Coddiwomple
di
Sebastian V
genere
etero
Non riesco a scopare per più di una notte nello stesso letto. C’è chi deve cambiare donna per sentire nuovi stimoli, io il luogo.
Mi serve nuova linfa, mura che raccontino nuove storie, musiche che trasportino inusitate melodie, sapori che rinnovino l’appagamento del gusto.
E con te, scoprire città, respirarle, macchiarle di noi; succhiare tutta l’energia da un contesto, consumarla, divorarla, fino a sbrodolare, ravvivati come vampiri.
Fotterti da dietro su un’altana a Venezia, nella notte, la eco degli impatti di carne madida che corre sulle tegole, scandalizzandone il riposo eterno.
Oppure poggiata al ferro di un terrazzo in stile Haussmann a Parigi, spiati dalle facciate in pietra calcarea. Ci facciamo della piazza sottostante, vuota, ma che pulsa e odora ancora di mercato del giorno appena trascorso.
O quando da una finestra di Buda, le nostre grida raggiungono Pest, mentre ti scopo nel culo. Come l’archetto che scorre sulla corda dei violini, su imbarcazioni ristorante, che danzano sul Danubio.
Ma son sempre i tuoi occhi verdi che voglio vedere lacrimare, per quanto cazzo ricevi fin in gola, paonazza, dai troppi secondi di mancanza di respiro, in estasi, perché sai che, appena lo sfilerò, mi precipiterò a bere la bava che fuoriesce dalle tue labbra.
E la mia sborra è roba tua, nessuno dei tuoi tre avidi buchi ne verrà privato stanotte.
Il mattino ci troverà con un unico sapore. Mi avrai assorbito, da dentro, da fuori; ti avrò deglutita, suzzata come un depravato, maltrattando e lenendo i tuoi capezzoli; bevuta, come un ossesso, dalla fontana che sei, in fica, quando le mie dita ti fanno contorcere come un pesce fuor d’acqua. Il mio odore di pelle sarà più addosso a te che a me. Non avremo la forza di parlare, nella maestosa sala colazioni liberty di un grand hotel di Praga.
Siamo rinati, ora possiamo vagare un po’, morendo lentamente, fino al prossimo amplesso, sarà lui a trovarci, reclamarci, resuscitarci.
E i miei fiotti saranno la medicina per la tua inquietudine esistenziale. Come una mucca, che più viene munta, più produce latte, ti donerò dosaggi sempre più elevati.
Fino alla notte in cui smetteremo un secondo di baciarci, per guardare verso la mia mano. Avrò appena sfilato pollice ed indice dal tuo sesso, li distanzierò piano, lasciando che il tuo denso succo abbondante e filamentoso si allunghi, così simile all'albume d'uovo crudo, da non lasciarci dubbi sul pulsare delle tue uova. Quello sarà il momento, non smetteremo di guardarci negli occhi, tenendoci il viso. Non spingerò forte, non darò colpi continui, ma pochi, ininterrotti, profondi. E quando sarà, mi fermerò, lassù, nel tuo ventre, saranno i getti a lanciarsi indecentemente dove è giusto che ti inondino di me, forti, impetuosi, uno dopo l’altro, accolti dalle contrazioni del tuo primordiale bisogno.
Sarà proprio il mio seme che ti ha sempre svuotata, a riempirti, ingravidarti.
Riesco a proiettare me in eterno solo nell’incatenarsi dei nostri dna.
Mi serve nuova linfa, mura che raccontino nuove storie, musiche che trasportino inusitate melodie, sapori che rinnovino l’appagamento del gusto.
E con te, scoprire città, respirarle, macchiarle di noi; succhiare tutta l’energia da un contesto, consumarla, divorarla, fino a sbrodolare, ravvivati come vampiri.
Fotterti da dietro su un’altana a Venezia, nella notte, la eco degli impatti di carne madida che corre sulle tegole, scandalizzandone il riposo eterno.
Oppure poggiata al ferro di un terrazzo in stile Haussmann a Parigi, spiati dalle facciate in pietra calcarea. Ci facciamo della piazza sottostante, vuota, ma che pulsa e odora ancora di mercato del giorno appena trascorso.
O quando da una finestra di Buda, le nostre grida raggiungono Pest, mentre ti scopo nel culo. Come l’archetto che scorre sulla corda dei violini, su imbarcazioni ristorante, che danzano sul Danubio.
Ma son sempre i tuoi occhi verdi che voglio vedere lacrimare, per quanto cazzo ricevi fin in gola, paonazza, dai troppi secondi di mancanza di respiro, in estasi, perché sai che, appena lo sfilerò, mi precipiterò a bere la bava che fuoriesce dalle tue labbra.
E la mia sborra è roba tua, nessuno dei tuoi tre avidi buchi ne verrà privato stanotte.
Il mattino ci troverà con un unico sapore. Mi avrai assorbito, da dentro, da fuori; ti avrò deglutita, suzzata come un depravato, maltrattando e lenendo i tuoi capezzoli; bevuta, come un ossesso, dalla fontana che sei, in fica, quando le mie dita ti fanno contorcere come un pesce fuor d’acqua. Il mio odore di pelle sarà più addosso a te che a me. Non avremo la forza di parlare, nella maestosa sala colazioni liberty di un grand hotel di Praga.
Siamo rinati, ora possiamo vagare un po’, morendo lentamente, fino al prossimo amplesso, sarà lui a trovarci, reclamarci, resuscitarci.
E i miei fiotti saranno la medicina per la tua inquietudine esistenziale. Come una mucca, che più viene munta, più produce latte, ti donerò dosaggi sempre più elevati.
Fino alla notte in cui smetteremo un secondo di baciarci, per guardare verso la mia mano. Avrò appena sfilato pollice ed indice dal tuo sesso, li distanzierò piano, lasciando che il tuo denso succo abbondante e filamentoso si allunghi, così simile all'albume d'uovo crudo, da non lasciarci dubbi sul pulsare delle tue uova. Quello sarà il momento, non smetteremo di guardarci negli occhi, tenendoci il viso. Non spingerò forte, non darò colpi continui, ma pochi, ininterrotti, profondi. E quando sarà, mi fermerò, lassù, nel tuo ventre, saranno i getti a lanciarsi indecentemente dove è giusto che ti inondino di me, forti, impetuosi, uno dopo l’altro, accolti dalle contrazioni del tuo primordiale bisogno.
Sarà proprio il mio seme che ti ha sempre svuotata, a riempirti, ingravidarti.
Riesco a proiettare me in eterno solo nell’incatenarsi dei nostri dna.
2
voti
voti
valutazione
7
7
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
Hotel Dogana Vecchia
Commenti dei lettori al racconto erotico