Legata a lui

Scritto da , il 2016-10-14, genere dominazione

Non lo amo.
Non l’ho mai amato.
Quello che provo per lui è difficile da definire: è come una sconfinata stima, una sorta di adorazione, un bisogno di inchinarmi davanti a lui.
Un’esigenza fisica. Di stare ai suoi piedi.
E’ più alto di me persino quando indosso i tacchi (e lui i tacchi non me li fa mai togliere) ed è così bello e raro dover alzare il mento per guardare un uomo dritto negli occhi. Quegli occhi neri, autoritari che hanno già detto tutto con un linguaggio chiarissimo e inequivocabile: “Fai pure quello che hai da fare, ma poi sarai mia.”
Tu sei mia.
Ecco.
Tre parole che sanno mettermi in ginocchio. In ogni senso. E lui è capace di dirmele, oh sì se ne è capace e lo fa con tono categorico, perentorio come se non avessi scelta. E, in effetti, una scelta non ce l’ho. Il mio corpo reagisce, la volontà si annulla ed io, da quell’istante, sono come lui mi vuole.
Non mi ha mai imposto nulla. Neanche quella volta in cui mi ha lasciata qui con le natiche rosse e dolenti.
“Lo sai che oggi ti sculaccerò vero?” mi ha chiesto al telefono.
“Sì, lo so”, ho risposto io. E lo voglio, ho aggiunto col pensiero.
E dunque non mi sono opposta quando mi ha chinata in avanti sul tavolo, quando mi ha sollevato la gonna e mi ha abbassato gli slip. Con una mano ha cercato la mia e ha intrecciato le sue dita nelle mie.
E con l’altra mi ha colpita. Più volte.
Non mi fa male, non lo fa per infliggermi un dolore intenso. Solo un piccolo dolore che si fonde col piacere e che mi fa sentire che lui e solo lui ha il dominio totale del mio corpo. E della mia mente.
Oggi non ci vedremo ma mi ha mandato dei messaggi con le istruzioni precise. So quello che devo fare.
Gonna al ginocchio, calze autoreggenti. Un paio di slip di pizzo nero. E le palline della geisha. Le devo tenere dentro di me tutta la mattina. Andrò al bar del centro a bere un caffè e a parlare del tempo e delle mie ricette alle altre signore del paese, con naturalezza, come se tutto fosse assolutamente sotto controllo. E, in effetti, lo è, sotto il suo di controllo.
Le palline si muovono e si muovono. Un rivolo di sudore mi scende lateralmente dalla fronte. Resto impassibile ma dentro di me brucia un fuoco che mi divora. Lui non vuole che mi tocchi, non senza il suo permesso. Mi torturerà così per tutta la mattina e poi forse, solo forse, avrò il mio orgasmo. Non voglio sapere come né quando accadrà, è lui che decide tutto; io non mi devo preoccupare di questo, non fa parte del mio ruolo. Io devo solo aspettare, fidarmi di lui.
“Non ti sei toccata vero?” mi chiede verso l’ora di pranzo.
“No”.
E vorrei aggiungere che potrei anche non toccarmi e rinunciare all’orgasmo. Se questo significasse rimanere in balìa delle sue attenzioni per tutto il giorno, io ci rinuncerei all’orgasmo.
E’ ben altro quello che lui mi offre. La possibilità di spogliarmi completamente dalle responsabilità, dalla difficoltà di dover compiere delle scelte; zavorre pesanti, fardelli che mi trascino a fatica su una schiena stanca da troppo tempo.
Lui mi libera da tutto, è lui che tira i fili e non lo sa neanche il bene che mi fa.
E no, non glielo posso dire. Ho paura che possa fuggire via se capisse che io mi sveglio alla mattina con un unico pensiero nella testa: appartenere a lui.
“Mi libero un’oretta. Vengo lì a legarti.”
Sì-vorrei urlargli-vieni e legami a una sedia e poi resta lì a guardarmi tutto il tempo. Dammi quella tua sicurezza che non pecca mai di superbia. Mostrami quell’imperturbabilità e con una carezza lieve, fammi capire che tu, punti deboli non ne hai.
Lui mi ha legata: la corda spessa e ruvida mi segna la pelle delicata dei polsi e delle caviglie. Sono inerme. E’ come essere esposta a tutti i pericoli che il mondo può riservare ma sapere, allo stesso tempo, che niente mi può succedere se lui è qui con me.
Tremo impercettibilmente mentre scioglie le corde perché capisco che sta per farmi sua.
E quando mi tiene una mano intorno al collo, stringendo delicatamente, sento la magia che si compie. Non esiste lo spazio, non esiste il tempo. Potrei essere a testa in giù e non m’importerebbe. Perché quando lui è con me, in me, io sono un essere senza peso. E’ il suo ego che mi riempie e mi sorregge. Il suo ego riempie tutta la stanza, ma non lo ostenta, neanche lo sa. Lui semplicemente è. Senza bisogno di apparire.
Vorrei davvero poter contraccambiare; vorrei ogni tanto essere io ad alleviare le pene della sua anima, perché lo so che le ha, lo immagino almeno.
E allora mi concedo a lui incondizionatamente. Ma ancora una volta è lui che dona se stesso a me quando dice: “Non devi avere paura, ti devi solo fidare”.
Mentre la cera, rossa e bollente, scorre sulla mia carne debole e chiara, le lacrime mi rigano il viso e c’è tanta di quella gratitudine in me che non so come altro manifestare se non con un pianto silenzioso. La sua generosità è illimitata e i benefici sono per me, li raccolgo tutti io.
Le sue mani percorrono il mio corpo punteggiato di cera ormai fredda. Non esiste un passato né un futuro, ma soltanto un istante di eternità, dove io e lui siamo una cosa sola.
Non ho mai incontrato nessuno che sapesse fondere torture e tenerezze in un’unica sensazione nuova, esplosiva che andasse oltre al dolore e al piacere.
Non lo so mai quando ritorna né cosa fa, o con chi sta quando non è con me, ma so che cosa faccio io: semplicemente aspetto. Aspetto di scoprire cosa mi chiederà di fare. Se mi metterà la benda sugli occhi e mi dirà: “Ora metti la mano in questa scatola. Quello che prenderai sarà il nostro gioco per oggi.”
E non lo so su cosa si poseranno le mie dita: una piccola paletta di legno, una piuma, una frusta con le code morbide. Sorrido nell’attimo prima di allungare la mano perché so che qualunque oggetto capiterà, mi renderà protagonista di un ricordo straordinario e indelebile.
Mi lega i polsi alla spalliera del letto mentre, bendata, ascolto il suono morbido della sua voce che mi trasporta in uno stato di fiducia e devozione totale.
Sento una forte pressione al seno sinistro e capisco che sono le mollette da bucato. Me le applica numerose su tutto il corpo e, nei punti più sensibili, le torce le tira delicatamente e, mentre mi sottopone a questa dolce-amara tortura, io mi abbandono senza riserve.
All’improvviso la pressione sul mio seno sinistro si allenta e sul solco arrossato, lasciato dalla molletta, lui posa le sue labbra caldissime.
“Sei stata molto brava, piccola” mi sussurra dopo, mentre affonda due dita dentro di me.
Tutto il mio corpo si tende ed esplodo di un piacere concesso da quella nuova sensazione mista che ormai conosco molto bene.
So quello che può sembrare: un uomo furbo senza scrupoli che approfitta di una povera donna fragile, spezzata, che si consuma lentamente per lui. Ma non è così che stanno le cose. Non c’è una goccia di manipolazione nel suo interagire con me, lui non mi deve convincere di nulla. Sono io che offro me stessa spontaneamente.
Lui sgrava i miei pesi, me li strappa via dalla pelle ed io non posso fare a meno di questa temporanea libertà, non posso rinunciare all’equilibrio di cui godo a contatto con la sua mente solida e incorruttibile.

Non m’interessa che mi porti fuori a cena, non voglio fiori. Quando ho le sue attenzioni, ecco allora sì che in quel momento ho tutto. In quel momento io sono tutto.
E quando non c’è, ne sento una terribile mancanza: non solo di lui, ma anche di me e di come sono quando sto insieme a lui.
Ora se n’è andato e mi ha lasciata qui da sola con le mie endorfine.
Lo so che non durerà in eterno ed è per questo che non lo amo.
Per questo sto cercando di convincere me stessa che non lo amo.

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