La ragazza del green bar

di
genere
saffico

In questa maledetta città si sta da schifo. Una cappa di smog sempre più pesante e puzzolente pervade ogni angolo, i suoi miasmi s’insinuano tra i portici eleganti dove bivaccano fumatori incalliti, mendicanti e senzatetto.
Da due mesi sono costretta a viverci, trasferita d’ufficio per certe mie questioni…Io che vivevo beata in una cittadina marinara dove m’ero scavata una nicchia dorata. Poi una ragazzotta troia s’è messa a spifferare cose private, si sa la gente mormora… Così mi hanno spedita quassù. “Questa volta ti è andata bene, ti promuoviamo per evitare casini, ma guardati da ‘ste cazzate che non sei più una ragazzina”, mi ha detto fuori dai denti il Procuratore consegnandomi l’ordine di servizio.
A cinquant’anni, più un giorno, appena compiuti sono arrivata nella Grande Città, destinata alle cause di lavoro. Guardatemi adesso, io Lori S., a zampettare sui mezzi tacchi, tailleur austero d’ordinanza, agile ed efficiente, appena un velo di trucco a sottolineare lo sguardo ironico e luminoso dei miei occhi nocciola, sola come sempre, mentre entro alle otto del mattino nel bar Green, unica consolazione della mia giornata.
A quell’ora è pieno di ragazzi, e soprattutto di ragazzine, delle scuole della zona. Sono uno spettacolo coi loro bei culetti e i seni bell’e pronti all’uso. Ogni giorno sfoglio il giornale e me le allumo per una mezzoretta, senza parere ne annuso i discorsi, eh sì le spio, fino a quando tutte insieme se ne vanno, come i passeri sui platani spariscono in un attimo.
Mercoledì di due settimane fa, al tavolo vicino, due truzzi già con le loro stupide barbe, i jeans scoglionati e il fare prepotente hanno aggredito una delle ragazze, - una bruna, capelli corti carré, fisico nervoso, occhi verdi da sogno, che già ho annotata nei miei pensieri - e : “Te la facciamo pagare, brutta stronza, così impari a fare la spia…Sei una stronza, noi a scuola facciamo quello che vogliamo, aspetta che ti prendiamo e ti…”. Salivano di un tono ad ogni parola. Così ho chiuso il giornale e ho detto un “Adesso basta così, lasciatela stare”. Non l’avessi mai fatto, “Di che t’impicci, ne vuoi una dose?”. Dagli altri tavoli hanno iniziato a guardare la scena, io tranquilla, mi sono rivolta a quello che aveva parlato: “Devo farti vedere una cosa…Vieni qui”. Si è avvicinato, ho tirato fuori il tesserino ed ho mormorato “Adesso fila, tu e quell’altro”. Sono spariti. Mi sono alzata, ho preso un mio biglietto da visita, l’ho dato alla ragazza “Non avere paura. Se ti rompono ancora, fatti viva con me”, ho pagato e me ne sono andata.
Il giorno dopo ero là a leggere il mio quotidiano e a fare colazione, quando la ragazza s’è materializzata davanti a me, s’è chinata mi ha piantato gli occhi verdi a pochi centimetri ed ha mormorato: “Tu non permetterti mai più…io so benissimo cavarmela da sola, hai capito? E chiudiamola qui.” ed è sparita. Ho continuato a bere il mio cappuccio, ma pensavo alla ragazza che mi aveva sciorinato la sua lezioncina, si vede che se l’era rimuginata per un po’, eppure nonostante la sicurezza non m’era sfuggito un velo di disagio.
Poi i giorni si erano incaricati di cancellare l’episodio e la ragazza al bar non s’è più vista. Sparita per sette giorni quando, venerdì, ricevo una telefonata. Dal centralino mi dicono che mi cerca una certa Beatrice Serrani, era lei: “Ciao. Sono Bea, quella del bar, dovrei parlarti di una questione…”.
Grande stronza, manco chiede scusa e insiste con il tu.
Fredda e ufficiale, le dico: “Va bene, venga in ufficio, l’indirizzo ce l’ha”.
“Non vorrei, è possibile da un’altra parte?”.
“Lunedì al bar?”. Mi fa, quasi allarmata “No, no…”.
“Va bene, mi aspetti alle 8 davanti al portone del numero 25 di via Goito”.
“E’ possibile fare domani mattina, anche se è sabato?”. “Va bene, anche se il sabato non lavoro”.

Il sabato di solito la tiro in lunga, ma l’attesa dell’appuntamento mi fa quel certo effetto, quello che ben conosco, che mi lavora dentro e le mie labbra stanno già parlando. Mi preparo per tempo, la porterò nel nuovo locale che hanno aperto in stazione, sembrerà un incontro occasionale…Sono ancora in accappatoio, quando sento la scampanellata e vado ad aprire.
Bea è davanti a me, la faccio entrare: “Ho visto il nome sul citofono, mi sono fatta tre piani a piedi, ma ho pensato che era meglio a casa tua”.
“Cosa vuoi?”.
“È un po’ lunga…”. “Vieni a sederti”.
La porto in cucina, iniziamo a parlare. Sono sempre più interessata. Dopo tanti mesi di astinenza, quegli occhi verdi piantati sul mio volto mi trapanano il cervello, vedo la curva del collo in controluce, la pettinatura che lascia scoperti le orecchie deliziose…mentre parla, le labbra piene che disegnano il mio desiderio…
“Ho pensato tanto a te, a come mi hai difesa… sono stata un po’ maleducata, e mi volevo scusare”.
“Non c’era tutta questa urgenza”.
“Sì che c’è. Mio padre è stato trasferito e vuole che mi sposti con lui…”.
“E tua madre?”.
“Lei è debole, ha discusso, ma i soldi li tira fuori mio padre…”.
Poi ha detto questa cosa che non dimenticherò mai: “Ho visto come mi guardavi, sono mica nata ieri, se tieni a me devi aiutarmi, se no mi perderai senza avermi mai avuta”.
Sono restata di pietra, poi mi sono arresa alla fatalità: “Prendiamoci un caffè”, mi alzo e vado alla Illy, preparo le tazzine, dentro sono un vulcano…Anche lei si alza, quando arriva dietro di me, passa le sue mani intono alle spalle, si appoggia contro, sento i suoi seni che premono sulla schiena, mi bacia sul collo, mi giro e siamo l’una tra le braccia dell’altra.
Ci stiamo brancicando ed esplorando mentre ci baciamo. Le strizzo un seno, Bea ha vita facile col mio accappatoio, lo apre e affonda il viso sul mio petto. “Fermati, fermati…Vieni qui”. La prendo per mano e la porto in camera: “Come fai ad essere così esperta?”. “Eh, cara la mia mamma, sono una troietta, penso a quello tutto il giorno…”.
Ci sdraiamo sul letto, le tiro su le gambe e vado al dunque, è tutta bagnata, che goduria la mia lingua va per conto suo, le apro le labbra con una mano e vado sul clito, lei geme, io fremo voglio farla venire, devo sentire che è mia, che la domino. Aspiro il suo pulsante, sento che s’inarca sotto di me, entro piano piano con un dito nel suo ano, poi comincio ad introdurmi nella fica, stretta devo dire, ma ben lubrificata, alla fine ci stanno tre dita e la sfarfallo veloce e lenta, a ritmo alterno. Si lamenta, mi incita, s’agita…alla fine trema, trema, mugola. Mi fa bagnare come una novizia, ma non ancora finire.
Mi giro e glie la metto in faccia, lei mi abbranca il culo e mi strazia, però è ispirata da qualche diavolo e mi lavora come un’ossessa. Godo rapida, a fiotti, dopo mesi questo inaspettato dono di giovinezza mentre il mio tempo è già lontano da lei, mi porta al settimo cielo.
Poi (“Ma non dovevi andare a scuola?” “Oggi no, ho la giustifica”) è come finalmente conoscersi, carezze e tenerezze, ha una pelle meravigliosa, capace di rabbrividire se la lecchi giusta, ad esempio nell’incavo delle ascelle. La sua grazia non ha pietà del mio avvizzire, lo mette in risalto, ma a me più non importa…Sono come sono, oscena e tenera, di tutto in questo momento mi frego.
Verso mezzogiorno parliamo seriamente, le chiedo come e perché è così esperta e lesbica. Sostiene di non essere mai stata con un maschio, che è stata un’amica del corso di nuoto con un vibratore.
“Cosa vuoi esattamente da me?”.
“Che mi fai restare qui con mia madre, tu col posto che occupi saprai come fare”.
Non ho intenzione di occuparmi di una questione per me rischiosa. Mi hanno già trasferita perché ero intervenuta a favore di un’altra ragazza, quella ha spifferato, la storia è venuta a galla con annessi e connessi. Risultato: mi trovo qui.
Però a Bea qualcosa le devo, la verità…non tutta.
“Non posso fare niente, ho le mani legate e mi tengono d’occhio. Dovrei muovere una delle associazioni che proteggono i minori e quelle che sono nella tua situazione, ma si viene a sapere di sicuro e mi mandano a casa. Anche se nessuno ne parla, nel mio ambiente non c’è tolleranza per le lesbiche. Così Beatrice ti sei spesa per un pugno di niente”.
“Ti sbagli, per me resta questa mattinata, sono stata la tua troietta e voglio ancora esserlo, mi è comodo, però da adesso in poi mi dovrai pagare”.

scritto il
2025-09-19
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