Francesca e Teo, madre figlio un amore impossibile

di
genere
incesti

Capitolo 1: L'Arrivo alla Villettina
Mi chiamo Teo, ho 30 anni, e la mia famiglia è sempre stata un intreccio complicato di obblighi e silenzi, come tanti matrimoni del sud Italia di una volta. Mia madre, Francesca, ne ha 56, e mio padre, Franco, 64. Si sono sposati quasi per forza, per via di quelle tradizioni familiari che non lasciano spazio all'amore o al desiderio. Tra loro non c'è mai stato quel legame vero, quel fuoco che tiene unite le coppie. Mamma è finita in una depressione silenziosa, chiusa in se stessa, come se non si sentisse mai apprezzata o voluta. Papà, con il suo carattere rude e autoritario, l'ha sempre trattata più come una serva che come una moglie: lei in casa a fare tutto, lui fuori a farsi i fatti suoi. Io sono cresciuto in mezzo a questo, cercando di essere il collante, ma non è facile.
Vivevo da solo in un appartamento fuori Roma, lavoravo e mi arrangiavo senza dipendere da loro. Avevamo diverse case: una in Toscana che condividevamo con lo zio, il fratello di papà; una al paese nativo in Calabria; e questa villettina al mare, in una pineta con accesso privato alla spiaggia, dove passavamo tutte le ferie di agosto insieme. Quest'anno, però, i miei erano arrivati a metà luglio, visto che papà era in pensione. Io li raggiunsi il primo lunedì di agosto.
Quando arrivai, notai subito che la macchina di papà non c'era. Scaricai i bagagli dal cofano e entrai nel cortile, dirigendomi verso casa. Mamma era seduta sulla sua panchina in giardino, con una sigaretta in mano, le gambe accavallate, il gomito appoggiato sulla coscia e la testa sorretta dal palmo della mano. Non era una persona sorridente, sempre apparentemente triste, persa nei suoi pensieri. Io ero l'unico che provava a spronarla, con una pazienza infinita, quella che un figlio riserva per far ridere sua madre. E quando ci riuscivo, arrivava papà a rovinare tutto, umiliandoci.
Le andai incontro per salutarla, le diedi un bacio e le chiesi se era tutto a posto. Mi disse che aveva litigato come al solito con papà, e che lui se n'era andato due giorni prima in Toscana con lo zio. "Torna?" le chiesi. "Purtroppo sì, prima o poi," rispose con un sospiro. Feci una risatina per sdrammatizzare: "Dai, mamma, ci sono io a farti compagnia. Stasera cucino io, ho portato della carne da fare alla brace e due bottiglie di vino." Lei scrollò le spalle: "Tanto io mangio poco e non bevo, fallo per te." Ma insistetti: "Lo faccio per noi due, poi se non la vuoi non fa niente."
Sospirò, spegnendo la sigaretta. I suoi occhi stanchi si posarono su di me per un attimo. "Va bene, Teo," disse con voce debole. "Fai come vuoi. Io vado a fare una doccia, mi sento appiccicosa per il caldo." Le risposi: "Sì, vado a mettermi comodo." Dato che la casa era isolata, mi misi addosso una t-shirt e rimasi in mutande.
Sistemai i bagagli in casa, misi la carne in frigo e preparai il vino sulla veranda. La villettina era un rifugio isolato, con la pineta che bloccava i rumori e il sentiero che portava alla spiaggetta privata. Mentre il sole calava, accesi il barbecue. L'odore della brace si mescolò al profumo del mare.
Ero lì, indaffarato ad accendere il barbecue, soffiando sulle braci per farle prendere, con l'odore del carbone che si mescolava all'aria salmastra. Poi vidi mamma arrivare dalla casa, fresca di doccia, con i capelli umidi e quella canottiera leggera addosso. Francesca era alta appena 157 cm, una donnina minuta ma con una presenza che non passava inosservata, almeno per me. I suoi capelli neri stavano iniziando a sbiancarsi qua e là, non solo per l'età, ma per tutti quei pensieri che le pesavano addosso da anni, come un velo grigio che le offuscava lo sguardo.
La guardai meglio mentre si avvicinava, e non potei fare a meno di notare il suo fisico: né magrissima né grassa, solo quel giusto equilibrio che la rendeva reale, umana, con curve morbide che il tempo non aveva rovinato del tutto. Aveva un culetto ancora decente, sodo sotto i pantaloncini che indossava, ma il suo punto forte era sempre stato il seno. Quando stava in casa, come ora, portava una canottiera leggera con bretelle fini che le delineavano perfettamente le forme: un seno tonico nonostante i 56 anni, a forma di pera, pieno e invitante, con capezzoli grandi e sempre gonfi che si intravedevano attraverso il tessuto sottile, come se reclamassero attenzione. Mi sentii un po' in colpa per averla osservata così, ma era mia madre, e in quel momento, con la luce del tramonto che le accarezzava la pelle, sembrava quasi liberata da quel peso che si portava dietro.
Forse la metteva per attirare l'attenzione di papà, per sentirsi apprezzata come donna dopo tutti quegli anni di indifferenza, un tentativo disperato di riaccendere qualcosa in quel matrimonio forzato. Ma Franco non l'aveva mai notata davvero, non come meritava; era troppo preso dal suo ego rude, dalle sue uscite con lo zio, dal trattarla come un oggetto di casa.
Invece, quelle forme avevano sempre attirato me, fin da quando ero un ragazzo e cercavo di non fissarle, ma non potevo farne a meno. Il suo seno, tonico e a pera nonostante l'età, con quei capezzoli grandi e sempre gonfi che premevano contro il tessuto sottile, mi aveva tormentato in sogni che non osavo confessare. Le avevo desiderate in silenzio, immaginando come sarebbe stato toccarle, assaporarle, farla sentire viva e voluta come non era mai stata. Ma nel profondo del cuore, lo sapevo: era un sogno irrealizzabile, un tabù che non potevo infrangere, un desiderio represso che mi faceva sentire in colpa solo a pensarlo. Lei era mia madre, dopotutto, e io ero lì per proteggerla, non per complicare ulteriormente la sua vita già spezzata.
La guardai mentre si avvicinava e mi chiese, visto che era appena uscita, se poteva portare due calici e un apribottiglia. Con una calma devastante si girò e rientrò in casa per prenderli. Mamma era fredda anche con me, sì, era la mamma quindi mi faceva le classiche domande da madre, ma mai un abbraccio, mai un discorso confidenziale; teneva tutti i suoi sentimenti chiusi dentro, come un forziere sigillato.
Tornò e si sedette alla sua solita panchina di fianco al barbecue. Stappai una bottiglia, riempii i calici e gliene porsi uno, dicendole "Dai, sorseggialo". Iniziammo a chiacchierare dei soliti discorsi madre-figlio: come ti va, al lavoro, mangi, ti lavi e così via, mentre io cucinavo la carne e lei fumava sigarette. Mamma, quando stava al mare, non si alzava mai da quella panchina se non per cucinare e fare quelle poche faccende che si fanno in una casa di vacanza, e questa cosa faceva infuriare papà. Non scendeva neanche in spiaggia, sempre fissa lì con i suoi pensieri.
La carne era cotta e le dissi: "Sai che facciamo mamma ora, ti faccio un regalo, non ti faccio muovere dalla tua panchina, mangiamo qui". Lei rispose "Sì, è fuori", e senza farselo ripetere presi il vassoio, lo posizionato tra noi due sulla panchina e iniziai a mangiare la carne con le mani, indicandolo a lei e dicendo che quelle erano le posate dei re. Mamma, che comunque era una persona abbastanza posata, all'inizio titubò ma poi si fece prendere dall'entusiasmo mio e iniziò a mangiare con le mani anche lei. Così passò la serata, la carne finì e una bottiglia di vino vuota, e continuammo a chiacchierare ancora sulla panchina.
Poi, quando le dissi che faceva caldo, "Andiamo a fare una passeggiata in spiaggia così digeriamo anche", erano quasi le 24:00. Mamma ovviamente non voleva muoversi da lì, ma insistetti e riuscii a smuoverla. Mi chiese una felpa, entrai in casa a prenderla e andammo in spiaggia.
Un evento più unico che raro, la madre che scendeva in spiaggia. Si infilò la felpa per paura di prendere freddo, e io portai anche due asciugamani per metterci a sedere sulla sabbia, la bottiglia che avevo già stappato e i due calici. Arrivammo in spiaggia, ci fermammo al limite del bagnasciuga e restammo ad ammirare il bel paesaggio: il mare calmo e una luna piena bellissima. Poi dissi a mamma: "Vedi che spettacolo?" e lei annuì. Aggiunsi: "Vedi, a stare sempre seduta su quella panchina... senti che pace e che tranquillità emana tutto ciò." Poi stesi gli asciugamani e mi sedetti. Francesca stava in piedi a pensare e ad ammirare il mare. Versai un po' di vino nei calici, la chiamai, le porsi il suo e lei lo prese, si sedette anche lei e iniziammo a sorseggiare vino e a parlare del paesaggio e poi del più e del meno. Poi mamma disse: "L'acqua sarà freddissima" e io le risposi che l'acqua del mare di notte, soprattutto se il giorno era stato caldissimo, era calda. Lei disse che non ci credeva e io mi alzai in piedi, le dissi che già era un evento eccezionale che fosse arrivata lì, ora chiederle di sentire l'acqua era una richiesta impossibile, ma insistetti. Alla fine Francesca cedette, si alzò e si avvicinò all'acqua, la toccò appena con il piede ed esclamò: "Ma è calda davvero!" Allora immerse entrambi i piedi fino alla caviglia e restò lì a guardare l'orizzonte. Io guardai mamma che era sempre con lo sguardo perso verso l'infinito, mi tolsi la maglietta restando in mutande, le dissi "Io mi butto" e mi tuffai in acqua. Francesca non fece una piega. Mi immersi sdraiato con la testa solo fuori dall'acqua e restai a rilassarmi, poi guardai Francesca e le dissi: "Non sai cosa ti perdi." Lei mi guardò, poi si girò e tornò a sedersi. Dopo un po' uscii dall'acqua, presi l'asciugamano, mi asciugai, me lo girai addosso e mi sedetti vicino a Francesca, dicendole: "L'acqua di notte è magnifica." Restammo un po' lì, ci fumammo una sigaretta, sorseggiammo vino e tornammo a casa. A casa mi feci una doccia mentre Francesca andò a dormire. Uscii dalla doccia, mi chiusi in camera, pensai a mamma, alla sua depressione, poi la mente mi tornò alle sue tette e ebbi un pensiero peccaminoso, e con quel pensiero mi addormentai.
scritto il
2025-10-15
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