La farmacista - 1 parte
di
Predator
genere
etero
“140-200. Io la faccio ricoverare!”. Le parole della mia dottoressa, dopo avermi misurato la pressione durante una visita di routine, mi fecero gelare il sangue. Certo, non posso dire di aver condotto una vita sana (mea culpa) ma trovarmi praticamente nell’anticamera dell’ictus, mi aveva fatto fare un brusco ritorno alla realtà, demolendo la mia convinzione che certe cose capitavano solo agli altri. A 56 anni, il pensiero di fare una brutta fine non rientrava nelle mie attrattive. “Evitiamo il ricovero - dissi al medico -. Sicuramente potrà suggerirmi un farmaco di primo soccorso per ridimensionare subito i valori”. Mi diede una confezione di compresse, di quelle che lasciano i rappresentanti di farmaci, prescrivendomi comunque lo stesso prodotto da acquistare in farmacia ed il monitoraggio costante della pressione. Fu così che conobbi Lorena.
Recatomi in farmacia con uno stato d’animo facilmente immaginabile, venni servito da una giovane donna dai tratti mediterranei. Avrà avuto una quarantina d’anni. Alta, mora, occhi scuri, piuttosto magra e con poco seno che quasi non si notava dal camice nelle sue forme. Lessi il nome dal cartellino appuntato sul camice: Lorena. La farmacista capì subito che ero in tensione. “Non deve preoccuparsi. Non sa quante persone sono ipertese. Vedrà che con la giusta terapia, i valori torneranno normali”. Le parole di Lorena ed ancor più, il suo tono rassicurante mi fecero bene. Le rivolsi un sorriso di gratitudine che lei ricambiò. Era quasi ora di chiusura della farmacia e mi affrettai a ringraziare ed uscire.
Osservante della prescrizione della mia dottoressa, dal giorno successivo cominciai a misurare costantemente la pressione. Non avendo uno strumento apposito e men che meno la minima idea di come usarlo, mi ricordai che la farmacia dove mi ero rivolto, come la quasi totalità delle farmacie, effettuava questo servizio. Essendo oltretutto vicino casa mia, decisi di eleggerla a mia “sala di controllo”. Tornai così nella farmacia, ritrovando Lorena che tanto mi aveva rassicurato il giorno prima. Mi accompagnò in uno stanzino dove era posizionato lo strumento per la misurazione della pressione, mostrandomi come si utilizzava. Forse perché era la prima volta, forse perché mi vedeva non particolarmente disinvolto, decise di rimanere con me, mettendosi a sedere su un lettino di quelli che si usano negli ambulatori medici, posizionato accanto a dove ero seduto io. L’ambiente stretto e la porta chiusa, avevano favorito il crearsi di una strana intimità, decisamente contrastante con il contesto dove ci trovavamo. La vicinanza di Lorena era tale da poterne sentire il delicato profumo che, miscelato con il suo sorriso, mi produceva una sensazione estremamente piacevole ma decisamente avversa all’esito dell’accertamento pressorio che stavo effettuando. In effetti, quando la macchina stampò il risultato, i valori non erano particolarmente confortanti nonostante i farmaci assunti. “96-150. Ancora alta ma occorre tempo perché i farmaci facciano effetto”, sentenziò Lorena. Leggendo una nota di delusione sul mio volto, mi sorrise dicendo: “Non si scoraggi. Vedrà che tra qualche settimana arriveranno numeri più belli”. Confortato dalle parole di Lorena, ringraziai, salutai e mi guadagnai l’uscita, dandoci appuntamento per il giorno successivo.
Le giornate che seguirono trascorsero così, tra una misurazione, una chiacchierata ed un instaurare una certa confidenza tra me e Lorena alla quale ormai pensavo come ad una donna con cui condividere ben altri momenti. Del resto lei, in questi giorni non aveva scoraggiato i miei pensieri, sfoderando con discrezione, quelle armi di seduzione che ogni donna matura possiede. Una discrezione data verosimilmente dal non voler compromettere il suo ruolo professionale. Certo è che ci voleva tutta la mia buona volontà per distrarmi da lei mentre misuravo la pressione. Avrei fatto volentieri un uso diverso e migliore di quel lettino dove si sedeva abitualmente.
L’occasione non tardò ad arrivare. Anche perché costruita da me a tavolino. Un venerdì mi presentai in farmacia, 20 minuti prima della chiusura serale. Quando mi vide entrare, Lorena mi sorrise e bonariamente mi rimproverò: “Ma lei arriva adesso?!”. “Ha ragione ma un impegno di lavoro mi ha trattenuto più del previsto. Faccio ancora in tempo? Sennò torno lunedì”, dissi nella certezza che non mi avrebbe mai mandato via. “Andiamo a vedere come va questa benedetta pressione”, mi rispose facendo finta di essere infastidita. Quella sera finalmente, per la prima volta dopo diversi giorni, la pressione presentava numeri non ottimi ma comunque buoni. “85-135”, disse Lorena leggendo il foglietto emesso dalla macchina. “Evviva - esultai -. È il caso di festeggiare!”, aggiunsi sorridendole. Lorena rispose al mio sorriso, sorridendo a sua volta. “Ora!”, pensai tra me accingendomi a sferrare l’attacco. “In questi giorni lei è stata molto gentile con me e mi ha aiutato a tenere su il morale. Avrei piacere di offrirle un aperitivo”. “Ma, veramente io non so se…”, rispose la donna malcelando un lieve imbarazzo. “Suvvia! Non si faccia pregare!”, ribattei. Lasciatasi convincere, si affrettò a chiudere la farmacia. Presa la macchina, ci dirigemmo in un locale del Centro che avevo scoperto da poco. Davanti a due drink rigorosamente analcolici (il mio per ovvie ragioni di salute ed il suo perché era totalmente astemia), la conversazione si svolse tra il racconto delle nostre vite e la visione che ognuno di noi aveva della società moderna. L’atmosfera che si era creata aveva permesso di sdoganare il darsi del tu: un ulteriore passo avanti. Giunti al termine del nostro aperitivo, decisi che bisognava passare alla fase 2. “Sono solo le 22 - dissi -. Non è presto e non è tardi. Se hai piacere, possiamo andare da un’altra parte”. “Dove vorresti portarmi?”, chiese Lorena. “Avrei piacere di mostrarti casa mia. L’ho comprata da poco e ne vado veramente fiero”. Vivevo infatti da poco tempo in un appartamento all’ultimo piano, immerso nel silenzio e nel verde dato da due parchi adiacenti. Stavolta Lorena non si fece pregare ed accettò. Giunti a casa mia, le mostrai l’appartamento raccontandole di come l’avevo scelto ed arredato. Mi tenni per ultimo il punto di forza della casa: il terrazzo che dominava buona parte della città e che avevo arredato con piante ornamentali, due comode poltrone in vimini ed un tavolino. La feci accomodare lì, dopo aver messo un po’ di musica d’ambiente. “Ti prendo qualcosa da bere. Aranciata, Coca?”, le chiesi. “Un’aranciata va benissimo, grazie”. Lorena, gustando l’aranciata appariva molto tranquilla e rilassata. Anche perché non avevo fatto nulla per metterla a disagio o peggio, in guardia. Almeno fino a quel momento. “Sai - esordì -, mi stai facendo trascorrere veramente una bella serata. Sei impeccabile”. “Grazie - le risposi -. Anch’io sto molto bene in tua compagnia. Era da molto tempo che non mi trovavo così piacevolmente con una donna”. Fu un attimo: i nostri sguardi si incrociarono, la mia mano ad accarezzarle il viso ed ancor prima che ce ne rendessimo conto, ci trovammo persi in un lungo e passionale bacio alla francese. Le nostre lingue non cessavano di cercarsi, come se l’una dipendesse dall’altra. L’abbraccio nel quale eravamo stretti aveva aperto un’autostrada verso il cominciare a toccarci laddove, fino a qualche settimana prima, era inimmaginabile. Le accarezzavo i fianchi, scendendo sino al suo ragguardevole fondoschiena. Lei mi lasciava fare. Si era staccata dalle mie labbra ed aveva preso a baciarmi il collo, risalendo verso l’orecchio. Il mio lobo era diventato il suo giocattolo: lo baciava, lo leccava, lo succhiava alternando questa pratica con profondi sospiri. Io intanto, cominciavo a dimostrare gradimento con un’erezione che combatteva contro i miei boxer ed i miei pantaloni. Le spinsi contro il bacino affinché giudicasse lei stessa. “Ah, però…”, mi sussurrò con fare da pantera.
Recatomi in farmacia con uno stato d’animo facilmente immaginabile, venni servito da una giovane donna dai tratti mediterranei. Avrà avuto una quarantina d’anni. Alta, mora, occhi scuri, piuttosto magra e con poco seno che quasi non si notava dal camice nelle sue forme. Lessi il nome dal cartellino appuntato sul camice: Lorena. La farmacista capì subito che ero in tensione. “Non deve preoccuparsi. Non sa quante persone sono ipertese. Vedrà che con la giusta terapia, i valori torneranno normali”. Le parole di Lorena ed ancor più, il suo tono rassicurante mi fecero bene. Le rivolsi un sorriso di gratitudine che lei ricambiò. Era quasi ora di chiusura della farmacia e mi affrettai a ringraziare ed uscire.
Osservante della prescrizione della mia dottoressa, dal giorno successivo cominciai a misurare costantemente la pressione. Non avendo uno strumento apposito e men che meno la minima idea di come usarlo, mi ricordai che la farmacia dove mi ero rivolto, come la quasi totalità delle farmacie, effettuava questo servizio. Essendo oltretutto vicino casa mia, decisi di eleggerla a mia “sala di controllo”. Tornai così nella farmacia, ritrovando Lorena che tanto mi aveva rassicurato il giorno prima. Mi accompagnò in uno stanzino dove era posizionato lo strumento per la misurazione della pressione, mostrandomi come si utilizzava. Forse perché era la prima volta, forse perché mi vedeva non particolarmente disinvolto, decise di rimanere con me, mettendosi a sedere su un lettino di quelli che si usano negli ambulatori medici, posizionato accanto a dove ero seduto io. L’ambiente stretto e la porta chiusa, avevano favorito il crearsi di una strana intimità, decisamente contrastante con il contesto dove ci trovavamo. La vicinanza di Lorena era tale da poterne sentire il delicato profumo che, miscelato con il suo sorriso, mi produceva una sensazione estremamente piacevole ma decisamente avversa all’esito dell’accertamento pressorio che stavo effettuando. In effetti, quando la macchina stampò il risultato, i valori non erano particolarmente confortanti nonostante i farmaci assunti. “96-150. Ancora alta ma occorre tempo perché i farmaci facciano effetto”, sentenziò Lorena. Leggendo una nota di delusione sul mio volto, mi sorrise dicendo: “Non si scoraggi. Vedrà che tra qualche settimana arriveranno numeri più belli”. Confortato dalle parole di Lorena, ringraziai, salutai e mi guadagnai l’uscita, dandoci appuntamento per il giorno successivo.
Le giornate che seguirono trascorsero così, tra una misurazione, una chiacchierata ed un instaurare una certa confidenza tra me e Lorena alla quale ormai pensavo come ad una donna con cui condividere ben altri momenti. Del resto lei, in questi giorni non aveva scoraggiato i miei pensieri, sfoderando con discrezione, quelle armi di seduzione che ogni donna matura possiede. Una discrezione data verosimilmente dal non voler compromettere il suo ruolo professionale. Certo è che ci voleva tutta la mia buona volontà per distrarmi da lei mentre misuravo la pressione. Avrei fatto volentieri un uso diverso e migliore di quel lettino dove si sedeva abitualmente.
L’occasione non tardò ad arrivare. Anche perché costruita da me a tavolino. Un venerdì mi presentai in farmacia, 20 minuti prima della chiusura serale. Quando mi vide entrare, Lorena mi sorrise e bonariamente mi rimproverò: “Ma lei arriva adesso?!”. “Ha ragione ma un impegno di lavoro mi ha trattenuto più del previsto. Faccio ancora in tempo? Sennò torno lunedì”, dissi nella certezza che non mi avrebbe mai mandato via. “Andiamo a vedere come va questa benedetta pressione”, mi rispose facendo finta di essere infastidita. Quella sera finalmente, per la prima volta dopo diversi giorni, la pressione presentava numeri non ottimi ma comunque buoni. “85-135”, disse Lorena leggendo il foglietto emesso dalla macchina. “Evviva - esultai -. È il caso di festeggiare!”, aggiunsi sorridendole. Lorena rispose al mio sorriso, sorridendo a sua volta. “Ora!”, pensai tra me accingendomi a sferrare l’attacco. “In questi giorni lei è stata molto gentile con me e mi ha aiutato a tenere su il morale. Avrei piacere di offrirle un aperitivo”. “Ma, veramente io non so se…”, rispose la donna malcelando un lieve imbarazzo. “Suvvia! Non si faccia pregare!”, ribattei. Lasciatasi convincere, si affrettò a chiudere la farmacia. Presa la macchina, ci dirigemmo in un locale del Centro che avevo scoperto da poco. Davanti a due drink rigorosamente analcolici (il mio per ovvie ragioni di salute ed il suo perché era totalmente astemia), la conversazione si svolse tra il racconto delle nostre vite e la visione che ognuno di noi aveva della società moderna. L’atmosfera che si era creata aveva permesso di sdoganare il darsi del tu: un ulteriore passo avanti. Giunti al termine del nostro aperitivo, decisi che bisognava passare alla fase 2. “Sono solo le 22 - dissi -. Non è presto e non è tardi. Se hai piacere, possiamo andare da un’altra parte”. “Dove vorresti portarmi?”, chiese Lorena. “Avrei piacere di mostrarti casa mia. L’ho comprata da poco e ne vado veramente fiero”. Vivevo infatti da poco tempo in un appartamento all’ultimo piano, immerso nel silenzio e nel verde dato da due parchi adiacenti. Stavolta Lorena non si fece pregare ed accettò. Giunti a casa mia, le mostrai l’appartamento raccontandole di come l’avevo scelto ed arredato. Mi tenni per ultimo il punto di forza della casa: il terrazzo che dominava buona parte della città e che avevo arredato con piante ornamentali, due comode poltrone in vimini ed un tavolino. La feci accomodare lì, dopo aver messo un po’ di musica d’ambiente. “Ti prendo qualcosa da bere. Aranciata, Coca?”, le chiesi. “Un’aranciata va benissimo, grazie”. Lorena, gustando l’aranciata appariva molto tranquilla e rilassata. Anche perché non avevo fatto nulla per metterla a disagio o peggio, in guardia. Almeno fino a quel momento. “Sai - esordì -, mi stai facendo trascorrere veramente una bella serata. Sei impeccabile”. “Grazie - le risposi -. Anch’io sto molto bene in tua compagnia. Era da molto tempo che non mi trovavo così piacevolmente con una donna”. Fu un attimo: i nostri sguardi si incrociarono, la mia mano ad accarezzarle il viso ed ancor prima che ce ne rendessimo conto, ci trovammo persi in un lungo e passionale bacio alla francese. Le nostre lingue non cessavano di cercarsi, come se l’una dipendesse dall’altra. L’abbraccio nel quale eravamo stretti aveva aperto un’autostrada verso il cominciare a toccarci laddove, fino a qualche settimana prima, era inimmaginabile. Le accarezzavo i fianchi, scendendo sino al suo ragguardevole fondoschiena. Lei mi lasciava fare. Si era staccata dalle mie labbra ed aveva preso a baciarmi il collo, risalendo verso l’orecchio. Il mio lobo era diventato il suo giocattolo: lo baciava, lo leccava, lo succhiava alternando questa pratica con profondi sospiri. Io intanto, cominciavo a dimostrare gradimento con un’erezione che combatteva contro i miei boxer ed i miei pantaloni. Le spinsi contro il bacino affinché giudicasse lei stessa. “Ah, però…”, mi sussurrò con fare da pantera.
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