La Confessione Di Sara (Cinema Odeon)

di
genere
confessioni

Sono le dieci di sera, e siamo fermi nel parcheggio di questo cinema porno che Marco ha trovato su qualche sito del cazzo. La Panda rossa è un forno, i finestrini socchiusi buttano dentro un filo d’aria umida che sa di asfalto e piscio. Marco tamburella le dita sul volante, nervoso, gli occhi che saltano da me all’insegna al neon che sputa luce rossa: “XXX – Sempre Aperto”. Cinema Odeon quasi non si legge . È la prima volta che ci spingiamo così oltre, e lo vedo che è agitato, anche se quel sorrisetto storto gli scappa comunque, come sempre quando è eccitato. Conosco il mio pollo.
«Sei sicura, Sara? Davvero vuoi entrare ?» mi chiede, la voce che gli trema un po’, come se sperasse che dicessi di no, ma sotto sotto morisse dalla voglia che dicessi sì.
Lo fisso, il cuore che mi sbatte nelle costole. «È stata un’idea tua, no? Dicevi che ti faceva impazzire immaginarmi là dentro… a farmi scopare da degli sconosciuti.»

Deglutisce forte, si passa una mano nei capelli. «Sì, cazzo, lo so, ma… ora è vero. Non so se ce la faccio a restarti qui fuori ad aspettare.»
Sorrido, più per calmarmi che per lui. «Dai, Marco, è un gioco. Entro, guardo com’è, e se non mi va esco. Non è che devo per forza farmi chiavare.» Ma lo sappiamo tutti e due che è una balla. L’idea, quella sporca e vera, è che io entri e mi lasci andare, che mi faccia scopare da chiunque mi capiti a tiro, mentre lui resta qua, a mangiarsi le mani e a immaginarsi tutto. È una fantasia che ci siamo costruiti a pezzi, tra scopate sudate e parole porche sussurrate al buio, fino a sbatterci qui, a un passo dal farla succedere.
«Promettimi solo che starai attenta» dice, prendendomi la mano. La sua è bagnata di sudore, trema.
«Promesso. E tu promettimi che non ti seghi troppo, che dopo ti voglio bello duro quando torno.» Scherzo, ma la voce mi esce rauca, incerta. Scoppia in una risata nervosa. «Cazzo, Sara, mi mandi fuori di testa. Vai, prima che cambiamo idea.»
Apro la portiera, il cigolio mi graffia i nervi. Scendo, il vestitino nero che ho messo apposta mi tira sulle cosce, i tacchi sbattono sull’asfalto. Mi giro un attimo: lui è lì, mi guarda, la mano sul cambio come se volesse tirarmi indietro.
«Aspettami cucciolo» gli dico, e sembra più una preghiera che un ordine.
Mi avvio verso l’ingresso, sento i suoi occhi incollati al mio culo finché non sparisco oltre la porta. Ho una paura fottuta, ma c’è anche quell’eccitazione che
mi scalda la fica, che mi fa tremare le gambe. Non so cosa mi aspetta, ed è proprio questo che mi fotte il cervello.

La signora dei biglietti è indifferente, una di quelle che si porta sul viso tutta la sua vita , una che ne ha viste di tutti i colori, già stanca che probabilmente
dovrà passare la sera a ripulire lo schifo . Non mi giudica , fa il suo dovere, mi guarda e mi fa cenno di entrare , chi paga tanto sono i guardoni , loro sono qui per me.
Entro, e l’odore mi colpisce come uno schiaffo: disinfettante scadente, sudore rancido e sborra secca. La luce è un niente, solo lo schermo che spara immagini di cazzi e fiche che si sbattono, gemiti pompati a volume assurdo che mi rimbombano nella testa. Ma non importa è come se non ci fossero, sono una cornice, quelle immagini sono parte dell’ arredamento . Mi fermo sulla soglia, il cuore che mi spacca il petto, quasi copre il casino del porno. È la mia prima volta qui, e sono terrorizzata, ma la fica mi pulsa, bagnata, pronta, e questo mi fa incazzare e eccitare insieme.
Gli uomini sono sparsi nella sala, ombre nere che si muovono lente. Alcuni seduti, altri appoggiati ai muri, tutti con gli occhi su di me. Li sento, i loro
sguardi, come mani luride che mi frugano già sotto il vestito, che mi scopano senza nemmeno toccarmi. Deglutisco, provo a respirare. Calmati, Sara, è quello che volevi, mi dico, ma è una cazzata. Non so se lo voglio davvero o se sto solo affogando nella mia stessa perversione.
Cammino lungo il corridoio, i tacchi che sbattono sul pavimento appiccicoso – chissà di cosa, meglio non pensarci. Ogni passo è un segnale, un “prendetemi”
che non posso ritirare. Un tizio sulla sinistra si alza, un bestione con la camicia aperta e peli che gli esplodono dal petto. Mi fissa, si lecca i denti come un cane affamato. Non dico niente, tiro dritto, ma so che mi segue con gli occhi, e che presto mi seguirà anche col resto.
Mi siedo a metà sala, fila vuota. Il sedile è gelido, liscio contro le cosce nude.
Incrocio le gambe, ma è inutile: i capezzoli mi tirano sotto il vestito, la fica mi tradisce, fradicia. Sono qui per farmi scopare, e lo sanno tutti. Lo sa anche il
primo che si siede vicino a me, un fiato pesante che puzza di birra e sigarette.
La sua mano mi piomba sulla coscia, dura, senza chiedere. Rabbrividisco, ma non lo spingo via. È per questo che sono venuta, no? È il mio corpo a dare il
consenso.
Altri arrivano. I sedili scricchiolano, i vestiti frusciano. Apro gli occhi: sono circondata. Quattro, cinque uomini, occhi da lupi. Uno, un magro con la barba incolta, si slaccia i pantaloni e tira fuori il cazzo, duro, grosso. Me lo sbatte in faccia. Apro la bocca, e lui me lo ficca dentro, fino in gola. Succhio, mentre la
mano dell’altro mi scosta il vestito, mi strappa le mutandine, mi fruga la fica con dita grosse, sporche.
Tutto esplode veloce, brutale. Non penso, sento. Uno mi afferra i capelli, mi tira indietro. «Succhia bene, troia» grugnisce, e io lo faccio, le labbra che stringono quel cazzo che mi scopa la bocca. Dietro, mi sollevano il vestito, mi sputano sul culo. Qualcosa mi preme sulla fica, poi entra, un colpo secco che mi spacca.
Urlo, ma il suono muore sul cazzo che mi riempie di nuovo la gola. Mi scopano, uno davanti, uno dietro, a ritmo, come bestie.
Altri si avvicinano. Mani sulle tette, schiaffi sul culo, dita che mi strizzano i capezzoli fino a farmi male. Uno mi infila un dito nel culo, poi due, mi allarga.
«Questa lo vuole dietro» ride, e io non dico no. Non posso, non voglio. Il cazzo esce dalla fica e mi punta l’ano. Spinge, entra lento, mi brucia, mi strappa un
grido. Poi il dolore diventa piacere, un piacere schifoso, malato, che mi fa venire i brividi.
Sono piena, davanti, dietro, mani dappertutto. Altri cazzi mi sbattono in faccia, li prendo con le mani, li sego mentre succhio e mi faccio scopare. È un casino di carne, sudore, urla. Non so quanti sono – sei, sette, di più? – ma non mi importa. Sono la loro puttana, il loro buco, e godo come una pazza. L’orgasmo mi travolge, un’onda che mi fa tremare, urlare, stringermi sui cazzi che mi riempiono. Loro non si fermano, mi sborrano dentro, sulla faccia, sul corpo.
Sperma caldo che mi cola dappertutto, mi brucia gli occhi, mi riempie la bocca.
Quando finiscono, sono un rottame. Vestito strappato, trucco sfatto, coperta di
sborra e sudore. Ma sono viva, appagata. Mi rivesto come posso, le gambe molli, e barcollo verso l’uscita. I loro occhi mi seguono, sazi, mentre esco.

L’aria fresca mi colpisce fuori, mi sveglia un po’. Respiro profondo, il cuore ancora a mille, un tamburo che mi rimbomba nel petto. Sono un disastro, ma mi sento viva, potente, sporca in un modo che mi fa quasi ridere. Cammino verso
la Panda, i tacchi che scricchiolano sull’asfalto, e vedo Marco al volante: occhi spalancati, bocca aperta, sembra un pesce tirato fuori dall’acqua. Spalanco la portiera con un gesto secco e mi butto sul sedile del passeggero, un casino
ambulante. Il vestito è ridotto a brandelli, appiccicoso di sudore e sborra, i capelli un groviglio selvaggio, il trucco un disastro – il mascara mi è colato con le lacrime, mi dipinge la faccia come un quadro osceno.
Marco mi fissa, la bocca socchiusa, gli occhi che scivolano veloci sul mio corpo,
come se cercasse di capire cosa cazzo è successo. È sconvolto, ma quel rigonfiamento nei jeans lo tradisce subito. «Cazzo, Sara, che è successo?»
biascica, la voce roca, incerta, quasi tremando.
Gli lancio un sorriso storto, stanco ma pieno di una soddisfazione cattiva, perversa. «vuoi che ti racconti?» Aspetto che metta in moto, il motore che
tossisce mentre mi appoggio al sedile. Tiro su il vestito con un gesto lento, spalanco le cosce e gli mostro tutto: la fica arrossata, bagnata, il pelo ancora sporco di sperma che mi cola piano tra le gambe. «Là dentro era un casino,
Marco. Mi hanno presa in tre, forse quattro, forse di più non ho più contato. Mi hanno scopata ovunque, mi hanno riempita. Guarda qua» dico, indicando la
pelle lucida, il segno di quello che ho fatto.
Lui deglutisce, le mani che tremano sul volante, gli occhi incollati lì. «Cazzo,Sara… davvero?»
«Davvero» rispondo, la voce bassa, quasi un ringhio, carica di tutto quello che ho ancora dentro. «E sai una cosa? Mi è piaciuto. Mi hanno sborrato in bocca, sulla faccia, dentro. Sono ancora piena di loro.» Mi passo una mano tra le cosce, raccolgo un po’ di sperma con le dita e glielo mostro, provocante,
sfidandolo. «Vuoi assaggiare?»
Marco esita, il respiro corto, ma nei suoi occhi c’è una fame che non può nascondere. «mmh» mormora, piano, come se si vergognasse a dirlo.
Mi sporgo verso di lui, gli afferro la testa con una mano e lo spingo giù, decisa.
«Allora lecca, dai. Puliscimi da quella sborra che non è tua.» Lui si china, la lingua esce incerta, poi si fa strada tra le mie cosce. Lecca avido, succhia via lo sperma di quegli sconosciuti, e io gemo, stringendogli i capelli forte. «Bravo, così, succhia tutto, fai il bravo maritino.» Lui mugola, il viso affondato nella mia fica, la lingua che scava, che prende ogni traccia, scivola poi giù fino a farmi
sentire la lingua nel culo , aperto e ancora pulsante.
Quando si rialza, ha la bocca sporca, gli occhi lucidi di umiliazione e di un’eccitazione che lo divora. Lo guardo, feroce, con un fuoco che mi brucia dentro, e baciandolo profondamente … «scopami.»
Non perde tempo. Si slaccia i jeans con mani frenetiche, tira fuori il cazzo duro come pietra e mi trascina verso di sé. Marco ha un cazzo enorme che adoro. Mi sbatte sul sedile, mi apre le gambe con un gesto brusco e mi penetra con un colpo secco, forte. Urlo, il piacere che si mischia al bruciore di un corpo già usato, martoriato. «Sì, cazzo, scopami forte!» grido, graffiandogli le spalle, lasciandogli segni.
La macchina trema sotto i nostri movimenti, i colpi di Marco sono disperati, selvaggi, come se volesse riprendersi qualcosa. «Sei una troia, Sara, sei la mia
puttana» ringhia, e io rido, gli mordo il collo, gli lascio il segno dei denti. «Sì, sono la tua troia, riempimi ancora.»
Veniamo insieme, un orgasmo violento, sporco, che ci spacca in due e ci lascia ansimanti, sudati, appiccicati l’uno all’altra sul sedile. Quando tutto finisce, gli accarezzo la guancia, un sorriso esausto che mi piega le labbra. «Ti è piaciuto,eh?»
Marco annuisce, stordito, il fiato corto. «Cazzo, sì. Sei pazzesca.»
Mi sistemo il vestito, o quel che ne resta, con un gesto pigro e un tono ironico . «Bene amo. La prossima volta giriamo noi il film ?.»

Fine

Storia liberamente ispirata dal racconto di “Marco” in chat.
Alexx Cart3r - Aprile 2025
scritto il
2025-10-10
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