Gustavo

di
genere
gay

Dopo il divorzio, mi sentivo come un edificio svuotato: tutte le stanze al loro posto, ma mobili e anime rimosse. Anni di matrimonio avevano definito chi ero, o meglio, chi avrei dovuto essere. E poi, silenzio. In quel silenzio, però, ho iniziato a sentire un altro rumore, una voce sommessa e insistente che non avevo mai osato ascoltare prima. Era la parte femminile di me, quella che avevo sepolto sotto strati di convenzioni e paure. Mi sussurrava che il mio desiderio di dare, di annullarmi nel piacere altrui, non doveva essere per forza legato a un ruolo.

Così ho iniziato a esplorare. Non con leggerezza, ma con un tremore misto a terrore e curiosità. Ho iniziato a scrivere a uomini online. La maggior parte delle conversazioni era deludente, grezza, un'aspettativa di servizio senza il piacere della conoscenza. Finché non è apparso lui. Più grande di me, con uno sguardo che nelle foto sembrava promettere comprensione anziché pretesa. Dopo non pochi messaggi, battute, eccitamento ma anche dubbi, abbiamo deciso di vederci. Mi ha invitato a casa sua, per una cena. La proposta mi ha spaventato e attratto come una fiamma. L'intimità di una casa, non l'anonimato di un luogo pubblico. Era un salto nel vuoto.

Sono arrivato al suo appartamento con il cuore che mi martellava nel petto. L'odore del cibo cucinava nell'aria, un dettaglio quasi normale che mi rasserenava. La cena è stata sorprendentemente piacevole. Abbiamo parlato di tutto, del più e del meno. La conversazione è scivolata, naturale, verso il sesso. Non in maniera volgare, ma neanche eccitante. Si parlava. Normalmente. Io gli ho spiegato che la cosa che mi piaceva di più del sesso era dare piacere, ma non il riceverlo. "Lo so", mi ha fatto lui con un sorriso calmo, "per questo ti ho invitato".

Finite le portate, ci siamo spostati in salotto, mi ritrovo con lui seduto sul divano. Lo spazio era ristretto, intimo. La musica era bassa, le luci soffuse. Mi sentivo le gambe molli e la salivazione a mille. Il cuore poi batteva all'impazzata. Lui mi ha guardato e ha subito capito, mi ha solo fatto segno di avvicinarmi accanto a lui.

Seduto, le gambe accavallate, le labbra dischiuse in un respiro corto. Dopo qualche secondo lunghissimo, ha allungato la mano sulle mie cosce, accarezzato la zona dell'ombelico e lentamente l'ha fatta salire fino al collo. Io ho abbandonato il capo, lui ha spinto leggermente e io mi sono lasciato spingere. Non sul suo pacco, come avevo immaginato, ma semplicemente contro la sua coscia. Attraverso il tessuto dei suoi pantaloni sentivo il calore, la solidità, il maschio. Ho cominciato a spingerci la testa sopra, un'adorazione silenziosa. Evidentemente a lui questa cosa piaceva, perché dopo qualche attimo ha preso a spingermi con la sua mano la mia testa contro di lui, sempre più forte, sempre più a lungo, sempre più duro. E sempre più raramente sollevavo la testa per prendere il respiro, con le mani cominciavo a cercare la cinta dei suoi pantaloni e la slacciavo. Quando ho cominciato a sbottonare anche i bottoni della patta lui, con dolcezza ma decisione, ha spostato la mia testa e si è tolto pantaloni e mutande. Nudo, virile, da adorare.

Ero lì a guardare un uomo nudo con la minchia dura e un ghigno sulla faccia. Non diceva una parola ma io sapevo cosa voleva dire quel ghigno. Voleva dire "lo sai come finisce, vero?". La mia mano è andata a massaggiare intorno alle palle, mentre la mia lingua gliele leccava con cura.In quel momento mi sono tornati in mente i consigli della mia amica Olga, una ragazza ucraina inserita nel mondo delle produzioni porno, di cui vi parlerò in qualche mio prossimo racconto. "Quando hai il cazzo in bocca" mi spiegava "devi inspirare succhiando, il profumo ti manderà in tilt il cervello". Ne dubitavo, invece eccomi lì. A ciucciare come un neonato dal biberon le goccioline di liquido pre eiaculatorio, segno del fatto che stavo facendo un buon lavoro: l'ho assaggiato avidamente e mi sono ben accomodato in ginocchio per terra in mezzo alle sue gambe.

Ho dischiuso le labbra per accogliere il glande, piano piano, su e giù, inspira ed espira. Non capendo più niente, continuando nella mia opera di adorazione ho iniziato a massaggiargli le gambe, gli addominali e finalmente... i bicipiti. Non so cosa mi è preso ma quando gli ho toccato il bicipite duro è avvenuta la mia resa incondizionata, la mia sottomissione all'alfa, la mia gola si è aperta e ho cominciato a scendere sempre più giù sull'asta, fino a toccare il suo addome con il naso.

L'ho guardato negli occhi, in cerca di approvazione. Mi ha sorriso, mi ha accarezzato la testa e mi ha detto "sto per venire, stai fermo lì". E così, con la mano, ha cominciato a dettarmi il ritmo. Mi sono messo comodo, inerte, ad obbedire al suo ordine. La sua forza nel tenermi con la mano ferma la nuca, senza che io opponessi resistenza, era una promessa. Mi trovavo bene tra le sue gambe con il suo cazzo in gola. Ha agito con moderazione, e volentieri mi sono sentito obbligato a bere la sua sborra. Era la mia prima volta, e il sapore di lui era il sigillo su una parte di me, che finalmente trovava il suo ruolo nel mondo.
scritto il
2025-12-11
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