La più classica festa di Halloween 2

Scritto da , il 2019-01-15, genere etero

“Wow…”
Si lasciò sfuggire il commento guardandosi attorno. Irene la guardò soddisfatta, dovendo già alzare la voce per riuscire a farsi sentire.
“Hai visto? Tu non sei mai voluta venire, ma queste feste sono da sballo! Vieni!”
La sua amica la prese per mano e, per prima cosa, la condusse al guardaroba. Tutta la navata sinistra, ad esclusione dei primi metri, era stata chiusa con un muro, isolandola del resto del locale, e allestita per la funzione che doveva ricoprire. Un largo banco trasversale in tutta la sua larghezza e file, lunghe infinite, di appendiabiti. Si stupì di vedere solo due ragazzi, travestiti da zombie sanguinolenti, a gestire quel lato. Consegnarono le giacche, misero in un posto sicuro lo scontrino, e entrarono nel locale vero e proprio.
“Chiudi gli occhi e fidati di me.”
Non era affatto convinta di quella cosa, ma decise di affidarsi all’amica.
Irene la prese per entrambe le mani, le diede un bacio a stampo, e la guidò attraverso la navata principale. Qui, se possibile, la musica era ancora più forte. Ovunque la stesse portando, sembrava non arrivasse mai.
“Ecco, qui puoi aprirli!”
Il locale era gremito di gente. Già così sembrava pieno, come poteva entrare quella che era fuori?
Rimase affascinata di quanto le si presentò davanti agli occhi.
Nella navata di destra, per diversi metri di lunghezza, era stato allestito un banco bar che dire enorme era poco. Nonostante questo i ragazzi si accalcavano e facevano la fila per avere da bere mentre i baristi si davano da fare come pazzi. Streghe, zombie, vampiri, fantasmi… non mancava nessuno a preparare i cocktail. O a berli. Irene la tenne stretta e la condusse attraverso gli sgabelli, i tavolini, e i divanetti che riempivano lo spazio tra le colonne e il muro. Una quantità incalcolabile di persone. Ecco quanti erano lì dentro. E nessuno si stava annoiando. Arrivarono in cima alla navata senza far caso agli sguardi dei ragazzi. Una pesante porta di legno recava due scritte. La prima, fatta da mano esperta, recitava “sacrestia”. La seconda, scritta con vernice rossa e nemmeno tanto bene, recitava “privé”.
“Io, qui, non sono mai entrata”, le urlò Irene in un orecchio per riuscire a farsi sentire con un tono che lasciava intendere che avrebbe avuta una gran voglia di vedere cosa vi si celava dietro. Ma un enorme Frankenstein custodiva gelosamente quel passaggio.
Infine l’abside! Non aveva più nulla di sacro, nemmeno a cercarlo con attenzione. Al posto dell’altare era stata attrezzata la postazione del dj, con alle spalle un megaschermo dove scorrevano le immagini di un film buio che non riuscì a riconoscere. Quello che la lasciò senza fiato erano i due uomini e le due donne che ballavano, con una versione molto lasciva e sensuale della tunica dei loro corrispettivi religiosi, su strutture di legno che ricordavano fin troppo bene i pulpiti da cui i preti lanciavano i loro sermoni alla folla.
E sopra tutto questo spettacolo di follia, una quantità indefinibile di faretti si muoveva costantemente e, con un ritmo mai costante, mutando colore a volte piano a volte di colpo, trasformando l’antico luogo di culto in un caleidoscopio di luci, suoni, facce e colori mai uguale.
“Wow! Questo posto è… sbalorditivo!”
“Tu devi fidarti di più di me!”
“Sì, devo farlo!”
“Però non è sempre così. Anzi, questo posto apre solo per le occasioni speciali. Forza, prendiamo da bere!”
Senza perdere altro tempo fu trascinata indietro, al banco del bar. Gente. Gente ovunque. Maschere di ogni tipo. Dalle più semplici alle più elaborate. E non importava che fossero zombie o streghe o vampiri. Tra mille maschere scontate c’era sempre qualcuno che riusciva a sbalordirla. Ora dovevano solo riuscire a prendere da bere. Si trovò circondata da ogni parte. Qualcuno spingeva, qualcun altro cercava di farsi avanti, qualcun altro ancora approfittò della vicinanza per osservarla con cura. Fu in quel frangente che un ragazzo, di fianco a lei, si fece da parte per farla passare. Per un attimo non capì da cosa fu vestito. Corrucciò la fronte e lo guardò con più attenzione. Lui fu furbo, non si fece sfuggire l’occasione e aprì le braccia, mostrando come delle enormi ali. Il torso era nudo, quello dell’animale, non quello del ragazzo, il colore della pelle scuro, una strana tinta tra il marrone e il grigio. Il ragazzo abbassò la maschera, che aveva tenuto alzata sopra il capo.
“Sei… sei un pipistrello gigante!”
“Esatto! Una specie di Batman, se vogliamo!”
Inevitabilmente si erano avvicinati per potersi parlare. Uno strano odore l’aveva avvolta. Sudore… deodorante… plastica… una miscela indecifrabile che però, nel totale della serata, non stonava.
“Allora sei un fuorilegge…”
“Certo, ma sto dalla parte dei buoni.”
Lei lo guardò un po’ perplessa.
“Un fuorilegge non può stare dalla parte dei buoni.”
Il ragazzo alzò di nuovo la maschera. Era carino. In realtà, guardandolo, non aveva nulla di particolare che lo distinguesse. Se non il sorriso. Sì, aveva un bel sorriso. Le si avvicinò di un altro mezzo passo, spinto da qualcuno alle sue spalle che cercava di farsi largo, e le posò una mano sulla schiena.
“E perché no? Guarda Batman.”
Lo guardò un poco perplessa. Non era sicura che fosse un paragone corretto, ma lei non era esperta di fumetto.
“Ma Batman non è ricercato dalla polizia...”
“Come no? Il fatto che sia amico del Commissario Gordon non cambia il fatto che sia un fuorilegge.”
Fece per rispondere, ma la mano del ragazzo scivolò in basso, verso il suo fondo schiena, con un gesto all’apparenza quasi distratto, ma lei non era certa dell’ingenuità di quel movimento.
“Vieni, prendiamo da bere. Cosa vuoi?”
Mentre parlavano l’uomo pipistrello era riuscito a guadagnare il banco del bar e ora uno dei baristi era lì per loro.
“Non lo so… fai tu...”
“D’accordo, allora facciamo due mojito.”
Eccolo di nuovo.
Illuminato per un istante da un lampo di luce, a pochi passi da lei, l’uomo che aveva visto all’ingresso. Non poteva sbagliarsi. Alto, con un portamento distinto e signorile, i capelli perfettamente in ordine, il vestito impeccabile. Era lui, impossibile sbagliarsi. I loro sguardi si incrociarono per un istante, fossero per meno di un secondo, ma che a lei parve eterno. In un modo a lei sconosciuto, quegli sembrarono capaci di entrare dentro di lei, arrivare dritti dentro la sua anima ed esplorarla con una facilità e una naturalezza a cui le fu impossibile resistere. Si scoprì affascinata da quell’uomo, tanto che tutto il resto perse improvvisamente d’importanza.
“Scusami un attimo solo.”
Posò una mano sulla spalla del ragazzo e si allontanò verso quella visione, ma era già sparita. Non le ci volle molto per raggiungere la stessa posizione dove aveva visto l’uomo un momento prima ma, per quanto si sforzasse, di lui non c’era nessuna traccia. Come se le ombre l’avessero avvolto. Per la seconda volta.
Si sentiva strana. Felicemente strana.
Quell’uomo, chiunque fosse, con quel semplice sguardo, forse le aveva persino sorriso, era stato capace di conquistarla. Era assurdo, completamente assurdo, ma ora lei si sentiva bruciare dal desiderio da scoprire chi fosse, dal sentire il suo profumo, la sua voce, le sue mani contro la propria pelle…
Mentre si spostava tra la gente in cerca delle sue amiche si scoprì eccitata. Quello strano, fugace, incontro era riuscito a smuoverle qualcosa che la storia disastrosa con il suo ex aveva bloccato. E ora… ora aveva voglia… voglia di ritrovare quell’uomo e abbandonarsi a lui. Sentì il calore riscaldarle non solo le guance, ma anche il ventre. I capezzoli, ora turgidi, sfregavano contro il tessuto del tessuto, provocandole brividi di piacere che andavano a peggiorare la situazione. Come se non bastasse si sentì umida tra le gambe.
Aveva voglia.
Aveva dannatamente voglia.

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