudemmo. Roberto, indicandomi l’orologio a muro dietro la scrivania mi chiese se potevo regolare l’ora prima di uscire. In ginocchio sul mobiletto con le gambe un po allargate per stare meglio in equilibrio e le braccia verso l’alto cominciai a spostare le sfere, ma …. successe quello che non mi sarei mai aspettato e che in un attimo avrebbe cambiato la mia esistenza.

Improvvisamente sentii una mano forte e decisa che mi entrava sotto la gonna e raggiungeva la mia intimità. Il terrore mi assalì. Avrei voluto ribellarmi ma, cosa mai mi succedeva?, non riuscivo più a muovermi. Rimanevo lì con le braccia alzare, come pietrificata, il cuore doveva essersi fermato, nel cervello non c’erano più pensieri. Dovevo voltarmi e ribellarmi, ma continuavo a rimanere lì ferma, immobile, Lui invece, sicuro, continuava ad esplorare le mie grazie e prima ancora che il coraggio ridesse fiato alle mie corde vocali e forza ai miei muscoli, Roberto si rivolse a me con quella sua voce decisa e chiara “tu sei una troia, l’ho capito fin dal primo giorno, è inutile che ti nascondi, sei puttana fin nel midollo delle ossa. Adesso tu non ti muovi e fai quello che ti dico. Le troie non devono pensare. Le troie obbediscono”.

Non riuscivo a capire cosa mi stava accedendo. Rimanevo sempre ferma, in quella posizione innaturale. Dentro di me però un mondo stava crollando. Non riuscivo più a far girare il cervello perché qualcosa ne bloccava gli ingranaggi. Con le palme delle mani appiattite sul muro sentivo quella mano che violava la mia parte più segreta, quella voce imperiosa che stava svelando a me stessa una cosa che nemmeno io volevo ammettere ma che era terribilmente vera. L’autoritaria segretaria del capo, la donna tutta d’un pezzo, la “figa irraggiungibile”, desiderava quel tipo di rapporto: voleva essere dominata. Ero sconvolta. Nel sesso ero sempre stata io a condurre il gioco. Perché adesso ero incapace di gestirmi? quella mano insistente mi procurava uno strano piacere che non era provocato solo dalla stimolazione del sesso ma proveniva ben più dal profondo. Istintivamente incurvai la schiena quasi a permettere una migliore penetrazione.

Roberto continuava a parlare in modo fermo e deciso, ma io non capivo più nulla. Mi sentivo in suo possesso, soggiogata dalla sua presenza, quasi dominata da lui. E la cosa mi stava prendendo, togliendomi ogni velleità di risposta. Inspiegabilmente rimanevo ferma. “tu sei una troia, e le troie vanno solo usate”. Dentro di me qualcosa diceva che sì era vero, io volevo essere usata, volevo che un uomo mi facesse sua, mi dominasse, mi imponesse la sua volontà, e non con la delicatezza di Massimo ma con la rudezza e la forza dei siciliani.

Roberto avvertendo la mia eccitazione ebbe l’immediata conferma di aver visto giusto: Luisella era una troia che aveva bisogno di essere usata. Facendo un passo indietro si sedette lentamente sulla poltrona dirigenziale guardandomi ancora ferma in quella posizione. “Adesso tu scendi da lì ti metti di fronte a me e ti spogli totalmente. devi restare nuda”. Non ero più capace di ribattere e non proferii una sola parola. Con il cervello ancora sconvolto e il cuore in subbuglio scesi dal mobiletto e cominciai a spogliarmi lentamente, senza impaccio, come lui mi comandava, togliendomi un indumento per volta, con gli occhi bassi senza osare a guardarlo. Mi sentivo indifesa in quella posizione, ma non umiliata, esposta ma non violata. Mi sentivo costretta ad obbedire ma non volevo tirarmi indietro. Nella nebbia cerebrale che mi offuscava mi venne in mente come una folgorazione il primo comandamento di mamma: “agli uomini non si può dire di no”. Quello che era davanti a me non era più il mio capo, era un uomo, un uomo vero come mio padre, e io non potevo non fare quello che mi chiedeva. “… e poi finisce per piacerti…” la voce di mamma mi risuonava sempre dentro e mi ci trovavo perfettamente in quello che diceva. Roberto intanto si era aperto i pantaloni, se li era tolti e, sempre seduto sulla poltrona, mentre si accarezza il suo attrezzo con l’indice mi faceva segno di avvicimarmi e di inginocchiarmi. L’ordine era indiscutibile: “ingoialo!”
(continua)

(da pop45@tiscali.it)

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