Giamaica di Sangue - Capitolo 2

Scritto da , il 2010-09-16, genere pulp

La sabbia calda mi riscaldava il corpo con un abbraccio sensuale. I raggi del sole attraverso le palme creavano giochi di luce sulla mia pelle. Piccole ombre saltellavano sul mio seno prosperoso e abbronzato, correndo sulle mie gambe tonde e morbide come minuscoli animali.
Dall’acqua blu come il cielo di primavera emerse Ilma. Camminava leggera sulle sue gambe magre ma ben proporzionate. Si muoveva a piccoli balzi saltando sulle onde bianche come panna che si infrangevano sulla riva. Quando mi vide alzò la mano salutandomi col suo sorriso puro e infantile da adolescente, nonostante i suoi 25 anni. Si accasciò accanto a me con un movimento così delicato che la fece sembrare senza peso. L’acqua le brillava addosso in gocce salate che scivolavano sulla sua pelle d’avorio. Provai il desiderio di accarezzarla dolcemente. Di abbracciarla con affetto e stringerla forte al mio corpo caldo e sudato. Sentire la sua pelle fresca e bagnata. Allungai una mano. Ilma si alzò leggera come una piuma.
“Devo andare. Mi stanno chiamando” mi disse con un movimento delle sue labbra soffici come una pesca matura. E corse via.
Mi alzai e cominciai a correrle dietro. Vedevo la schiena di Ima muoversi sinuosa. I suoi piccoli muscoli contrarsi dolcemente sopra il suo sedere sodo e quasi nudo. Il sole tramontava velocemente e il buio si faceva sempre più denso. Mi ritrovai a correre in un corridoio sporco e dalle forme indefinite. E in fondo Ilma, immobile, fissava il muro.
“Ilma!” allungai una mano sulla sua spalla e lei si voltò verso di me. Vidi le squame striate di un enorme serpente scivolare lente nella sua bocca. Gli occhi di Ilma quasi rovesciati all’indietro sembravano schizzarle dalle orbite mentre il rettile si insinuava tra le sue labbra tirate allo spasmo, scivolando giù attraverso la sua gola gonfia e deformata. Caddi all’indietro urtando contro il muro e lì rimasi impietrita. Dietro al serpente, dal buio, vidi apparire una gonfia pancia molliccia sorretta da due piccole gambe tozze e pelose. Una enorme mano, dall’alto, coprì quasi completamente la testolina di Ilma e la spinse verso quella pancia nera come l’abisso. Quando Ilma inghiottì anche l’ultimo centimetro dell’abnorme cazzo di quel mostro, un liquido bianco e denso come colla cominciò a uscirle dal naso e dagli angoli della bocca.
Mi svegliai Urlando.
Ero sdraiata su di un letto coperto di lenzuola colorate. Mi tastai addosso. Indossavo un morbido e profumato accappatoio bianco allacciato alla vita. Il sogno lentamente svaniva confondendosi alla realtà. Ricordavo vagamente che dopo aver chiamato Jamal qualcuno era venuto a prendermi e mi aveva portata via. Forse una donna. Ricordavo l’acqua che scrosciando come una cascata riempiva una piccola vasca in ceramica. Qualcuno che mi asciugava. Un tavolo apparecchiato. E ricordavo perfettamente il sapore della carne rossa mentre si scioglieva nella mia bocca. La sensazione di risvegliarsi da un incubo e poi più nulla.
Provai ad alzarmi immaginando una fitta alla testa. Solo un leggero formicolio. Con la mano sentii tra i capelli ancora umidi che la ferita era pulita e coperta da un cerotto. Appoggiai i piedi nudi in terra. Il nodo della cintura si sciolse liberando il mio corpo nudo. Avevo al ginocchio destro una stretta fasciatura e qualche livido sparso, ma niente più. Sentii che i muscoli del corpo erano rilassati e sciolti. Mi accostai i lembi dell’accappatoio per coprirmi i seni e il pube esposti e mi misi in piedi. Mi trovavo in una stanza dipinta di un caldo arancione sbiadito. Una piccola lampada dalla forma orientale illuminava solo in parte la stanza lasciando il resto avvolto nella semioscurità. Presi a camminare con passo incerto. C’era un tavolo con degli avanzi di cibo. Un osso spolpato, alcune verdure che non riuscivo a definire e della frutta. Mi accostai, presi un’arancia e cominciai a sbucciarla. La finestra socchiusa si apriva direttamente sull’oceano dove una luna si specchiava pallida e tremolante. Faceva un gran caldo. Rimasi a fissare le onde che si frangevano sulla scogliera sotto di me. Ogni volta che stringevo uno spicchio tra i denti un succo agrodolce mi solleticava la gola dandomi sottili brividi fino al sedere. Mentre assaporavo con la lingua l’ultimo spicchio presi le bucce e le lanciai oltre la finestra, nel vuoto. Avevo sempre portato rispetto al mondo che mi circondava. In maniera quasi maniacale. Non avevo mai “sporcato” vantandomi della mia rigida tempra morale anche in quelle piccole cose. Adesso mi sentivo in colpa per quel piccolo gesto apparentemente insignificante ma intriso di significato. Un significato ancora sconosciuto, ma che non avrebbe tardato a manifestarsi con tutta la sua crudezza. Mentre le bucce scomparivano tra le onde provai un appagante senso di libertà.
Una chiave girò nella toppa della porta. Vidi una giovane donna entrare nella stanza. Aveva i capelli rasta legati in una lunga coda, un seno più che prosperoso e fianchi molto larghi. Era avvolta in un vestito verde smeraldo che risaltava sulla sua pelle lucida come ebano.
“Ti ho portato dei vestiti. Spero siano della tua misura” mi disse.
Accennai un sorriso stentato. La donna posò i vestiti sul letto ed entrò in bagno dove si mise a riordinare. Io mi avvicinai al letto. C’era di tutto. Magliette colorate, pantaloni di cotone, un felpa, ma soprattutto spuntavano foulard molto leggeri e dai colori vivaci. Non c’era biancheria intima, di nessun tipo. Presi in mano una maglietta.
“Piccola” mi disse, in un sorriso ampio ma triste “hai molto da imparare se vuoi sopravvivere.”
Io deglutii sentendo un senso di disagio in fondo al cuore.
“Questi sono i vestiti che mi hai portato” le dissi.
La donna si avvicinò “Questi sono i vestiti che per adesso ho trovato. Ma ti consiglio di abituarti ad uno stile diverso qui”.
Sapevo cosa intendeva e provai un magone salirmi agli occhi. Presi uno di quei foulerd. Da vicino sembrava un pezzo di seta senza una forma particolare. Lo rigirai tra le mani e vidi che era un vestito. Se di vestito si poteva parlare, perché era praticamente invisibile. Guardai quella donna e crollai a piangere sul letto. Le sue mani mi carezzarono la testa.
“Sei stata fortunata. Jamal non è una bestia. O almeno non lo era prima di…” si interruppe.
Alzai lo sguardo su di lei. Mi si sedette accanto sul letto.
“Come ti chiami?” mi chiese la donna.
“Lucia” risposi
“Lucia, se saprai come muoverti potresti sopravvivere a lungo qui e senza che ti capiti quello che è successo ai tuoi amici”
“i miei amici? Come stanno. Oddio. Povera Ilma!”
“Scordati i tuoi amici. Pensa solo a te stessa se vuoi farcela. Non puoi più far nulla per loro”
“Non posso far finta di nulla.”
“Devi. Non hai scelta.” mi prese le mani tra le sue “Devi cercare di resistere il più possibile.”
“Ma come…. Come faccio”
La donna rimase per un lungo momento a fissare il vuoto davanti a se, in silenzio. “Ti darò una mano. Qualche dritta. Per prima cosa devi sempre essere un passo avanti a tutto. Soprattutto a Jamal.”
“In che senso”
“Se lui vuole scopare devi capirlo prima, per esempio”
Mi si gelò il sangue nelle vene. Scopare con Jamal. Mio dio, avevo dimenticato il patto che mi aveva salvata. La donna si accorse del panico che mi aveva invaso.
“Lo so che è dura, ma devi farti forza. Jamal è un uomo molto duro, ma se saprai come prenderlo…” fece una pausa “ se saprai come gestirlo sono convinta che potrai ottenere molto in cambio. Io lo conosco molto bene. La sua vita è stata dura. Ma c’è ancora del bene in lui. Ha un codice. Una linea molto sottile, ma non la varcherà mai se vedrà in te una persona degna di rispetto. Ma stai attenta, non devi solo assecondarlo. Devi stargli sempre un passo avanti. Te l’ho detto. Se lui vuole un pompino e basta, tu dagli anche il culo. Ma soprattutto, non fargli capire che ti fa schifo. Fagli vedere che ti piace. Mi sono spiegata?”
“Si” dissi inebetita
“Ricorda, devi stargli avanti in TUTTO. E non stò parlando solo di sesso. Fagli vedere che hai le palle. Anche se prenderai qualche schiaffo, credimi, non ti farà mai del male sul serio. Ma se ti dovesse vedere debole, allora ti vedrà inutile e per te sarà la fine. Se segui queste piccole regole e ti lasci trasportare, la tua permanenza qui potrebbe sembrarti anche piacevole. E non sarebbe un male visto che ci resterai molto allungo. Questo è quanto.”
“Piacevole? Mi prendi per il culo” mi scappò detto.
“Senti mocciosa. Questo non è un gioco. Qui non sei a casa tua a farti campare dai tuoi genitori. Qui se sbagli paghi e se le cose si mettono proprio male la cosa migliore che ti può capitare è una morte veloce. Devi seguire i miei consigli e pensare solo a te stessa, adesso. Al dopo e agli altri, chissà… ma non ti fare troppe illusioni. E’ bene che ti abitui subito o sarà troppo dura da sopportare”
“Cosa è successo ai miei amici?”
“Credo che sarà dura per te se non ti adatti velocemente. Nella posizione in cui sei adesso, non conti nulla. Devi trovare un tuo ruolo, diventare necessaria. Sei solo carne da scopare. Questa è l’unica fonte di potere che potresti avere. Sfruttala e potresti avere qualcosa in cambio a dio piacendo. Anche se qui dio è scappato da tempo” Detto questo si alzò e si avviò verso la porta.
“Perché fai questo per me” chiesi tra le lacrime.
“Mi ricordi una persona. Di tanto tempo fa.”
“Come ti chiami” chiesi.
“Alena” mi sorrise sempre in quel modo triste. “Un ultimo consiglio. Se pensi di non farcela, bevi. Buona fortuna”.
Rimasi sola. La testa mi vorticava di mille pensieri. Domande senza risposta e domande che purtroppo ne avevano, ma sarebbe stato meglio non sapere. Dopo diversi minuti cominciai a riprendermi. Guardai il vestito che ancora stringevo tra le mani. Mi slacciai l’accappatoio e lo feci scivolare in terra ai miei piedi. Osservai meglio di cosa si trattava. Era rosso a fiori gialli e blu. Ci infilai le gambe e me lo feci scivolare sui fianchi poi inserii le spalline. Ci volle un secondo. Per fortuna faceva caldo, perché non era cambiato molto dopo averlo indossato. Era un babydoll mascherato per puttane da quattro soldi, pensai. Il decolté non era esagerato come temevo, ma lasciava ben poco spazio alla fantasia. Inoltre il seno era ben sostenuto da un ricamo sopra la vita. la stoffa mi ricadeva a mezza coscia, quindi potevo sedermi tranquillamente anche se con un po’ di accortezza. Mi avvicinai ad uno specchio che era appoggiato ad una parete. Feci un giro per guardami meglio. La schiena era troppo scoperta. Si intravvedeva un centimetro di spacco del sedere. Ma la misura era perfetta. E se non fosse stato per le circostanze e il sordido scopo per il quale dovevo indossarlo, mi sarebbe anche piaciuto. Mi ricordava quegli abiti che indossano le pattinatrici su ghiaccio.
Mentre ero ancora in piedi qualcun altro entrò nella camera. Un’ombra nera, che sembrò persino oscurare la poca luce che c’era. Era Jamal. Indossava un vestito cachi di lino. Stropicciato ma molto elegante su mocassini scamosciati bianchi. Ed era una montagna. Si intravedevano sotto il lino i muscoli in modo netto e quasi terribile. Aveva mani forti e grandi come badili. I capelli ricci lasciati sciolti gli davano un’aria da matto. Ma soprattutto mi colpirono il suo sguardo. Due occhi blu, gelidi come ghiaccio artico.
“Siediti è ora di cena.” si mise a sedere. Dopo pochi secondi bussarono alla porta. Era Alena, con due piatti fumanti di carne e verdure. Le spezie che coprivano la carne invasero la stanza. Io mi sedetti un po’ impacciata nel mio vestito da porno-pattinatrice. Spolverai il piatto alla velocità della luce. La cosa impressionò Jamal perché, mentre ancora mangiava, mi lanciava occhiate furtive.
“Ci hai dato giù di gusto” mi disse.
“Era tutto molto buono.” Accennai timida. I consigli di Alena mi tornarono in mente “Hai qualcosa di forte da bere?”
Jamal mi guardò quasi perplesso. Si aspettava una ragazzina ingenua e impaurita. Non so se quest’idea lo eccitava, ma ero decisa a spiazzarlo a qualsiasi costo.
“Tieni.” mi disse “questo è rum.”
“grazie” risposi e ne tirai giù un bicchiere intero. “Cosa era di preciso?”
Jamal era perplesso “Cosa era COSA?”
Lo stavo spiazzando, perché si era distratto. “Quello che ho mangiato” risposi. Il rum cominciava già a fare il suo effetto, non ero abituata.
Dopo un attimo di esitazione cominciò a illustrarmi gli ingredienti. Spiegava con un entusiasmo crescente cosa era e come era cucinato. C’era un’aria di normalità che mi sembrò troppo ambigua per farmi sentire a mio agio. Gli chiesi se sapeva cucinare e lui si interruppe, come se si fosse accorto di avermi dato troppa confidenza.
“A volte” rispose freddo.
“A me piace cucinare” incalzai. Il silenzio mi faceva paura. Finche lo tenevo li a parlare mi sembrava di avere la situazione sotto controllo.
Jamal mi fissò interessato. “ Ti piacerebbe cucinare qualcosa, per me, uno di questi giorni?”
“Certo” accennai un sorriso sgangherato “mi piacerebbe”
“Mmmmm. E cosa mi faresti?” la domanda suonava ambigua.
Dopo un attimo di titubanza mi riempii un altro bicchiere fino all’orlo e cominciai a illustrare qualche tipico piatto italiano. Lui mi lasciò parlare mentre spilluzzicava una fetta di ananas.
“ E cosa fai in Italia?” mi chiese cambiando totalmente argomento all’improvviso. Aveva un modo di fare apparentemente tranquillo e disinteressato. I miei monologhi andarono avani per un bel po’. Io parlavo e lui chiedeva qualcosa, come se fosse una normale conversazione tra amici. Forse era il rum o il fatto che per più di due giorni non avevo rivolto la parola a nessuno, fatto stà che arrivai anche a parlargli molto intimi sul rapporto con le mie amiche e persino i miei genitori. Nel frattempo mi porgeva qualche fetta di ananas o avocado che io mangiavo avidamente, continuando a parlare con la bocca piena. Mentre parlavo Jamal si accese una sigaretta e si alzò. Andò alla finestra e rimase a lungo a contemplare l’oceano.
“Ti piacciono io giochi Lucia!”
Io stavo ancora parlando. Mi interruppi e dopo averci pensato un attimo risposi di si.
“Lo immaginavo. Io adoro giocare. Ti farò delle domande e tu mi dirai la verità.” Si toccò il mento “Iniziamo da una domanda facile. “Se ci trovassimo in una situazione NORMALE, chessò, se fossimo in un pub e mi vedessi entrare, mi troveresti attraente?”
Mi tornarono in mente Greg e Ilma, ma cercai di concentrarmi sulla situazione in cui mi trovavo. Dovevo essere la sua concubina, forse per sempre. Non volevo vivere un incubo come i miei amici e, forse, Jamal non era quell’animale che sembrava, come mi aveva detto Alena. In fondo, a tavola, mi era parso una persona quasi piacevole.
Avevo le labbra intorpidite dall’alcol e mi girava la testa “Ti troverei molto attraente” risposi
“E se ti avessi chiesto di fare sesso con me, sempre in circostanze normali. Che avresti fatto?”
“Suppongo che se ti dicessi di no non ti piacerebbe come risposta?” ma che cazzo gli avevo risposto!
“Puoi supporre quello che vuoi. La tua risposta mi interessa, ma non è vincolante”.
“In un mondo ideale, forse si, mi sarebbe piaciuto. Ma nel mondo reale, andare a letto con uno come te mi farebbe sentire una troia”
“Ti sentirai una troia allora, tra poco, giusto?”
Sgranai gli occhi. “Suppongo di si”
Si voltò di nuovo verso la finestra “Non so ancora cosa farne di te. Non so se mi piacerebbe scoparti come una puttana… oppure tentare un approccio, come dire, più dolce. Te cosa preferisci?”
C’era poco da scegliere. “Un approccio dolce” Dissi timidamente.
“E cioè?”
Non sapevo se mi stava tendendo la mano o se stava giocando al gatto e al topo. Tentai il tutto per tutto. “Mi piacerebbe un momento romantico con coccole dolci e passionali. Poi preliminari molto lunghi e infine ….” Mi interruppi. Non riuscivo ad andare avanti.
“Vuoi perdere la tua verginità, adesso?”
Mi ricordai di quello che mi aveva detto Alena, di stare sempre un passo avanti. Ingoiai amaro. “Ho più di vent’anni e sono ancora vergine. Credi che sia perché non ho mai avuto voglia di scopare? Non ho trovato l’uomo giusto, fino ad ora.” Mi avvicinai in punta di piedi e lo fissai. Era ancora più alto di me, e di parecchio.
“E pensi che io sia un uomo vero, in grado di soddisfarti?”
“Cristo, ora mi metto a piangere” pensai.
“Si” dissi
Jamal scoppiò in una fragorosa risata. Si slacciò i pantaloni che calarono giù fino alle caviglie. Un bastone grosso e nodoso fendette l’aria come una nera mazza da baseball. Quando cominciò a indurirsi alzandosi capii che era il suo enorme cazzo. Sembrava un ingrandimento fatto con Photoshop, pensai trattenendo il respiro, per nascondere la paura che mi assaliva. Mentre si spogliava il suo pene molleggiava a destra a sinistra sempre più lentamente, finchè si posizionò ritto e fiero coprendo quasi l’ombelico.
“Va bene” mi disse “mi hai convinto. Vediamo di che pasta sei fatta”

Ho ricordi frammentati ma vividi di quello che successe in quella prima settimana di detenzione. Quella prima notte in cui persi la verginità ero ubriaca persa, ma ricordo che Jamal fu attento e delicato. Mi allargò le gambe e mi leccò con voracità a lungo. All’inizio sentivo la sua lingua ruvida graffiarmi il clitoride. Ero arida e stordita. Non sentivo nulla. Poi chiusi gli occhi e spensi il cervello. La sua lingua lentamente cominciò ad avere la consistenza di morbida e spugnosa. Sentivo il piacere salirmi a ondate, facendosi largo attraverso l’alcol e la paura. Credo abbia provato a masturbarmi anche con le dita prima di penetrarmi, ma non potrei giurarlo. Finalmente mi si sdraio sopra e mi entrò dentro con tutto il suo enorme cazzo nero e durissimo. Avevo tutto il peso del suo corpo che mi premeva sul seno fino quasi a soffocarmi. Le pareti di quella che, ancora per poco era “la mia vagina”si tesero fino al dolore, come se tutto il suo corpo mi scivolasse dentro. Quella fu la sensazione che ricordo ancora in modo nitido, come se fosse adesso. La mia anima era una corda tesa e le mie gambe aperte erano l’arco a cui era attaccata. Mentre Jamal era la freccia che mi colpiva, e colpiva, crudele, dritta al centro. In quel momento non so perché ma non mi sembrò davvero uno stupro. Come uno spietato arciere, Jamal, uccise la parte più fragile di me per iniziarmi a quella che sono ora. Provai un immenso piacere quando mi venne dentro lasciandomi sudata e senza fiato, distesa sul letto. A gambe larghe, sbattuta senza cuore ne anima da un pirata negro crudele e senza scrupoli, mi addormentai. Il giorno dopo fu più dura.
Mi svegliai con un atroce mal di testa. La prima cosa che ricordai fu che mi era venuto dentro senza preservativo. Mi infilai subito due dita dentro per verificare. In mezzo ad una crosta dura sentii lo sperma che ancora mi galleggiava nella vagina. Volevo urlare dalla disperazione. Corsi subito in bagno a lavarmi e mi accorsi che sul lavandino c’erano delle scatole di medicinali che riconobbi subito. Pillole anticoncezionali e un pacchetto di pillole del giorno dopo. Ne presi subito un paio e pregai. Alena. Era sicuramente opera sua. Ero felice di aver trovato, in quell’inferno, un angelo custode. Piansi e fu l’ultima volta che accadde. Non so che ore fossero ma doveva essere mattina inoltrata. Feci una doccia e ricordo che vi rimasi sotto parecchio tempo. Faceva un caldo afoso e pensate. Il mal di testa non accennava a smettere e mi dava giramenti. Stordita mi buttai sul letto praticamente nuda e iniziai subito a sudare. Pochi secondi dopo Jamal entrò sbattendo la porta. Mi sembrò che mi avessero tirato una botta in testa.
“Ooooh” feci.
Jamal mi guardò come se l’avessi offeso pesantemente. Io mi feci piccola piccola. Lo sentivo imprecare e maledire in dialetto. Non riuscii a capire molto ma intuii che qualcuno dei suoi scagnozzi aveva fatto qualcosa che non gli andava a genio. Cercai di farmi invisibile. Ero decisamente preoccupata. Si avvicinò al tavolo e con un colpo secco del braccio rovesciò tutto in terra.
“Fanculo” disse. Questo lo capii.
Mi guardò. Aveva negli occhi una strana luce. Mi vennero i brividi. Era decisamente fuori di testa in quel momento. Ripensai al consiglio di Alena. Stare un passo avanti.
Ero nuda. Mi alzai, la testa che mi martellava come ci fosse dentro un picchio e, a fatica, stringendo i denti, mi avvicinai a lui.
“Se vuoi rilassarti un pò” le parole mi uscivano a fatica con la lingua impastata dal dopo sbornia “ci penso io” e allungai una mano sul suo pacco.
“Sparisci troia” e mi spinse via. Dalla botta caddi a terra come una pera cotta, dritta sul mio culo tondo e molle, e sentii la testa esplodere di nuovo. Rimasi a terra frastornata, non avevo il coraggio di alzarmi.
Non si aspettava credo di vedermi volare a terra, ma la cosa sembrò farlo incazzare di più.
“Vuoi giocare?” Mi disse con una voce che mi fece accapponare la pelle “Si forse hai ragione. Mi devo scaricare un pò.”
Si mise a sedere sul letto. Io feci per alzarmi.
“No no” mi disse. “Rimani pure li dove sei. Allora vediamo un po’. Quale è la parte di me che preferisci?”
Ci pensai un attimo “Gli occhi” dissi
“Mi lusinghi, ma non è quello.”
“Il sedere” azzardai
“Che cazzo è il sedere?”
“è quello che sta in fondo alla schiena” dissi d’istinto.
Jamal si chinò e mi prese per il collo. “Mi prendi per il culo troia? Le checche hanno il sedere”
“Il culo volevo dire” gli urlai.
“OoooH grazie! Sei davvero un amore. Davvero, sono sincero. Te lo farò toccare e se vuoi ti ci farò fare anche una foto.”
Sarà stato lo stress represso di quei giorni o il dopo sbornia, ma persi il controllo in un secondo.“Vuoi che ti dica il CAZZO?! Sai una cosa? Vaffanculo. Voi che ti dica che muoio dalla voglia di ciucciarlo fino a farmi cascare la lingua? Fottiti. Devo fingere che me ne freghi qualcosa del tuo fottuto cazzo negro?! BENE!! Ooooh che bello il tuo enoooorme cazzo negro. Lo adoro. Lo amo il tuo cazzo negro di merda. Ma invece di giocare, cazzo SCOPAMI e falla poco lunga?”
Dopo un attimo di stupore, per la mia sparata, mi tolse la mano dal collo e si mise a ridere a squarcia gola.
“Cosi mi piaci femmina.” si fregò le mani “Cosi mi piaci. Comincio a pensare che la scelta di tenerti con me sia stata un’OTTIMA scelta.” Si tolse i pantaloni.“Ecco il tuo amore. ”
Questa volta non ero ubriaca. Lo guardai attentamente. Se non fosse stato per la situazione, mi sarei eccitata. Era nero come la notte e grosse vene lo solcavano come radici sul terreno di un bosco di peli rossicci. La cappella era un’onda porpora pronta ad infrangersi dentro di me. Non era ancora duro eppure era il doppio di uno normale. Così grosso che se avessi dovuto segarlo mi ci sarebbero volute due mani. Ma a lui di essere segato importava poco in quel momento.
Mi alzai e lo guardai negli occhi. Sfidandolo. “Scopami e facciamola finita. Ho vent’anni ma non sono una ragazzina. Fuori da questa stanza i miei amici o sono morti o sarebbe meglio lo fossero. Ed io sono qui a farmi dare della puttana mentre tu mi chiedi pure di godere, anzi no, mi chiedi di diventare una puttana e urlare come adoro il tuo cazzo. Tu vuoi che io adori il tuo cazzo come fosse una persona. Di amarlo e rispettarlo finchè non ti stancherai di me e mi ucciderai Mentre la fuori c’è l’inferno più atroce” Indicai la porta “Tu sei pazzo. Sei vuoi scoparmi prendi quel tuo cazzo di merda e usalo invece di stare a parlare come.. come” fu in quella pausa che mi accorsi che forse avevo esagerato. La mia bocca aveva agito senza il permesso del cervello, ma ormai era troppo tardi.
Jamal si sfilò giacca e camicia liberando muscoli tonici e possenti sotto una pelle lucida come il riflesso del sole su una pozza di petrolio.
“Inginocchiati” si avvicinò. Io ero ferma in piedi. Mi spinse la testa verso il basso. Caddi in ginocchio. “Apri la bocca”. Vedendo questo coso immenso da vicino. Rimasi paralizzata. Non riuscivo a muovermi. Mi prese per la gola, di nuovo. Io d’istinto aprii leggermente le labbra e mi spinse il cazzo in bocca. Sentii le labbra tendersi al massimo. Aveva un sapore acre e pungente. Cercai di muovermi per assecondarlo, ma non entrava. Jamal spostò tutto il suo peso in avanti e mi schiacciò a terra facendomi sbattere la testa sul pavimento. Il suo cazzo mi scivolò dentro la bocca facendomi lacrimare gli occhi e si fermo appoggiandosi sulle tonsille. Non riuscivo a respirare. Poi comincio ad a spingere ferocemente in giù e in su con l’addome come se stesse scopando. La testa mi batteva con forza in terra mentre il suo cazzo mi entrava e usciva.
“Impara troia. Questo” mi disse “ vuol dire scopare la bocca” e spinse a fondo.
A fatica riuscivo ad inspirare aria dal naso mentre lui mi martoriava la bocca. Cominciai a urlare gorgogliando. La testa mi faceva un male cane ogni volta che ricadeva a terra sotto i suoi colpi. Mi misi un braccio dietro per attutire le botte. Dopo alcuni minuti che sembrarono un’eternità lui si staccò da me. Mi prese di peso e mi buttò sul letto. Mi mise la testa ciondoloni fuori dal materasso, si inginocchiò sul pavimento, mi allargò le labbra con le dita e ci fece scivolare il cazzo di nuovo tutto dentro.
“Questo invece, si chiama TAPPARE la bocca ad una troia” mi ripetè.
Cominciò a spingere. Sentivo la testa pulsare. Gli occhi gonfi di sangue che mi lacrimavano. Ogni tanto il suo cazzo usciva e facevo dei respiri lunghi, ma poi, via, giù fino in gola. Ormai era tardi per stargli un passo avanti ma potevo farlo godere il prima possibile e far finire quella tortura. Cominciai a muovere la lingua in ogni modo, a stringere labbra e denti. A mugolare di piacere per quanto fosse possibile, mentre con le mani cercavo anche di segarlo. Gli trastullai i testicoli gonfi di sperma come fichi maturi. Cominciai anche a toccarmi per entrare più nella parte. Quando pensavo che ormai ero al limite e sarei svenuta, lui cominciò ad ansimare.
“E questa” mi disse quasi in estasi “è l’ambrosia di un dio” e venne.
Dapprima sentii le sue vene pulsare come scosse di corrente, poi sentii il primo schizzo. Mi centrò in pieno la gola. Per non tossire avevo un’unica possibilità, ingoiare. Strizzai gli occhi e buttai giù. Subito arrivò anche il secondo schizzo. E poi il terzo. Era una fontana in piena. In pochi spasmi mi riempì la bocca. Un gusto acre e salato che mi dette la nausea. Arrivato al culmine dell’orgasmo mi prese il mento e mi spinse ancora di più verso di se, uggiolando di piacere, finchè le mie labbra non si stamparono sul suo inguine. Rimanemmo in quella posizione per secondi interminabili. Poi io cominciai a tossire. Cercai di ingoiare come prima, ma non servì a nulla. Finalmente Jamal si steccò da me. Sdraiata, nuda, sul letto a testa in giù, lo vidi entrare in bagno e chiudere la porta, senza degnarmi di uno sguardo. Dopo pochi istanti sentii l’acqua scorrere nella doccia. Ributtai lo sperma fuori dalla bocca e feci un respiro lungo. Quale assurda trasformazione stavo subendo. Anche qual giorno, come precedente, non mi sentivo violentata. Provavo, soltanto, una liberatoria sensazione di aver superato un’altra dura prova. Quando jamal uscì dalla doccia io ero ancora distesa nuda con il suo sperma sulla faccia. Anche quando si rivestì ed uscì io non mi mossi. Solo dopo molto tempo, quando ormai sentivo quella gelatina salata che mi si stava seccando sulle labbra e sui capelli mi decisi ad alzare e ad andare a fare una doccia. Mi sentivo stranamente serena e soprattutto non sentivo il bisogno di piangere. Non avevo goduto e la cosa non mi aveva provocato una eccitazione perversa, ma cominciavo a sentire che qualche tassello andava al suo posto in questo puzzle assurdo e depravato. E soprattutto sentivo che non avrei commesso lo stesso errore di oggi un’altra volta. E se lo avessi fatto, avrei avuto IO il controllo. Jamal non rientrò quella notte. E questo mi diede il tempo di smaltire la sbornia e prepararmi per il suo ritorno.
Dopo una lunga dormita, il giorno dopo, quando Alena entrò per portarmi la colazione le chiesi delle creme particolari. Poi feci un attento giro per la stanza, tra i cassetti e i soprammobili. Oltre alle creme mi serviva ancora una cosa. Andai in bagno. Osservai bene tutti gli oggetti. Non c’era nulla che facesse al caso mio. Poi ebbi un’idea. Potevo unire l’utile al dilettevole. Soddisfatta mi infilai in doccia e accesi l’acqua calda. Mentre ero intenta a sciacquarmi sentii entrare Alena. Uscii dal bagno senza asciugarmi.
“Non ti ho ringraziato delle pillole” le dissi
Mi guardò come se mi vedesse per la prima volta. Non mi aveva ancora vista nuda. Ebbi un moto di vergogna sotto i suoi occhi stranamente interessati.
“Ti ho portato le creme che mi hai chiesto”
“Grazie Alena” le dissi “ho ancora una richiesta da farti però. Ho bisogno di bere qualcosa. Mi piacerebbe una bella bottiglia di vino. Ma vorrei berla in una bottiglia di vetro” feci una pausa “di quelle con il collo che si allarga in modo graduale”.
Alena mi guardò incuriosita. “Una richiesta insolita. Ok, vedo cosa posso fare”.
“Grazie Alena.” Mi avvicinai. Dal suo sguardo mi sembrò quasi imbarazzata. Forse la mia nudità la turbava? “Non so come farei senza di te”.
“Aspetta a ringraziarmi” disse quasi acida. Aprì la porta. Si voltò a guardarmi in silenzio “Hai un bel corpo. Vedi di non fartelo rovinare” e sparì.
Avevo tutta l’intenzione di accettare il suo consiglio. E mi misi subito all’opera.
Presi le creme e andai in bagno. La prima cosa che feci fu depilarmi. Completamente. Mi feci la ceretta su tutto il corpo. Poi presi uno dei rasoi di Jamal e la sua schiuma da barba. Mi misi a sedere sulla seggetta del cesso e poggiai un piede nudo sulla vasca. Allargai le gambe. Mi spalmai bene l’interno cosce. La schiuma era così fresca che sembrava bruciare. Presi il rasoio e lentamente cominciai a passarmelo sull’inguine, avvicinandomi sempre più alle grandi labbra. Mi faceva il solletico, ma era persino piacevole. Ed eccitante. Poi passai il rasoio tra un buco e l’altro. Mi osservai bene. Mi rimaneva una striscia di pelo nel mezzo. Sapevo che così si chiamava “Brasiliana”. Sciacquai il rasoio. Con molta attenzione lo passai con cura sullo spacco della mia vagina. Andai allo specchio. Era strano vedersi senza peli sulla vag.. No! Pensai, vista così era una FICA. La mia bella fica pulita. Mi guardai bene. Non ero affatto male, pensai. Ci passai una mano sopra. La pelle era molto morbida e liscia. Sentivo sensazioni decisamente nuove e, ammetto, fin da quel momento, molto intriganti. Sorrisi allo specchio. Non mi riconoscevo.
Qualcuno bussò alla porta. “Posso?” era Alena. Non aveva mai bussato quando ero sola.
“Entra pure”
Subito, quando mi vide davanti allo specchio, lo sguardo le cadde in mezzo alle mie gambe nude. “Pensavo che fossi vestita” mi disse decisamente irritata.
“Non credevo fosse un problema, visto che sono qui solo per farmi scopare” .
“Ti ho portato la bottiglia” mi disse distogliendo lo sguardo.
La presi dalle sue mani. Era esattamente quella di cui avevo bisogno. “Grazie Al…” ma era già uscita.
Ebbi come la strana sensazione che le piacessi. E non in senso platonico. Ma non indagai il mio istinto e tornai al mio compito. Con un’altra crema mi massaggiai a fondo il corpo. Ammorbidii la pelle. La profumai. Poi mi sdraiai sul letto e presi il tubetto di vaselina. Detti una bella gozzata di vino, era aspro ma buono. Mi misi comoda, allargai le gambe, distesi le cosce e stirai i piedi. La vaselina era fredda, ma massaggiandomi con le dita sentii questa crema unta e vischiosa che mi ricopriva piacevolmente. Ricordo come iniziai a massaggiarmi prima il clitoride poi le grandi labbra, allargandole bene. Dopo poco cominciai ad eccitarmi. La cosa mi pare folle anche adesso nonostante tutto ciò che accadde dopo. Infilai un dito unto dentro. Mi ci volle un po’ di tempo, e almeno mezza bottiglia di vino, ma riuscii ad infilarci la mano intera, proprio un attimo prima di avere un orgasmo. Era la prima volta che avevo un orgasmo dentro la fica. Partì piano e poi gli spasmi di piacere si fecero rapidi in un crescendo di dolore misto ad estasi. Mi sentii svuotata e rilassata come mai mi era successo. Dopo alcuni minuti di relax mi detti una scollata. Era giunto il momento di passare alla seconda fase. “Così mi piaceva pensarla.” Come se fosse un piano di una qualche spia in missione segreta. Stavo cominciando a prenderci gusto. Ed ero ancora solo all’inizio.
Mi versai una dose massiccia di vaselina sulle dita. Allargai le gambe e le alzai in aria tendendole. Poi pomiciai a spingere un dito nell’ano. Sentii subito che era sbucato dentro. Infilare il secondo non fù un problema. Ma per gli altri dovetti lavorarci parecchio. Alla fine riuscii a far entrare tre dita di una mano e 3 dell’altra. Quando le tolsi sentii subito fresco, come se il buco non si fosse richiuso. Annusai le dita, avevano un odore misto di escrementi e vaselina. Scesi dal letto. Presi la bottiglia e buttai giù quasi un terzo del suo contenuto. La posai a terra e la ricoprii con quel che restava del tubetto di vaselina. Mi sentivo euforica e quasi felice. Ero decisamente ubriaca. Allargai le gambe e scesi lentamente sulla bottiglia come per sedermi. Sentii il collo di vetro toccarmi in mezzo al sedere. Poggiai una mano a terra e con l’altra mi aiutai a centrare l’ano. Entrò cosi facilmente che volai a terra, gambe all’aria, con la bottiglia ancora dentro. Mi misi a ridere come una scema. La bottiglia che ballava come fosse un cazzo attaccato al culo. Mi rimisi in piedi, la bottiglia a terra, questa volta davanti allo specchio. Mi abbassai sulle ginocchia, e la bottiglia entrò dentro fino a mezzo collo. Comincia ad abbassarmi e alzarmi con un certo ritmo. Lentamente. Andavo sempre più giù. Cominciai ad avere caldo. Quando iniziò a farmi male i muscoli delle cosce mi misi a sedere per terra. Cercai di portarmi le gambe al petto distendendole il più possibile e, mentre, le tenevo alzate con le braccia tenevo la bottiglia tra le mani. Le mattonelle erano fresche e questo mi piacque molto. Mentre con entrambe le mani spingevo la bottiglia sempre più dentro, sentivo un liquido uscirmi dall’ano. Probabilmente stavo lesionando qualche parete intestinale. Non me ne curai. Anzi, la cosa mi eccitò ancora di più. Entrai subito in confidenza con la bottiglia, la sentivo una dolce amica. Il vino mi era salito in circolo e non mi sentivo più me stessa. Mi venne voglia di toccarmi, di voler godere. Alzai lo sguardo e allo specchio vidi una ragazza china su se stessa, tutta sudata, con i capelli arruffati, gli occhi spalancati e uno strano sorriso sornione sulle labbra. Li per li non mi riconobbi neanche. Chi era costei? pensai. Chi era quella sgualdrina tirata a lucido che si dimenava con così tanta enfasi per l’amore di una bottiglia? Scoppiai a ridere.
Sentii qualcuno alla porta. La maniglia girò. Era jamal. Oddio, non volevo mi trovasse così. Non era così che doveva andare quel giorno. Poi qualcuno lo chiamò e lui si allontanò nel corridoio. Non persi tempo. Nascosi la bottiglia sotto il letto. E corsi in bagno a sciacquarmi. Poi andai all’armadio. Non fu difficile trovare l’abito giusto. Lo indossai al volo. Un cielo blu cosparso di stelle dorate ricopriva un tessuto quasi trasparente. I seni erano vagamente sorretti da pochi centimetri di stoffa legati in vita da una fascia stretta che divideva il sopra da un gonnellino ampio e cortissimo. Il tutto era stretto da un filo elastico di un centimetro che mi passava sulla schiena completamente nuda quasi fino a mezzo culo. Sentii un sudorino freddo tra lo spacco delle mie morbide mele. Cazzo, mi ero eccitata indossandolo. Mi mirai allo specchio, mi sentivo una vera bomba o almeno così speravo di essere.
Quando Jamal entrò, poco dopo, mi trovò a sedere al tavolo mentre sorseggiavo un bicchiere di rum e mordicchiavo una fetta di ananas. Accavallai le gambe come avevo visto fare nei film. Lui rimase interdetto. Senza parole.
“Dove sei stato? È tutto il giorno che ti aspetto” cercavo di darmi un tono. Lui mi guardò strano.
Gli versai del rum in un bicchiere “Siediti e bevi un sorso” dissi.
Jamal si sedette e prese il bicchiere. “Non sono affari che ti riguardano. Dove vado e cosa faccio è affar mio” lo disse in modo acido ma era evidente dal suo sguardo che si stava eccitando.
“Non c’è bisogno che ti scaldi Jamal” era la prima volta che lo chiamavo per nome. Suonava bene. “Avevo solo voglia di te. Mi sei mancato” mi sporsi in vanti mettendogli in faccia le tette lucide per la crema. I suoi occhi vi caddero dentro come un topolino in gabbia. Il mio piano stava avendo effetto, come l’alcol che avevo ingerito. Pensavo di avere il controllo. “Stare sempre un passo avanti” pensai.
“Stai cercando di dirmi qualcosa Lucia?” pronunciò il mio nome con disprezzo, quasi volesse prendere le distanze.
“Sto dicendo che voglio che mi sbatti come fossi un tappetino” che paragone del cazzo, pensai. Stavo improvvisando, ed ero piuttosto imbarazzata. Per fortuna lui non sembrava accorgersene. Mi alzai e gli andai di fronte. Gli presi una mano e me l’appoggiai su una tetta. Lui non la tolse. Poi gli infilai la lingua in gola, così a fondo che sentii le sue tonsille sulla punta. Lui mi prese per i fianchi e mi mise sulle sue ginocchia. Pomiciammo per diversi minuti. Le sue dita mi giravano sulla pelle come porno-trottole impazzite. Quando le sentii entrarmi in mezzo alle gambe mi staccai.
“Ho voglia di sentirti. Dentro” gli sussurrai all’orecchio.
Non aprì bocca. Mi prese di peso per i fianchi, alzandomi come fossi di cartapesta, e mi buttò sul letto. Io lo guardavo, distesa sui gomiti mentre, distrattamente, muovevo le gambe in modo lento e sensuale. E gli sorridevo guardandolo togliersi i vestiti di dosso in tutta fretta. In un attimo fu sopra di me. Si prese con una mano il cazzo e fece per spingermelo dentro. Io gli bloccai la mano. Lui mi fissò instupidito
“ Jamal, ho bisogno di averti dentro. Ma non dentro la mia fica” gli sgusciai da sotto come un’anguilla e mi misi a quattro zampe, mettendogli il culo tirato a lucido dritto in faccia. Dallo specchio accanto al letto vidi i suoi occhi indugiare sulla mia schiena nuda fino allo spacco delle mele.
“Jamal” dissi, sorridendo con un’espressione il più possibile eccitata. “Questo si chiama: Scoparmi il culo”.
Vidi i suoi occhi illuminarsi. Ma non era tutta eccitazione. C’era qualcos’altro. Come un lupo che accetta la sfida che gli lancia la sua preda. Ma anche di più. Vidi sincero interesse. “Lucia. Mi stupisci ogni volta di più” scostò un lembo del vestito, mi prese per la vita con una mano e fece scivolare l’altra dal mio collo, giù, lungo la colonna vertebrale e fino allo spacco tra le mele. Ci infilò la mano dentro. Mi provocò uno spasmo. Ebbi paura, perché mi piaceva sul serio.
“Ti farò male” incredibile si preoccupava per me.
“Smettila di cianciare e scopati questo culo fantastico” dissi facendo finta di nulla.
Socchiuse gli occhi irritato. Si prese il pene in mano e spinse. Sentii il suo enorme cazzo entrarmi dentro. La punta fu una bazzecola. Per il resto soffrii un poco. Ma tutto il mio lavoro di bottiglia era servito. Entrò dentro in pochi secondi.
“Porcellina, ma non avevi detto che eri vergine?”
“Jamal tu sei il primo. Ma credi davvero che non ci tenga a soddisfare il mio uomo nel miglior modo possibile?”
“Adesso sarei il tuo uomo?”
“Cazzo Jamal, non sembravi così interessato a me, ieri, quando mi hai quasi soffocata scopandomi la bocca” gli dissi cercando di imitare la sua voce.
“Non era mia intenzione…” si stava interessando davvero a me.
“Intenzione un cazzo.” Lo interruppi continuando la mia recita “Adesso sei te a prendermi davvero per il culo. Era tua intenzione eccome. E ti è piaciuto. E sai una cosa? Non me ne frega una sfottuta sega di ieri. Adesso scopami Jamal, ti PREEEGO. Fammi ballare, Jamal. Fammi faticare, fammi sudaaaare. E cazzo Jamal, divertiti. Questo giro di giostra è SOLO per te”
Una risata piena e profonda invase la stanza. Era una risata sincera. “Che troia. Cazzo, mi piaci Lucia. Sei un giocattolo interessante. Balliamo allora. Allacciati le cinture e tieniti forte che ti farò volare” E spinse. Mi mancò il fiato. Entrò davvero tutto. Lo sentii immenso dentro di me. L’ano non c’era più, adesso c’era solo il buco del mio splendido culo. E il suo enorme cazzo che dilatava, tendeva, scopava. Mi sbatteva con impeto sempre crescente. Provai davvero un piacere immenso mentre sentivo le mie tette ballare avvitate al mio corpo da due capezzoli duri come marmo. Si, godevo. E mi sembrava incredibile che provassi quel piacevole dolore. E per un attimo mi sentii in colpa. Cazzo mi stavo sentendo proprio “quella troia” che fingevo di essere. E la cosa brutta è che ne ero felice. Intanto Jamal scolpiva il mio ano con la forza del suo scalpello di carne. Ed io ballavo davvero, mentre sentivo il suo legno nero e nodoso uscirmi quasi dal culo, per poi affondarci dentro con una spinta maggiore E le sue palle che mi schiaffeggiavano la fica, che assurda sensazione di piacere. Ogni volta che mi spingeva in avanti mi sembrava di volare. Di librarmi nell’aria leggera come una farfalla finalmente libera dal bozzolo.
Ah, come godevo. E pensavo ad Alena, al suo sguardo vagamente imbarazzato mentre mi guardava il pube depilato. Pensavo a lei, che mi stava salvando la vita.“Sempre un passo avanti. Se lui vuole scoparti, tu dagli il culo”
Adesso, pensai, avevo una chance di farcela. Di sopravvivere. E forse, chissà, anche di andarmene da li. Questo pensavo - che le cose si stessero mettendo nel verso giusto - mentre lui, urlando e ridendo come una colossale e nera iena in calore, mi sborrava nel culo inondandomi l’intestino di sperma e di piacere.
Purtroppo, il peggio, doveva ancora venire.

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