Michela. Al cinema
di
Michela1980
genere
orge
Non c’è più un cazzo di normalità tra me e Angelo. Lo capisco da come mi guarda, mentre sto sul divano con le cosce aperte e il vestito che mi sega le tette, e lui si lecca le labbra come un cane davanti a una ciotola piena di sbobba. Non gli basta più vedermi nuda, non gli basta nemmeno scoparmi sul tavolo, non gli basta niente. E io? Sono peggio di lui. Perché so che mi piace farmi umiliare, farmi usare, farmi vedere.
È da giorni che mi gira in testa quel pensiero. Mi sogno la notte: la figa che pulsa e nessuno che mi tocca, solo gli occhi addosso, sconosciuti che mi svergognano col solo guardare. Non ne posso più, devo dirglielo.
Mi volto verso Angelo, gli faccio:
— Sai che ti dico? Voglio di più. Voglio che mi porti dove non dovresti mai portare tua moglie.
Lui sorride come uno che ha appena visto la Madonna.
— Dove, Michela?
— In un cinema a luci rosse. Voglio che mi guardi mentre vengo toccata, voglio essere la puttana che tutti si aspettano, ma davanti a te.
Lui tace un attimo, ma lo vedo che si aggiusta il cazzo sotto i pantaloni.
— Te lo giuro, Michela, ti faccio perdere ogni pudore.
Mi cambio come una troia: mutandine di pizzo che si sciolgono con un dito, reggiseno trasparente, vestito che mi spacca il culo e le tette, scarpe col tacco perché voglio sentirmi troia fino in fondo. Ci mettiamo in macchina, sessanta chilometri col mio odore di figa che riempie l’abitacolo. Lui guida, ma ogni tanto mi infila le dita tra le cosce e lecca quello che trova, come se fosse il dessert prima di cena.
Arriviamo. Cinema di merda, neon rosso, puzza di piscio e sperma ovunque.
Angelo ride, mi prende per il collo.
— Sei pronta a farti scopare dagli occhi di mezzo paese?
Sorrido, ho la figa che mi cola, non ho mai avuto così voglia di farmi trattare male.
Entriamo, paghiamo il biglietto a un vecchio bavoso che mi guarda le tette come volesse succhiarle da un momento all’altro. Dentro è buio, ma la gente ci vede. Lo so. C’è già chi si masturba in fondo. Io sorrido, mi siedo con le gambe larghe e il vestito che mi taglia la figa in due.
Angelo mi accarezza, mi bacia, mi tira fuori una tetta e la lecca, lo fa apposta, vuole che mi guardino tutti.
— Così, fatti vedere, fatti scopare dagli occhi, troia mia.
Sento una mano che mi sfiora la coscia, non è la sua.
Mi giro, c’è uno che mi fissa, brizzolato, con la faccia da porco che si scoperebbe anche le morte.
— Ti piace la mia carne?
Lui ansima, mi mette la mano più su, sulle mutandine. Sento che le sue dita sono ruvide, sanno di tabacco e disinfettante.
Angelo mi sorride:
— Fatti toccare, fammi vedere che sei la puttana che dici di essere.
Mi lascio fare, allargo le gambe, le sue dita mi trovano già bagnata.
— Sei calda, troia, non vedevi l’ora.
— Più forte, pezzo di merda. Fammi male.
Lui mi infila due dita dentro, non sta nemmeno attento. Io gemo, la figa che mi scoppia, Angelo mi sussurra all’orecchio:
— Ti voglio vedere ingoiarglielo, mentre io ti scopo davanti a tutti.
Mi prende, mi spinge sulla sua coscia, si tira fuori il cazzo e me lo infila senza nemmeno spogliarmi.
Mi siedo su di lui, la figa spalancata, il brizzolato che si sfila i pantaloni e mi mette il cazzo davanti alla bocca.
Sorrido, lo lecco, lo succhio come se dovessi salvarmi la vita, le lacrime che mi colano sugli zigomi.
Angelo mi tiene i fianchi, mi scopa forte, le sue mani mi strappano via il reggiseno, me lo legano al collo come un collare.
Il brizzolato mi scopa la bocca, la sbatte contro i denti, mi riempie tutta la gola, il sapore di piscio e sborra vecchia mi manda fuori di testa.
Vengo così, in mezzo a tutti, senza nemmeno accorgermene, la figa che mi sputa fuori il cazzo di Angelo, la bocca che si riempie del liquido del brizzolato. Sputo, ingoio, rido.
Angelo gode dentro di me, mi stringe fino a lasciarmi i segni addosso.
— Sei la mia troia, Michela, la mia rovina.
Io mi piego in avanti, mi pulisco la bocca con la mano e me la lecco.
Mi guardo intorno, mi sento fiera, padrona del mio schifo.
— Nessuno mi scoperà mai così.
E lui, mentre usciamo nel freddo della notte, mi bacia ancora la bocca sporca.
— Domani voglio vederti leccare il culo a uno di questi.
— Sì, ma dopo mi scopi tu, forte, fino a farmi piangere.
Ride. Ridiamo.
E so che sono irrimediabilmente persa.
È da giorni che mi gira in testa quel pensiero. Mi sogno la notte: la figa che pulsa e nessuno che mi tocca, solo gli occhi addosso, sconosciuti che mi svergognano col solo guardare. Non ne posso più, devo dirglielo.
Mi volto verso Angelo, gli faccio:
— Sai che ti dico? Voglio di più. Voglio che mi porti dove non dovresti mai portare tua moglie.
Lui sorride come uno che ha appena visto la Madonna.
— Dove, Michela?
— In un cinema a luci rosse. Voglio che mi guardi mentre vengo toccata, voglio essere la puttana che tutti si aspettano, ma davanti a te.
Lui tace un attimo, ma lo vedo che si aggiusta il cazzo sotto i pantaloni.
— Te lo giuro, Michela, ti faccio perdere ogni pudore.
Mi cambio come una troia: mutandine di pizzo che si sciolgono con un dito, reggiseno trasparente, vestito che mi spacca il culo e le tette, scarpe col tacco perché voglio sentirmi troia fino in fondo. Ci mettiamo in macchina, sessanta chilometri col mio odore di figa che riempie l’abitacolo. Lui guida, ma ogni tanto mi infila le dita tra le cosce e lecca quello che trova, come se fosse il dessert prima di cena.
Arriviamo. Cinema di merda, neon rosso, puzza di piscio e sperma ovunque.
Angelo ride, mi prende per il collo.
— Sei pronta a farti scopare dagli occhi di mezzo paese?
Sorrido, ho la figa che mi cola, non ho mai avuto così voglia di farmi trattare male.
Entriamo, paghiamo il biglietto a un vecchio bavoso che mi guarda le tette come volesse succhiarle da un momento all’altro. Dentro è buio, ma la gente ci vede. Lo so. C’è già chi si masturba in fondo. Io sorrido, mi siedo con le gambe larghe e il vestito che mi taglia la figa in due.
Angelo mi accarezza, mi bacia, mi tira fuori una tetta e la lecca, lo fa apposta, vuole che mi guardino tutti.
— Così, fatti vedere, fatti scopare dagli occhi, troia mia.
Sento una mano che mi sfiora la coscia, non è la sua.
Mi giro, c’è uno che mi fissa, brizzolato, con la faccia da porco che si scoperebbe anche le morte.
— Ti piace la mia carne?
Lui ansima, mi mette la mano più su, sulle mutandine. Sento che le sue dita sono ruvide, sanno di tabacco e disinfettante.
Angelo mi sorride:
— Fatti toccare, fammi vedere che sei la puttana che dici di essere.
Mi lascio fare, allargo le gambe, le sue dita mi trovano già bagnata.
— Sei calda, troia, non vedevi l’ora.
— Più forte, pezzo di merda. Fammi male.
Lui mi infila due dita dentro, non sta nemmeno attento. Io gemo, la figa che mi scoppia, Angelo mi sussurra all’orecchio:
— Ti voglio vedere ingoiarglielo, mentre io ti scopo davanti a tutti.
Mi prende, mi spinge sulla sua coscia, si tira fuori il cazzo e me lo infila senza nemmeno spogliarmi.
Mi siedo su di lui, la figa spalancata, il brizzolato che si sfila i pantaloni e mi mette il cazzo davanti alla bocca.
Sorrido, lo lecco, lo succhio come se dovessi salvarmi la vita, le lacrime che mi colano sugli zigomi.
Angelo mi tiene i fianchi, mi scopa forte, le sue mani mi strappano via il reggiseno, me lo legano al collo come un collare.
Il brizzolato mi scopa la bocca, la sbatte contro i denti, mi riempie tutta la gola, il sapore di piscio e sborra vecchia mi manda fuori di testa.
Vengo così, in mezzo a tutti, senza nemmeno accorgermene, la figa che mi sputa fuori il cazzo di Angelo, la bocca che si riempie del liquido del brizzolato. Sputo, ingoio, rido.
Angelo gode dentro di me, mi stringe fino a lasciarmi i segni addosso.
— Sei la mia troia, Michela, la mia rovina.
Io mi piego in avanti, mi pulisco la bocca con la mano e me la lecco.
Mi guardo intorno, mi sento fiera, padrona del mio schifo.
— Nessuno mi scoperà mai così.
E lui, mentre usciamo nel freddo della notte, mi bacia ancora la bocca sporca.
— Domani voglio vederti leccare il culo a uno di questi.
— Sì, ma dopo mi scopi tu, forte, fino a farmi piangere.
Ride. Ridiamo.
E so che sono irrimediabilmente persa.
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