Giochi Pericolosi I

Scritto da , il 2019-03-26, genere masturbazione

Sono Massimo, ma tutti mi chiamano Max, da poco più di quattro anni mi sono trasferito in una grande città del nord Italia da una più piccola del centro-sud per motivi di studio; sì mio caro lettore, sono giovane, nel pieno dei miei anni, le mie giornate le trascorro sui libri, immerso in articoli di riviste scientifiche, nelle biblioteche ma soprattutto in facoltà dove, tra una lezione e l’altra, ho sempre la possibilità di ammirare le bellezze che la natura benigna ha forgiato per allietare i nostri sensi. Per me l’università è un luogo magico, ogni giorno non sai chi potrai incontrare, è un luogo pieno di giovani dove pertanto è impossibile non far cadere gli occhi su colei o colui cui la natura ha riservato maggior garbo.
Non sono un adone, non lo sono mai stato, e a dir la verità non ho una grande esperienza col genere femminile; dal basso dei miei ventitré anni posso dire di aver avuto qualche esperienza solo con ragazze leggermente più grandi di me; non è che le mie coetanee non mi piacciano ma le trovo spesso senza argomenti, senza qualcosa da dire dopo aver passato la notte insieme, al contrario adoro chi riesce a coinvolgerti dentro e soprattutto fuori dal letto, in una danza di passioni illimitate. Tuttavia, il mio metro e settanta, la mia corporatura magra con qualche muscolo definito, i capelli lunghi mossi e castani che adornano due occhi verdi, ma soprattutto il riso e un sano tocco di autoironia, mi hanno permesso di scaldare il letto di qualche donzella troppo trascurata dal fidanzato.
In questi anni ho fatto parecchie amicizie ed in particolare ho un giro di amici molto stretto da cui entrano ed escono in molti all’occorrenza; è un gruppo fluido ma che conta sempre della presenza di due persone eccezionali, il mio amico Claudio e la mia amica Francesca.

Claudio ha un anno in più di me, al primo anno sbagliò facoltà e così si dovette iscrivere nuovamente al primo anno di corso di un altro ramo per l’anno successivo, l’anno per l’appunto in cui arrivai anch’io; è li che ci siamo conosciuti, ah dimenticavo, a Claudio non fa piacere che qualcuno gli ricordi di quell’anno andato male. Lui è un ragazzo studioso, molto più di me, con una famiglia meravigliosa, accogliente, elegante e molto, molto facoltosa, mi sono subito trovato bene con i suoi genitori, sempre pronti ad invitarmi a casa loro per cene o per weekend al lago. Claudio mi ha confessato di non aver mai avuto una ragazza, sebbene sia un bel ragazzone alto e ben piazzato è infatti molto impacciato col gentil sesso, e francamente mi dispiace quando lo prendono in giro; dal canto mio, cerco sempre di stargli vicino, è un ragazzo compagnone e dopotutto mi aiuta anche un sacco con gli appunti.
Di Francesca che dire, è la classica bella ragazza che tutti vorrebbero portarsi a letto. Ha dei lunghi e lisci capelli castano chiari, occhi color marrone e pelle chiara e delicata il tutto su di un fisico da capogiro, ha anche un difetto: è fidanzata! Va da se che a me è sempre piaciuta, ma in fondo, se faccio caso alle occhiate di Claudio, anche a lui la nostra amica non deve essere indifferente.

Una sera di novembre il gruppo, per un totale di cinque persone, si sarebbe dovuto vedere per un aperitivo, io non sapevo se andare o meno, abitando fuori mano infatti, mi sarebbe rimasto difficile tornare a casa, però la presenza di Francesca, sapere che si sarebbe presentata con i suoi jeans stretti, che mettevano in risalto i suoi magnifici glutei, oppure con quelle minigonne aderenti che mettevano in mostra le sue magnifiche gambe fasciate dal nylon, e che dire del suo abbondante davanzale che mi faceva battere il cuore ed alzare…ehm, diciamo la temperatura. Per fortuna arrivò la chiamata della mamma di Claudio che mi invitava, come molte alte volte era già successo, a dormire da loro al fine di godere fino in fondo della serata con gli amici.
Detto fatto, il pomeriggio del giorno fissato per l’incontro, invece di tornarmene a casa come di consueto, mi recai a casa di Claudio: era ancora presto e avremmo giocato a qualche gioco da tavolo per ammazzare il tempo fino alle 7. Casa sua era come al solito lussuosa e pulitissima, con un profumo che sapeva di fresco e di pulizia, sono sempre rimasto esterrefatto nel vedere il suo bagno così spazioso e luccicante. Ad ogni modo, il tempo di darci una rinfrescata e via…partimmo con uno di quei strani giochi che a Claudio piacciono tanto.
Alle sei rientrò Federica, la mamma di Claudio, che mi salutò come di consueto con due baci sulle guance, abbracciandomi tanto da schiacciarsi su di me. Federica è una donna di circa quarantacinque anni (l’età precisa non ho mai osato chiedergliela), alta su per giù un metro e settanta, ha gli occhi verdi, i capelli castani, lisci e lunghi fino al collo. Ha un bel fisico che mantiene in forma grazie ad ore di palestra cui si dedica due o tre giorni a settimana. Lei è una caposala in un noto ospedale ed è sposata con un dottore molto importante della zona, ecco spiegato il motivo di tanto agio. Che dire però, Federica mi è sempre piaciuta, è una bella donna e la sua voce squillate mi ha sempre fatto venire in mente pensieri proibiti. Quel giorno indossava una camicia bianca, una giacca ed una gonna al ginocchio nera con un piccolo spacchetto dietro, con scarpe nere aventi un leggero tacco. Quando finì di salutare me ed il figlio la vidi ancheggiare verso il bagno sculettando fino a sparire nel corridoio. Pochi minuti dopo Claudio si recò in camera sua per prepararsi alla serata, mentre io, sul divano, giocherellavo con l’iPhone. Stufo di attendere iniziai ad avvicinarmi al corridoio facendo su e giù per la sala quando ad un tratto intravidi la luce provenire dal bagno, Federica aveva lasciato uno spiraglio aperto e sebbene non potessi vederla direttamente, potevo vedere la sua immagine per tre quarti riflessa allo specchio. Aveva aperto l’acqua della doccia facendola riscaldare, come si evinceva dal leggero fumo che saliva dal piatto-doccia lasciato aperto, lei si stava togliendo gli ultimi capi di vestiti e aveva addosso la gonna ed il reggiseno bianco, la vidi abbassarsi a novanta gradi per sfilarsi la gonna, mostrandomi inconsciamente le natiche sode con una piccola mutandina che copriva la sua nudità. Istintivamente mi passai una mano sul pacco che era in procinto di mettersi sull’attenti, la vidi ritirarsi dietro la porta, e poi raggiugere la doccia molto lontana dallo specchio così che non riuscii a coronare il mio sogno di vedere le sue nudità.
La serata fu molto tranquilla, con Claudio più loquace del solito, io invece, mi ritirai dietro uno strano silenzio da cui nemmeno le carezze sul viso di Francesca, vivamente infastidita per le poche attenzioni che le stavo riservando, riuscirono a risvegliarmi. Il mio pensiero era fisso su quei globi di carne trattenuti dal reggiseno bianco che avevo visto qualche ora prima, mi trovai a fantasticare sue di lei, sul profumo che aveva, mi interrogai se anche i vestiti avessero il suo odore. Federica era bona ed io ne ero attratto.
Io e Claudio tornammo a casa intorno alla mezzanotte, con lui che mi pregava di non far rumore a causa della presenza del padre, che l’indomani si sarebbe svegliato presto per raggiungere il posto di lavoro. Mentre lui si cambiava in camera sua, io fui raggiunto da Federica, che indossava una vestaglia da notte, di quelle bianche e senza maniche, che le arrivava a metà cosce, mi abbracciò e mi diede i suoi soliti baci sulle guance e mi disse: «Max fatti tranquillamente la doccia, Claudio se la farà domattina, io intanto ti prendo qualche vestito di Claudio da metterti per la notte, intanto tieni le pantofole. Tu intanto va in bagno, ti ho preparato tutto l’occorrente e l’ho appoggiato sul mobiletto di fianco alla doccia». Io le risposi: «Fede, grazie mille, sei sempre tanto gentile con me» e la riabbraccia a mia volta. Lei ridendo mi diede un bacio sula fronte, eravamo stretti, nel corridoio buio, con la sua vestaglia premuta sul mio corpo e i nostri nasi quasi a sfiorarsi. Rimanemmo così per qualche secondo, occhi miei fissi negli occhi suoi finché lei ruppe gli indugi ed ingoiando un nodo che le si era stretto in gola si allontanò dicendomi «buonanotte Max, a domani» e andò in camera ancheggiando come al solito.
Io rimasi per un po’ in corridoio e poi entrai in bagno aprendo la doccia, quella donna mi aveva magicamente stregato. Spogliandomi mi accorsi del bozzo che conservavo nei pantaloni, chissà se Federica, così attaccata a me com’era lo aveva sentito, ma prima di pensare ad una qualsiasi figuraccia che avrei potuto fare i miei occhi furono catturati da un cesto di vimini adagiato al muro dieto la doccia. Con gli occhi rossi e le mani tremanti di libidine oltrepassai la soglia dell’onestà con il pensiero malato di frugare l’intimità della famiglia del mio amico, allungai le braccia a togliere il coperchio della cesta, e vi misi le mani, frugando alla ricerca dell’unica cosa che mi interessava: il profumo di lei. Devo ammettere che non trovai subito ciò che cercavo e dovetti usare la vista per scansare mutande e camici maschili fino a che, in un angolo della cesta, come fossero state sepolte accuratamente, sfiorai un tessuto morbido e rotondo, lo tirai su: il suo reggiseno. Tutta l’emozione di un ragazzino si impadronì di me, srotolai quel magnifico trofeo e dopo averlo ammirato per qualche secondo lo portai al naso, aveva il suo profumo, era quel reggiseno che le avevo visto addosso qualche ora prima, quella stoffa che aveva stretto il suo seno nella lunga giornata di lavoro, che aveva accarezzato i suoi capezzoli e che poi, tornata a casa, aveva liberato e rinfrescato. Come un robot lo portai alla bocca e la mia lingua iniziò a sondare l’estremità interna della coppa sinistra, il punto in cui il capezzolo aveva sfregato la stoffa per almeno otto ore, poco dopo mi accorsi che con la mano destra, avevo liberato il mio fallo, duro e rosso come poche volte prima d’allora ed erano almeno due minuti che, gustandomi il sapore del seno di Federica, con la mano destra avevo iniziato un lento ma deciso movimento, come se fosse stata lei ad accarezzarmi, con quelle sue dita calde e affusolate.
Non volevo venire ed iniziai un fenetico stop and go per alcuni minuti, portandomi sull’orlo del piacere per poi fermarmi, non si dice forse che l’attesa del piacere, costituisce essa stessa il piacere? Mi scapocchiavo il glande e poi rimandavo giù il prepuzio facendo ben aderire il frenulo alla stoffa della coppa del reggiseno di Federica poi all’improvviso, un lampo squarciò il silenzio della mia mente, chiusi gli occhi, sussurrai piano il suo nome, uno schizzo chiaro, poco più scuro dell’acqua fuoriuscì flebile dalla bocca del glande, era il punto di non ritorno, non avrei più potuto arrestare il fiume che ne seguì. Immediatamente dopo, uno zampillo violento di burrosa crema bianca, si spalmò nel cuore della coppa destra del reggiseno, seguito subito dopo da un altro fiotto più denso e bianco del primo ma meno potente che finì anch’esso dove non sarebbe dovuto finire ma già che c’ero, perché interrompere il momento? Allora mi liberai completamente nella sua coppa destra.
Finito il gioco, la mente tornò alla realtà. Che cazzo avevo combinato? E adesso? Come lo avrei pulito? Pensai di riporre il reggiseno dove l’avevo trovato, accuratamente piegato, in fondo Federica era a letto e non avrebbe fatto la lavatrice prima dell’indomani, momento in cui lo sperma si sarebbe già dovuto essere seccato. Così feci, chiusi la doccia, mi vestii e andai in cucina a prendere un bicchier d’acqua. Dormivano tutti e così decisi di dare uno sguardo alla finestra contemplando il nero della città, stranamente silenziosa: grave errore! Tornai nel corridoio, la porta del bagno era aperta, la luce accesa, la porta della lavatrice pronta all’uso e Federica per terra a quattro zampe a portare i panni dalla cesta nella lavatrice. Lei mi sorrise: «meno male che hai finito presto Max, che sciocca, e questi quando li avrei lavati?». Io in preda al panico blaterai: «F-fed-e, io i-intanto f-v-ado a le-le-tto», «vai pure Max, finisco di mettere i panni a lava…», troppo tardi, lei interruppe la frase, io mi voltai. Lei era in ginocchio con le mani sull’oggetto che mi aveva regalato il momento più piacevole della giornata, pronto ad essere una bomba a timer esaurito. «Cos’è sta roba?» (Continua).

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