Viktoria e Jessica

di
genere
saffico

Quando un uomo ti tradisce e prova a farsi perdonare con una suite vista mare, hai due opzioni:
lo lasci, o ti godi il panorama e il prosecco gratis.

Io ho scelto la seconda.
Non perché lo ami ancora — quello l’ho lasciato nel letto di un’altra mesi fa, insieme all’illusione del “per sempre”.
Ma i regali costosi hanno un certo fascino, soprattutto quando li accetti con un sorriso e qualche segreto ben nascosto.

Siamo insieme da due anni.
Lui si crede furbo. Io lo sono di più.
E se sono ancora qui… è solo perché non ho ancora deciso con chi rimpiazzarlo.

Il traghetto ci fece scendere lentamente. L’aria era calda, densa di sale e vento.

«Finalmente,» sbottò Elena, scostandosi i capelli. «Pensavo di morire in quel forno galleggiante.»

Matteo ridacchiò, tirando su la valigia.
«Almeno c’era l’aria condizionata.»

Leonardo rideva con gli altri. Con me, invece, il solito silenzio. Ma il bravo ragazzo sapeva recitare.
E io anche.

L’hotel era arroccato su una collina: pareti bianche, terrazze larghe, profumo di erbe e pietra calda.

«Camera 208 e 210. Vista mare, come richiesto,» annunciò il receptionist.

Leo mi sorrise. «Andiamo, Viktoria?»

La stanza era elegante, luminosa, con una terrazza affacciata sull’azzurro.
Leo posò le valigie, mi abbracciò da dietro e mi baciò il collo.
«Doccia insieme?»

«No amore, ora sono stanca. Vai tu. Dopo magari scendiamo in piscina, okay?»

Lui annuì e sparì in bagno.
Appena partì l’acqua, mi tolsi i vestiti e mi avvolsi nell’asciugamano.

Un bussare deciso mi fece voltare.

Aprii la porta. Non era Elena.
Era una donna sulla trentina, camicia bianca un po’ sbottonata, jeans aderenti, cartellino al petto: Jessica.

Capelli ricci raccolti alla meglio, pelle dorata, occhi color ambra.
Sensuale, sicura. Sguardo magnetico.

«Buongiorno,» disse con voce ferma. «Ci serve una firma per completare il check-in. È solo una formalità.»

Annuii. «Un secondo.»

Mi chinai per cercare una penna, consapevole dei suoi occhi su di me.
Compilai il modulo, poi glielo restituii con un sorriso.

«Grazie, Jessica.»

Lei accennò un sorriso.
«Di niente.»

Chiusi la porta lentamente.
Avevo trovato la mia preda. O forse lei aveva trovato me.



Dopo la doccia, mi accorsi di aver dimenticato il bikini. Chiesi a Leo di comprarmene uno.

Errore.

Me ne prese uno di una taglia in meno. Era rimasto alla mia vecchia versione, pre-matrimoni pieni di dolci e cicli spietati.

Poco male. Il bikini era stretto, ma nei punti giusti. Il copricostume aiutava — poco.
Scendemmo in piscina. Tutti guardavano. Tranne Leo. Meglio così.

Mi immersi fino alle spalle. L’acqua fresca mi sciolse i muscoli, ma non la tensione.

Poi la vidi.

Jessica.
Passava con una cartelletta. Camicia aperta quel tanto che basta. Fianchi decisi.

Uscii dall’acqua senza pensarci. Le gocce scivolavano lente, il bikini evidenziava ogni curva.
Mi stesi su un lettino, sistemai il top con naturalezza.
Non la guardai. Ma sapevo che mi aveva vista.

«Tu sei matta a scendere così,» sussurrò Elena, porgendomi una bottiglietta d’acqua.
«Hai visto come ti guardano?»

«Meglio così. Finché Leo se ne frega, sto tranquilla.»

Elena rise. Poi si sporse.
«Comunque, quella là ti stava fissando.»

Finsi indifferenza.
«Chi?»

«La receptionist. Jessica, mi pare. Una bomba. Camicia scollata, capelli ricci. E pare sia… pericolosa.»

La guardai di lato.
«Il mio amico Riccardo lavora qui. Dice che ha fatto fuori più coppie lei che l’afa di agosto. E sempre rubando le tipe, non i tipi.»

Sorrisi.
Bevvi un sorso d’acqua. Fresca. Tagliente. Come il pensiero che mi attraversò la mente:
Forse è proprio quello che mi serve.



La sera arrivò in un attimo. Dopo un pomeriggio di shopping inutile con Elena, tornai in camera.
Leo era già vestito, camicia bianca, profumo troppo pensato.

«Io e Matteo andiamo in centro. Vieni?»

«No, grazie. Divertitevi.»

Sparì.
Io restai sola.

Mi cambiai: top corto, niente reggiseno. Gonna che lasciava poco all’immaginazione.
Un cardigan per salvare le apparenze.
Capelli mossi, rossetto perfetto.

Scesi al bar.
Musica bassa, luci soffuse.

Un drink. Poi due. Tre. Quattro. Cinque. Sì, anche il sesto.

E il mio sguardo iniziò a cercare.
Qualcosa.
O forse… qualcuno.
scritto il
2025-05-24
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