Il Comandante ossessionato

Scritto da , il 2015-03-29, genere gay

Ispirato a un Comandante in particolare.

Uomo affascinante: alto più o meno 1.90, spalle larghe e ben proporzionate all’altezza così come al resto del fisico, un fisico massiccio e virile, sottolineato dalla peluria delle sue grandi mani.
Il Comandante della polizia municipale non smetteva di e allo stesso modo io non riuscivo a distogliere lo sguardo dai suoi meravigliosi occhi azzurri, incorniciati da folte sopracciglia castane, stesso colore dei suoi capelli pettinati in maniera perfetta, conformi alla divisa che indossava con orgoglio e rispetto.
Godeva di altrettanto rispetto dai cittadini il Comandante; conosciuto da tutti come un uomo di polso, difficile da ingiuriare o addirittura corrompere.
«Il Comandante è un uomo che si è fatto da solo».
«Nutro profonda stima in lui» si sentiva vociferare sempre in città.
Lo conobbi un giorno per caso, incrociandolo sulle scale del Comune dove mi ero recato per effettuare un cambio di residenza: il nonno era morto e convenimmo io e mio padre che potevo tranquillamente trasferirmi nella sua casa per avere un po’ di indipendenza e concentrarmi meglio negli studi universitari.
Sapevo da prassi che sarebbe venuta la polizia municipale a effettuare un sopralluogo. Quello che non sapevo è che sarebbe venuto direttamente il Comandante in persona.
«Di cosa si occupa? Da quanto abita in questa casa?» cominciò a pormi le classiche domande mentre si aggirava per le stanze osservando ogni dettaglio: dai miei libri sulle mensole alla mia collezione di medaglie e trofei vinti a calcetto con la mia squadra.
Non sono mai stato omofobo e non mi sono nemmeno reputato mai etero. Diciamo che non amo le etichette e mi piace godere del mondo a 360° assaporando ogni situazione, proprio come quella che si stava presentando in quell’occasione: vedere un uomo in divisa nella mia stanza, a stretto contatto con le mie cose personali, che mi tempestava di domande… però mai a livello personale: non mi chiese in che ruolo giocassi, oppure se fossi fidanzato, o quale facoltà frequentassi.
Nulla.
«Mi segua per ultimare l’accertamento in comando».
Era proprio vero che intimava rispetto senza però incutere timore. Aveva un certo savoir-faire elegante: era un gran signore sia come si poneva con l’altrui persona sia come personificava il proprio lavoro. Molto professionale.
Ed eccoci, seduti uno di fronte all’altro, a dividerci solo la sua scrivania.
La stanza era in penombra, illuminata solo dalla lampada da tavolo. Fuori il crepuscolo avanzava, peccato non poter dire altrettanto del tempo all’interno perché sembrava essersi fermato, fermo dall’intensità dei nostri sguardi concentrati l’uno sull’altro.
Il Comandante strinse i pugni, cominciò a sudare, il suo respiro diventava sempre più affannoso e d’un tratto… i suoi occhi si accesero di rabbia, rabbia che manifestò alzandosi di scatto, emettendo un piccolo ringhio mentre si avvicinò a me.
Mi prese.
Mi spintonò verso la porta di vetro e cominciò a spingere la sua fronte contro la mia non smettendo un sol istante di ringhiare.
Ero paralizzato.
Quell’uomo era diventato una bestia, una bestia assetata di me, di quello che ero. Si evinceva da come mi guardava, da come mi bramava e…
Successe!
Con la sua mano destra ruotò il mio collo e cominciò a morderlo spinto da una nevrosi senza freni che mi influenzò a tal punto da provare più piacere che dolore.
La passione più sfrenata è dettata dalle situazioni più inaspettate che ti rapiscono dalla realtà e cancellano la tua personalità, o meglio… liberano la tua vera identità.
Cominciò a palpare tutto il mio corpo, ogni arto, ogni muscolo fino a che, stanco di quel tessuto che proteggeva la mia carne, strappò con veemenza la mia maglietta, sbottonò i miei jeans e, dopo avermi voltato, mi strappò le mutande per poi premere con le sue possenti mani le mie chiappe che si contrassero a quella forza esplosiva.
Si avvicinò col bacino e cominciò a simulare la penetrazione, ma stanco anche stavolta del tessuto militare che poneva una barriera alla sua carne, mi liberò dalla presa per potersi spogliare. Fu in quel momento che ne approfittai per ruotare di nuovo il corpo e spingere il Comandante lontano da me.
Ero un piccolo uomo, non potevo sopportare l’idea che un altro uomo abusasse di me, sebbene la situazione mi eccitava tantissimo.
Il Comandante prese questo mio gesto come segno di sfida e riprese a mettermi le mani addosso, ma stavolta ero pronto e determinato a difendermi: cademmo violentemente a terra, riuscì a stenderlo con un’azione calcistica e con mia grande sorpresa strappai la sua camicia che liberò un torace possente, sormontato da una leggera peluria nera che emanava un odore acidulo… penetrò sopra le mie narici e mi inebriò la mente facendomi perdere il controllo di quello che ero, di chi ero e di quello che stavo facendo.
Lui rispose al gesto prima sputandomi nell’occhio sinistro e poi tirandomi una manata sul volto che mi costrinse ad accasciarmi.
Combattemmo, combattemmo per difenderci dall’altro maschio.
No!
Combattevamo perché eravamo attratti l’uno dall’altro, ma così stupidi da non accettarlo.
Mi mise le mani al collo, gli strinsi i coglioni, allora lui ficcò due dita nella mia bocca che, nonostante gliele morsi a sangue, continuò a usarle per penetrarmi la gola… un conato di vomito e due manate sulle sue orecchie per evitarlo.
Mi rimisi in piedi e mi appoggiai alla porta per riprendermi ma il Comandante mi spinse la testa sul vetro così forte da farmi stordire e colse l’occasione per togliersi la divisa e legare la sua cintura intorno al mio collo.
Non disse nulla.
Ero suo!
Potevo divincolarmi, urlare… non sarebbe più valso a nulla.
Avevo perso.
Invece no, avevo vinto; avevo vinto la forza e l’autoritarismo di un Comandante che aveva saputo domarmi.
Sputò sulla sua mano destra mentre con quella sinistra mi teneva al guinzaglio servendosi della cinta.
Cosparse il mio buco del culo con la sua saliva e mi penetrò così celermente da non avere il tempo di emettere un urlo di dolore.
Cazzo!
Cominciò a stantuffare le mie carni e… io godevo.
Cazzo!
Stavo davvero godendo e la situazione mi aveva così eccitato che d’un tratto sborrai copiosamente macchiando la porta col mio sperma: emisi un grido di piacere così acuto che contribuì al raggiungimento dell’orgasmo del Comandante: urlò, e cazzo se urlò. Sentivo le pulsazioni della sua verga dentro di me, lo sentivo venire in abbondanza e allo stesso tempo sentivo il suo fiato sul mio collo e le sue mani cominciarono a sbattere sulla porta per sfogare quell’eccessivo raggiungimento di piacere.
A terra, cademmo letteralmente a terra, l’uno accanto all’altro, stremati da quella lotta di potere che si concluse nel migliore dei modi per entrambi.
Chiudemmo gli occhi e il Comandante cominciò a sussurrare tra gli spasmi reduci di piacere…
«Sei stato la mia ossess… ossessione in questi gg… giorni» ansimava «volevo incularti, volevo inculare il ragazzetto atlet… atletico e moretto. Cazzo… che bel mor… che bel moretto che sei. Hai la pelle abbronzata e sei propr… proprio bono».
Decisi di aprire gli occhi, e vidi il Comandante privo di sensi, sprofondato ormai in sonno.
Richiusi gli occhi anch’io.
Gli riaprì di scatto qualche minuto dopo per via delle continue domande che mi tormentavano la mente: cos’era successo? Ora verranno gli altri vigili. Ma che cazzo ho fatto?
Mi rialzai di botto: lo sputo del Comandante era ancora sulla guancia, il suo sperma fuoriusciva dal mio culo e lui era lì, inerme con la mano sul cazzo, un bel cazzo che nonostante si fosse ammosciato, presagiva un’erezione pazzesca.
Era proprio vero: il Comandante era un uomo di tutto rispetto.
Fu in quel momento, mentre ero intento a osservare quell’uomo a terra, che mi accorsi di una piccola chiave che era sbucata dal retro del suo Rolex, fissata con dello scotch che a quanto pare non aveva retto abbastanza.
La presi e mi diressi alla scrivania per vederla meglio alla luce della lampada. Mentre la scrutavo, notai che proprio l’ultimo cassetto della scrivania, dove la luce limitava la sua circonferenza, era chiuso con un piccolo lucchetto. Lo aprì e tirai fuori delle carte che mi spaventarono: c’erano delle mie foto al campo, mentre ero con mio padre al mercato, foto in cui uscivo dall’università…
Era vero!
Ero diventato la sua ossessione.
Alcune foto erano state ingrandite perché così sarebbe stato più facile sottolineare le mie forme con un pennarello rosso.
WOW!
Da togliere il fiato.
E poi ancora altri fogli: uno schema che prevedeva di sgombrare l’ufficio proprio per quel giorno, lo stesso dell’accertamento a casa mia. Il Comandante aveva pianificato tutto e la cosa non fece altro che eccitarmi ancora di più.
Andai verso di lui, denudai il mio piede dal calzino e glielo misi in faccia cominciando a palpargli il viso.
Si svegliò e con mia grande sorpresa, il pervertito cominciò a succhiare avidamente il mio alluce e poi tutto il piede.
Si vedeva lontano un miglio che quell’uomo era molto perverso e che da quel giorno in poi avrei conosciuto ogni sua perversione.
Gli calpestai il petto con entrambi i piedi e… tò, ecco una fede al dito illuminata dalla luce della lampada.
Allora ci sarà proprio da divertirsi!


fine

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