Secrezioni: "Riflessioni a margine"
di
renart
genere
tradimenti
Mi sveglio in un bagno di sudore. La luce che filtra dagli interstizi della persiana sono lame infuocate che falciano pulviscoli di polvere danzanti prima di affettarmi il ventre in strisce diafane e cocenti. Sbircio l’orario sulla radiosveglia, grugnisco qualcosa che non capisco nemmeno io e mi tiro su. I giorni scorrono placidi e pigri, come gatti spaparanzati al sole, e, per dirla tutta, la mancanza di lavoro non mi angustia di striscio, per quanto invece se ne danni Veronica. Non scorgo le ciabatte al lato del letto alla mia sinistra, quindi a piedi nudi mi dirigo verso il bagno. L’erezione mattutina rende la prassi della minzione molto complicata e contorta. Divarico le gambe e spingo in giù l’attrezzo rigido, mirando la pozzetta in fondo al cesso, reggendomi alle piastrelle con la mano libera. Il risultato sono soltanto un paio di dolorosissime gocce di urina che zampillano nell’acqua come novalgina sul fondo di un bicchiere. Alla fine mi tocca cedere alla posizione più comoda e meno virile, per cui mi acquatto sulla tazza e svuoto finalmente la vescica. Tiro lo sciacquone e mi lavo le mani. Esco lentamente dal cesso, biascicando i piedi, desiderando solo una cuccuma formato famiglia di caffè.
La vedo da sopra le scale, china sul tavolo, cordless stretto in una mano, nell’altra uno spinello, i gomiti piantati sul ripiano in formica, così che il culo viene su in bella mostra. Indossa un corto vestitino di jeans che le lascia scoperte le spalle e gran parte delle gambe. Mi compiaccio della mise, visto che gliel’ho regalato io quel vestitino – certo, quando potevo permettermelo, ma lasciamo stare. Le gambe sono molto abbronzate, le cosce belle tornite, e scorgo finanche la curva morbida di una natica quando se la gratta con le unghie smaltate del medio e dell’anulare . Il cazzo si leva su immediatamente e si porta dietro tutto il resto. Scendo le scale piano, senza far rumore. Sono trascorsi quasi due giorni dall’ultima volta che l’ho vista e avrei un bel po’ di curiosità da soddisfare - tipo dove e con chi cazzo sia stata tutto questo tempo, perché non abbia risposto a telefono e come abbia fatto a non porsi lo scrupolo almeno di avvertirmi che non sarebbe rientrata, tutte domande che già so rimarranno inevase, altrimenti sarebbe finita che il mondo sia veronicocentrico -, tuttavia, prima ancor della gelosia che scalpita e soffia per uno sfogo, è il cazzo ad urlare la propria disperata voglia e il desiderio di quel corpo di donna che sembra essere l’estensione stessa della sua estremità, il suo naturale fodero, l’urna ideale per la sua feconda essenza.
“Da quando poi è disoccupato, ti dico, non ho più pace”, si lamenta pur tenendo un tono di voce piuttosto basso. “Ti ripeto che è un continuo scopare, senza sosta. Giustamente non ha niente da fare tutto il giorno, e quell’affare, che gli prenda un accidenti!, è sempre in fregola. Non ne posso più!”, sbotta stropicciando il filtro bruciacchiato nel posacenere. Nella pausa che segue, mi immagino Mirna – non ci sono dubbi, infatti, che ci sia quella baldracca attempata dall’altra parte della linea, altrimenti Veronica non metterebbe in piazza il nostro privato, e in modo così triviale per giunta – muovere il peso qua e là sulle chiappe mosce e fare qualche commento osceno, soffiato con quel tono di voce mellifluo e lamentoso, da vecchia gatta morta, che tanto mi fa girare le palle. E infatti Veronica riprende: “Ma quale fortunata, Mirna! Tu questa la chiami fortuna? Da lui oramai solo questo posso avere e aspettarmi... sinceramente, prossima ai 30, vorrei qualcosa di...”, si interrompe sentendo la presa forte delle mie mani sulla carne soda del culo. Niente mutande... mmmm. “Oh, cristo!, no... finiscila, Renny. Finiscila, cazzo! Mirna, devo lasciarti... scusami, ci sentiamo dopo...”. Le strappo il telefono di mano e lo spingo in un angolo lontano del tavolo, pigiando volutamente il tasto del vivavoce anziché il rosso di fine chiamata. Stamattina hai fatto bingo, bagascia - penso mentre incollo le mie labbra a quelle di Veronica infilandole in bocca tutta la lingua e tenendole allo stesso tempo ferme le braccia che mulina forte per divincolarsi, attentando ripetutamente a viso e occhi, come una gatta in assetto da battaglia - rosica un po’, tanto lo so che non staccherai la comunicazione, vecchia libidinosa maiala, che pur soffrendo te la ciupperai tutta questa chiavata, perché ti rode, vero?, ti rode che Veronica abbia un uomo e che lo ami e che non lo molli nonostante le tue interferenze, megera impestata, e che se lo scopi e pure con gusto, e mentre penso a questo schiaccio i polsi di Veronica – che mugola forte e che mi morde la lingua, puttanaeva! – sul tavolo e con un ginocchio forzo la morsa delle sue gambe fin quando non cedono, mi infilo nel pertugio così apertosi e lo occupo col corpo, mentre la cappella copre lo spazio che ben conosce e si sfrega contro i peli e le labbra già bagnate e dischiuse, quindi con un gioco di bacino lo spingo tutto dentro, fino all’attaccatura dei coglioni, e Veronica lancia un rantolo da far rizzare i peli delle braccia e si aggancia con le gambe alle mie reni e, visto che non c’è più bisogno di tenerla ferma, mi pianta tutte e dieci le unghie nella schiena e vi si aggrappa con forza, tirandosi su dal tavolo, così che io l’abbranco per le chiappe e comincio a fotterla dal basso verso l’alto, mentre lei urla e geme, e io grugnisco e grido a mia volta, ansimando gutturalmente ad ogni affondo, tipo tennista al massimo dello sforzo, e condisco la grandiosa scopata immaginandomi la troia dall’altra parte del telefono, i suoi capezzoli che si inturgidiscono, la mano che corre sotto la gonna a scartavetrarsi la patacca usurata, pompandosela con due dita e mordendosi un labbro a sangue, mentre io e la sua adepta siamo alle fasi conclusive, all’ultima curva prima della dirittura d’arrivo, allorché l’orgasmo si ingrossa nei visceri sotto forma di lava incandescente ed esplode in un aaaaaaahhhhhhhh prolungato, prolungatissimo, che ci fa rovinare sul tavolo e che ci sconquassa le membra come se fossero percosse da un defibrillatore.
*
Quando esco dalla doccia, Veronica non è più in casa. Un post-it attaccato al frigo m’informa che è andata a lavoro e mi esorta, in un nota bene, a trovarne uno a mia volta e alla svelta, perché, sintetizzo, è arrivata al limite della sopportazione. A questo proposito, mi invita – ma, a giudicare dal DEVI cubitale e sottolineato tre volte, è chiaramente un’imposizione – a chiamare Mirna, che ha buone notizie per me. Mi preparo un caffè con tutta calma, lo verso nella mia tazza preferita – quella con l’immagine del Grande Lebowsky in vestaglia che sorseggia il suo White Russian da una tazza del tutto simile a quella che ho in mano – e mi siedo al computer. La lucina della batteria in basso a sinistra è accesa, prova incontrovertibile che l’ultima ad usarlo è stata Veronica. Scrollo il mouse e appare il bacio con tanto di lingue fuori che io e Veronica ci scambiammo ad Amsterdam, davanti al museo di Van Gogh, e che ora riempie quasi completamente lo schermo sul desktop. Clicco sull’icona del browser e, anziché aprirsi la pagina di google, compare la posta elettronica di Veronica e, nella finestrella accanto, quella del suo Facebook. Una parte di me mi suggerisce di chiudere tutto, ma prevale l’altra, la vocina stridula con tanto di corna e coda da diavolo a seguito. Comincio dalle e-mail. Le ultime sono di un tizio più vicino ai sessanta come presenza che agli effettivi cinquanta, che abbiamo conosciuto un po' di tempo fa ad una cena a casa di Massimo. Credo faccia l'avvocato, uno quotato nel giro comunque - altrimenti non avrebbe avuto diritto ad uno scranno presso la tavola di Massimo Il Grande, anzi Il Glande -, ma di sicuro c'è, a quanto leggo, che ha completamente perso la testa per Veronica. La stronza chiaramente gli dà corda, è più forte di lei, non può fare a meno di flirtare con chiunque mostri un minimo di interesse per la sua persona, per inocularglimil virus del desiderio, coinvolgendolo in un gioco che prevede come unico obiettivo il soddisfacimento della sua vanità - perché è di questo che stiamo parlando, del verme della vanità che, come una tenia, si ciba di tutto ciò che entra nella zona gravitazionale di Veronica, strafottendosene altamente di qualsiasi senso del decoro, il quale, molto spesso nel suo caso, finisce col cedere le armi all’epilogo più grottesco e miserrimo -, dandosi e fuggendo, punendo e premiando, finché il sistema nervoso dello sfigato non diventa pappetta buona per i pesciolini ed egli un pupo senza più volontà e autodeterminazione nelle mani della maliarda. Ad ogni modo, la risposta dell'avvocato all’ultima e-mail di Veronica - che presentava in allegato due foto che io stesso le scattai in un b&b a Venezia, nelle quali in una posa nuda con zinne al vento e cosce aperte con la passera pelosa in primo piano, e nell’altra è distesa sulla pancia, col solco delle natiche dischiuso sicché è visibile tutto il percorso di rado e morbido pelo scuro che unisce il buchetto alla valletta - mi gela il sangue. Il Vegliardo si dilungava in sbavanti descrizioni su come si chiaverebbe il culo della mia donna, di quanto fremesse di scoparselo ancora, come quella volta alla Villa del Glande, il giorno dopo la cena in cui si conobbero, quando Veronica, a mia insaputa, ritornò da lui, ancora ospite di quel sensale del cazzo (è il caso di rimarcare il settore di competenza, vista la situazione), per farsi sbattere con tutta comodità, dando sfogo così a quei preliminari coi quali, a quanto leggo, si erano intrattenuti sotto la tavola, mentre il sottoscritto era così ubriaco da non distinguere il giorno dalla notte, quindi, concludeva, la invitava a raggiungerlo nel suo studio nel primo pomeriggio, dopo il lavoro. Vado avanti nella lettura masochisticamente, compulsando le e-mail precedenti, che alternavano esternazioni di arrapamento a pietistici piagnistei dovuti al logorante desiderio che tormenta lo scrivente, poverino!, ma è su FB che saltano fuori altri mostri, una giostra di amanti sui cui seggiolini c’è posto un po’ per tutti, da uno scultore al collega, dal coltivatore diretto iscritto alla Rete di autoproduzione che Veronica sponsorizza con entusiasmo, fino ad un giornalista, l’ultimo in ordine di tempo, che nella chat dichiarava di essere ancora flashato per quanto accaduto la sera prima, dopo la festa popolare, quando Veronica non è rientrata a casa, per intenderci. Seguono, nella chat con Mirna, commenti, per lo più volgari, sullo stesso tema e sulla necessità, ritenuta doverosa e urgente da entrambe, di ripetere l'esperienza, magari con un altro partner, sebbene, puntualizzava la vecchia bagascia, il cazzo del giornalista meritasse il bis (osservazione che si era meritata una serie di emoticon sorridenti e con linguetta da fuori a mo' di adesione da parte della mia Veronica). Una relazione sentimentale non deve essere una gabbia, un carcere, l'annullamento della libertà individuale - mi ripeto come per convincermene -, una relazione, anzi, deve essere essa stessa l'esaltazione della libertà individuale. Ma in cosa consiste questa libertà? - non riesco ad evitare di chiedermi - Consiste nel darla e darlo a chiunque, senza provare rimorsi alcuno né cadere in una crisi di coscienza? O la libertà è riconoscere, kantiananente, un limite per se stessi, entro il quale, e solo entro il quale, esercitare la propria sovranità e autodeterminazione, consapevoli che ci sia differenza tra libertà, riconosciuta per sé e per gli altri in egual guisa, e arbitrio? Chiaramente l'arbitrio non può essere la risposta esatta, siamo d'accordo, ma per Kant l'ambito all'interno del quale si determina la libertà del soggetto è definito dall'adesione ad una legge morale, e qui le cose si complicano. La legge morale, infatti, riguarda una determinazione interiore, mentre la fedeltà, ad esempio, ha a che vedere con l'azione esterna, col proprio agire nella prassi quotidiana, quindi tutt'al più essa è un precetto, e pertanto ha un valore di regola generale ma non certo di principio universale, il che gli consente eccezioni. Dunque, secondo il mio amico Kant, Veronica viola una regola generale, se proprio le si vuole addebitare una colpa, una regola che in effetti non abbiamo definito e concordato insieme, in quanto l'abbiamo data per scontata, per acquisita secondo una moralità catto-borghese di cui, al di là del nostro modo di pensare e di vivere, abbiamo interiorizzato norme e schemi comportamentali. Norme e schemi comportamentali che sono il viatico attraverso il quale si trasmette un sistema di potere finalizzato al controllo.
Mi accendo un cannone, seguendo il filo di quest'ultimo ragionamento, mi stendo sul divano e sbuffo il fumo verso l'intonaco scrostato del soffitto. Potere che non vediamo – proseguo -, che non ci si pone davanti guardandoci in tralice e sfidandoci a reagire per poi schiacciarci sotto la sua superiorità, bensì che ci attraversa come un fascio, dice Foucault, sedimentando in noi germi che allignano nella nostra coscienza e inducono lo sviluppo di forme di interiorizzazione del controllo stesso. Non abbiamo più bisogno di un controllore, in parole povere, perché siamo diventati noi i primi controllori di noi stessi, in conformità a quelle norme regolatrici che ci pervadono da più parti e ci performano. E questo sistema funziona ed è attivo in ogni settore in cui è coinvolto l'individuo. L'anarchia sessuale di Veronica, in tal senso, può essere intesa come una forma di resistenza, di controcondotta rispetto alla norma che si vuole acquisita per produrre un agire regolato, osservabile e, pertanto, controllabile.
Spengo la cicca, valuto la tenuta della mia conclusione e l'alibi fornito alla mia signora - e, in definitiva, a me stesso -, chiudo gli occhi e resto in ascolto del mio respiro, che sembra aver riacquistato la sua regolarità. Cosa provo adesso? Tirate le somme, ciò che sento in questo momento è il morso di una gelosia feroce, sebbene anestetizzata dall'hascisc e dal prontuario filosofico cui sono ricorso. Anzi, più che gelosia è invidia. Invidia per quei corpi sudati e ansimanti, quelle mani avide, quei cazzi venosi e gravidi di desiderio che hanno goduto di Veronica e del suo tempo, a me sottratto. E provo anche rabbia. Una rabbia cieca, che mi monta dentro come albume e che mi urtica lo stomaco. Rabbia non nei confronti di Veronica, però, né per me stesso. Alla fine, sfiancato da queste elucubrazioni, mi addormento e scivolo in un gorgo appiccicoso, senza luce e senza pena.
La vedo da sopra le scale, china sul tavolo, cordless stretto in una mano, nell’altra uno spinello, i gomiti piantati sul ripiano in formica, così che il culo viene su in bella mostra. Indossa un corto vestitino di jeans che le lascia scoperte le spalle e gran parte delle gambe. Mi compiaccio della mise, visto che gliel’ho regalato io quel vestitino – certo, quando potevo permettermelo, ma lasciamo stare. Le gambe sono molto abbronzate, le cosce belle tornite, e scorgo finanche la curva morbida di una natica quando se la gratta con le unghie smaltate del medio e dell’anulare . Il cazzo si leva su immediatamente e si porta dietro tutto il resto. Scendo le scale piano, senza far rumore. Sono trascorsi quasi due giorni dall’ultima volta che l’ho vista e avrei un bel po’ di curiosità da soddisfare - tipo dove e con chi cazzo sia stata tutto questo tempo, perché non abbia risposto a telefono e come abbia fatto a non porsi lo scrupolo almeno di avvertirmi che non sarebbe rientrata, tutte domande che già so rimarranno inevase, altrimenti sarebbe finita che il mondo sia veronicocentrico -, tuttavia, prima ancor della gelosia che scalpita e soffia per uno sfogo, è il cazzo ad urlare la propria disperata voglia e il desiderio di quel corpo di donna che sembra essere l’estensione stessa della sua estremità, il suo naturale fodero, l’urna ideale per la sua feconda essenza.
“Da quando poi è disoccupato, ti dico, non ho più pace”, si lamenta pur tenendo un tono di voce piuttosto basso. “Ti ripeto che è un continuo scopare, senza sosta. Giustamente non ha niente da fare tutto il giorno, e quell’affare, che gli prenda un accidenti!, è sempre in fregola. Non ne posso più!”, sbotta stropicciando il filtro bruciacchiato nel posacenere. Nella pausa che segue, mi immagino Mirna – non ci sono dubbi, infatti, che ci sia quella baldracca attempata dall’altra parte della linea, altrimenti Veronica non metterebbe in piazza il nostro privato, e in modo così triviale per giunta – muovere il peso qua e là sulle chiappe mosce e fare qualche commento osceno, soffiato con quel tono di voce mellifluo e lamentoso, da vecchia gatta morta, che tanto mi fa girare le palle. E infatti Veronica riprende: “Ma quale fortunata, Mirna! Tu questa la chiami fortuna? Da lui oramai solo questo posso avere e aspettarmi... sinceramente, prossima ai 30, vorrei qualcosa di...”, si interrompe sentendo la presa forte delle mie mani sulla carne soda del culo. Niente mutande... mmmm. “Oh, cristo!, no... finiscila, Renny. Finiscila, cazzo! Mirna, devo lasciarti... scusami, ci sentiamo dopo...”. Le strappo il telefono di mano e lo spingo in un angolo lontano del tavolo, pigiando volutamente il tasto del vivavoce anziché il rosso di fine chiamata. Stamattina hai fatto bingo, bagascia - penso mentre incollo le mie labbra a quelle di Veronica infilandole in bocca tutta la lingua e tenendole allo stesso tempo ferme le braccia che mulina forte per divincolarsi, attentando ripetutamente a viso e occhi, come una gatta in assetto da battaglia - rosica un po’, tanto lo so che non staccherai la comunicazione, vecchia libidinosa maiala, che pur soffrendo te la ciupperai tutta questa chiavata, perché ti rode, vero?, ti rode che Veronica abbia un uomo e che lo ami e che non lo molli nonostante le tue interferenze, megera impestata, e che se lo scopi e pure con gusto, e mentre penso a questo schiaccio i polsi di Veronica – che mugola forte e che mi morde la lingua, puttanaeva! – sul tavolo e con un ginocchio forzo la morsa delle sue gambe fin quando non cedono, mi infilo nel pertugio così apertosi e lo occupo col corpo, mentre la cappella copre lo spazio che ben conosce e si sfrega contro i peli e le labbra già bagnate e dischiuse, quindi con un gioco di bacino lo spingo tutto dentro, fino all’attaccatura dei coglioni, e Veronica lancia un rantolo da far rizzare i peli delle braccia e si aggancia con le gambe alle mie reni e, visto che non c’è più bisogno di tenerla ferma, mi pianta tutte e dieci le unghie nella schiena e vi si aggrappa con forza, tirandosi su dal tavolo, così che io l’abbranco per le chiappe e comincio a fotterla dal basso verso l’alto, mentre lei urla e geme, e io grugnisco e grido a mia volta, ansimando gutturalmente ad ogni affondo, tipo tennista al massimo dello sforzo, e condisco la grandiosa scopata immaginandomi la troia dall’altra parte del telefono, i suoi capezzoli che si inturgidiscono, la mano che corre sotto la gonna a scartavetrarsi la patacca usurata, pompandosela con due dita e mordendosi un labbro a sangue, mentre io e la sua adepta siamo alle fasi conclusive, all’ultima curva prima della dirittura d’arrivo, allorché l’orgasmo si ingrossa nei visceri sotto forma di lava incandescente ed esplode in un aaaaaaahhhhhhhh prolungato, prolungatissimo, che ci fa rovinare sul tavolo e che ci sconquassa le membra come se fossero percosse da un defibrillatore.
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Quando esco dalla doccia, Veronica non è più in casa. Un post-it attaccato al frigo m’informa che è andata a lavoro e mi esorta, in un nota bene, a trovarne uno a mia volta e alla svelta, perché, sintetizzo, è arrivata al limite della sopportazione. A questo proposito, mi invita – ma, a giudicare dal DEVI cubitale e sottolineato tre volte, è chiaramente un’imposizione – a chiamare Mirna, che ha buone notizie per me. Mi preparo un caffè con tutta calma, lo verso nella mia tazza preferita – quella con l’immagine del Grande Lebowsky in vestaglia che sorseggia il suo White Russian da una tazza del tutto simile a quella che ho in mano – e mi siedo al computer. La lucina della batteria in basso a sinistra è accesa, prova incontrovertibile che l’ultima ad usarlo è stata Veronica. Scrollo il mouse e appare il bacio con tanto di lingue fuori che io e Veronica ci scambiammo ad Amsterdam, davanti al museo di Van Gogh, e che ora riempie quasi completamente lo schermo sul desktop. Clicco sull’icona del browser e, anziché aprirsi la pagina di google, compare la posta elettronica di Veronica e, nella finestrella accanto, quella del suo Facebook. Una parte di me mi suggerisce di chiudere tutto, ma prevale l’altra, la vocina stridula con tanto di corna e coda da diavolo a seguito. Comincio dalle e-mail. Le ultime sono di un tizio più vicino ai sessanta come presenza che agli effettivi cinquanta, che abbiamo conosciuto un po' di tempo fa ad una cena a casa di Massimo. Credo faccia l'avvocato, uno quotato nel giro comunque - altrimenti non avrebbe avuto diritto ad uno scranno presso la tavola di Massimo Il Grande, anzi Il Glande -, ma di sicuro c'è, a quanto leggo, che ha completamente perso la testa per Veronica. La stronza chiaramente gli dà corda, è più forte di lei, non può fare a meno di flirtare con chiunque mostri un minimo di interesse per la sua persona, per inocularglimil virus del desiderio, coinvolgendolo in un gioco che prevede come unico obiettivo il soddisfacimento della sua vanità - perché è di questo che stiamo parlando, del verme della vanità che, come una tenia, si ciba di tutto ciò che entra nella zona gravitazionale di Veronica, strafottendosene altamente di qualsiasi senso del decoro, il quale, molto spesso nel suo caso, finisce col cedere le armi all’epilogo più grottesco e miserrimo -, dandosi e fuggendo, punendo e premiando, finché il sistema nervoso dello sfigato non diventa pappetta buona per i pesciolini ed egli un pupo senza più volontà e autodeterminazione nelle mani della maliarda. Ad ogni modo, la risposta dell'avvocato all’ultima e-mail di Veronica - che presentava in allegato due foto che io stesso le scattai in un b&b a Venezia, nelle quali in una posa nuda con zinne al vento e cosce aperte con la passera pelosa in primo piano, e nell’altra è distesa sulla pancia, col solco delle natiche dischiuso sicché è visibile tutto il percorso di rado e morbido pelo scuro che unisce il buchetto alla valletta - mi gela il sangue. Il Vegliardo si dilungava in sbavanti descrizioni su come si chiaverebbe il culo della mia donna, di quanto fremesse di scoparselo ancora, come quella volta alla Villa del Glande, il giorno dopo la cena in cui si conobbero, quando Veronica, a mia insaputa, ritornò da lui, ancora ospite di quel sensale del cazzo (è il caso di rimarcare il settore di competenza, vista la situazione), per farsi sbattere con tutta comodità, dando sfogo così a quei preliminari coi quali, a quanto leggo, si erano intrattenuti sotto la tavola, mentre il sottoscritto era così ubriaco da non distinguere il giorno dalla notte, quindi, concludeva, la invitava a raggiungerlo nel suo studio nel primo pomeriggio, dopo il lavoro. Vado avanti nella lettura masochisticamente, compulsando le e-mail precedenti, che alternavano esternazioni di arrapamento a pietistici piagnistei dovuti al logorante desiderio che tormenta lo scrivente, poverino!, ma è su FB che saltano fuori altri mostri, una giostra di amanti sui cui seggiolini c’è posto un po’ per tutti, da uno scultore al collega, dal coltivatore diretto iscritto alla Rete di autoproduzione che Veronica sponsorizza con entusiasmo, fino ad un giornalista, l’ultimo in ordine di tempo, che nella chat dichiarava di essere ancora flashato per quanto accaduto la sera prima, dopo la festa popolare, quando Veronica non è rientrata a casa, per intenderci. Seguono, nella chat con Mirna, commenti, per lo più volgari, sullo stesso tema e sulla necessità, ritenuta doverosa e urgente da entrambe, di ripetere l'esperienza, magari con un altro partner, sebbene, puntualizzava la vecchia bagascia, il cazzo del giornalista meritasse il bis (osservazione che si era meritata una serie di emoticon sorridenti e con linguetta da fuori a mo' di adesione da parte della mia Veronica). Una relazione sentimentale non deve essere una gabbia, un carcere, l'annullamento della libertà individuale - mi ripeto come per convincermene -, una relazione, anzi, deve essere essa stessa l'esaltazione della libertà individuale. Ma in cosa consiste questa libertà? - non riesco ad evitare di chiedermi - Consiste nel darla e darlo a chiunque, senza provare rimorsi alcuno né cadere in una crisi di coscienza? O la libertà è riconoscere, kantiananente, un limite per se stessi, entro il quale, e solo entro il quale, esercitare la propria sovranità e autodeterminazione, consapevoli che ci sia differenza tra libertà, riconosciuta per sé e per gli altri in egual guisa, e arbitrio? Chiaramente l'arbitrio non può essere la risposta esatta, siamo d'accordo, ma per Kant l'ambito all'interno del quale si determina la libertà del soggetto è definito dall'adesione ad una legge morale, e qui le cose si complicano. La legge morale, infatti, riguarda una determinazione interiore, mentre la fedeltà, ad esempio, ha a che vedere con l'azione esterna, col proprio agire nella prassi quotidiana, quindi tutt'al più essa è un precetto, e pertanto ha un valore di regola generale ma non certo di principio universale, il che gli consente eccezioni. Dunque, secondo il mio amico Kant, Veronica viola una regola generale, se proprio le si vuole addebitare una colpa, una regola che in effetti non abbiamo definito e concordato insieme, in quanto l'abbiamo data per scontata, per acquisita secondo una moralità catto-borghese di cui, al di là del nostro modo di pensare e di vivere, abbiamo interiorizzato norme e schemi comportamentali. Norme e schemi comportamentali che sono il viatico attraverso il quale si trasmette un sistema di potere finalizzato al controllo.
Mi accendo un cannone, seguendo il filo di quest'ultimo ragionamento, mi stendo sul divano e sbuffo il fumo verso l'intonaco scrostato del soffitto. Potere che non vediamo – proseguo -, che non ci si pone davanti guardandoci in tralice e sfidandoci a reagire per poi schiacciarci sotto la sua superiorità, bensì che ci attraversa come un fascio, dice Foucault, sedimentando in noi germi che allignano nella nostra coscienza e inducono lo sviluppo di forme di interiorizzazione del controllo stesso. Non abbiamo più bisogno di un controllore, in parole povere, perché siamo diventati noi i primi controllori di noi stessi, in conformità a quelle norme regolatrici che ci pervadono da più parti e ci performano. E questo sistema funziona ed è attivo in ogni settore in cui è coinvolto l'individuo. L'anarchia sessuale di Veronica, in tal senso, può essere intesa come una forma di resistenza, di controcondotta rispetto alla norma che si vuole acquisita per produrre un agire regolato, osservabile e, pertanto, controllabile.
Spengo la cicca, valuto la tenuta della mia conclusione e l'alibi fornito alla mia signora - e, in definitiva, a me stesso -, chiudo gli occhi e resto in ascolto del mio respiro, che sembra aver riacquistato la sua regolarità. Cosa provo adesso? Tirate le somme, ciò che sento in questo momento è il morso di una gelosia feroce, sebbene anestetizzata dall'hascisc e dal prontuario filosofico cui sono ricorso. Anzi, più che gelosia è invidia. Invidia per quei corpi sudati e ansimanti, quelle mani avide, quei cazzi venosi e gravidi di desiderio che hanno goduto di Veronica e del suo tempo, a me sottratto. E provo anche rabbia. Una rabbia cieca, che mi monta dentro come albume e che mi urtica lo stomaco. Rabbia non nei confronti di Veronica, però, né per me stesso. Alla fine, sfiancato da queste elucubrazioni, mi addormento e scivolo in un gorgo appiccicoso, senza luce e senza pena.
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