Arrivederci, si. Ma a modo nostro.

Scritto da , il 2018-04-06, genere masturbazione

L'odore pungente di cantina li colpì non appena aprirono la porta. Armeggiò brevemente per cercare l'interrutore e poi una luce debole ma calda, proveniente da una semplice lampadina appesa al soffitto, illuminò la stanza. Attrezzi da lavoro, qualche piccola cianfrusaglia e un vecchio armadio, che Dio solo sa che cosa poteva contenere. Un classico scantinato, ne più ne meno, come i milioni di scantinati che c'erano nel mondo. C'era anche un piccolo sgabello, ma soprattutto c'era la poltrona: era una vecchia poltrona in velluto di un verde slavato, con grandi ed ampi braccioli imbottiti. Non faceva una gran bella impressione, in effetti, ma sembrava pulita, e questa era l'unica cosa che a loro interessava. Perchè dovevano usarla quella poltrona, e usarla nudi.

Erano nel palazzo in cui lei aveva un appartamento in affitto. Era stata in città per alcuni giorni e prima che se ne andasse lui voleva passare per salutarla. Si conoscevano ormai da tanto tempo, ma la lontananza fisica li aveva costretti a chiacchierate, si intense, ma virtuali. E fu proprio durante una di queste chiacchierate in chat, che si confessarono di essersi masturbati ogni tanto pensando l'uno all'altro, anche se entrambi erano già impegnati. E quando si rividero, lì, in quell'androne freddo del palazzo, dopo pochi convenevoli fu naturale prendersi per mano per andare a rintanarsi in quello scantinato angusto ma tranquillo, perfetto per quello che erano intenzionati a fare.

Chiusero la porta e la tensione si fece più pressante. Erano lì, in piedi, frementi di eccitazione, ma nessuno dei due sembrava riuscisse a fare la prima mossa. Fu lui, infine, che iniziò a slacciarsi i jeans. Li sfilò completamente e, dopo un bel respiro, si abbassò i boxer. Il cazzò svettò fuori improvvisamente, già bello duro. Gli occhi di lei furono rapiti da quel grosso uccello, di cui tanto aveva fantasticato durante le sue carezze solitarie. Iniziò a scrutarne la cappella tonda e rosea, per poi percorrerne con lo sguardo tutta la lunghezza fino ad arrivare ai coglioni. Due bei coglioni grossi, e carichi, a quanto sembrava. Le venne subito voglia di prenderlo in mano e stringerlo, chissà come doveva essere duro. Ma soprattutto di prenderlo in bocca e succhiarlo, succhiarlo profondamente. Ma i patti erano chiari:"Masturbiamoci insieme, guardiamoci godere, ma a debita distanza...". Era il massimo che si volevano concedere e a cui potevano arrivare; e, in fondo, era giusto così. Erano pur sempre impegnati, dopotutto.

Lei esitò un pò. Era nato tutto così in fretta, e la fretta, sapeva, era cattiva consigliera. Ma ormai il dado era tratto, non si poteva più tornare indietro. Alzando leggermente il vestito bordeaux che indossava, si sfilò i collant. Il freddo di quell'ambiente le fece venire un brivido; o era quello che stava per fare? Si sollevò l'abito attorno alla vita e, con un gesto che a lui sembrò durare un'eternità, si abbassò gli slip, che cadderò velocemente ai suoi piedi. Era lì, nuda, di fronte all'uomo con cui aveva fantasticato più volte di scopare. Quando lui vide la sua fica, con quella peluria riccia e ben curata, non resistette: si sedette sullo sgabello, di fronte alla poltrona, ed iniziò a massaggiarsi l'uccello.

Lei si accomodò sulla poltrona: sollevò una gamba sopra il bracciolo e lui potè vedere quello scrigno rosa aprirsi in mezzo alla peluria nera. Scese con la mano verso la fica, iniziando ad accarezzarla. Con le dita stringeva e rilasciava le labbra, per poi spostarsi verso il clitoride. Nel frattempo lui si segava con movimenti ampi e lenti; gli piaceva salire fino a ricoprire la cappella per poi scendere e scappellarlo completamente. Con l'altra mano, intanto, si accarezzava i coglioni. A volte si fermava, afferrava il cazzo alla base facendolo svettare per farle apprezzare tutta la sua grandezza ed il suo turgore.

Intanto lei, a forza di guardare quel grosso arnese, si stava bagnando sempre di più. Voleva essere penetrata da quel cazzo, ma non poteva, e si infilò quindi, prima uno e poi due dita dentro la figa ormai fradicia. La tensione erotica, in quello scantinato, era ormai alle stelle: era come una corda tesa, ad un passo dal rompersi. L'odore di cantina ormai non c'era più, e c'era invece forte l'odore dei lori sessi eccitati. L'unico rumore era quello ritmico del braccio di lui e dello sciacquettio delle dita che martoriavano quella figa bagnatissima.

Si alzò dallo sgabello e si avvicinò alla poltrona. "Possiamo metterci più vicini?". Lei non se lo face ripetere e gli fece spazio. Ma lui salì sopra la poltrona sedendosi sullo schienale. La fece sistemare appoggiandole la testa nel suo ginocchio, in mezzo alle sue gambe. Ora la faccia di lei era proprio vicinissima a quel grosso bastone di carne. Moriva dalla voglia di appoggiarci le labbra, anche solo per un attimo, ma il rischio di rovinare tutto era troppo alto. "Fammi assaggiare le tue dita, ti prego" le disse lui. Fu sorpresa, e allo stesso tempo contenta della richiesta. Si infilò le due dita per bene fino in fondo e gliele porse. Lui le succhiò avidamente, per spremerne tutto il sapore. Ed era un buone sapore. "Ancora, ti prego...". Le intinse ancora e gliele ficcò in bocca. Sentiva la lingua di lui muoversi frenetica per assaporare le dita e raccogliere tutto il succo. E se la immaginò roteare, calda ed umida, proprio tra le labbra della sua fica. "Ne vuoi ancora?" gli disse lei. E alla sua risposta affermativa osò "... e allora perchè non vai direttamente alla fonte?"

Lui non se lo fece ripetere due volte, e non aspettava altro, in fondo. Fanculo i patti. Scese dalla poltrona e si inginocchiò di fronte a lei. Le fece sistemare le gambe sopra i braccioli e si tuffò verso quella fica che tanto aveva sognato. Iniziò a solleticarle le labbra con la lingua, dei tocchetti rapidi e furtivi che la mandarono in estasi. Poco dopo passò a delle leccate lunghe, che aprivano le labbra insinuandosi in profondità dentro quel morbido e succulento pertugio, per poi risalire fino al clitoride. Lo sentiva duro contro la sua lingua e, stringendolo tra le sue labbra, iniziò a succhiarlo, dapprima delicatamente e poi sempre più profondamente. Lei intanto, ad occhi chiusi, si godeva quella stupenda leccata e, mano a mano che il piacere cresceva, inarcava la schiena per incollare la sua fica contro quella bocca.

Lui si staccò per riprendere un pò il fiato, ma il piacere di lei era cresciuto troppo e con le dita ricominciò a massaggiarsi il clitoride. Lui, inaspettatamente, la lasciò fare; con le mani le aprì le chiappe e iniziò a leccarle lo stretto buco del culo. Per un attimo lei si bloccò, sorpresa, ma poi lo lasciò fare godendosi quelle nuove sensazioni. Non che fosse proprio la prima volta che uno la leccasse lì: era successo anche qualche anno prima, in traghetto, quando rivide un suo vecchio amico. Quando, con questo amico, fece una scopata epica. Quando per la prima volta succhiò un cazzo vero. E quando, sempre per la prima volta, una lingua la violò nel suo buco più segreto. Questi lontani ricordi fecero accrescere in lei il godimento ed iniziò ad ansimare. Lui se ne accorse, si bagnò un dito con la saliva e iniziò a spingerlo, delicatamente ma con fermezza, nel culo di lei. Era molto stretta, ma piano piano lo accolse tutto dentro. Lei continuò a masturbarsi sempre più velocemente, e quel dito nel culo faceva aumentare il piacere in maniera pazzesca. Ad un certo punto, con dei grossi sospiri, venne e godette come mai prima di allora. Dalla figa sgorgò copioso il succo, che lui leccò avidamente.

Sfilò il dito dal quel culo stretto e andò a sedersi di nuovo sullo schienale della poltrona. Anche adesso lei si ritrovò con quel grosso cazzo accanto alla sua bocca. Ma a differenza di prima iniziò a percorrerlo con la lingua per tutta la sua lunghezza. Partì dalla cappella e scese lentamente roteando la lingua attorno a quell'asta. Era talmente duro che con la lingua poteva sentire le vene in rilievo. Scese fino alle palle, che leccò e mordicchiò. Risalì altrettanto lentamente; si fermò a leccarne la punta, indugiando attorno a quella cappella gonfia, e poi lo accolse dentro la bocca. Iniziò a succhiare in profondità, dei risucchi lunghi e bagnati. Sentiva il sapore di quel cazzo, e le piaceva. Lui intanto si godeva quel pompino, estasiato dalle sensazioni che gli stava facendo provare.

Quando lei, continuando a succhiarlo, prese ad accarezzargli e a stringerli dolcemente i coglioni, non ce la fece più. Scese dalla poltrona, continuando a segarsi, e le ordinò di spogliarsi completamente. Lei non sapeva cosa lui avesse intenzione di fare. O forse si, e questo la eccitava terribilmente. Si tolse abito e reggiseno, e tornò a sdraiarsi sulla poltrona. La vista di quelle tette fece aumentre la sua eccitazione; mentre continuava a massaggiarsi l'uccello ne afferrò una, accarrezzandola e giocando con il capezzolo.

Fu la goccia che fece traboccare il vaso: sentì l'orgasmo che stava arrivando e diresse il cazzo verso il corpo impaziente di lei. I primi schizzi si scaricarono sulle tette, poi lo puntò verso la fica. Le ultime gocce si adagiarono sulla morbida peluria; su quello sfondo nero risaltavano come piccole perle biancastre. Con il dito lui ne raccolse un piccola goccia e gliela porse. Non l'aveva mai assaggiato ma non si tirò indietro. Succhiò quelle dita e si accorse che non le bastava; prese in bocca il cazzo, che ormai aveva perso il turgore di prima, e lo ripulì da qualche piccola goccia che era rimasta.

E pensò di non ripartire più.

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