Una bella giornata
di
Visenya
genere
incesti
Ciao a tutti. Il genere più popolare è l'incesto, in particolar modo il legame tra madre e figlio. È frequente seguire le vicende dal punto di vista maschile, il più delle volte vittima delle sue fantasie perverse. Con il mio primo racconto frutto di fantasia, ho voluto cambiare. Con una narazzione in terza persona, mi concentrerò sulla controparte femminile, provando a sviluppare un racconto più psicologico, e dopo erotico. Spero possiate apprezzare, buona lettura.
Qualsiasi cosa facesse, nelle sue orecchie riecheggiavano in continuazione le prediche di Sorella Cabeth: "Non indugiare sul tuo petto, è peccato! Non mostrare la tua pelle, è peccato! Non giocare con i tuoi genitali, è peccato!". Quella vecchia arpia dal naso aquilino e dai capelli color muffa, fin dai suoi primi ricordi d'infanzia è sempre apparsa anziana e cadente. Da poco divenne ospite del Signore e di questo Ksenya si rallegrò. Per quanto l'avesse odiata in gioventù, nel bene e nel male è stata una figura costante nella sua vita, presentarsi al suo funerale era doveroso. Quel mattino, si sarebbero celebrati i riti funebri, all'interno della cappella situata all'interno dell'abbazia dove fu spedita dal padre per crescere pudica e assennata, stesso destino che toccò alla stessa Ksenya sei decenni più tardi, più volte provò a compatirla, entrambe furono vittime delle scelte dei loro padri ma non ci riuscì.
Arrivò nell'enorme piazzale dell'abbazia, il tempo stranamente concedeva tregua dalle incessanti e recenti piogge "Quella vecchia malefica non si merita la sepoltura in una bella giornata" pensò avviandosi verso le sale interne, il cuore della struttura. Erano passati 20 anni dall'ultima volta che ci mise piede, tutto rimase uguale come ad allora. Stesse disposizioni dei mobili, stessi riquadri, stessi finimenti falsamente modesti. Anche le piante nel cortile quadrato interno, sembravano non aver subito il corso del tempo. Non si potè dire la stessa cosa delle altre sorelle, la cui sola vista mise a disagio Ksenya "una donna non dovrebbe sopravvivere ai suoi denti" pensò la giovane quando, con un sorriso sdentato e poco gradevole, fu accolta da Sorella Jolanda: «Cara Nya, trovo conforto nella tua presenza» le mani rugose e macchiate della casta donna, afferrarono quelle di lei "fredde e dure come lo sei stata tu con me" replicò dentro di se. L'anziana continuò: «Questo bel ragazzo chi è?» chiese rivolgendosi al suo accompagnatore. Neanche lei si era accorta della silenziosa presenza di lui. «Sono Lucien Lachance, il figlio. Spero non dispiaccia la mia di presenza, non avrei mai potuto sottrarmi dal sostenere la mia amata madre»
La vecchia mummia trattenne il disappunto. Prendere il cognome della madre indicava non conoscere il padre. Ricordava bene lo scandolo avvenuto molti anni prima a motivo della sua nascita. "Un bambino nato fuori dal sacro vincolo matrimoniale! Un bambino frutto della lussuria della sciagurata madre!" furono le parole pronunciate ad una appena maggiorenne Ksenya. Ma ora quel bambino era cresciuto e molto. Poco ereditò dal presunto padre, giovando al contrario dei tratti somatici della madre. Capelli biondo chiaro con riflessi dorati, raccolti in trecce sottili e aderenti alla testa che partono dalla fronte e arrivano fino alla nuca. Occhi di un azzurro intenso e luminoso, che sembrano quasi brillare al sole, come se contenessero luce propria. Sguardo penetrante e vigile, sempre attento a tutto ciò che lo circonda. Il suo volto era fiero e deciso, zigomi alti e naso dritto, mascella squadrata e labbra sottili color vino, spesso serrate. Con i suoi 185 cm uniti al suo fisico asciutto e tonico, risultava essere una presenza quasi messianica.
«Prego, da questa parte» tagliò corto la suora, per lei, Lucien era il figlio del Diavolo. Fece strada lungo le navate laterali del cortile, Ksenya si fermò ad osservare le ombre proiettate sui muri in pietra antica, constatò come la gobba della sorella, si sia accentuata con il peso degli anni "sarei diventata anche io così se fossi rimasta?"si chiese nei pensieri. Arrivarono nella cappella, l'odore di incenso permeava l'ambiente, i fasci di luce filtrati dalle vetrate colorate mostravano le particelle di polvere volanti nell'area. 2 fila di panche da 7 trovavano spazio dinnanzi all'altare della cerimonie, il vescovo vestito di nero, sistemava le ultime apparecchiature. Le dotte sorelle, presero posto nelle prime file. La giovane, prese posto ad una panca di distanza, con il figlio al suo fianco. "Anche le panche non sono cambiate" notò amareggiata Ksenya, ironicamente prese posizione nella stessa identica di tanti anni fa', i tre nodi del legno sotto la gommapiuma per le ginocchia, le ricordavano le interminabili prediche della Sorella Cabeth.
La cerimonia cominciò con le solite celebrazioni alla memoria e prosegui con i classici monologhi della benevolenza del signore. Tanto rigore, tanta austerità, una vita all'insegna delle rinunce, mai avrebbe scelto di finire così. Guardò ora Lucien, era abituata a farlo, le piaceva contemplare quanto fosse affascinante e attraente, le piaceva congratularsi con se stessa per il "lavoro" fatto, si compiaceva nel constatare quanto non passasse inosservato ovunque andasse. Era orgogliosa per questo. La funzione andò avanti per altri 20 minuti, finché non fu il momento di trasportare la bara verso il luogo di sepoltura, nel cimitero dell'abbazia, il luogo dove da secoli riposavano le anime delle sorelle defunte. Uscirono tutti dalla cappella in totale silenzio, i rintocchi della campana annunciavano il passaggio della bara. Le sei sorelle curve sotto il peso del feretro, bagnavano con le loro lacrime il selciato proseguendo verso una piccola pendenza di una collina, dietro l'abbazia. Il corteo si fermò dinnanzi alla fossa precedentemente scavata, pronta ad inghiottire la bara. Accanto ad essa, vecchie croci di ferro arrugginito segnavano la presenza delle altre sorelle defunte. Le più antiche, avevano quasi mille anni. Il vescovo prese parola per l'ultima volta e a turno offrì a tutti la possibilità per il saluto finale alla salma.
Anche Lucien non si esentò, con il velato giudizio dei presenti, prese parola e dopo essersi schiarito la voce, disse: «Non conoscevo Sorella Cabeth, non conosco nessuno di voi. Dinnanzi alla morte cessano i rancori, i risentimenti, a restare sono sempre le buone azioni. In un mondo sempre più empio e dissoluto, scegliere una vita di privazioni è la vera libertà. Sorella Cabeth ha servito fedelmente per 85 anni, si è ricongiunta a Dio dopo 98 anni passati su questa terra. Ha cresciuto spiritualmente la nostra comunità, intere generazioni hanno vissuto sotto il suo leale servizio, in quanti possono vantare un risultato simile? Adesso, ha tutto il diritto di riposare con chi l'ha preceduta. Non ci sarà più nessuno come lei» rimasero tutti sbalordirti dalla profondità di quel discorso, le sorelle si coprivano gli occhi arrossati dal pianto, il vescovo si voltò, nascondendo la sua fragilità. Ksenya, al contrario corse via, cercando rifugio nella sua vecchia stanza nel refettorio.
Benché fosse situata all'ultimo piano del refettorio, zona ormai disabitata da decenni, il rigore clericale imponeva una perfetta pulizia e il mantenimento di ogni area. Ksenya all'alba dei quarant'anni, fu catapulta indietro nel tempo appena rimise piede. La porta in legno scuro cigolò dietro di lei, la stanza profumava di aghi di pino e muschio "è più dolce" ammise inalando l'odore. La branda perfettamente rimboccata sul lato destro. Una trapunta verde copriva le lenzuola. Al centro della stanza un tappeto rosso ricamato a forma rettangolare. Al lato destro sotto la finestra spiovente, una grossa scrivania in mogano prendeva spazio. Appena la vide corse lì ad aprire i cassetti, in cerca della Bibbia di Re Giacomo. Prima di andare via, ormai due decadi fa, l'aveva lasciata li, era un dono di sorella Cabeth, si era ripromessa di non tornare mai più in quel luogo. Altre lacrime scorsero lungo le sue guance. La testa pulsava, il suo corpo tremava, fu presa da vertigini e crollò all'indietro, ma fu prontamente sostenuta da Lucien, arrivato appena in tempo.
«Mamma... stai bene?» il volto di Lucien apparve più splendido che mai. Anche nei momenti più delicati, non perdeva mai la compostezza. «Ti hanno turbato le mie parole?» proseguì, la premura del suo tono, non rendeva giustizia alla sua età anagrafica. «Amore... non è successo niente. Le tue parole mi hanno aperto gli occhi» prese respiro, ancora tra le braccia di lui, appoggiò al petto la sua testa. Tutte le sue fragilità, per anni tenute assieme da silenzi e odio, presero vita in un istante. «Sei una donna forte mamma. Riconoscere le tue debolezze non ti rende debole, ma onesta» Lucien sapeva come usare le parole. Strinse più a se la madre, circondò il suo corpo con le braccia, muovendole affinché si trasmettesse calore. «Tesoro mio, di tutti gli errori che ho fatto, non mi pento di niente. Da quelle mie scelte, mi è stato dato te, sei la gioia della mia vita» in quel momento, Ksenya smise di essere una madre, una donna, tornò ad essere una ragazzina, per un ultima volta.
Ksenya alzò lo sguardo, negli occhi di lui intravedeva il suo riflesso. Persa nell'azzurro delle sue iridi, l'immagine di se tornò quella di una volta, di quella ragazzina spaventata. L'uomo davanti a lei, non era più suo figlio ma il suo sostenitore. Fu istintivo per lei cercare le sue labbra, sentii all'inizio una leggera resistenza, cessata dopo pochi e sempre più convinti assalti con la lingua. La sua bocca sapeva di buono, era dolce e fresca e le sue labbra morbide e calde. Persa nella concitazione del momento, Ksenya cominciò a percorrere con le mani il corpo di lui. La sua camicia offriva poca protezione, i suoi muscoli apparirono dirompenti ai primi contatti. Vinti i primi ripensamenti, anche lui ricambiò quei tocchi. Calò le sue mani lungo i fianchi, scendendo verso le natiche, ancora alte e sode grazie al costante allenamento. La prese ora di peso e la alzò con facilità, per poterla baciare meglio. Le gambe di lei si chiusero con presa salda attorno al bacino di lui, gettò intorno al collo le braccia, poteva sentire i tendini tesi come la corda di un arco.
Continuarono a baciarsi con sempre più avarizia, le loro lingue unite crearono una danza passionale, fatta di lussuria e sfrontatezza. Il desiderio era tanto, la camera si riempì dei loro respiri sempre più intensi. Il giovane, cominciò a muoversi verso la scrivania, con un calcio spostò la sedia che emise un rumore stridulo, quasi un lamento. Con un tonfo, lasciò cadere sul mogano la donna. Aveva 38 anni, capelli biondi come quelli di lui, lunghi fino al coccige, due ciocche ribelli incorniciavano il suo viso. Occhi azzurri ghiaccio da cerbiatta, pelle liscia e priva di inestetismi. Zigomi appena pronunciati e rosei, naso leggermente all'insù, labbra color fragola. Un volto del genere, risaltava tramite il suo corpo. Fisico a clessidra, un seno contenuto ma pieno e simmetrico per nulla cadente. Ventre piatto dovuto ad un regime alimentare controllato. Gambe lunghe e affusolate, con cosce morbide ma non flaccide. Qualsiasi uomo con la virilità intatta, avrebbe voluto prendere il posto di Lucien.
Guidato dalla libidine, il giovane strappò le vesti della madre, liberando i suoi seni, i capezzoli turgidi e dritti. Famelico si avventò contro uno di loro, succhiando e mordicchiando sempre più voracemente. L'altro seno non fu risparmiato, cominciò a torcerlo e a giocarci, si fermava e poi stringeva la coppa come fosse spugna, creando un perfetto bilanciamento di dolore e piacere. Il suo décolleté chiaro e pallido, si arrossò a causa del passaggio della bocca di lui. Ksenya, voleva ricambiare. Afferrò dalle treccine il figlio, come un vampiro morse il suo collo, i suoi canini bucarono la pelle, causando sanguinamento leggero. Istintivamente, Lucien si spostò da lei, passò una mano e raccolse il suo sangue, osservando prima il liquido rossastro e dopo la madre, a gambe aperte, arruffata e ansimante. Per un attimo, la mente di Ksenya tornò lucida "cosa sto facendo" pensò presa dal panico, ma poco dopo il suo corpo tradì la sua mente: «Non fermarti» gli disse con il fiato corto, con delle piccole convulsioni ancora presenti.
Lucien non se lo fece ripetere due volte, balzò in avanti con audacia. Le sue mani ora cercarono il sesso di lei. Gli umori da lei prodotti, bagnarono abbondantemente il suo intimo in pizzo nero. Scostò il tessuto ormai fradicio, con estrema naturalezza, si chinò verso il dolce frutto della madre, assaporando con appetito il nettare da lì uscito. Ksenya, fu travolta da ondate di brividi che salirono lungo tutta la spina dorsale. Non trattenne i suoi gemiti, voleva sentirsi sempre più piena. Afferrò quindi la testa di lui, spingendola con decisione sul suo fiore sempre più sensibile. Lucien muoveva la sua lingua come un pittore fà con il suo pennello su una tela. Il clitoride ormai scoperto, fu vittima delle mani di lui, con movimenti ritmici e rotatori, lo stimolò ancora e ancora, generando spasmi e scosse nella madre, che ormai aveva rinunciato a qualsiasi pudore. Quando fu soddisfatto del suo operato, con le labbra ancora umide e intrise dei liquidi della vagina della di lui madre, risalì baciandole il ventre, poi il collo e infine la bocca, le fece assaggiare i suoi umori, ricordavano lontanamente una pesca ben matura. «Voglio di più» lo interuppe Ksenya, le sue mani abili e leste si prodigarono alla liberazione del membro ormai divenuto duro come il granito, dritto come il Cristo.
L'erezione fu dirompente, grosse vene irroravano la verga per la gioia di lei. Avrebbe voluto prenderlo in bocca, ma il ragazzo fu di un altro avviso. La afferrò dai fianchi e con una leggera violenza, entrò dentro di lei. L'affondo le tolse il respiro, ma non ebbe tregua. Seguirono altri affondi sempre più profondi e potenti. La madre, non era più abituata al vigore giovanile. Rimase travolta e vittima della potenza di lui, le sembrava di essere sventrata, i suoi colpi raggiungevano la cervice, riempiendola totalmente. Era un fiume in piena, i colpi successivi erano sempre più forti dei precedenti, un simpatico rumore si generò dall'incontro dei due sessi. Lucien andò avanti imperterrito, sfogando nelle pelvi di lei, tutto il suo desiderio, la sua voglia di reclamarla come sua. «Mi fai male così...» provò debolmente a protestare, le sue preghiere vennero accolte. «Scusami... sei bellissima e non riesco a trattenermi» estrasse il suo pene dalla vagina della madre, lucido dagli umori generati da lei. «Amore...» si limitò a dire Ksenya. Si inginocchiò dinnanzi e lui, finalmente potè accogliere in bocca il pene di lui. La base era ampia, muscolosa e glabra, l'asta lunga e rigida con una vena che percorreva l'intero membro, la punta fletteva leggermente verso su. "Che bel cazzo che ti ho dato" riflettè muovendo avanti e indietro la bocca. Lo tirava fuori e lo ripassava per tutta la lunghezza con la lingua, poi si spostava verso i testicoli, per poi ricominciare daccapo, prendendolo in bocca ancora. Ad ogni minuto, sembrava diventare sempre più grande, le piaceva sentirsi soffocata da quel turgido membro. Il ragazzo si affidò alle sapienti gesta di lei, godeva dell'esperienza della madre. La sua bocca era umida, la lingua abile. Fu sul punto di schizzare il suo seme un paio di volte ma si trattenne.
«Voglio possederti adesso» il ragazzo dalle treccine bionde, la prese per mano e insieme raggiunsero l'angolo del letto. Ksenya si distese, inclinò la schiena e volgarmente aprì le cosce al figlio. Lui, accarezzò il fiore di lei per un po', per poi infilare la punta del membro, fino ad entrare del tutto. Cominciò piano, per farla abituare a quella presenza. Progressivamente, cominciò ad accelerare. Radunò i lunghi capelli di lei, roteò il polso un paio di volte per poi tirarli, affinché potesse sentire il corpo di lei più vicino. Iniziò a leccarle l'orecchio, senza mai smettere di penetrarla. Continuò stringendole il collo, più andava avanti e più il volto di lei assumeva un colore purpureo. «Si-Si così» intonava lei ad ogni spinta, aumentando sempre di più l'ormai smodato eccitamento del figlio. La vagina della madre, accoglieva perfettamente il pene del di lei figlio. Sembravano essere una sola cosa, il ricongiungimento di due estremità perfettamente uguali. Anni di stigmatizzazione, di dogmi, l'avevano portata a compiere il più impuro degli atti nella casa del Signore. Per Ksenya, in quel frangente nulla fu più reale, l'unico dio in quel momento, la stava montando come fanno i mastini con le cagne in calore. L' amplesso prosegui, il suo fiore martoriato, i suoi seni battevano luno contro l'altro, le mani di Lucien afferrarono le spalle di lei, per poter infierire con più tenacia contro l'utero che l'aveva messo al mondo. Il vestito di lei, ridotto a brandelli, l'abito di lui scucito e umido dei loro liquidi corporei.
Ksenya, stanca e provata si lasciò cadere sul letto, offrendosi senza più difese. Lucien, si stese al suo fianco, la girò di lato, petto contro schiena. Fece passare un braccio sotto il collo di lei, con l'altro le alzo una gamba, scoprendo per l'ennesima volta, la sua fessura. Posizionò il pene aderente, con una dolce spinta, entrò nel corpo della madre. Un gemito uscì sopito. Dopo averle voltato il capo, Lucien cercò di nuovo le sue labbra. Questa volta, con più dolcezza, con una passione meno carnale e più spirituale. Ksenya aveva già raggiunto l'orgasmo, più di una volta, Lucien al contrario, cercò di resistere più che potè, dopo averle regalato l'ultimo piacere, non si trattenne più, rilasciò la tensione. Otto potenti schizzi, uscirono da lui, raggiungendo e inondando l'intero canale vaginale. Dopo aver terminato di eiaculare, tirò fuori il suo arnese. Quasi immediatamente cominciò a defluire il suo seme, colando e formando una gigantesca chiazza biancastra sulla trapunta verde. Diede uno sguardo al volto di lei, prima di ricomporsi. Appariva serena, un sorriso liberatorio aleggiava sulle sue labbra.
"Sono proprio una troia" pensò assaggiando lo sperma ancora gocciolante dalla sua vagina. Continuò a scavare con le dita sempre più in profondità, portandosi sulla lingua il liquido seminale misto ai suoi umori "anche il suo latte è delizioso" ebbe da compiacersi. Lucien, con un imbarazzo crescente per quanto appena accaduto, divenne paonazzo. «Ti aspetto giù mamma, fai in fretta» disse sistemandosi gli ultimi bottoni, per poi sparire lungo la tromba delle scale. I suoi passi rimbombavano come un tamburo. Ksenya si alzò poco dopo, ciò che rimase dello sperma all'interno della sua vagina, scivolò giù lungo la sua coscia destra, non andò sprecato nulla. Si tolse le mutandine ormai inutilizzabili, si abbassò la gonna e chiuse la zip del suo golfino. Tornò quindi alla scrivania, aprì il cassetto e tirò fuori la vecchia bibbia, al suo posto mise le mutandine e lo richiuse "tra altri 20 verrò a riprendervi" fu il suo pensiero prima di dirigersi verso l'uscita. Dopo pochi passi potè piacevolmente constatare come stesse zoppicando e come la sua vulva fosse dolente "beate le ragazze che monterai tesoro, non queste suore".
Uscì dalla camera, lasciando la porta aperta affinché sparisse l'odore del sesso appena fatto. Con un torpore in mezzo alle gambe e in bocca il sapore sapido del seme ingerito, scese le scale con compostezza. Ad attenderlo Lucien, impaziente di andare via prima che qualcuno si accorgesse di qualcosa, arrossì appena i suoi occhi azzurri incrociarono l'azzurro dei di lei occhi.«Mamma sei pronta? Stai meglio?» se sul serio dell'imbarazzo ci fu in lui, non lo mostrava. Ksenya si avvicinò, gli sistemò i capelli e la cravatta, dopodiché gli diede un veloce bacio sulla guancia, casto come quello di sorella Cabeth. «Mi sento rinata tesoro, grazie per essere venuto. Andiamo adesso!» senza più guardarsi indietro, s'incamminò verso il piazzale. Nel cielo apparvero nei nuvoloni grigi che presagivano pioggia, ma tutto sommato potè dire in cuore suo: "È una bella giornata".
Qualsiasi cosa facesse, nelle sue orecchie riecheggiavano in continuazione le prediche di Sorella Cabeth: "Non indugiare sul tuo petto, è peccato! Non mostrare la tua pelle, è peccato! Non giocare con i tuoi genitali, è peccato!". Quella vecchia arpia dal naso aquilino e dai capelli color muffa, fin dai suoi primi ricordi d'infanzia è sempre apparsa anziana e cadente. Da poco divenne ospite del Signore e di questo Ksenya si rallegrò. Per quanto l'avesse odiata in gioventù, nel bene e nel male è stata una figura costante nella sua vita, presentarsi al suo funerale era doveroso. Quel mattino, si sarebbero celebrati i riti funebri, all'interno della cappella situata all'interno dell'abbazia dove fu spedita dal padre per crescere pudica e assennata, stesso destino che toccò alla stessa Ksenya sei decenni più tardi, più volte provò a compatirla, entrambe furono vittime delle scelte dei loro padri ma non ci riuscì.
Arrivò nell'enorme piazzale dell'abbazia, il tempo stranamente concedeva tregua dalle incessanti e recenti piogge "Quella vecchia malefica non si merita la sepoltura in una bella giornata" pensò avviandosi verso le sale interne, il cuore della struttura. Erano passati 20 anni dall'ultima volta che ci mise piede, tutto rimase uguale come ad allora. Stesse disposizioni dei mobili, stessi riquadri, stessi finimenti falsamente modesti. Anche le piante nel cortile quadrato interno, sembravano non aver subito il corso del tempo. Non si potè dire la stessa cosa delle altre sorelle, la cui sola vista mise a disagio Ksenya "una donna non dovrebbe sopravvivere ai suoi denti" pensò la giovane quando, con un sorriso sdentato e poco gradevole, fu accolta da Sorella Jolanda: «Cara Nya, trovo conforto nella tua presenza» le mani rugose e macchiate della casta donna, afferrarono quelle di lei "fredde e dure come lo sei stata tu con me" replicò dentro di se. L'anziana continuò: «Questo bel ragazzo chi è?» chiese rivolgendosi al suo accompagnatore. Neanche lei si era accorta della silenziosa presenza di lui. «Sono Lucien Lachance, il figlio. Spero non dispiaccia la mia di presenza, non avrei mai potuto sottrarmi dal sostenere la mia amata madre»
La vecchia mummia trattenne il disappunto. Prendere il cognome della madre indicava non conoscere il padre. Ricordava bene lo scandolo avvenuto molti anni prima a motivo della sua nascita. "Un bambino nato fuori dal sacro vincolo matrimoniale! Un bambino frutto della lussuria della sciagurata madre!" furono le parole pronunciate ad una appena maggiorenne Ksenya. Ma ora quel bambino era cresciuto e molto. Poco ereditò dal presunto padre, giovando al contrario dei tratti somatici della madre. Capelli biondo chiaro con riflessi dorati, raccolti in trecce sottili e aderenti alla testa che partono dalla fronte e arrivano fino alla nuca. Occhi di un azzurro intenso e luminoso, che sembrano quasi brillare al sole, come se contenessero luce propria. Sguardo penetrante e vigile, sempre attento a tutto ciò che lo circonda. Il suo volto era fiero e deciso, zigomi alti e naso dritto, mascella squadrata e labbra sottili color vino, spesso serrate. Con i suoi 185 cm uniti al suo fisico asciutto e tonico, risultava essere una presenza quasi messianica.
«Prego, da questa parte» tagliò corto la suora, per lei, Lucien era il figlio del Diavolo. Fece strada lungo le navate laterali del cortile, Ksenya si fermò ad osservare le ombre proiettate sui muri in pietra antica, constatò come la gobba della sorella, si sia accentuata con il peso degli anni "sarei diventata anche io così se fossi rimasta?"si chiese nei pensieri. Arrivarono nella cappella, l'odore di incenso permeava l'ambiente, i fasci di luce filtrati dalle vetrate colorate mostravano le particelle di polvere volanti nell'area. 2 fila di panche da 7 trovavano spazio dinnanzi all'altare della cerimonie, il vescovo vestito di nero, sistemava le ultime apparecchiature. Le dotte sorelle, presero posto nelle prime file. La giovane, prese posto ad una panca di distanza, con il figlio al suo fianco. "Anche le panche non sono cambiate" notò amareggiata Ksenya, ironicamente prese posizione nella stessa identica di tanti anni fa', i tre nodi del legno sotto la gommapiuma per le ginocchia, le ricordavano le interminabili prediche della Sorella Cabeth.
La cerimonia cominciò con le solite celebrazioni alla memoria e prosegui con i classici monologhi della benevolenza del signore. Tanto rigore, tanta austerità, una vita all'insegna delle rinunce, mai avrebbe scelto di finire così. Guardò ora Lucien, era abituata a farlo, le piaceva contemplare quanto fosse affascinante e attraente, le piaceva congratularsi con se stessa per il "lavoro" fatto, si compiaceva nel constatare quanto non passasse inosservato ovunque andasse. Era orgogliosa per questo. La funzione andò avanti per altri 20 minuti, finché non fu il momento di trasportare la bara verso il luogo di sepoltura, nel cimitero dell'abbazia, il luogo dove da secoli riposavano le anime delle sorelle defunte. Uscirono tutti dalla cappella in totale silenzio, i rintocchi della campana annunciavano il passaggio della bara. Le sei sorelle curve sotto il peso del feretro, bagnavano con le loro lacrime il selciato proseguendo verso una piccola pendenza di una collina, dietro l'abbazia. Il corteo si fermò dinnanzi alla fossa precedentemente scavata, pronta ad inghiottire la bara. Accanto ad essa, vecchie croci di ferro arrugginito segnavano la presenza delle altre sorelle defunte. Le più antiche, avevano quasi mille anni. Il vescovo prese parola per l'ultima volta e a turno offrì a tutti la possibilità per il saluto finale alla salma.
Anche Lucien non si esentò, con il velato giudizio dei presenti, prese parola e dopo essersi schiarito la voce, disse: «Non conoscevo Sorella Cabeth, non conosco nessuno di voi. Dinnanzi alla morte cessano i rancori, i risentimenti, a restare sono sempre le buone azioni. In un mondo sempre più empio e dissoluto, scegliere una vita di privazioni è la vera libertà. Sorella Cabeth ha servito fedelmente per 85 anni, si è ricongiunta a Dio dopo 98 anni passati su questa terra. Ha cresciuto spiritualmente la nostra comunità, intere generazioni hanno vissuto sotto il suo leale servizio, in quanti possono vantare un risultato simile? Adesso, ha tutto il diritto di riposare con chi l'ha preceduta. Non ci sarà più nessuno come lei» rimasero tutti sbalordirti dalla profondità di quel discorso, le sorelle si coprivano gli occhi arrossati dal pianto, il vescovo si voltò, nascondendo la sua fragilità. Ksenya, al contrario corse via, cercando rifugio nella sua vecchia stanza nel refettorio.
Benché fosse situata all'ultimo piano del refettorio, zona ormai disabitata da decenni, il rigore clericale imponeva una perfetta pulizia e il mantenimento di ogni area. Ksenya all'alba dei quarant'anni, fu catapulta indietro nel tempo appena rimise piede. La porta in legno scuro cigolò dietro di lei, la stanza profumava di aghi di pino e muschio "è più dolce" ammise inalando l'odore. La branda perfettamente rimboccata sul lato destro. Una trapunta verde copriva le lenzuola. Al centro della stanza un tappeto rosso ricamato a forma rettangolare. Al lato destro sotto la finestra spiovente, una grossa scrivania in mogano prendeva spazio. Appena la vide corse lì ad aprire i cassetti, in cerca della Bibbia di Re Giacomo. Prima di andare via, ormai due decadi fa, l'aveva lasciata li, era un dono di sorella Cabeth, si era ripromessa di non tornare mai più in quel luogo. Altre lacrime scorsero lungo le sue guance. La testa pulsava, il suo corpo tremava, fu presa da vertigini e crollò all'indietro, ma fu prontamente sostenuta da Lucien, arrivato appena in tempo.
«Mamma... stai bene?» il volto di Lucien apparve più splendido che mai. Anche nei momenti più delicati, non perdeva mai la compostezza. «Ti hanno turbato le mie parole?» proseguì, la premura del suo tono, non rendeva giustizia alla sua età anagrafica. «Amore... non è successo niente. Le tue parole mi hanno aperto gli occhi» prese respiro, ancora tra le braccia di lui, appoggiò al petto la sua testa. Tutte le sue fragilità, per anni tenute assieme da silenzi e odio, presero vita in un istante. «Sei una donna forte mamma. Riconoscere le tue debolezze non ti rende debole, ma onesta» Lucien sapeva come usare le parole. Strinse più a se la madre, circondò il suo corpo con le braccia, muovendole affinché si trasmettesse calore. «Tesoro mio, di tutti gli errori che ho fatto, non mi pento di niente. Da quelle mie scelte, mi è stato dato te, sei la gioia della mia vita» in quel momento, Ksenya smise di essere una madre, una donna, tornò ad essere una ragazzina, per un ultima volta.
Ksenya alzò lo sguardo, negli occhi di lui intravedeva il suo riflesso. Persa nell'azzurro delle sue iridi, l'immagine di se tornò quella di una volta, di quella ragazzina spaventata. L'uomo davanti a lei, non era più suo figlio ma il suo sostenitore. Fu istintivo per lei cercare le sue labbra, sentii all'inizio una leggera resistenza, cessata dopo pochi e sempre più convinti assalti con la lingua. La sua bocca sapeva di buono, era dolce e fresca e le sue labbra morbide e calde. Persa nella concitazione del momento, Ksenya cominciò a percorrere con le mani il corpo di lui. La sua camicia offriva poca protezione, i suoi muscoli apparirono dirompenti ai primi contatti. Vinti i primi ripensamenti, anche lui ricambiò quei tocchi. Calò le sue mani lungo i fianchi, scendendo verso le natiche, ancora alte e sode grazie al costante allenamento. La prese ora di peso e la alzò con facilità, per poterla baciare meglio. Le gambe di lei si chiusero con presa salda attorno al bacino di lui, gettò intorno al collo le braccia, poteva sentire i tendini tesi come la corda di un arco.
Continuarono a baciarsi con sempre più avarizia, le loro lingue unite crearono una danza passionale, fatta di lussuria e sfrontatezza. Il desiderio era tanto, la camera si riempì dei loro respiri sempre più intensi. Il giovane, cominciò a muoversi verso la scrivania, con un calcio spostò la sedia che emise un rumore stridulo, quasi un lamento. Con un tonfo, lasciò cadere sul mogano la donna. Aveva 38 anni, capelli biondi come quelli di lui, lunghi fino al coccige, due ciocche ribelli incorniciavano il suo viso. Occhi azzurri ghiaccio da cerbiatta, pelle liscia e priva di inestetismi. Zigomi appena pronunciati e rosei, naso leggermente all'insù, labbra color fragola. Un volto del genere, risaltava tramite il suo corpo. Fisico a clessidra, un seno contenuto ma pieno e simmetrico per nulla cadente. Ventre piatto dovuto ad un regime alimentare controllato. Gambe lunghe e affusolate, con cosce morbide ma non flaccide. Qualsiasi uomo con la virilità intatta, avrebbe voluto prendere il posto di Lucien.
Guidato dalla libidine, il giovane strappò le vesti della madre, liberando i suoi seni, i capezzoli turgidi e dritti. Famelico si avventò contro uno di loro, succhiando e mordicchiando sempre più voracemente. L'altro seno non fu risparmiato, cominciò a torcerlo e a giocarci, si fermava e poi stringeva la coppa come fosse spugna, creando un perfetto bilanciamento di dolore e piacere. Il suo décolleté chiaro e pallido, si arrossò a causa del passaggio della bocca di lui. Ksenya, voleva ricambiare. Afferrò dalle treccine il figlio, come un vampiro morse il suo collo, i suoi canini bucarono la pelle, causando sanguinamento leggero. Istintivamente, Lucien si spostò da lei, passò una mano e raccolse il suo sangue, osservando prima il liquido rossastro e dopo la madre, a gambe aperte, arruffata e ansimante. Per un attimo, la mente di Ksenya tornò lucida "cosa sto facendo" pensò presa dal panico, ma poco dopo il suo corpo tradì la sua mente: «Non fermarti» gli disse con il fiato corto, con delle piccole convulsioni ancora presenti.
Lucien non se lo fece ripetere due volte, balzò in avanti con audacia. Le sue mani ora cercarono il sesso di lei. Gli umori da lei prodotti, bagnarono abbondantemente il suo intimo in pizzo nero. Scostò il tessuto ormai fradicio, con estrema naturalezza, si chinò verso il dolce frutto della madre, assaporando con appetito il nettare da lì uscito. Ksenya, fu travolta da ondate di brividi che salirono lungo tutta la spina dorsale. Non trattenne i suoi gemiti, voleva sentirsi sempre più piena. Afferrò quindi la testa di lui, spingendola con decisione sul suo fiore sempre più sensibile. Lucien muoveva la sua lingua come un pittore fà con il suo pennello su una tela. Il clitoride ormai scoperto, fu vittima delle mani di lui, con movimenti ritmici e rotatori, lo stimolò ancora e ancora, generando spasmi e scosse nella madre, che ormai aveva rinunciato a qualsiasi pudore. Quando fu soddisfatto del suo operato, con le labbra ancora umide e intrise dei liquidi della vagina della di lui madre, risalì baciandole il ventre, poi il collo e infine la bocca, le fece assaggiare i suoi umori, ricordavano lontanamente una pesca ben matura. «Voglio di più» lo interuppe Ksenya, le sue mani abili e leste si prodigarono alla liberazione del membro ormai divenuto duro come il granito, dritto come il Cristo.
L'erezione fu dirompente, grosse vene irroravano la verga per la gioia di lei. Avrebbe voluto prenderlo in bocca, ma il ragazzo fu di un altro avviso. La afferrò dai fianchi e con una leggera violenza, entrò dentro di lei. L'affondo le tolse il respiro, ma non ebbe tregua. Seguirono altri affondi sempre più profondi e potenti. La madre, non era più abituata al vigore giovanile. Rimase travolta e vittima della potenza di lui, le sembrava di essere sventrata, i suoi colpi raggiungevano la cervice, riempiendola totalmente. Era un fiume in piena, i colpi successivi erano sempre più forti dei precedenti, un simpatico rumore si generò dall'incontro dei due sessi. Lucien andò avanti imperterrito, sfogando nelle pelvi di lei, tutto il suo desiderio, la sua voglia di reclamarla come sua. «Mi fai male così...» provò debolmente a protestare, le sue preghiere vennero accolte. «Scusami... sei bellissima e non riesco a trattenermi» estrasse il suo pene dalla vagina della madre, lucido dagli umori generati da lei. «Amore...» si limitò a dire Ksenya. Si inginocchiò dinnanzi e lui, finalmente potè accogliere in bocca il pene di lui. La base era ampia, muscolosa e glabra, l'asta lunga e rigida con una vena che percorreva l'intero membro, la punta fletteva leggermente verso su. "Che bel cazzo che ti ho dato" riflettè muovendo avanti e indietro la bocca. Lo tirava fuori e lo ripassava per tutta la lunghezza con la lingua, poi si spostava verso i testicoli, per poi ricominciare daccapo, prendendolo in bocca ancora. Ad ogni minuto, sembrava diventare sempre più grande, le piaceva sentirsi soffocata da quel turgido membro. Il ragazzo si affidò alle sapienti gesta di lei, godeva dell'esperienza della madre. La sua bocca era umida, la lingua abile. Fu sul punto di schizzare il suo seme un paio di volte ma si trattenne.
«Voglio possederti adesso» il ragazzo dalle treccine bionde, la prese per mano e insieme raggiunsero l'angolo del letto. Ksenya si distese, inclinò la schiena e volgarmente aprì le cosce al figlio. Lui, accarezzò il fiore di lei per un po', per poi infilare la punta del membro, fino ad entrare del tutto. Cominciò piano, per farla abituare a quella presenza. Progressivamente, cominciò ad accelerare. Radunò i lunghi capelli di lei, roteò il polso un paio di volte per poi tirarli, affinché potesse sentire il corpo di lei più vicino. Iniziò a leccarle l'orecchio, senza mai smettere di penetrarla. Continuò stringendole il collo, più andava avanti e più il volto di lei assumeva un colore purpureo. «Si-Si così» intonava lei ad ogni spinta, aumentando sempre di più l'ormai smodato eccitamento del figlio. La vagina della madre, accoglieva perfettamente il pene del di lei figlio. Sembravano essere una sola cosa, il ricongiungimento di due estremità perfettamente uguali. Anni di stigmatizzazione, di dogmi, l'avevano portata a compiere il più impuro degli atti nella casa del Signore. Per Ksenya, in quel frangente nulla fu più reale, l'unico dio in quel momento, la stava montando come fanno i mastini con le cagne in calore. L' amplesso prosegui, il suo fiore martoriato, i suoi seni battevano luno contro l'altro, le mani di Lucien afferrarono le spalle di lei, per poter infierire con più tenacia contro l'utero che l'aveva messo al mondo. Il vestito di lei, ridotto a brandelli, l'abito di lui scucito e umido dei loro liquidi corporei.
Ksenya, stanca e provata si lasciò cadere sul letto, offrendosi senza più difese. Lucien, si stese al suo fianco, la girò di lato, petto contro schiena. Fece passare un braccio sotto il collo di lei, con l'altro le alzo una gamba, scoprendo per l'ennesima volta, la sua fessura. Posizionò il pene aderente, con una dolce spinta, entrò nel corpo della madre. Un gemito uscì sopito. Dopo averle voltato il capo, Lucien cercò di nuovo le sue labbra. Questa volta, con più dolcezza, con una passione meno carnale e più spirituale. Ksenya aveva già raggiunto l'orgasmo, più di una volta, Lucien al contrario, cercò di resistere più che potè, dopo averle regalato l'ultimo piacere, non si trattenne più, rilasciò la tensione. Otto potenti schizzi, uscirono da lui, raggiungendo e inondando l'intero canale vaginale. Dopo aver terminato di eiaculare, tirò fuori il suo arnese. Quasi immediatamente cominciò a defluire il suo seme, colando e formando una gigantesca chiazza biancastra sulla trapunta verde. Diede uno sguardo al volto di lei, prima di ricomporsi. Appariva serena, un sorriso liberatorio aleggiava sulle sue labbra.
"Sono proprio una troia" pensò assaggiando lo sperma ancora gocciolante dalla sua vagina. Continuò a scavare con le dita sempre più in profondità, portandosi sulla lingua il liquido seminale misto ai suoi umori "anche il suo latte è delizioso" ebbe da compiacersi. Lucien, con un imbarazzo crescente per quanto appena accaduto, divenne paonazzo. «Ti aspetto giù mamma, fai in fretta» disse sistemandosi gli ultimi bottoni, per poi sparire lungo la tromba delle scale. I suoi passi rimbombavano come un tamburo. Ksenya si alzò poco dopo, ciò che rimase dello sperma all'interno della sua vagina, scivolò giù lungo la sua coscia destra, non andò sprecato nulla. Si tolse le mutandine ormai inutilizzabili, si abbassò la gonna e chiuse la zip del suo golfino. Tornò quindi alla scrivania, aprì il cassetto e tirò fuori la vecchia bibbia, al suo posto mise le mutandine e lo richiuse "tra altri 20 verrò a riprendervi" fu il suo pensiero prima di dirigersi verso l'uscita. Dopo pochi passi potè piacevolmente constatare come stesse zoppicando e come la sua vulva fosse dolente "beate le ragazze che monterai tesoro, non queste suore".
Uscì dalla camera, lasciando la porta aperta affinché sparisse l'odore del sesso appena fatto. Con un torpore in mezzo alle gambe e in bocca il sapore sapido del seme ingerito, scese le scale con compostezza. Ad attenderlo Lucien, impaziente di andare via prima che qualcuno si accorgesse di qualcosa, arrossì appena i suoi occhi azzurri incrociarono l'azzurro dei di lei occhi.«Mamma sei pronta? Stai meglio?» se sul serio dell'imbarazzo ci fu in lui, non lo mostrava. Ksenya si avvicinò, gli sistemò i capelli e la cravatta, dopodiché gli diede un veloce bacio sulla guancia, casto come quello di sorella Cabeth. «Mi sento rinata tesoro, grazie per essere venuto. Andiamo adesso!» senza più guardarsi indietro, s'incamminò verso il piazzale. Nel cielo apparvero nei nuvoloni grigi che presagivano pioggia, ma tutto sommato potè dire in cuore suo: "È una bella giornata".
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