I calzini di Marina
di
Davidd
genere
feticismo
Io e Marina siamo amici da un sacco di anni. Io ne ho ventinove, lei ventisette. La nostra amicizia è cominciata al liceo, quando ci ritrovammo in classe insieme al terzo anno, poco dopo il suo trasferimento in Italia dall’Estonia.
Marina è sempre stata di una bellezza da mozzare il fiato, tipicamente balcanica: piuttosto alta (più di me, in effetti), con gambe slanciate e una bel seno rigoglioso. Lunghi capelli biondi e due occhi azzurrissimi, simili a due punte di ghiaccio. Ma il tratto che più trovavo affascinante di lei, era nelle sue scarpe. Marina ha sempre avuto dei piedi non belli, stupendi. Un trentotto delicato, sempre molto curato e dalle dita perfette. Credo tra i piedi più belli che mi sia capitato di vedere fino ad oggi.
Marina non ha mai saputo della mia attrazione fatale per i piedi, nè tantomeno avevo intenzione di parlargliene all’epoca, perché temevo moltissimo di essere ritenuto strano, anormale e deriso. Sono stati molti i momenti passati insieme a Marina in cui ho dovuto trattenermi, perché le sue estremità così belle, così curate e perfette mi polarizzavano come delle calamite. Ci capitava spesso di uscire insieme, anche con altri amici in compagnia, a ballare di sabato sera. O semplicemente per qualche cena. Giuro che una delle visioni più belle che io abbia mai avuto sono proprio i piedi di Marina, perfettamente laccati e avvolti in sandali col tacco alto, o in décolleté lucide, che slanciavano il collo dei suoi piedi, coprendo quasi con malizia le sue dita stupende. O, ancora, come ricordo i pomeriggi in piscina, sempre tra amici, e lei stesa su un lettino a prendere il sole, mentre io mi godevo quella vista paradisiaca per momenti che mi sembravano interminabili.
La nostra storia, quella di cui vorrei raccontare, comincia qualche anno dopo esserci diplomati entrambi.
All’inizio è successo quel che accade molto spesso alle amicizie nate a scuola: muoiono lì, all’esame di maturità, quando le strade si dividono. Io e Marina scegliemmo percorsi differenti e per tre anni abbondanti ci allontanammo molto, fino praticamente a non sentirci quasi più, se non in qualche occasione particolare.
Ci riunimmo per caso, dopo esserci trovati alla stessa festa di compleanno. Passammo una serata molto piacevole e ricordo benissimo che fu in quell’occasione, forse perché non sentivo più timore di un giudizio (o probabilmente sull’onda del gin tonic) che le confessai tutta la mia passione per i piedi femminili. Lei si mise a ridacchiare, arrossì lievemente e poi mi rimproverò per non averglielo mai detto in tanti anni d’amicizia (un vero peccato, a ripensare a quel che avrei potuto godere se l’avessi fatto).
Dopo quella sera ci riavvicinammo moltissimo. Sempre come amici, sia chiaro. Nessuno dei due ha mai visto la possibilità di una relazione. Anche se in effetti, non è usuale che un rapporto di amicizia termini con una bella, calda sborrata che cola tra le dita dei piedi di un’amica.
L’argomento del mio feticismo, comunque, saltava fuori di tanto in tanto, tra una risata e l’altra. Spesso Marina mi chiedeva come giudicassi i piedi di questa o quella ragazza, e fingeva di offendersi se le facevo notare che erano più belli dei suoi. Una bella bugia: di piedi come quelli di Marina ne avevo visti gran pochi. E lei, ovviamente lo sapeva; perché dopo il mio “outing” le avevo detto che per i suoi avevo…diciamo più che un debole. Ad ogni modo, fino ad ottobre dello scorso anno, non mi ero mai avvicinato alle estremità di Marina. Capitò tutto così in fretta che vorrei aver avuto più tempo, per fissare tutto ancora meglio in mente.
Era passato da qualche giorno il mio compleanno, e Marina decide d’invitarmi fuori a cena. Un freddo pungente, non troppo accentuato, ma ricordo come la serata fosse frizzante. Passo a prenderla per le 20:30, e come sale in macchina le faccio notare che è davvero molto carina: indossa un cappotto grigio, con larghi bottoni neri; sotto, una camicetta semi trasparente, con dei ricami floreali neri cuciti sopra. Il suo seno si notava benissimo: due dune prosperose, con la pelle leggermente velata dal tessuto trasparente che vi ondeggiava sopra. Un paio di pantaloni a palazzo, larghi e neri le avvolgevano le gambe affusolate, per terminare nel suo paio di décolleté nere, laccate. Proprio quelle che avevo già visto tante volte (e che in un paio di occasioni, senza farmi notare, avevo odorano ben bene). A completare questa visione da lasciare senza fiato, notai che i piedi erano avvolti da un sottilissimo strato di nylon nero. Il mio cuore ebbe un tuffo. Io impazzisco per dei piedi velati. Sono in assoluto un’arma micidiale per me. Un punto non debole…debolissimo.
Sapevo benissimo che Marina non era grande fan delle calze in nylon. Detestava i collant e soprattutto le calze troppo spesse, perché in qualsiasi colorazione, le definiva “da nonna”. Quelle che indossava quella sera erano 15 DEN (ricordo benissimo, perché glielo chiesi).
La cena andò divinamente. E di più ancora il post cena. C’incontrammo con altri nostri amici a casa di uno di loro, e festeggiammo alla grande. Ballammo, bevemmo, ce la spassammo. A notte piuttosto inoltrata, quando era tempo di sbaraccare, riaccompagno Marina a casa.
Avevo in mente di fare qualcosa. Ero rimasto eccitato già dalla cena. Quelle calze aderenti al collo dei suoi piedi; quel seno evidenziato dalla camicetta: non potevo lasciare andare tutto come una normale serata.
Parcheggiai sotto casa sua, al solito posto nel piazzale del condominio dove si trova il suo appartamento. Spensi l’auto e ci perdemmo per qualche momento a parlare del più e del meno, come facevamo sempre. Ridiamo, ricordiamo i tempi in cui, sempre in quel parcheggio, ne avevamo raccontate di stronzate e poi tutto cambia.
Marina spinge indietro il sedile, si mette più comoda, solleva le gambe e mi poggia i piedi sul cavallo dei pantaloni. Io la guardo, e lei riprende a chiacchierare come niente fosse. Decido di far finta di niente, e lasciarmi guidare dalla situazione. Faccio scivolare le mani e le poggio sui suoi tacchi, passando le dita sul nylon delle autoreggenti, sentendo il caldo tocco dei suoi piedi.
Dopo nemmeno trenta secondi, le sfilo prima una scarpa, poi l’altra e, mentre continuiamo a chiacchierare (forse un modo per esorcizzare la tensione) prendo a massaggiarle i piedi. Puro godimento. La morbidezza di quelle piante calde, velate dal sottile nylon scuro; le dita perfette, laccate di nero. Un piccolo anellino al terzo dito che scintilla sotto alle calze. E quel profumo. Quel sentore che si diffonde sotto al mio naso: un incantesimo che mi fa dimenticare ogni cosa.
“Puoi chiacchierare o sei troppo impegnato?” Mi domanda lei.
“No, continuiamo…” faccio io, ma le parole faticano ad arrivarmi in gola.
“Non mi hanno mai leccato i piedi” mi dice improvvisamente. E capisco che posso sciogliermi del tutto.
Prima infilo il naso in uno dei suoi tacchi, inspirando avidamente. Ah, che aroma. Che goduria.
Poi sollevo uno dei suoi piedi velati, me lo porto al viso e comincio a baciare quelle piante stupende. Le labbra scivolano rapide, si aprono e comincio a leccare. Il suo tallone, le sue dita, la pianta del piede, l’alluce: tutto che scorre sopra la mia lingua. E ancora, e ancora. Ci metto del tempo perfino ad accorgermi che mentre io sto in Paradiso, Marina ha preso a massaggiare il mio cavallo con il piede rimasto libero. Ho un’erezione da paura. Il mio cazzo è duro come la pietra e pulsa da far male. Slaccio i pantaloni, i boxer scivolano rapidi e subito il mio pene si drizza verso l’alto, con la cappella gonfia.
Lascio andare il piede di Marina e lei avvolge il mio pene delicatamente con entrambi i piedi. Comincia a muoverli in orizzontale, alla base bel pene, poi si è giù, ripetutamente. Vedo la mia cappella che si muove, stretta tra gli alluci di Marina. Sento il cazzo avvolto dal nylon e dal calore delle sue piante.
Poi, come se tutto non fosse già abbastanza divino, Marina si ferma. Infila un dito sotto ai pantaloni a palazzo e io la guardo perplesso. Non avrà mica deciso di fermarsi?! Ti prego, non lasciarmi così! È un crimine. La mia perplessità dev’essersi notata, perché lei mi dice: “non voglio che mi sporchi i pantaloni” poi ridendo aggiunge “o che ti sborri da qualche parte in macchina”.
Subito dopo, sfila un calzino di nylon. Io avevo creduto fossero autoreggenti, ma no! Sono calzini. Lei me lo sventola sotto al naso, poi ridacchiando mi dice: “poi me li ricompri nuovi eh, sappilo”. E mi c’infila il cazzo. Oh mio Dio. Che goduria. Sistema il calzino di nylon, poi riprende il lavoro. Stringe il cazzo tra i piedi e via: su e giù.
Poco dopo, vorrei avere la forza di trattenermi e godere di quel momento all’infinito, ma non ce la faccio più: sento il piacere che irrompe dai miei testicoli. La sborra comincia a uscire a fiotti, inzuppando il calzino e colando ovunque, mentre Marina stringe sempre più coi piedi. Si bagnano le piante, la sborra trasuda dal calzino e tutto il nylon è fradicio di sperma. Dopo aver finito, rimango ansimante a osservare la scena: il calzino di Marina è pieno zeppo di sborra e si è accartocciato sul mio pene, che è poggiato sul collo del piede nudo di lei. Parte dello sperma le copre l’alluce laccato di nero e sento che è colato tra le dita, perché mi sta bagnando anche l’inguine.
“Che cazzo di meraviglia”. È l’unica cosa che ho la forza e la capacità di dire.
Marina ride, poi si toglie l’altro calzino, quello pieno della mia saliva, e lo infila sul pomello del cambio delle marce. Poi, mentre si rimette le scarpe, mi dice: “questi buttali tu, che se li trova mia mamma mi ammazza”.
Poi scende dall’auto e aggiunge “e mi devi dei calzini nuovi. Feticista del cazzo” poi col sorriso suo solito di quando mi prende in giro chiude la portiera e se ne va.
Arrivato a casa, inutile dire, che anche il calzino che era rimasto sul pomello delle marce, è stato riempito di sborra calda.
Marina è sempre stata di una bellezza da mozzare il fiato, tipicamente balcanica: piuttosto alta (più di me, in effetti), con gambe slanciate e una bel seno rigoglioso. Lunghi capelli biondi e due occhi azzurrissimi, simili a due punte di ghiaccio. Ma il tratto che più trovavo affascinante di lei, era nelle sue scarpe. Marina ha sempre avuto dei piedi non belli, stupendi. Un trentotto delicato, sempre molto curato e dalle dita perfette. Credo tra i piedi più belli che mi sia capitato di vedere fino ad oggi.
Marina non ha mai saputo della mia attrazione fatale per i piedi, nè tantomeno avevo intenzione di parlargliene all’epoca, perché temevo moltissimo di essere ritenuto strano, anormale e deriso. Sono stati molti i momenti passati insieme a Marina in cui ho dovuto trattenermi, perché le sue estremità così belle, così curate e perfette mi polarizzavano come delle calamite. Ci capitava spesso di uscire insieme, anche con altri amici in compagnia, a ballare di sabato sera. O semplicemente per qualche cena. Giuro che una delle visioni più belle che io abbia mai avuto sono proprio i piedi di Marina, perfettamente laccati e avvolti in sandali col tacco alto, o in décolleté lucide, che slanciavano il collo dei suoi piedi, coprendo quasi con malizia le sue dita stupende. O, ancora, come ricordo i pomeriggi in piscina, sempre tra amici, e lei stesa su un lettino a prendere il sole, mentre io mi godevo quella vista paradisiaca per momenti che mi sembravano interminabili.
La nostra storia, quella di cui vorrei raccontare, comincia qualche anno dopo esserci diplomati entrambi.
All’inizio è successo quel che accade molto spesso alle amicizie nate a scuola: muoiono lì, all’esame di maturità, quando le strade si dividono. Io e Marina scegliemmo percorsi differenti e per tre anni abbondanti ci allontanammo molto, fino praticamente a non sentirci quasi più, se non in qualche occasione particolare.
Ci riunimmo per caso, dopo esserci trovati alla stessa festa di compleanno. Passammo una serata molto piacevole e ricordo benissimo che fu in quell’occasione, forse perché non sentivo più timore di un giudizio (o probabilmente sull’onda del gin tonic) che le confessai tutta la mia passione per i piedi femminili. Lei si mise a ridacchiare, arrossì lievemente e poi mi rimproverò per non averglielo mai detto in tanti anni d’amicizia (un vero peccato, a ripensare a quel che avrei potuto godere se l’avessi fatto).
Dopo quella sera ci riavvicinammo moltissimo. Sempre come amici, sia chiaro. Nessuno dei due ha mai visto la possibilità di una relazione. Anche se in effetti, non è usuale che un rapporto di amicizia termini con una bella, calda sborrata che cola tra le dita dei piedi di un’amica.
L’argomento del mio feticismo, comunque, saltava fuori di tanto in tanto, tra una risata e l’altra. Spesso Marina mi chiedeva come giudicassi i piedi di questa o quella ragazza, e fingeva di offendersi se le facevo notare che erano più belli dei suoi. Una bella bugia: di piedi come quelli di Marina ne avevo visti gran pochi. E lei, ovviamente lo sapeva; perché dopo il mio “outing” le avevo detto che per i suoi avevo…diciamo più che un debole. Ad ogni modo, fino ad ottobre dello scorso anno, non mi ero mai avvicinato alle estremità di Marina. Capitò tutto così in fretta che vorrei aver avuto più tempo, per fissare tutto ancora meglio in mente.
Era passato da qualche giorno il mio compleanno, e Marina decide d’invitarmi fuori a cena. Un freddo pungente, non troppo accentuato, ma ricordo come la serata fosse frizzante. Passo a prenderla per le 20:30, e come sale in macchina le faccio notare che è davvero molto carina: indossa un cappotto grigio, con larghi bottoni neri; sotto, una camicetta semi trasparente, con dei ricami floreali neri cuciti sopra. Il suo seno si notava benissimo: due dune prosperose, con la pelle leggermente velata dal tessuto trasparente che vi ondeggiava sopra. Un paio di pantaloni a palazzo, larghi e neri le avvolgevano le gambe affusolate, per terminare nel suo paio di décolleté nere, laccate. Proprio quelle che avevo già visto tante volte (e che in un paio di occasioni, senza farmi notare, avevo odorano ben bene). A completare questa visione da lasciare senza fiato, notai che i piedi erano avvolti da un sottilissimo strato di nylon nero. Il mio cuore ebbe un tuffo. Io impazzisco per dei piedi velati. Sono in assoluto un’arma micidiale per me. Un punto non debole…debolissimo.
Sapevo benissimo che Marina non era grande fan delle calze in nylon. Detestava i collant e soprattutto le calze troppo spesse, perché in qualsiasi colorazione, le definiva “da nonna”. Quelle che indossava quella sera erano 15 DEN (ricordo benissimo, perché glielo chiesi).
La cena andò divinamente. E di più ancora il post cena. C’incontrammo con altri nostri amici a casa di uno di loro, e festeggiammo alla grande. Ballammo, bevemmo, ce la spassammo. A notte piuttosto inoltrata, quando era tempo di sbaraccare, riaccompagno Marina a casa.
Avevo in mente di fare qualcosa. Ero rimasto eccitato già dalla cena. Quelle calze aderenti al collo dei suoi piedi; quel seno evidenziato dalla camicetta: non potevo lasciare andare tutto come una normale serata.
Parcheggiai sotto casa sua, al solito posto nel piazzale del condominio dove si trova il suo appartamento. Spensi l’auto e ci perdemmo per qualche momento a parlare del più e del meno, come facevamo sempre. Ridiamo, ricordiamo i tempi in cui, sempre in quel parcheggio, ne avevamo raccontate di stronzate e poi tutto cambia.
Marina spinge indietro il sedile, si mette più comoda, solleva le gambe e mi poggia i piedi sul cavallo dei pantaloni. Io la guardo, e lei riprende a chiacchierare come niente fosse. Decido di far finta di niente, e lasciarmi guidare dalla situazione. Faccio scivolare le mani e le poggio sui suoi tacchi, passando le dita sul nylon delle autoreggenti, sentendo il caldo tocco dei suoi piedi.
Dopo nemmeno trenta secondi, le sfilo prima una scarpa, poi l’altra e, mentre continuiamo a chiacchierare (forse un modo per esorcizzare la tensione) prendo a massaggiarle i piedi. Puro godimento. La morbidezza di quelle piante calde, velate dal sottile nylon scuro; le dita perfette, laccate di nero. Un piccolo anellino al terzo dito che scintilla sotto alle calze. E quel profumo. Quel sentore che si diffonde sotto al mio naso: un incantesimo che mi fa dimenticare ogni cosa.
“Puoi chiacchierare o sei troppo impegnato?” Mi domanda lei.
“No, continuiamo…” faccio io, ma le parole faticano ad arrivarmi in gola.
“Non mi hanno mai leccato i piedi” mi dice improvvisamente. E capisco che posso sciogliermi del tutto.
Prima infilo il naso in uno dei suoi tacchi, inspirando avidamente. Ah, che aroma. Che goduria.
Poi sollevo uno dei suoi piedi velati, me lo porto al viso e comincio a baciare quelle piante stupende. Le labbra scivolano rapide, si aprono e comincio a leccare. Il suo tallone, le sue dita, la pianta del piede, l’alluce: tutto che scorre sopra la mia lingua. E ancora, e ancora. Ci metto del tempo perfino ad accorgermi che mentre io sto in Paradiso, Marina ha preso a massaggiare il mio cavallo con il piede rimasto libero. Ho un’erezione da paura. Il mio cazzo è duro come la pietra e pulsa da far male. Slaccio i pantaloni, i boxer scivolano rapidi e subito il mio pene si drizza verso l’alto, con la cappella gonfia.
Lascio andare il piede di Marina e lei avvolge il mio pene delicatamente con entrambi i piedi. Comincia a muoverli in orizzontale, alla base bel pene, poi si è giù, ripetutamente. Vedo la mia cappella che si muove, stretta tra gli alluci di Marina. Sento il cazzo avvolto dal nylon e dal calore delle sue piante.
Poi, come se tutto non fosse già abbastanza divino, Marina si ferma. Infila un dito sotto ai pantaloni a palazzo e io la guardo perplesso. Non avrà mica deciso di fermarsi?! Ti prego, non lasciarmi così! È un crimine. La mia perplessità dev’essersi notata, perché lei mi dice: “non voglio che mi sporchi i pantaloni” poi ridendo aggiunge “o che ti sborri da qualche parte in macchina”.
Subito dopo, sfila un calzino di nylon. Io avevo creduto fossero autoreggenti, ma no! Sono calzini. Lei me lo sventola sotto al naso, poi ridacchiando mi dice: “poi me li ricompri nuovi eh, sappilo”. E mi c’infila il cazzo. Oh mio Dio. Che goduria. Sistema il calzino di nylon, poi riprende il lavoro. Stringe il cazzo tra i piedi e via: su e giù.
Poco dopo, vorrei avere la forza di trattenermi e godere di quel momento all’infinito, ma non ce la faccio più: sento il piacere che irrompe dai miei testicoli. La sborra comincia a uscire a fiotti, inzuppando il calzino e colando ovunque, mentre Marina stringe sempre più coi piedi. Si bagnano le piante, la sborra trasuda dal calzino e tutto il nylon è fradicio di sperma. Dopo aver finito, rimango ansimante a osservare la scena: il calzino di Marina è pieno zeppo di sborra e si è accartocciato sul mio pene, che è poggiato sul collo del piede nudo di lei. Parte dello sperma le copre l’alluce laccato di nero e sento che è colato tra le dita, perché mi sta bagnando anche l’inguine.
“Che cazzo di meraviglia”. È l’unica cosa che ho la forza e la capacità di dire.
Marina ride, poi si toglie l’altro calzino, quello pieno della mia saliva, e lo infila sul pomello del cambio delle marce. Poi, mentre si rimette le scarpe, mi dice: “questi buttali tu, che se li trova mia mamma mi ammazza”.
Poi scende dall’auto e aggiunge “e mi devi dei calzini nuovi. Feticista del cazzo” poi col sorriso suo solito di quando mi prende in giro chiude la portiera e se ne va.
Arrivato a casa, inutile dire, che anche il calzino che era rimasto sul pomello delle marce, è stato riempito di sborra calda.
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