La Pucelle - La Vergine

di
genere
esibizionismo

Nel palcoscenico della creatività umana, esiste un’interazione antica e universale che unisce musica e parole: due strumenti dalla forza evocativa e persuasiva che condividono la capacità di penetrare l’emozione, plasmare i pensieri e alimentare l’immaginazione. In particolare, le parole costituiscono per la scrittura, quello che le note musicali sono per la musica. Ecco che, visualizzando note e parole, ci si rende visibile il primo aspetto materico, nonché carnale: la scrittura. La pagina cartacea, la sua filigrana, il suo spessore, l’inchiostro e la penna, che mossi sapientemente nella ricerca del giusto tratto, del giusto rapporto tra carta e inchiostro, racchiudono il potere, la magia della forza evocativa, persuasiva, inventiva delle due espressioni umane. L’aspetto forse meno considerato, nonché valorizzato delle due espressioni umane, tuttavia è un altro: l’aspetto materico e carnale. Probabilmente perché la parola e la musica si manifestano in qualcosa di intangibile, nella loro espressione di pensieri e sensazioni ad un livello interiore profondo. Ma, al netto di quello che la tecnologia oggi ci permette, attraverso la digitalizzazione della musica, e ben prima la digitalizzazione della scrittura, i due atti creativi, le nostre espressioni artistiche per eccellenza, sono contenute in uno sforzo materico e carnale incommensurabile. Se per la musica oggi è ancora visibile questo sforzo, assistendo ad un concerto in cui l’esecutore suoni fisicamente il brano attraverso lo strumento, più difficile è trovarne una testimonianza nella scrittura; ma se ci fermassimo un attimo a riflettere, ad immaginare l’atto di scrittura di un qualunque romanzo che ci ha travolto con le sue emozioni, ecco che apparirebbe, si materializzerebbe, quel corpo piegato sul foglio in battaglia con se stesso e l’inchiostro, a cancellare, scrivere a caratteri sfilacciati dalla tensione creativa, ad ascoltare l’armonia del proprio sentire, a definirne il ritmo, a leggere e rileggere, ritoccare e riempire o svuotare gli spazi della sua esigenza comunicativa in un atto estenuante, non meno dell’esecuzione di un capriccio di Paganini. Ecco allora che l’esigenza comunicativa, l’esigenza della parola, esattamente come quella della musica si dispiega nel suo essere carnale, in quanto non esiste esigenza comunicativa che non si esprima nello sforzo di un corpo, nel tuo essere carnale. Se esiste una universale interazione che unisce musica e parole, esiste una antica simbiosi tra un corpo e la sua musica. Sia il corpo uno strumento. Due corpi vivi, del violino si sente dire sempre, il violino è vivo, il suo legno, unico elemento di cui è composto, lo è. Il violino è un albero, un essere vivente al tuo pari, e come lui tu sei materica, carnale, calda di sangue e muscoli, cellule che respirano e crescono, ormoni che condizionano il tuo atto creativo. Così come il violino tu hai un’anima, così come il violino tu risuoni, suoni, per simpatia, avverti l’esigenza di comunicare la vita, la musica che è in ogni tua singola parte. Tu esprimi, con le parole, ma ancor più tu la esprimi nel corpo del tuo sentire, del tuo piacere: tu risuoni armonicamente, al toccare, al pulsare del tuo corpo, ed il massimo della tua espressione la vivi nel piacere. Nella musicalità del tuo piacere, la musicalità che sai esprimere con il tuo corpo. Esiste un violino di Stradivari chiamato “La Pucelle”, la Vergine. Il nome è stato associato allo strumento quando un noto mercante visionandolo per analizzare sevi fosse bisogno di interventi di manutenzione all’anima, alla catena e altre parti, lo aprì e trovandolo intatto, perfetto, pur avendo già suonato abbastanza, esclamò: “E’ come una vergine”. Pensando di possederti come una vergine, come ancora tu non sei stata posseduta, come solo il mio pensiero può partorire di farti suonare e risuonare. Io penso e ripenso, che il miglior modo di possedere un violino umano come te, sia in teatro, io ti voglio possedere in un teatro gremito di pubblico intento a guardare il palco, dove sotto la luce del riflettore un esecutore esegue la Partita n. 2 di Bach, e la Meditazione per Thais. Che in tutto quel teatro gremito e silente, un palchetto intero sia dedicato a noi. Presentarmi al botteghino e chiedere di avere i biglietti di tutto il palchetto, e conservarli tutti come un ricordo. Un ricordo di quella sera, in cui vestita del più bell’abito da concerto che hai, sei entrata nel palchetto in fondo al corridoio. Protetta dal buio del teatro in religioso silenzio hai lasciato che le spalline cadessero mosse dalla leggera carezza delle mie mani. Il ricordo di come il tuo corpo quella sera abbia suonato sotto il tocco delle mie mani, delle mie braccia, della mia lingua. Toccarti così, scivolarti addosso accarezzandoti, toccando premendo e stringendo, mollando, tutti i punti del tuo corpo, entrando dappertutto, mordendo leccando baciando, tra la dolcezza della nota più leggera e tenue, e i momenti più feroci di esplosione di suono e fatica fisica al limite del possibile, per delle mani, delle dita che devono toccare, sfiorare penetrare, spingere, spingere forte nel punto giusto la corda e la fica, l’archetto e il seno, scivolare sulla tastiera e sul ventre, premerlo, risalire al collo come vicino al riccio, e baciarti attentamente, suonare un punto vicino al tuo labbro, tra la sua punta e  l’orecchio e far suonare per simpatia la tua clitoride, così farei per ogni singola nota, facendo risuonare quella musica sul tuo corpo, nel mezzo di una platea silente, nei suoi abiti borghesi di ascoltatori edulcorati. Così ti voglio sverginare.
scritto il
2025-09-11
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