Quell'aperitivo atteso
di
Momo15187
genere
scambio di coppia
Il bar di Milano era affollato ma discreto, perfetto per quell’appuntamento particolare.
S. e G. sorseggiavano i loro drink, lanciandosi sguardi che tradivano l’impazienza. Quando E. e D. arrivarono, il clima cambiò subito.
«Finalmente,» sorrise E., abbracciando S. con una naturalezza sorprendente. «Sai che in foto sembri timida… ma dal vivo non direi.»
S. rise, voltandosi verso G.:
«Visto? Ci hai trascinati qui per un interrogatorio, non per un aperitivo.»
«Io vi guardo e mi godo lo spettacolo,» rispose lui, alzando il calice con un sorriso furbo.
Il gioco di sguardi si fece più fitto, soprattutto tra S. ed E., che approfittava di ogni occasione per sfiorarle la mano o avvicinarsi troppo.
«Stai già arrossendo,» la punzecchiò E., piegandosi verso di lei.
«E tu stai già esagerando,» ribatté S., anche se non si allontanò.
«Io direi che è appena iniziato,» intervenne G., osservando la scena con una calma studiata.
Il gesto inatteso arrivò poco dopo: E. riuscì a sfilarle con destrezza l’intimo, lasciando S. senza parole. Lo mostrò sotto il tavolo agli altri, poi con nonchalance lo fece scivolare sul bancone davanti al barman.
«Un souvenir della serata,» disse ridendo.
«Spero almeno che valga un drink in più,» commentò G. con ironia, sorseggiando.
La tensione era ormai palpabile.
«Direi che non possiamo fermarci qui,» annunciò E., alzandosi. «Che ne dite di casa vostra?»
G. si voltò verso S., fingendo di chiedere il permesso:
«Che ne pensi? La ospitiamo?»
«Se ha già deciso da sola, non serve chiederlo,» rispose lei sorridendo, lasciandosi prendere per mano.
E. prese S. e la condusse verso l’uscita.
«Ci fai strada?» chiese con tono scherzoso e divertito, rivolgendosi a G. «Tu la conosci già…»
---
L’auto correva tra le vie illuminate, ma dentro l’abitacolo il tempo sembrava sospeso. Le dita di E. scivolavano con naturalezza sulla coscia di S., spingendo piano l’orlo del vestito verso l’alto. Ogni carezza era una sfida, un confine oltrepassato con leggerezza, mentre D., al volante, fingeva di restare concentrato.
«Ehi… non è semplice guidare così,» borbottò lui, con un mezzo sorriso che tradiva lo sforzo.
E. lo fulminò nello specchietto con uno sguardo complice.
«Non fare il finto severo, ti piace guardare.»
S. abbassò il volto, le guance accese.
«Sei terribile…»
«No,» rispose E. a bassa voce, le labbra quasi a sfiorarle l’orecchio. «Sono solo sincera con i miei desideri. E tu? Lo sei?»
Un brivido attraversò S., e il suo sospiro fu più eloquente di qualsiasi risposta.
D. colse la scena con la coda dell’occhio e deglutì.
«Se continuate così arrivo a casa col cuore fuori dal petto.»
«Allora accelera,» ribatté E., ridendo piano.
---
Pochi minuti dopo, l’auto si fermò davanti al portone. D. spense il motore, ma nessuno si mosse subito: il silenzio denso sembrava un altro passo del gioco.
E. si voltò verso S., sistemando con un gesto lento la stoffa del suo vestito, quasi a ricomporla.
«Sei pronta?»
S. annuì piano, stringendo lo sguardo di E. più che le sue parole.
Salirono insieme, con E. che guidava la piccola processione come se la casa fosse già sua. Varcata la soglia, il buio dell’appartamento fu acceso da poche luci soffuse, lasciate accese da G. prima di uscire.
«Perfetto,» mormorò E., entrando per prima. «Ora, fate come se foste a casa vostra.»
D. rise piano:
«In un certo senso… lo siamo.»
---
S. appoggiò la borsa sul mobile dell’ingresso, il cuore che batteva forte.
Sapeva che da lì in poi nulla sarebbe stato più casuale: era già dentro un vortice in cui il desiderio superava la ragione.
Mentre E. si avvicinava al salotto, un lieve clic alla porta annunciò l’arrivo di G. — e il gioco stava solo per farsi più interessante.
Il rumore della chiave nella serratura fece vibrare l’aria. G. entrò con passo sicuro, il cuore che batteva forte già dall’idea di ciò che avrebbe trovato.
E. fu la prima a comparire nel corridoio, come se lo stesse aspettando.
«Shhh,» mormorò portando un dito alle labbra. «Non fare rumore…»
G. sollevò un sopracciglio.
«Oh sì,» fece un sorriso malizioso E. «Direi che hanno iniziato senza di noi.»
Dal corridoio arrivavano suoni appena percettibili: un respiro spezzato, un sospiro trattenuto, il ritmo lento e inconfondibile di due corpi che si cercavano. G. si irrigidì, il desiderio che gli montava dentro.
Fece un passo verso la camera, ma E. lo trattenne per il polso.
«No,» sussurrò, avvicinandosi fino a sfiorargli le labbra con il fiato. «Non ancora. Lasciali. Hanno bisogno del loro momento.»
«E io?» domandò lui a bassa voce, fissandola negli occhi.
«Io mi occupo di te,» rispose lei, accompagnandolo verso il salotto.
Si sedettero uno di fronte all’altra, ma il silenzio tra loro era pesante, intriso di ciò che accadeva nella stanza accanto. Ogni rumore amplificava l’attesa: un gemito soffocato, un movimento più marcato, un respiro che non lasciava spazio ai dubbi.
E. si chinò lentamente verso di lui.
«Ti eccita, vero? Sapere che lei è lì… con lui?»
G. serrò la mascella, poi sorrise appena.
«Molto più di quanto pensassi.»
«Perfetto,» ribatté lei, accarezzandogli la mano. «Perché quando usciranno, sarà il nostro turno.»
---
Dopo un tempo che sembrava essersi arrestato, la porta della camera si aprì piano. D. uscì per primo, la camicia ancora leggermente sbottonata, il colletto storto. Dietro di lui, S. comparve con i capelli scomposti e il viso acceso, mentre cercava di ricomporsi con le mani.
L’immagine fu sufficiente a raccontare tutto: non servivano parole.
G. restò immobile, lo sguardo fisso su di lei. S. incrociò i suoi occhi e gli regalò un mezzo sorriso, colmo di intesa: non c’era colpa, solo complicità. Un gioco che avevano deciso insieme, e che ora stava proseguendo sotto nuove forme.
«Direi che abbiamo scaldato la stanza a dovere,» commentò D. con tono leggero, aggiustandosi i polsini.
E. rise piano, avvicinandosi a G. e passando un braccio dietro la sua schiena per spingerlo avanti.
«Allora adesso tocca a noi.»
S. si fermò sulla soglia, incerta per un istante. Ma G. le rivolse un cenno quasi impercettibile, uno sguardo che diceva: *fidati, continua il gioco*.
Mentre E. lo trascinava verso la stanza, S. e D. rimasero in corridoio, i respiri ancora caldi, le mani che si sfioravano come se non volessero interrompere del tutto ciò che avevano appena condiviso.
---
G. passò accanto a loro e, senza distogliere lo sguardo da S., si lasciò condurre oltre la porta. L’aria era ancora intrisa del calore e dei profumi della passione appena consumata.
E., con un sorriso soddisfatto, sussurrò all’orecchio di G.:
«Senti? È ancora tutto qui… e ora lo voglio con te.»
La porta si chiuse alle loro spalle, lasciando fuori il brusio soffuso del corridoio. L’aria nella stanza era ancora calda, satura di un profumo familiare: quello della pelle e del desiderio appena consumato.
E. si voltò verso G., osservandolo in silenzio. Lui rimase immobile per un istante, respirando a fondo quell’atmosfera che parlava chiaramente di S. e D.
«Lo senti, vero?» sussurrò E., avvicinandosi a lui. «L’aria è impregnata di lei.»
G. serrò la mascella, lo sguardo che bruciava.
«Sì… e mi eccita da morire.»
E. sorrise, soddisfatta, passandogli un dito sul petto come a disegnare un percorso invisibile.
«Così non ti spaventa… sapere che lei è stata qui, poco fa, con un altro?»
«Al contrario,» ribatté lui, afferrandole la mano. «Sapere che si è lasciata andare così mi fa desiderarla ancora di più. Mi fa desiderare… tutto.»
E. rise piano, divertita dalla sua risposta.
«È quello che volevo sentire. Sei affamato, G., e non solo di lei.»
Si avvicinò ancora, finché le labbra non sfiorarono il suo orecchio.
«Adesso tocca a noi. Io voglio prendermi quella stessa energia che hai visto in lei… e voglio che tu me la dia senza freni.»
G. la afferrò per la vita, attirandola a sé con un gesto deciso. E in quell’abbraccio, tutto il desiderio accumulato dall’attesa, dalla complicità e dal gioco malizioso, esplose senza più bisogno di parole.
---
Nel salotto, S. era seduta accanto a D., ancora leggermente scossa. I capelli scomposti, la pelle calda, gli occhi che brillavano di una luce nuova.
«Non riesco a crederci,» mormorò, passando una mano tra i capelli.
«Crederci a cosa?» chiese D., avvicinandosi con un sorriso complice.
«A quanto mi sono lasciata andare… con te. E a quanto lui lo abbia accettato.»
D. le prese la mano, stringendola piano.
«Non l’ha solo accettato. Lo voleva. Si vedeva nei suoi occhi.»
S. abbassò lo sguardo, un sorriso imbarazzato sulle labbra.
«E tu? Lo volevi davvero?»
«Dal primo istante in cui ti ho vista,» rispose lui senza esitazione.
Un brivido percorse S., mentre nella stanza accanto il rumore ovattato di movimenti e sospiri tra E. e G. filtrava come un’eco.
---
Due stanze, due coppie, due desideri che correvano paralleli. Ogni gemito di S. sembrava trovare risposta in un respiro di E., ogni movimento di G. aveva un’eco nel corpo di D.
La casa intera diventò un unico organismo pulsante, come se i quattro fossero legati da un filo invisibile che intrecciava le loro passioni.
Non c’erano più confini netti: solo energia che fluiva da un corpo all’altro, da una stanza all’altra, fino a dissolvere qualsiasi distanza.
Quando tutto rallentò, restarono soltanto respiri caldi e silenzi colmi di complicità. La notte non era finita: era diventata un intreccio da cui nessuno dei quattro avrebbe voluto liberarsi.
---
La luce del mattino filtrava pigra dalle finestre, tingendo la casa di una calma irreale dopo il vortice della notte.
Il salotto portava i segni evidenti della loro avventura: bicchieri mezzi vuoti sul tavolino, cuscini spostati, una giacca di D. abbandonata su una sedia. Sul pavimento, S. raccolse lentamente i suoi vestiti sparsi qua e là, sorridendo tra l’imbarazzo e la complicità. Ogni indumento le ricordava un gesto, un tocco, un brivido della notte.
Dalla camera da letto, l’aria era ancora impregnata del profumo intenso e inconfondibile del corpo di E., come se la sua presenza non avesse voluto abbandonare quelle lenzuola. G., appoggiato allo stipite della porta, inspirò profondamente quel ricordo, lasciandosi attraversare dal pensiero.
E. comparve poco dopo, i capelli sciolti e un sorriso malizioso sulle labbra.
«Direi che la vostra casa ha ospitato bene i nostri… esperimenti.»
S. rise, scuotendo il capo.
«Esperimenti riusciti, direi.»
D., con tono pacato ma deciso, aggiunse:
«Non è stata una parentesi. È stato un inizio.»
Gli sguardi si incrociarono tutti e quattro insieme, senza bisogno di spiegazioni. Le parole non sarebbero bastate, perché il legame che si era creato era fatto di sensazioni, di energia condivisa, di un’intimità che aveva scavalcato i confini.
E., avvicinandosi a S., le sfiorò il braccio e sussurrò:
«Non pensare che mi accontenti di una sola notte.»
G. si avvicinò a D., tendendogli la mano con un sorriso complice.
«Ci rivedremo presto.»
La porta si chiuse alle spalle di E. e D., lasciando la casa in silenzio. Ma era un silenzio che parlava di promesse, di ricordi ancora vivi, e soprattutto di una certezza: quella non era stata una fine, ma soltanto l’inizio di altre avventure da scrivere insieme.
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S. e G. sorseggiavano i loro drink, lanciandosi sguardi che tradivano l’impazienza. Quando E. e D. arrivarono, il clima cambiò subito.
«Finalmente,» sorrise E., abbracciando S. con una naturalezza sorprendente. «Sai che in foto sembri timida… ma dal vivo non direi.»
S. rise, voltandosi verso G.:
«Visto? Ci hai trascinati qui per un interrogatorio, non per un aperitivo.»
«Io vi guardo e mi godo lo spettacolo,» rispose lui, alzando il calice con un sorriso furbo.
Il gioco di sguardi si fece più fitto, soprattutto tra S. ed E., che approfittava di ogni occasione per sfiorarle la mano o avvicinarsi troppo.
«Stai già arrossendo,» la punzecchiò E., piegandosi verso di lei.
«E tu stai già esagerando,» ribatté S., anche se non si allontanò.
«Io direi che è appena iniziato,» intervenne G., osservando la scena con una calma studiata.
Il gesto inatteso arrivò poco dopo: E. riuscì a sfilarle con destrezza l’intimo, lasciando S. senza parole. Lo mostrò sotto il tavolo agli altri, poi con nonchalance lo fece scivolare sul bancone davanti al barman.
«Un souvenir della serata,» disse ridendo.
«Spero almeno che valga un drink in più,» commentò G. con ironia, sorseggiando.
La tensione era ormai palpabile.
«Direi che non possiamo fermarci qui,» annunciò E., alzandosi. «Che ne dite di casa vostra?»
G. si voltò verso S., fingendo di chiedere il permesso:
«Che ne pensi? La ospitiamo?»
«Se ha già deciso da sola, non serve chiederlo,» rispose lei sorridendo, lasciandosi prendere per mano.
E. prese S. e la condusse verso l’uscita.
«Ci fai strada?» chiese con tono scherzoso e divertito, rivolgendosi a G. «Tu la conosci già…»
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L’auto correva tra le vie illuminate, ma dentro l’abitacolo il tempo sembrava sospeso. Le dita di E. scivolavano con naturalezza sulla coscia di S., spingendo piano l’orlo del vestito verso l’alto. Ogni carezza era una sfida, un confine oltrepassato con leggerezza, mentre D., al volante, fingeva di restare concentrato.
«Ehi… non è semplice guidare così,» borbottò lui, con un mezzo sorriso che tradiva lo sforzo.
E. lo fulminò nello specchietto con uno sguardo complice.
«Non fare il finto severo, ti piace guardare.»
S. abbassò il volto, le guance accese.
«Sei terribile…»
«No,» rispose E. a bassa voce, le labbra quasi a sfiorarle l’orecchio. «Sono solo sincera con i miei desideri. E tu? Lo sei?»
Un brivido attraversò S., e il suo sospiro fu più eloquente di qualsiasi risposta.
D. colse la scena con la coda dell’occhio e deglutì.
«Se continuate così arrivo a casa col cuore fuori dal petto.»
«Allora accelera,» ribatté E., ridendo piano.
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Pochi minuti dopo, l’auto si fermò davanti al portone. D. spense il motore, ma nessuno si mosse subito: il silenzio denso sembrava un altro passo del gioco.
E. si voltò verso S., sistemando con un gesto lento la stoffa del suo vestito, quasi a ricomporla.
«Sei pronta?»
S. annuì piano, stringendo lo sguardo di E. più che le sue parole.
Salirono insieme, con E. che guidava la piccola processione come se la casa fosse già sua. Varcata la soglia, il buio dell’appartamento fu acceso da poche luci soffuse, lasciate accese da G. prima di uscire.
«Perfetto,» mormorò E., entrando per prima. «Ora, fate come se foste a casa vostra.»
D. rise piano:
«In un certo senso… lo siamo.»
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S. appoggiò la borsa sul mobile dell’ingresso, il cuore che batteva forte.
Sapeva che da lì in poi nulla sarebbe stato più casuale: era già dentro un vortice in cui il desiderio superava la ragione.
Mentre E. si avvicinava al salotto, un lieve clic alla porta annunciò l’arrivo di G. — e il gioco stava solo per farsi più interessante.
Il rumore della chiave nella serratura fece vibrare l’aria. G. entrò con passo sicuro, il cuore che batteva forte già dall’idea di ciò che avrebbe trovato.
E. fu la prima a comparire nel corridoio, come se lo stesse aspettando.
«Shhh,» mormorò portando un dito alle labbra. «Non fare rumore…»
G. sollevò un sopracciglio.
«Oh sì,» fece un sorriso malizioso E. «Direi che hanno iniziato senza di noi.»
Dal corridoio arrivavano suoni appena percettibili: un respiro spezzato, un sospiro trattenuto, il ritmo lento e inconfondibile di due corpi che si cercavano. G. si irrigidì, il desiderio che gli montava dentro.
Fece un passo verso la camera, ma E. lo trattenne per il polso.
«No,» sussurrò, avvicinandosi fino a sfiorargli le labbra con il fiato. «Non ancora. Lasciali. Hanno bisogno del loro momento.»
«E io?» domandò lui a bassa voce, fissandola negli occhi.
«Io mi occupo di te,» rispose lei, accompagnandolo verso il salotto.
Si sedettero uno di fronte all’altra, ma il silenzio tra loro era pesante, intriso di ciò che accadeva nella stanza accanto. Ogni rumore amplificava l’attesa: un gemito soffocato, un movimento più marcato, un respiro che non lasciava spazio ai dubbi.
E. si chinò lentamente verso di lui.
«Ti eccita, vero? Sapere che lei è lì… con lui?»
G. serrò la mascella, poi sorrise appena.
«Molto più di quanto pensassi.»
«Perfetto,» ribatté lei, accarezzandogli la mano. «Perché quando usciranno, sarà il nostro turno.»
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Dopo un tempo che sembrava essersi arrestato, la porta della camera si aprì piano. D. uscì per primo, la camicia ancora leggermente sbottonata, il colletto storto. Dietro di lui, S. comparve con i capelli scomposti e il viso acceso, mentre cercava di ricomporsi con le mani.
L’immagine fu sufficiente a raccontare tutto: non servivano parole.
G. restò immobile, lo sguardo fisso su di lei. S. incrociò i suoi occhi e gli regalò un mezzo sorriso, colmo di intesa: non c’era colpa, solo complicità. Un gioco che avevano deciso insieme, e che ora stava proseguendo sotto nuove forme.
«Direi che abbiamo scaldato la stanza a dovere,» commentò D. con tono leggero, aggiustandosi i polsini.
E. rise piano, avvicinandosi a G. e passando un braccio dietro la sua schiena per spingerlo avanti.
«Allora adesso tocca a noi.»
S. si fermò sulla soglia, incerta per un istante. Ma G. le rivolse un cenno quasi impercettibile, uno sguardo che diceva: *fidati, continua il gioco*.
Mentre E. lo trascinava verso la stanza, S. e D. rimasero in corridoio, i respiri ancora caldi, le mani che si sfioravano come se non volessero interrompere del tutto ciò che avevano appena condiviso.
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G. passò accanto a loro e, senza distogliere lo sguardo da S., si lasciò condurre oltre la porta. L’aria era ancora intrisa del calore e dei profumi della passione appena consumata.
E., con un sorriso soddisfatto, sussurrò all’orecchio di G.:
«Senti? È ancora tutto qui… e ora lo voglio con te.»
La porta si chiuse alle loro spalle, lasciando fuori il brusio soffuso del corridoio. L’aria nella stanza era ancora calda, satura di un profumo familiare: quello della pelle e del desiderio appena consumato.
E. si voltò verso G., osservandolo in silenzio. Lui rimase immobile per un istante, respirando a fondo quell’atmosfera che parlava chiaramente di S. e D.
«Lo senti, vero?» sussurrò E., avvicinandosi a lui. «L’aria è impregnata di lei.»
G. serrò la mascella, lo sguardo che bruciava.
«Sì… e mi eccita da morire.»
E. sorrise, soddisfatta, passandogli un dito sul petto come a disegnare un percorso invisibile.
«Così non ti spaventa… sapere che lei è stata qui, poco fa, con un altro?»
«Al contrario,» ribatté lui, afferrandole la mano. «Sapere che si è lasciata andare così mi fa desiderarla ancora di più. Mi fa desiderare… tutto.»
E. rise piano, divertita dalla sua risposta.
«È quello che volevo sentire. Sei affamato, G., e non solo di lei.»
Si avvicinò ancora, finché le labbra non sfiorarono il suo orecchio.
«Adesso tocca a noi. Io voglio prendermi quella stessa energia che hai visto in lei… e voglio che tu me la dia senza freni.»
G. la afferrò per la vita, attirandola a sé con un gesto deciso. E in quell’abbraccio, tutto il desiderio accumulato dall’attesa, dalla complicità e dal gioco malizioso, esplose senza più bisogno di parole.
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Nel salotto, S. era seduta accanto a D., ancora leggermente scossa. I capelli scomposti, la pelle calda, gli occhi che brillavano di una luce nuova.
«Non riesco a crederci,» mormorò, passando una mano tra i capelli.
«Crederci a cosa?» chiese D., avvicinandosi con un sorriso complice.
«A quanto mi sono lasciata andare… con te. E a quanto lui lo abbia accettato.»
D. le prese la mano, stringendola piano.
«Non l’ha solo accettato. Lo voleva. Si vedeva nei suoi occhi.»
S. abbassò lo sguardo, un sorriso imbarazzato sulle labbra.
«E tu? Lo volevi davvero?»
«Dal primo istante in cui ti ho vista,» rispose lui senza esitazione.
Un brivido percorse S., mentre nella stanza accanto il rumore ovattato di movimenti e sospiri tra E. e G. filtrava come un’eco.
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Due stanze, due coppie, due desideri che correvano paralleli. Ogni gemito di S. sembrava trovare risposta in un respiro di E., ogni movimento di G. aveva un’eco nel corpo di D.
La casa intera diventò un unico organismo pulsante, come se i quattro fossero legati da un filo invisibile che intrecciava le loro passioni.
Non c’erano più confini netti: solo energia che fluiva da un corpo all’altro, da una stanza all’altra, fino a dissolvere qualsiasi distanza.
Quando tutto rallentò, restarono soltanto respiri caldi e silenzi colmi di complicità. La notte non era finita: era diventata un intreccio da cui nessuno dei quattro avrebbe voluto liberarsi.
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La luce del mattino filtrava pigra dalle finestre, tingendo la casa di una calma irreale dopo il vortice della notte.
Il salotto portava i segni evidenti della loro avventura: bicchieri mezzi vuoti sul tavolino, cuscini spostati, una giacca di D. abbandonata su una sedia. Sul pavimento, S. raccolse lentamente i suoi vestiti sparsi qua e là, sorridendo tra l’imbarazzo e la complicità. Ogni indumento le ricordava un gesto, un tocco, un brivido della notte.
Dalla camera da letto, l’aria era ancora impregnata del profumo intenso e inconfondibile del corpo di E., come se la sua presenza non avesse voluto abbandonare quelle lenzuola. G., appoggiato allo stipite della porta, inspirò profondamente quel ricordo, lasciandosi attraversare dal pensiero.
E. comparve poco dopo, i capelli sciolti e un sorriso malizioso sulle labbra.
«Direi che la vostra casa ha ospitato bene i nostri… esperimenti.»
S. rise, scuotendo il capo.
«Esperimenti riusciti, direi.»
D., con tono pacato ma deciso, aggiunse:
«Non è stata una parentesi. È stato un inizio.»
Gli sguardi si incrociarono tutti e quattro insieme, senza bisogno di spiegazioni. Le parole non sarebbero bastate, perché il legame che si era creato era fatto di sensazioni, di energia condivisa, di un’intimità che aveva scavalcato i confini.
E., avvicinandosi a S., le sfiorò il braccio e sussurrò:
«Non pensare che mi accontenti di una sola notte.»
G. si avvicinò a D., tendendogli la mano con un sorriso complice.
«Ci rivedremo presto.»
La porta si chiuse alle spalle di E. e D., lasciando la casa in silenzio. Ma era un silenzio che parlava di promesse, di ricordi ancora vivi, e soprattutto di una certezza: quella non era stata una fine, ma soltanto l’inizio di altre avventure da scrivere insieme.
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